Roma – Insieme nel cuore della lotta

Tra gli atti a sostegno dell’operazione repressiva del 13 marzo, la Procura di Bologna dichiara apertamente la necessità di togliere di mezzo le persone disposte a lottare e di farlo preventivamente, in considerazione dell’attuale momento storico in cui tensioni sociali potrebbero scatenarsi in tutto il paese.

Le accuse rivolte a 12 compagni/e sono istigazione a delinquere, danneggiamento, imbrattamento e incendio, nel quadro di un’associazione con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Anche quella Procura è convinta che bisogna vivere di miseria e di carcere, e così altre 7 compagne e compagni sono detenuti e altri/e 5 hanno l’obbligo di dimora e di firma.

Descrivere chi vive di solidarietà come “istigatore” non rappresenta solamente un pesante capo di imputazione dal punto di vista di anni di carcere da richiedere. La figura dell’istigatore fa emergere l’ennesimo tentativo manipolatorio dello Stato. La responsabilità di ciò che avviene all’interno di qualsiasi luogo di reclusione, così come nella società tutta, risiede esclusivamente nelle scelte politiche dei vari governi. Chiunque viva sulla propria pelle lo sfruttamento, l’impoverimento, l’esclusione, il pericolo della propria incolumità causata proprio da quelle stesse politiche, sa bene verso chi rivolgere la propria rabbia e non ha certo bisogno di suggerimenti terzi. Lo ha ben dimostrato l’immediata risposta delle persone detenute all’irresponsabile e cinico disinteresse dello Stato sulla gestione dell’emergenza Covid, con le spontanee rivolte di marzo dentro le carceri e le proteste ancora in corso. Così come lo hanno sempre dimostrato le rivolte avvenute all’interno dei centri di detenzione per immigrati.

Da due mesi ci sono rivolte nelle carceri di tutto il mondo perché le persone detenute non accettano di essere condannate al contagio del Covid nel contesto atroce di privazione della libertà.

C’erano Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma e Tommi davanti le mura di tutte le carceri?

Probabilmente sì. Tante Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi e tante/i noi.

La lotta per un mondo giusto, la lotta per la libertà, la lotta contro ogni forma di autorità, non è “istigazione” bensì solidarietà ed è, e sempre sarà, patrimonio di tutti e tutte noi.

In un mondo di muri, droni, guerre, segregazione razziale, violenza di genere e sfruttamento c’è chi sceglie da che parte stare.

SIAMO CON VOI

LIBERI TUTTI LIBERE TUTTE ORA

Rete Evasioni

Due testi da Roma in solidarietà con gli arrestati di Bologna

Le carceri sono un focolaio di contagio

Da inizio marzo sono state numerose le proteste portate avanti dalle persone detenute, e ci siamo uniti e unite a chi ha lottato davanti le carceri al fianco dei propri affetti. Anche noi abbiamo i nostri affetti in carcere, non solo a Roma, e siamo disposti a lottare al fianco di chi neanche conosciamo. Il nostro cuore e la nostra testa sono anche con chi sta lottando nei Centri di espulsione per immigrati, da cui escono pochissime notizie perché lo Stato gioca sulla difficoltà di avere contatti con l’esterno.

Il governo non ha mosso un dito per tutelare l’incolumità delle persone detenute e dichiara l’intenzione di attivarsi, con un mese di ritardo, con misure insignificanti. Domani, lunedì 6 aprile, il Senato voterà gli emendamenti al Cura Italia rispetto la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare: per come si prospetta, non sarà risolutiva né del sovraffollamento né tantomeno della crisi sanitaria nelle carceri.
Ovviamente gioiamo per ogni singola persona detenuta che riuscirà a mettersi in salvo dal contagio ma è necessario guardare alle altre decine di migliaia in pericolo.

Lo Stato ha parlato delle rivolte descrivendo i detenuti come burattini nelle mani di “regie esterne”. E quindi ci sarebbero regie esterne in tutto il mondo, visto che le rivolte e le proteste sono esplose ovunque?
Durante le rivolte sono state uccise 14 persone e ci è molto chiara la responsabilità di queste morti,nonostante le dichiarazioni ufficiali ci raccontino di morti per overdose. Sono state sminuite se non addirittura ignorate le preoccupazioni di parenti e amici facendo circolare false informazioni, concedendo la parola solo a sindacati dei secondini e burocrati, utilizzando i media per creare un clima rassicurante nel tentativo di soffocare la giusta rabbia delle persone detenute.

Quando la paura di chi è oppresso diventa forza collettiva per alzare la testa, il copione degli Stati è sempre lo stesso.

Oggi più che mai le persone detenute hanno indicato con coraggio l’unica soluzione per mettersi in salvo: liberarsi dalle galere, tornare tutte e tutti a casa.
Che lo Stato costringa a morire in carcere, tra negligenza medica, sovraffollamento, abusi e pestaggi, non è una novità. Ignorare totalmente il pericolo del contagio è una scelta, non è assolutamente una svista.

I dati sui contagi in carcere non sono assolutamente credibili, ogni dichiarazione parla solo dei contagi tra guardie e personale medico, pochissimo esce sulla condizione delle persone detenute. A quanto pare in carcere si diventa immuni al virus!
Anche le parole del Garante dei detenuti sono vuote, non si basano su alcuna informazione concreta. I giornalisti, invece di prendere informazioni da fonti dirette come i parenti dei detenuti, preferiscono come al solito essere uno strumento di contenimento per conto del governo.
Due giorni fa è morto il primo (chissà se è davvero il primo) detenuto per COVID-19 in ospedale a Bologna.
Era uno dei detenuti trasferiti nel carcere di Bologna dopo le rivolte a Modena.
Solo guardando alla regione Lazio, venerdì hanno iniziato a parlare di 5 contagi nel carcere di Rieti, dove sono già morti 4 detenuti a seguito delle rivolte, e di 60 persone in quarantena perché venute a contatto con sanitari positivi nella sezione femminile di Rebibbia. Sempre venerdì, a Rebibbia è morto un detenuto. Lo chiamano suicidio ma per noi è stato ucciso dal carcere.

A Roma sono presenti diverse carceri e tutto quello che sappiamo è frutto delle relazioni tra i familiari e amici delle persone detenute. Sappiamo che questo è l’unico modo per conoscere la situazione reale nelle carceri.

In questo momento è necessario un colpo di reni, una presa in carico collettiva.
Aspettare è la peggior cosa che possiamo fare.

Chiediamo a tutte e tutti di restare attenti a quello che accadrà nelle carceri in questi giorni. Attiviamoci concretamente per abbattere la “distanza sociale” imposta da quelle mura perché tutte e tutti possano mettersi in salvo a casa.

Rete Evasioni, 5 Aprile 2020

Le carceri sono un focolaio di contagio