Provo a scrivere di fretta e furia, perché d’altronde pensarci troppo intorno alle idee quando vengon fuori è deleterio e controproducente… E poi, se si erra qualcosa nella stesura, si può sempre accendere un dibattito che è la motivazione per la quale mi accingo a scrivere queste righe.
È di pochi giorni fa la notizia che un compagno è stato condannato a 12 anni e mezzo per delle azioni contro i fascisti di Casapound ed i capitalisti di ENI, sfruttatori di terre e popolazioni.
Un’azione diretta, chiara, coincisa, senza troppi fronzoli: parla da sola. Il compagno ha voluto anche rivendicare in aula la propria posizione ed il perché ha compiuto l’atto. Bene: la risposta dello Stato è stata una condanna esemplare…
Ma siamo sicuri che la condanna sia derivante solo dalle sue prese di posizione? Siamo sicuri che se ci fosse stata molta solidarietà, un presidio, un corteo, un qualsiasi tipo di approccio che sdogani in modo visibile, collettivo e numeroso quelle pratiche di rivendicazione dell’azione durante tutto l’arco del processo, da parte di tutte quelle compagne e tutti quei compagni che sinceramente si definiscono antifasciste ed antifascisti, sarebbe stato condannato a così tanto? Perché non c’è stata solidarietà attorno a lui? Quali sono i motivi? Perché si conosce poco, non si definisce anarchico ma militante di estrema sinistra, non fa parte dei nostri gruppetti di amichette ed amichetti?
Logicamente è una provocazione portata all’estremo…
Ma continuando con la provocazione… i compagni che sono in carcere, per esempio in Cile, li conosciamo di persona? No, eppure ci sono benefit, iniziative, sostegno, discussioni. Ed è giustissimo, perché è la cosa da fare… Ma quando ci si spinge verso la stessa direzione dell’azione diretta senza compromessi in Italia, perché non avviene questo tipo di solidarietà? C’è per caso l’effetto nimby, a casa degli altri sì a casa mia neanche per sogno? Oppure solo chi conosciamo è degno di solidarietà e vicinanza..? Ma la solidarietà si dà per la conoscenza e per la simpatia, oppure per le pratiche? Perché altrimenti qui si rischia, e si rischia grosso, di finire come quelle e quelli che vorremmo provare a combattere quotidianamente, creando la logica dell’essere accettate ed accettati in un gruppo sociale, dove ci divertiamo e siamo tutte amiche e tutti amici… Fingendo che alla fin fine e sotto sotto tutto va bene nonostante la gente marcisca in carcere o ai domiciliari, rimanendo cristallizzate e cristallizzati in realtà di formalità esistenziali che dovremmo essere le prime ed i primi a contrastare e distruggere.
Oppure non ci piace il fatto in generale di dover rivendicare in aula le nostre idee? Questo può essere, ma avrebbe senso dibatterne in modo ampio.
Ha senso affrontare i processi sperando in un’assoluzione, quando poi la batosta semmai arriva uguale? Non vale la pena di andare fieri e a testa alta davanti a tutto e tutti e dire: sì, sono anarchica, sono anarchico, sono militante di estrema sinistra, sono quella che vi pare o quello che vi pare, ho attaccato per queste ragioni, non me ne pento, me ne assumo tutte le responsabilità. Questo sarà opinabile quanto volete, ma è pur sempre uno spunto di riflessione. Tanto, a conti fatti, quando si lotta per la libertà, che ne diano 8, 10, o 15 di anni, cosa può cambiare? Quando usciremo di prigione saremo in un mondo libero? No. Dovremo continuare a lottare? Sì. E dal carcere non si può lottare? Deve essere un momento di pausa dalla lotta? Sono domande, solo domande…
Dal momento che mi tolgono la quotidianità, dovrò costruirmene un’altra, e l’essere umano è l’animale più adattabile all’habitat che lo circonda nel minor tempo possibile, quindi sarà dura sì, ma ce la si fa… Perché sperare quando si può comunque, in un modo o nell’altro, lottare?
Ad una certa nella vita si può anche provare a fare una scelta: la fierezza con se stessi e se stessi, anche se ci costerà cara, o il far passare l’acqua sotto i ponti per sbrigarcela il prima possibile. Sia ben chiaro, sono condivisibili entrambe, ma poi in soldoni, quale ci rende più felici di noi stessi?
E chiudo, con una constatazione: finora, gli ultimi processi alle anarchiche ed agli anarchici che sono stati seguiti negli ultimi anni, hanno avuto esiti sempre più o meno positivi… Mi spiego meglio: dove c’è una grossa partecipazione sia in aula che fuori, sempre, a tutte le udienze, ricordando a lorsignori che non si lascia nessuno indietro e che ci siamo, esistiamo, e ci opponiamo sempre a loro, anche in aula di tribunale perché è lì l’unico posto dove poter interagire pur solo con lo sguardo con le compagne ed i compagni reclusi… bene, le condanne sono sempre più lievi, rispetto a processi che si lasciano andare a se stessi o dove si lascia fare una difesa tecnica agli avvocati o che si seguono sporadicamente o solo i giorni delle sentenze. Allora, non vale forse la pena di rivedere le modalità di solidarietà e di supporto ai processi nei confronti delle nostre compagne e dei nostri compagni? Magari la pena comminata sarà la stessa, ma se non si tenta, chi ce lo dice che è già scritta la sentenza, perché dargliela già vinta, perché dire “non serve a niente io faccio altro” se poi magari non si fa neanche altro? D’altronde, oggi siamo noi a poter andare a portare un po’ di solidarietà alle recluse ed ai reclusi anche in tribunale, ma domani potremmo essere noi a dover stare dietro le sbarre e dover subire traduzioni ammanettati scortati da secondini, solo per sapere a quanti anni una toga deciderà di relegare le nostre vite in 4 mura di cemento… Riflettiamoci su!
SOLIDARIETÀ A MAURO ROSSETTI BUSA
SOLIDARIETÀ ALLE COMPAGNE ED AI COMPAGNI COLPITI DALLE VARIE OPERAZIONI SCRIPTA MANENT, PANICO, PROMETEO, RENATA, SCINTILLA!
SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI COLPITI DALLA SORVEGLIANZA SPECIALE!
E PIÙ IN GENERALE SOLIDARIETÀ A TUTTE LE RIVOLTOSE ED I RIVOLTOSI DEL MONDO, IN LOTTA CONTRO STATO E CAPITALE, COLPITE E COLPITI DALLA REPRESSIONE
Un/a Individua/o
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