Non se, ma quando

Non se, ma quando

Ad appena un mese dall’operazione Ritrovo una nuova operazione sbirresca, detta Bialystock, ha colpito sette compagni e compagne anarchiche. Due di loro si trovano ai domiciliari, tre nelle patrie galere, e due, sempre in carcere, attendono di essere trasferiti in territorio italiano, poiché al momento dell’arresto si trovavano all’estero. A questi compagni e compagne va la nostra piena solidarietà e vicinanza.

Vorremmo anche, con questo scritto, provare ad articolare qualche più ampia riflessione.

Non se, ma quando: è quel che verrebbe da pensare nell’analizzare, globalmente, le operazioni antiterrorismo condotte dallo Stato italiano negli ultimi anni a danno di chi si richiama all’ideale anarchico. Non è un ripiegamento vittimista, né un’invocazione iettatoria, semplicemente prendiamo atto del fatto che sempre più spesso il tentativo del potere è quello di incarcerare e reprimere le individualità anarchiche… in quanto tali.

Questa conclusione è banale solo in parte. Nelle costruzioni giudiziarie, infatti, sono sempre meno i fatti specifici ad essere contestati, e sempre più spesso si ricorre abbondantemente al reato di istigazione. Testi, scritte sui muri, volantinaggi, diffusione di idee ed inviti alla solidarietà attiva con gli individui incarcerati sono ritenuti ormai l’armatura del terrorismo e dell’eversione, complice anche l’esistenza di una norma quale l’articolo 270 sexies – il quale definisce come terroristica qualsiasi condotta che possa intimidire lo Stato o una sua estensione (aziende, organizzazioni ritenute strategiche), portandolo ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto o progetto. La vaghezza di questa formulazione va a braccetto con gli intenti sempre più esplicitamente preventivi dell’apparato giudiziario, come a dire: ‘sono anarchici, prima o poi colpiranno, tanto vale portarsi avanti col lavoro e bloccarli subito’. O, come nel caso dell’operazione Ritrovo, la prevenzione viene sostanziata dalla dimensione contestuale e risponde al timore che in un momento di crisi sempre più acuta (quale quella che viviamo dal principio della pandemia da covid-19) la presenza delle anarchiche e degli anarchici nelle strade, nei luoghi di sfruttamento, sotto le mura delle galere possa costituire un rischio per il mantenimento dell’ordine costituito.

Così arriviamo a ragionare sul quando: quand’è che lo Stato riconfigura l’estensione dei propri mezzi repressivi? In quale momento storico viviamo? Quali sono i rischi per la stabilità delle istituzioni, e quali le possibilità per chi, nelle istituzioni, vede solo il dispiegamento di una violenza schiacciante, insopportabile?

La pandemia ha esacerbato una serie di processi già in atto da tempo, come l’impoverimento e la marginalizzazione ai quali alcuni strati della società erano già soggetti, ed ha reso evidente in modo doloroso chi fossero gli ultimi e le ultime. Molte analisi sono state condivise durante gli ultimi mesi e sappiamo bene ormai in quali punti nodali si sono concentrate le peggiori conseguenze della pandemia e della sua gestione, personificata nello stato d’emergenza sanitario. Non ci sorprende allora che in vari angoli del globo la paura sia diventata insofferenza, e poi rabbia, e poi rivolta. Non ci sembra assolutamente improbabile che negli Stati Uniti, ad esempio, la gestione della pandemia abbia esasperato le profonde disuguaglianze sociali e materiali e ulteriormente minato le condizioni di vita degli afroamericani e in generale di chi non sia bianco, e che questa rabbia sia esplosa assieme a quella causata dalle terribili morti di George Floyd, Maurice Gordon e Rayshard Brook, uccisi dalla violenza poliziesca e razzista. Nei giorni in cui gli Stati Uniti letteralmente bruciano, il presidente Trump inveisce sempre più violentemente contro dimostranti antifa e anarchici, definendoli, tanto per cambiare, terroristi.

In Italia dall’inizio della pandemia, un’ondata di fuoco ha devastato molte carceri, e quattordici persone detenute sono rimaste uccise durante quelle rivolte. E sono proprio i rapporti fra carcerati e individui a piede libero ad essere chiamati in causa dalle ultime operazioni antiterrorismo: a compagne e compagni di Bologna veniva contestata la presenza solidale fuori dalla Dozza e dal carcere di Modena, presenza considerata sobillatrice; le compagne ed i compagni colpiti nell’operazione Bialystock vengono accusati per la solidarietà portata avanti in seguito all’operazione Panico, in particolare verso Paska, ora nuovamente inquisito, per via delle “proteste coordinate dentro e fuori” che avrebbero portato al suo trasferimento dal carcere di La Spezia, dopo i pestaggi là subìti.

Ci troviamo, evidentemente, in un momento storico in cui la solidarietà tra sfruttate, inquisiti, dannati, diseredate sembra essere più pericolosa che mai, perlomeno agli occhi del potere.

Sarà allora un’arma che raccoglieremo volentieri: dentro e fuori dal carcere, ma anche sui luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle scuole, nelle rsa, nelle case in cui ci hanno rinchiuse, spesso intrise di abusi e violenza patriarcale, per le strade… tutto deve cambiare, e questo ci sembra un buon momento.

Solidarietà incondizionata alle compagne ed ai compagni colpiti dall’operazione Bialystock

Fra, Flavia, Nico, Robbi, Claudio, Dani, Paska liberi! Tutti e tutte libere!

Anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

Non se, ma quando

 

Trento – presidio il 13.06 “Ma noi, non abbiamo niente da dire?”

Ma noi, non abbiamo niente da dire?

Sulle cause sociali e ambientali dell ’ epidemia da Coronavirus

Sulla Sanità

Sulle responsabilità di Confindustria e governo

Sul debito pubblico e su chi dovrà pagarlo

Sulla “ didattica online ” e sulla digitalizzazione della società

Su …

Usciamo dall’isolamento, confrontiamoci su questi mesi

di confinamento, riprendiamoci gli spazi

INCONTRIAMOCI

SABATO 13 GIUGNO, DALLE ORE 16,00

IN PIAZZA D’AROGNO (Dietro il Duomo ) A TRENTO

 

MANIF. 13 GIUGNO

Presidio a Trento il 13.06 “Ma noi, non abbiamo niente da dire?”

 

Crónicas del estado de emergencia (Numero 9)

18 de Mayo de 2020 NUmero 9

La voz del patrón

Hace unas semanas, el Presidente de Confindustria1 Trento, Fausto Manzana, al presentar el “Informe de Sostenibilidad”, afirmó la necesidad de reactivar la economía garantizando al mismo tiempo el respeto al medio ambiente: “Pero esta prioridad -añadió- no puede ignorar el hecho de que hay que construir grandes infraestructuras, tanto a nivel nacional, para conectar mejor nuestro país con el resto de Europa, como en nuestra provincia”. Luego hizo referencia explícita a Valdastico (con su salida hacia el norte), el tercer carril de Autobrennero, las circunvalaciones de Trento y Rovereto, y las obras relacionadas con el Túnel del Brennero. El hecho de que el líder de los industriales, mientras pretende realizar grandes infraestructuras con un impacto desastroso sobre el territorio (y los cambios climáticos), hable de sostenibilidad y respeto al medio ambiente, es indicativo de cómo la lógica del beneficio y la subyugación del lenguaje van siempre de la mano. ¿Sentido de los límites, participación de la población, cambio del estilo de vida, reflexiones suscitadas por la cuarentena y otras historietas con las que los tertulianos nos han entretenido en los periódicos, en la televisión o en la radio durante las últimas semanas de arresto domiciliario? Aquí se pueden ver resumidas por Manzana: “Será la investigación la que encontrará las soluciones, será el mercado quien marcará el camino”.

El trabajo de los siervos

Y la investigación encuentra las respuestas ¡Y tanto que las encuentra! Con un pequeño detalle: nunca preguntarse por el significado de las preguntas. El impacto de los gases de efecto invernadero nos está llevando al colapso ecológico. ¿Deberíamos detener la carrera? ¡En absoluto! Intentemos la “Gestión de la Radiación Solar” (SRM), es decir, la inyección de sulfatos en la atmósfera mediante aerosoles para desviar algunos de los rayos solares hacia el espacio y contrarrestar así el calentamiento global. ¿El sobrecalentamiento causa la acidificación de los océanos, lo que a su vez causa la destrucción del arrecife de coral? En el Politécnico de Milán se ha establecido un sistema para alcalinizar artificialmente el agua con el objetivo de contener los efectos de las emisiones industriales de CO2.

Monitor

La guía de televisión que se distribuye semanalmente junto con el diario “l’Adige” es un pequeño ejemplo de cómo la ideología dominante puede reproducirse incluso en tal formato. Siguiendo los aires que soplan, en las últimas semanas “Monitor” ha dedicado algunos articulillos al 5G, a los coches de conducción asistida y a los de conducción autónoma. En ambos casos, se señala que estas formidables innovaciones contienen algunos “puntos críticos” y que plantean “muchas preguntas”. Cosas de las que en los artículos, bien provistos de los más serviles elogios, el lector no encuentra ningún rastro. Leyéndolos, descubrirá así que con el 5G puede descargar una película en su smartphone en pocos minutos, pero no – ni por error, ni siquiera con la fórmula “los más malignos y precavidos sostienen… ” – que será vigilado por todas partes y que tendrá mayores probabilidades de contraer un cáncer. De los coches autónomos aprenderá que le permitirán “leer, comer, ver la televisión, llamar por teléfono y – por qué no – dormir”. ¿Y las muchas preguntas? Requieren de ciudades informatizadas llenas de sensores, condicionan los trayectos, las paradas, las compras, las pólizas de seguro, amplían la captura de nuestras vidas por gigantes como Google… No, he aquí “las muchas preguntas”: “se necesita que los vehículos demuestren ser 100% seguros y en este sentido todavía hay un largo camino por recorrer”.

“No permitamos instaurarse al mundo sin contacto”

Con este título – el subtítulo es Llamamiento al boicot de la aplicación Stop-COVID19 – salió hace unas semanas en Francia un texto firmado por algunas decenas de personas, asociaciones y colectivos2. Vale la pena mencionar algunas de las propuestas con las que concluye este llamamiento:

“Durante las últimas semanas se ha hecho habitual que muchas personas dejen sus smartphones en casa cuando salen. Llamamos a la generalización de este tipo de gestos y al boicot de las aplicaciones públicas y privadas de seguimiento digital. Más allá de lo anterior, invitamos a todas y todos a reflexionar profundamente sobre la posibilidad de abandonar su teléfono inteligente y reducir en gran medida su uso de la tecnología inalámbrica. Volvamos, por fin a la realidad.”

“Llamamos a la población a informarse sobre las consecuencias económicas, ecológicas y sanitarias del despliegue de la red 5G y a oponerse activamente al mismo. Más aún, invitamos a todas y todos a informarse sobre las antenas de telefonía móvil que ya existen cerca de su casa y a oponerse a la instalación de nuevas antenas transmisoras.”

“Otra batalla crucial para el futuro de la sociedad es el rechazo de la escuela digital e inalámbrica. La crisis que estamos atravesando se ha aprovechado para normalizar la educación a distancia a través de internet, y sólo una reacción contundente de profesores y familias podrá impedir que se instale definitivamente. Pese a que la escuela es susceptible de críticas desde muchos puntos de vista diferentes, estamos convencidos de que estas últimas semanas se habrá hecho evidente para muchos que sigue teniendo sentido aprender juntas y que es muy valioso para los más pequeños estar en contacto con maestros y maestras de carne y hueso.”

“… Algunos llevamos años denunciando la informatización del trabajo, y nos parece evidente que la extensión del teletrabajo forzado es un proceso al que tenemos que oponernos a través de nuevas formas de lucha, de boicot, de deserción.”

Precisamente ahora

“Precisamente ahora que Internet y el trabajo inteligente son tan importantes”, se quejó el alcalde de Rovereto después de que algunas personas anónimas sabotearan cinco (o seis, no se entiende bien) cabinas de intercambio de telecomunicaciones en la noche del 14 al 15 de mayo. Las pequeñas cajas de chapa habrían sido forzadas y los cables que llevan la línea a la cabina y de la cabina a las viviendas habrían sido cortados. El “apagón” habría llegado a afectar a dos mil usuarios, trayendo “medio regimiento de técnicos” a la ciudad para restaurar el servicio, lo que debería suponer una semana de trabajo. “Deshagámonos de las jaulas tecnológicas”, decía una de las inscripciones dejadas por los saboteadores anónimos.

Hace ochenta años …

Giaime Pintor, intelectual antifascista que murió a los veinticuatro años despedazado por una mina alemana, escribía en los años 40: “Hoy en día en ninguna nación civilizada la brecha entre las posibilidades vitales y la condición actual es tan grande: nos corresponde a nosotros declarar el estado de emergencia”. Hoy en día que el asedio – entre la producción industrial de desastres ecológico-sanitarios y las soluciones tecnológicas que agravan sus efectos – nos está machacando, nos corresponde a nosotros hacer efectivo el estado de emergencia.

1 NdT: La patronal. Confederación General de la Industria Italiana. Principal organización representativa de las empresas manufactureras y de servicios italianas.

2 NdT: Se refieren al texto aparecido simultáneamente en frances y castellano: La necesidad de luchar contra un mundo ‘virtual’. Contra la doctrina del shock digital (Diario ctxt, 3 de mayo de 2020).

Traduzione in spagnolo dei n°9 e n°8 delle Cronache

Crónicas del estado de emergencia (Numero 8)

11 de Mayo 2020 Numero 8

En la pendiente

Es justamente ahí que nos encontramos. Incluso economistas de todo menos radicales empiezan a hipotetizar sobre cuatro posibles salidas de la situación actual: un resbalón hacia la barbarie; el capitalismo de Estado; el socialismo de Estado; y una sociedad diferente basada en el apoyo mutuo. En la cabecera del diario online “Milano Finanza” el 6 de mayo se podía leer el titular: Porqué el sistema capitalista está prácticamente muerto. La tesis – errónea, pero indicativa – sostenida por el presidente de un importante fondo de inversiones, era que un sistema en el cual las empresas no son capaces de obtener beneficios sin intervención estatal, no se puede seguir llamando capitalista. Pero el plato fuerte era la conclusión: si ciertos cambios no son dirigidos desde arriba, otros diferentes serán impuestos desde abajo. ¿Quien lo habría dicho hace solo un mes? El problema es que la iniciativa se encuentra por el momento casi enteramente en las manos de los Estados y los tecnócratas, lo que nos acerca más a una de las tres primeras soluciones mencionadas anteriormente y nos aleja de la última; la única que podría salvar al mismo tiempo la supervivencia del ecosistema y la libertad de los individuos.

Por confirmar

El 6 de mayo, Vito Crimi, viceministro del Interior y jefe político de los 5 Estrellas1, propuso “consentir” (¡que bondad!) a los que reciben la renta de ciudadanía o Naspi incorporarse al trabajo en el sector agrícola para suplir la escasez de mano de obra extranjera “sin perder el derecho a esta renta”. Sin despeinarse, el pentaestelado (aunque fue precedido en esto por el presidente del PD de Emilia Romagna, Bonaccini: “Quien se beneficia de la renta de ciudadanía puede ir a trabajar allí para devolver algo de lo que se le da”) dice las cosas tal como son. Es hora de enterrar la arcaica idea decimonónica de que el patrón deba pagar, y de que a un determinado trabajo le corresponda un salario proporcional, determinado por la relación de fuerzas entre el patrón y los trabajadores. A partir de ahora, el trabajo será una concesión (una concesión obligatoria, es decir, una imposición), así como lo será la renta (cada vez más miserable), que podrá ser retirada por decisión del gobierno – en estos días hemos podido degustar lo que se puede hacer con un simple decreto – y, sobre todo, que no será en modo alguno proporcional al trabajo realizado, ni será objeto de negociación y conflicto. ¿600 euros al mes por trabajar 12 horas bajo el sol le parece poco? Pues se queda usted sin subsidio. ¿Le gustaría negociar un salario adecuado? Que pase el siguiente. ¿Desea un contrato con pago por horas, reconocimiento de horas extras, enfermedad, vacaciones, permisos, días libres, contribuciones a la seguridad social, posibilidad de huelga? Crimi y Bonaccini no lo mencionan, otros políticos tanto menos, probablemente para ellos sea material de museo. Un giro nada despreciable para hacer frente a la “crisis que viene” (¿o ya está aquí?): los beneficiarios de los subsidios serían una reserva de mano de obra literalmente gratuita para los patrones, y sin ningún costo adicional para el Estado, ya que se trataría de fondos (aunque sería mejor decir migajas) ya asignados y cuyo pago ya está previsto por la ley. Una propuesta simétrica a la negativa de regularizar a los trabajadores inmigrantes sin papeles, una mano de obra a muy bajo coste para las empresas, y a coste cero para el Estado. Una razón más para luchar juntos, italianos y extranjeros, contra una nueva esclavitud, que no tiene nada de emergencial: dados los beneficios que garantizan, no hay duda de que estas condiciones, una vez impuestas, se harán permanentes y se extenderán cada vez más.

Conscientemente, o por la fuerza.

El problema de la degradación de las condiciones de vida y de trabajo, y el de vivir en una sociedad cada vez más artificial, están haciéndose patentes de manera contemporánea. Difícilmente conseguiremos bloquear esta economía de la desgracia, sin crear espacios colectivos donde organizarnos contra la creciente miseria y en los cuales formular, al mismo tiempo, una critica que incluya un sistema abiertamente en guerra contra el Planeta y sus habitantes. La resistencia contra la introducción del 5G será probablemente una de estas ocasiones. Otro terreno de encuentro podría ser el relativo a la salud. Para que las batallas del sector puedan encontrar apoyo en el resto de la población, el personal sanitario crítico deberá empezar a pronunciarse no solo contra los recortes y privatizaciones, sino también sobre las causas estructurales (por ejemplo la contaminación y la adulteración de los alimentos) que aseguran cada vez más pacientes a las industrias para las cuales trabajan. Es justo un juicio crítico de este tipo el que falta – en este sector como en todos los demás – aplastado bajo el peso de la supervivencia. Solo los espacios de comunicación directa y de las luchas comunes pueden aliviar tal peso. Por otro lado, si no es a través del bloqueo consciente de una producción cada vez más demente, será “bajo el yugo de desastres ecológicos repetidos, como los hombres deberán aprender a separarse de un mundo de ilusiones”.

Principios

A la espera – o en sustitución – de la aplicación para el rastreo de contactos, el Instituto Italiano de Tecnología (cuyo director Roberto Cingolani forma parte de la task force instituida por el gobierno para programar el “retorno a la normalidad” después de la cuarentena) ha elaborado y comercializado un brazalete digital que suena si no se respeta la “distancia de seguridad” y que almacena los datos sobre los contactos con eventuales contagiados. El presidente de la región de Liguria quiere hacerlo obligatorio a partir del próximo otoño. Mientras tanto, el Ministerio de Educación prevé mantener la “didáctica online” también para el próximo septiembre (con la mitad de estudiantes “presenciales” y la otra mitad conectados a Internet). “Han desaparecido todos los obstáculos para quines no tienen principios”, se ha escrito recientemente. ¿Y cuales son estos principios? ¿Que idea de libertad, de “naturaleza humana” y de relaciones sociales contraponer a la maquinización de nosotros mismos y del mundo? La afirmación de ciertos valores es probablemente la necesidad ética y práctica más imperiosa en esta fase histórica. Alrededor del profesorado recalcitrante, de los padres y madres que rechazarán enviar a sus hijos a la escuela, de los estudiantes que no proporcionarán el “email institucional” necesario para la “didáctica a distancia”, es fundamental que se cree una red de apoyo, de reflexión y de resistencia. Probablemente los elementos de rechazo, aunque dispersos y tímidos, se encuentran más difundidos de lo que creemos.

Un comienzo

Una primera discusión sobre todos estos temas se ha realizado el domingo 10 de Mayo en el terreno No TAV de Acquaviva y Resistente1. Por algunas horas, una cincuentena de personas provenientes de varias localidades de Trentino han compartido experiencias y vivencias de estos dos meses de confinamiento, esbozando, con vistas a otros encuentros, ideas y propuestas para asegurarse de que no se vuelva a la normalidad.

1 NdT: Terreno colectivo cercano a la ciudad de Trento nacido de la lucha contra el Tren de Alta Velocidad (TAV) donde se organizan diferentes iniciativas locales.

 

Traduzione in spagnolo dei n°9 e n°8 delle Cronache

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero9)

18 Maggio 2020

La voce del padrone

Qualche settimana fa, il presidente di Confindustria Trento Fausto Manzana, nel presentare il «Report Sostenibilità», ha affermato la necessità di rilanciare l’economia garantendo il rispetto dell’ambiente: «Ma questa priorità – ha aggiunto – non può prescindere dal prendere atto che le grandi opere debbono essere realizzate, sia a livello nazionale, per connettere meglio il nostro Paese con il resto dell’Europa, che nella nostra Provincia». Facendo poi esplicito riferimento alla Valdastico (con lo sbocco a nord), alla terza corsia di Autobrennero, alle tangenziali di Trento e Rovereto, alle opere collegate al Tunnel del Brennero. Che il capo degli industriali, nel pretendere di realizzare Grandi opere dall’impatto disastroso sul territorio (e sui cambiamenti climatici), parli di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente è indicativo di come logica del profitto e asservimento del linguaggio procedano sempre di pari passo. Senso del limite, coinvolgimento delle popolazioni, cambiamento negli stili di vita, ripensamenti suscitati dalla quarantena e le altre storielle con cui gli opinionisti ci hanno intrattenuto sui giornali, in televisione o alla radio durante le scorse settimane di arresti domiciliari? Eccole riassunte da Manzana: «Sarà la ricerca a trovare soluzioni, sarà il mercato a trovare la strada».

Il lavoro dei servi

E la ricerca le risposte le trova, eccome se le trova. Con un piccolo dettaglio: mai interrogarsi sul senso delle domande. L’impatto dei gas serra ci sta portando al collasso ecologico. Fermiamo la corsa? Macché. Proviamo con la “Gestione della Radiazione Solare” (Srm), ossia con l’iniezione tramite aerosol di solfati nell’atmosfera per deflettere parte dei raggi solari nello spazio e contrastare così il surriscaldamento globale. Il surriscaldamento provoca l’acidificazione degli oceani, la quale a sua volta causa la distruzione della barriera corallina? Al Politecnico di Milano si è approntato un sistema per alcalinizzare artificialmente le acque, al fine di contenere gli effetti dell’emissione industriale di CO2.

Monitor

La guida TV che viene distribuita settimanalmente insieme al quotidiano «l’Adige» è un piccolo esempio di come si possa riprodurre l’ideologia dominante anche in un simile formato. Seguendo l’aria che tira, nelle ultime settimane «Monitor» ha dedicato qualche articoletto al 5G, alle auto a guida assistita e a quelle a guida autonoma. In entrambi i casi, si segnala negli occhielli che queste formidabili innovazioni contengono delle «criticità» e sollevano «molti interrogativi». Cose di cui negli articoli, ben prodighi degli elogi più servili, il lettore non trova traccia. Scoprirà così, leggendoli, che con il 5G potrà scaricarsi un film sullo smartphone in pochi minuti, ma non – neanche per sbaglio, nemmeno con la formula «i più maligni e prevenuti sostengono…» – che verrà sorvegliato ovunque né che avrà molte più probabilità di beccarsi il cancro. Della auto a guida autonoma apprenderà che gli permetteranno di «leggere, mangiare, guardare la tv, telefonare e – perché no – dormire». E i molti interrogativi? Richiedono città informatizzate disseminate di sensori, condizionano tragitti, soste, acquisti, polizze assicurative, ampliano la cattura delle nostre vite da parte di giganti come Google… No, eccoli «i molti interrogativi»: «occorre che le vetture dimostrino di essere sicure al 100% e su questo fronte la strada da compiere è ancora lunga».

«Non permettiamo al mondo senza contatto di instaurarsi»

Con questo titolo – il sottotitolo è Appello al boicottaggio dell’applicazione Stop-COVID19 – è uscito qualche settimana fa in Francia un testo sottoscritto da qualche decina di persone, associazioni e collettivi. Vale la pena di riportare alcuni degli inviti con cui tale appello si conclude:

«In questi giorni, sembra che molte persone lascino il proprio smartphone a casa quando si allontanano dal proprio domicilio. Invitiamo alla generalizzazione di questo genere di gesti e al boicottaggio delle applicazioni private o pubbliche di tracciamento elettronico. Più in generale, invitiamo ciascuno e ciascuna a riflettere seriamente sulla possibilità di abbandonare il proprio telefono intelligente, e di ridurre in modo massiccio il proprio uso delle tecnologie di punta. Torniamo finalmente alla realtà».

«Invitiamo le popolazioni a informarsi sulle conseguenze economiche, ecologiche e sanitarie del dispiegamento pianificato della rete chiamata “5G”, e ad opporvisi attivamente. In modo più ampio, invitiamo ciascuno e ciascuna a informarsi sulle antenne di telefonia mobile che esistono già, e ad opporsi all’installazione di nuove antenne-ripetitori».

«Un’altra battaglia essenziale per l’avvenire della società è il rifiuto della scuola digitale. Il periodo critico che stiamo vivendo è messo a profitto per normalizzare l’insegnamento a distanza tramite Internet, e soltanto una vigorosa reazione degli insegnanti e dei genitori potrà impedirlo. Malgrado tutte le critiche che si possono fare da diversi punti di vista all’istituzione scolastica, il periodo attuale dovrebbe illustrare agli occhi di molti che è sensato imparare stando insieme e che è prezioso per i bambini essere in contatto con degli insegnanti in carne ed ossa».

«… Alcuni di noi denunciano da anni l’informatizzazione del lavoro; è evidente che l’estensione del telelavoro obbligatorio è un processo da arginare con nuove forme di lotta, di boicottaggio, di diserzione».

Proprio adesso

«Proprio adesso che internet e smart working sono così importanti», si è lamentato il sindaco di Rovereto dopo che degli anonimi, nella notte fra il 14 e il 15 maggio, hanno sabotate cinque (o sei, non si capisce) cabine per l’interscambio delle telecomunicazioni. Sarebbero state forzate le casette in lamiera e tagliati i fili che portano la linea alla cabina e dalla cabina alle case. Il “blackout” avrebbe coinvolto duemila utenze, portando in città “un mezzo esercito di tecnici” per ripristinare il servizio, il che dovrebbe richiedere una settimana di lavoro. «Liberiamoci dalle gabbie tecnologiche», una delle scritte lasciate dagli anonimi sabotatori.

Ottanta anni fa, qualcuno…

Giaime Pintor, intellettuale antifascista morto a ventiquattro anni dilaniato da una mina tedesca, scriveva negli anni Quaranta: «Oggi in nessuna nazione civile il distacco tra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi dichiarare lo stato di emergenza». Oggi che la morsa – tra la produzione industriale di disastri ecologico-sanitari e le soluzioni tecnologiche che ne aggravano gli effetti – ci sta stritolando, tocca a noi rendere effettivo lo stato di emergenza.

Versione pdf: Cronache9

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero9)

Crónicas del estado de emergencia (Numero 7)

4 de Mayo de 2020

1 de Mayo en Rovereto

El 1 de Mayo, una veintena de compañeros y compañeras han bajado a la calle en el barrio popular de Fucine para realizar una serie de ponencias amplificadas entre los edificios del Itea [NdT: pisos de protección oficial] durante aproximadamente una hora. Como el pasado 25 de Abril en Brione, ha sido una ocasión para hablar tanto de las causas estructurales de la epidemia – todas relacionadas con el modo capitalista de saqueo y explotación de la naturaleza – como de la manera en la cual ésta ha sido gestionada por la patronal y el gobierno, provocando de hecho una masacre. También durante esta iniciativa se ha invitado a los habitantes del Itea que están pasando por dificultades económicas (los dirigentes de la Diputación provincial han anunciado una moratoria de impuestos para comerciantes, pero no para inquilinos) a organizarse para no pagar el alquiler. Se ha subrayado cómo la prohibición de reunirse al aire l ibre – que continuará vigente aun después del 4 de Mayo – tenga como objetivo mantenernos aislados y pasivos frente a la que nos están preparando: los préstamos que el gobierno se apresura a pedir a las instituciones europeas y a los prestamistas internos (bancos, aseguradoras, fondos de inversión) serán pagados aumentando la explotación de los trabajadores y de los sectores más pobres de la sociedad, aspecto sobre el cual “europeístas” y “soberanistas” están todos de acuerdo. Para resistir a esto – y a la introducción del 5G – es necesario violar responsablemente las medidas de confinamiento social. Algunos habitantes – sobretodo jóvenes – se han acercado a la iniciativa. Dos patrullas de la policía se han mantenido sin embargo a distancia.

Si podemos trabajar, podemos también hacer huelga”

Con este eslogan, entre el 30 de Abril y el 1 de Mayo, se han organizado parones y huelgas en la mayor parte de cadenas del sector de la logística. En Bolonia, en Casoria, en la provincia de Nápoles, en Turín, en Campi Bisenzio, en Calenzano, en Módena (donde las protestas habían comenzado ya a principios de la semana). Y luego Génova, Milán, Brescia, Bérgamo, Piacenza, Florencia, Roma, Caserta … Una vez más los repartidores – gran parte de ellos inmigrantes – se confirman como el sector más combativo de la clase asalariada. También han hecho huelga los riders de Turín y el personal de limpieza de los trasportes en Nápoles, que el 30 de Abril han bloqueado el metro.

En el vientre de la bestia

Mientras en los medios de información italianos se da únicamente espacio a las protestas de los partidarios de Trump, los cuales defienden la reapertura incondicional y sin peros de la actividad económica (la misma asumida por la Lega y encabezada por los fascistas, que tratan de camuflarse bajo las “mascarillas tricolor”1), el 1 de Mayo en los Estados Unidos ha habido impotentes huelgas contra gigantes como Amazon, Whole Food, Walmart, Targer. Las reivindicaciones son el cierre de los lugares donde ha habido contagios, ninguna restricción en los test a los posibles contagiados, la retribución por trabajo peligroso, la interrupción de la entrega de mercancías no esenciales y el fin de las represalias contra los trabajadores que exigen una mayor seguridad en el trabajo. Los enfermeros han salido a la calle, delante de 130 hospitales en 13 Estados, por la contratación de nuevo personal, contra la falta de material de protección y contra los tentativos de silenciar las protestas. El denominador común de estas y tantas otras manifestaciones ha sido la oposición a los gastos e intervenciones militares a estrellas y franjas. Desde Marzo han sido documentadas al menos 140 huelgas salvajes e todos los Estados Unidos. Mientras tanto en California, en el Estado de Nueva York, en Missouri y en varias grandes ciudades se extiende la huelga de alquileres.

Parientes”

Preguntarse por la finalidad práctica para contener el contagio de las normas que desde hace más de un mes nos vienen impuestas, se ha revelado como un ejercicio fundamental de espíritu crítico hasta el momento. Desde el 4 de Mayo, fecha de inicio de la famosa “fase 2”, las restricciones a nuestras libertades (sobretodo las de asociación y manifestación) no cambiarán, pero será posible hacer visitas … a quien? En la primera versión eran los parientes2. Protestas. Habéis entendido mal, queríamos decir los seres queridos. Este baile revela una vez más que ciertas medidas tienen poco que ver con la salud. Qué utilidad práctica tiene poder ver solo a los parientes con respecto a la contención del contagio? Los vínculos familiares nos protegen quizás de la posibilidad de contagiarnos? Existe una especie de inmunidad de masas asociada al apellido? La respuesta nos parece obvia.

En los próximos días muchas actividades volverán a abrir sus puertas (aparte de aquellas, ciertamente no esenciales, que nunca las cerraron, como las empresas que producen armas); se volverá a producir y consumir casi a pleno rendimiento. No obstante no volveremos a nuestros vínculos sociales significativos, a nuestras amistades, a nuestras complicidades: éstas, sobre el papel, valen menos que un certificado de parentesco. Paciencia para quien no tiene familia o ha perdido el contacto con ella por haber encontrado en otros lugares afecto, comprensión, reciprocidad.

Trabajo, patria, familia: he aquí lo esencial!

Pero si queremos terminar con la organización social que crea las pandemias, tendremos también que reivindicar bien alto la importancia de todos nuestros lazos sociales, especialmente aquellos más desinteresados y auténticos – que a menudo no tienen nada que ver con la familia.

Similitudes

Capturar a través del Derecho todas las expresiones de la vida humana es una utopía totalitaria. Totalitaria porque su realización convertiría a los seres humanos en algo parecido a máquinas. Utopía, porque el Estado no podrá nunca controlar todo lo que hacemos. Sin embargo, puede acercarse, y bastante, aprovechando las oportunidades más propicias. Que tienen de particular los decretos dictados en nombre de la emergencia del Coronavirus respecto a las innumerables leyes liberticidas que han marcado la historia de este país? No solo y no tanto la extensión masiva de las restricciones, sino el hecho de que – dándole la vuelta a las bases de la ideología liberal – estos Decretos definen no lo que está expresamente prohibido, sino lo que está expresamente permitido. Y bien ¿Cuál es el único sitio donde las actividades se dividen entre aquellas expresamente permitidas y las expresamente prohibidas? La cárcel.

Mientras todavía no se ha recabado el consenso necesario para introducir la aplicación “Inmunes” para el rastreo digital de los contactos sociales, el Estado ha empezado a requerir a algunos detenidos en régimen de semilibertad la posesión de un smartphone para su geolocalización. En sustitución de qué? De los brazaletes electrónicos, la construcción de los cuales ha sido encargada a una compañía de telefonía móvil (Fastweb).

La avanzadilla de la tecnología digital permite lo que los regímenes totalitarios no han siquiera osado imaginar.

1 NdT: Mascarillas con los colores de la bandera de Italia.

2 NdT: En italiano “congiunti”, término en desuso que implica una conexión fuerte, normalmente consanguínea, y que, como era previsible, ha creado cierta confusión.

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero8)

Sulla china

È proprio lì che ci troviamo. Persino economisti tutt’altro che radicali cominciano a ipotizzare quattro vie d’uscita dalla situazione attuale: uno scivolamento verso la barbarie; il capitalismo di Stato; il socialismo di Stato; una diversa società basata sull’aiuto reciproco. Il quotidiano on line «Milano Finanza» titolava, il 6 maggio: Perché il sistema capitalistico è praticamente morto. La tesi – sbagliata, ma indicativa – sostenuta dal capo di un importante fondo di investimento è che un sistema in cui le imprese non possono realizzare profitti senza l’intervento dello Stato non è più un sistema capitalistico. Ma il pezzo forte era la conclusione: se certi cambiamenti non saranno diretti dall’alto, ben altri saranno imposti dal basso. Chi lo avrebbe detto, anche solo qualche mese fa? Il problema è che per il momento l’iniziativa è quasi interamente nelle mani degli Stati e dei tecnocrati, il che ci avvicina a una delle prime tre soluzioni e ci allontana dall’ultima, l’unica che può salvare allo stesso tempo la sopravvivenza dell’ecosistema e la libertà degli individui.

A conferma

Il 6 maggio, Vito Crimi, viceministro dell’Interno e capo politico dei 5 Stelle, propone di “consentire” (troppa grazia!) a chi percepisce reddito di cittadinanza o Naspi di andare a lavorare in agricoltura per sopperire alla carenza di manodopera straniera “senza perdere il diritto a quel reddito”. Come se niente fosse, il pentastellato (ma era stato preceduto in questo dal presidente PD dell’Emilia Romagna Bonaccini: «Chi prende il reddito di cittadinanza può andare a lavorare lì così restituisce un po’ di quello che prende») dice le cose come stanno. È ora di fare piazza pulita dell’arcaica idea ottocentesca che il padrone debba pagare, e che ad un certo lavoro corrisponda un relativo salario, determinato dai rapporti di forza tra padrone e lavoratori. D’ora in poi il lavoro sarà una concessione (una concessione obbligatoria, cioè un’imposizione), così come lo sarà il reddito (sempre più misero), che potrà essere tolto su decisione del governo – abbiamo avuto un assaggio, di questi tempi, di cosa possono fare con un semplice decreto – e soprattutto che non sarà in alcun modo commisurato al lavoro svolto, né potrà essere oggetto di contrattazione e conflitto. 600 euro al mese per lavorare 12 ore sotto il sole ti sembrano pochi? Perdi il sussidio. Vorresti contrattare una paga adeguata? Avanti il prossimo. Vorresti un contratto con paga oraria, straordinari, malattia, ferie, permessi, giorno libero, contributi, possibilità di scioperare? Crimi e Bonaccini non ne parlano, altri politici nemmeno, probabilmente per loro è roba da museo. Una svolta non da poco per affrontare la “crisi che verrà” (o che è già qui?): i percettori di sussidi sarebbero una riserva di manodopera letteralmente a costo zero per i padroni, e senza alcun costo aggiuntivo per lo Stato, visto che si tratta di fondi (ma sarebbe meglio dire briciole) già stanziati e la cui erogazione è già prevista dalla legge. Una proposta simmetrica al rifiuto di regolarizzare i lavoratori immigrati senza documenti, una manodopera a costi ridottissimi per le aziende, a costo zero per lo Stato. Un motivo in più per lottare insieme, italiani e stranieri, contro un nuovo schiavismo, che non ha nulla di emergenziale: visti i profitti che garantiscono, non c’è alcun dubbio che queste condizioni, una volta imposte, diventeranno permanenti e sempre più estese.

Coscientemente, o per forza

Il nodo del degrado delle condizioni di vita e di lavoro e quello di una società sempre più artificiale stanno venendo al pettine contemporaneamente. Ben difficilmente riusciremo a fermare questa economia della sciagura, senza creare degli spazi collettivi in cui organizzarci contro la crescente miseria e in cui formulare, allo stesso tempo, un giudizio complessivo su un sistema apertamente in guerra con il Pianeta e tutti i suoi abitanti. La resistenza contro l’introduzione del 5G sarà probabilmente una di queste occasioni. Un altro terreno di incontro potrebbe diventare quello relativo alla salute. Perché possa trovare sostegno nel resto della popolazione per le proprie battaglie, il personale sanitario critico dovrà cominciare a esprimersi non solo contro tagli e privatizzazioni, ma anche contro le cause strutturali (inquinamento e adulterazione del cibo, ad esempio) che assicurano sempre più pazienti all’industria per cui lavora. È proprio un simile giudizio che manca – in quel settore come in tutti gli altri –, schiacciato sotto il peso della sopravvivenza. Solo degli spazi di comunicazione diretta e delle lotte comuni possono allentare quel peso. D’altronde, se non avverrà attraverso il blocco cosciente di una produzione sempre più demente, sarà «sotto il giogo di disastri ecologici ripetuti che gli uomini dovranno imparare a separarsi da un mondo di illusioni».

Linee di principio

In attesa – o in sostituzione – dell’applicazione per il tracciamento dei contatti, l’Istituto Italiano di Tecnologia (il cui direttore Roberto Cingolani fa parte della task force istituita dal governo per programmare il “ritorno alla normalità” dopo la quarantena) ha già elaborato e messo in commercio un braccialetto digitale che suona se non si rispetta la “distanza di sicurezza” e che incamera i dati sui contatti con eventuali contagiati. Il governatore della Liguria vuole renderlo obbligatorio a partire da quest’autunno. Intanto, il ministero dell’Istruzione progetta di mantenere la “didattica on line” anche per settembre (metà degli studenti “in presenza”, metà collegati a internet). «Non ci sono mai ostacoli per coloro che non hanno princìpi», è stato scritto di recente. E quali sono questi princìpi? Che idea di libertà, di “natura umana” e di relazioni sociali contrapporre alla macchinizzazione di noi stessi e del mondo? L’affermazione di certi valori è forse la necessità etica e pratica più imperiosa di questa fase storica. Attorno agli insegnanti recalcitranti, ai genitori che si rifiuteranno di mandare i figli a scuola, agli studenti che non forniranno l’“email istituzionale” necessaria per la “didattica a distanza”, è fondamentale che si crei una rete di appoggio, di riflessione e di resistenza. Probabilmente gli elementi di rifiuto sono più diffusi di quanto non si creda, benché dispersi e timorosi.

Un inizio

Una prima discussione su tutti questi temi è avvenuta domenica 10 maggio al terreno no tav di Acquaviva e Resistente. Per diverse ore, una cinquantina di persone provenienti da varie località del Trentino si sono raccontate come hanno vissuto questi due mesi di confinamento, abbozzando, in vista di altri incontri, idee e proposte per far sì che non si torni alla normalità.

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Cronache dallo stato d’emergenza (Numero8)

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero7)

1° maggio a Rovereto

Il 1° maggio, una ventina di compagni e compagne sono scesi in strada per circa un’ora nel quartiere popolare delle Fucine con una serie di interventi amplificati tra i palazzi dell’Itea (Istituto Trentino Edilizia Agevolata). Come già successo il 25 aprile al Brione, è stata un’occasione per parlare sia delle cause strutturali dell’epidemia – tutte collegabili al modo capitalista di saccheggiare e di sfruttare la natura – sia di come l’hanno affrontata Confindustria e governo, provocando di fatto una strage. Anche durante questa iniziativa si sono invitati gli abitanti dell’Itea che sono in difficoltà economiche (i dirigenti dell’Ente provinciale hanno annunciato una moratoria dei canoni per i negozianti, ma non per gli inquilini) a organizzarsi per non pagare l’affitto. Si è sottolineato come il divieto – che perdurerà anche dopo il 4 maggio – di incontrarsi in più persone all’aria aperta abbia lo scopo di tenerci isolati e passivi di fronte a ciò che ci stanno preparando: i prestiti che il governo si appresta a chiedere alle istituzioni europee e ai creditori interni (banche, assicurazioni, fondi di investimento) saranno rimborsati aumentando lo sfruttamento dei lavoratori e delle fasce più povere della società, aspetto sul quale “europeisti” e “sovranisti” sono tutti d’accordo. Per resistere a questo – e all’introduzione del 5G – è necessario violare responsabilmente le misure di confinamento sociale. Alcuni abitanti – soprattutto giovani – si sono avvicinati all’iniziativa. Due pattuglie della polizia, invece, si sono mantenute a distanza.

Se possiamo lavorare, possiamo anche scioperare”

Con questa slogan, tra il 30 aprile e il 1° maggio sono stati organizzati blocchi e scioperi nella maggior parte delle filiere della logistica. A Bologna, a Casoria, in provincia di Napoli, a Torino, a Campi Bisenzio, a Calenzano, a Modena (dove le proteste erano già cominciate all’inizio della settimana). E poi Genova, Milano, Brescia, Bergamo, Piacenza, Firenze, Roma, Caserta… Ancora una volta i facchini – in gran parte immigrati – si confermano come il settore più combattivo della classe salariata. Hanno scioperato anche i riders di Torino e i pulitori dei trasporti di Napoli, che il 30 aprile hanno bloccato la metropolitana.

Nel ventre della bestia

Mentre sui media italiani si dà spazio solo alle proteste dei sostenitori di Trump, i quali vogliono la ripresa dell’attività economica senza se e senza ma (la stessa posizione assunta dalla Lega e cavalcata dai fascisti, i quali provano a camuffarsi dietro le “mascherine tricolori”), il 1° maggio negli Stati Uniti ci sono stati scioperi imponenti contro giganti come Amazon, Whole Food, Walmart, Target. Le rivendicazioni sono la chiusura dei siti dove ci sono stati dei contagi, nessuna restrizione nei test ai sospetti contagiati, la retribuzione del lavoro pericoloso, l’interruzione della consegna di merci non essenziali e la fine delle ritorsioni contro i lavoratori che richiedono maggiore sicurezza sul lavoro. Gli infermieri sono scesi in strada davanti a 130 ospedali in 13 Stati per l’assunzione di nuovo personale, contro la mancanza di dispositivi di protezione e contro i tentativi di mettere a tacere chi protesta. Denominatore comune di queste e tante altre manifestazioni, l’opposizione alle spese e agli interventi militari a stelle e strisce. Da marzo sono stati documentati almeno 140 scioperi selvaggi in tutti gli Stati Uniti. Nel frattempo in California, nello Stato di New York, in Missouri e in diverse grandi città si allarga lo sciopero dell’affitto.

Congiunti”

Chiedersi quale finalità pratica abbiano per il contenimento del contagio le norme che da più di un mese ci vengono imposte si è rivelato fino ad ora un esercizio fondamentale di spirito critico. Dal 4 maggio, data di inizio della famigerata “fase 2”, le restrizioni alle nostre libertà (soprattutto quelle di associarsi e di manifestare) non cambieranno, ma sarà possibile andare a visitare… chi? Nella prima versione erano i congiunti. Proteste. Avete capito male, volevamo dire gli affetti stabili. Questo balletto rivela una volta di più che certe misure c’entrano ben poco con la salute. Quale utilità pratica ha rispetto al contenimento del contagio poter incontrare solo i parenti? I legami familiari ci proteggono forse dalla possibilità di contagiarci? Esiste una sorta di immunità di gregge legata al cognome? La risposta ci sembra ovvia.

Nei prossimi giorni molte attività riapriranno i battenti (tralasciando quelle, non certo essenziali, che non li hanno mai chiusi, come le aziende che producono armi); si tornerà a produrre e consumare quasi a pieno regime. Non torneremo però ai nostri legami sociali significativi, alle nostre amicizie, alle nostre complicità: quelle, sulla carta, valgono meno di un attestato di parentela. Pazienza per chi una famiglia non ce l’ha o con essa ha chiuso i rapporti perché altrove ha trovato affetto, comprensione, reciprocità.

Lavoro, patria, famiglia: questo è l’essenziale!

Ma se vogliamo farla finita con l’organizzazione sociale che crea le pandemie, dobbiamo anche rivendicare a gran voce l’importanza di tutti i nostri legami, specie di quelli più disinteressati e autentici – che spesso, con la famiglia, non hanno niente a che fare.

Similitudini

Catturare attraverso il Diritto tutte le espressioni della vita umana è un’utopia totalitaria. Totalitaria, perché la sua realizzazione renderebbe gli esseri umani simili alle macchine; utopia, perché lo Stato non potrà mai controllare tutto quello che facciamo. Vi si può avvicinare, però, e parecchio, sfruttando le occasioni più propizie. Cos’hanno di particolare i Decreti emanati in nome dell’emergenza Coronavirus rispetto alle innumerevoli leggi liberticide che hanno costellato la storia di questo Paese? Non solo e non tanto l’estensione di massa delle restrizioni, ma il fatto che – capovolgendo le basi dell’ideologia liberale – questi Decreti definiscono come consentito non ciò che non è espressamente vietato, ma ciò che è espressamente permesso. Ebbene, qual è l’unico luogo in cui le attività si dividono tra quelle espressamente permesse e quelle espressamente vietate? Il carcere.

Mentre non incassa ancora il consenso necessario a introdurre l’applicazione “Immuni” per il tracciamento digitale dei contatti sociali, lo Stato ha iniziato a prevedere per alcuni detenuti semi-liberi l’obbligo di possedere uno smartphone per la geolocalizzazione. In sostituzione di cosa? Dei braccialetti elettronici, la cui costruzione è affidata a una delle compagnie di telefonia mobile (Fastweb).

L’avanzata della tecnologia digitale permette ciò che i regimi totalitari del passato non hanno nemmeno osato immaginare.

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Chronicles from the state of emergency No. 6 – Wall paper from Trentino

April 25: Signs of mutiny

The call to violate the confinement measures during the 25th of April was picked up in a rather varied and creative way. In Trento, a group of comrades took to the streets in the district of San Pio X, maintaining safe distances and demonstrating that it is possible to gather on the street, in the open air, protecting one’s own and other people’s health. The group – with the banner “Responsible, non-obedient. Resistance now and always” – remained in the street for a half an hour, with interventions, music and choirs; some supporters and inhabitants of the neighborhood approached, then a large number of law enforcement officers arrived who tried to identify and stop those present. The attempt of the cops was unsuccessful and the group went away singing choirs and waving to the people looking out from the balconies. On the same day there was also a salute to the prisoners of Spini di Gardolo.

From what we have read and heard, several banners and posters have appeared in Rovereto in memory of the partisans, against fascists and capital, in solidarity with the prisoners in struggle, against the logic of the state that wants the factories open and people locked up in their homes… Several parks have been “freed” from the barrier tapes and the prohibition signs have been replaced with others that invite to collectively use the public spaces while maintaining distances between people. In Tierno, music in the square with neighbours who brought pizza pans. In Mori, a tour through the village with music and a sign. In Noriglio, hanging banners, tour through the village with partisan songs and reading a leaflet; in Lizzanella, presence in the square with banners and music; in Fucine, signs and amplified interventions; in Brione, a group of comrades – with masks and distance between them – crossed a part of the neighbourhood with a banner (“Organize in order not to suffer anymore”) and a sound system. The first intervention under the buildings was followed with much interest by people on the balconies, who responded with a resounding applause; about ten people joined the initiative. Among the many speeches (on the structural causes of this epidemic, on the responsibilities of Confindustria [1] and the government, against technological control in the name of health…), an invitation was launched to those in financial difficulties to organize themselves in a rent strike against Itea (whose managers announced a moratorium for shopkeepers but not for tenants). Perhaps because of unannounced appointments and different schedules, police patrols and Digos arrived when the comrades were already leaving. Late in the evening, there were fireworks in three places around Rovereto.

Well said

“While industrial production is affecting the last of the forests, the production of wild food penetrates even deeper into the hunt for delicacies, plundering the last strongholds of the wilderness. And here the most exotic of pathogens, in this case Sars-2 hosted by bats, ends up on a truck – in prey or little workers change – and travels like a bullet from one end to the other of an increasingly dilated peri-urban circuit before bursting onto the world stage”. Thus a group of US epidemiologists summarize the far from mysterious causes of the current epidemic. As they are not state experts, they do not isolate the “enemy virus” from the material conditions of our lives. So they say what you will never hear on television: “The agro-industry is at war with public health. And public health is losing”. The most sensible question follows: “Can we still afford to readjust, simply, the current ways in which we take possession of nature and hope for more than a respite with these infections?”

Giving the numbers

  • 20% C.A.
  • 18% P.S.
  • 20.2% UHT

They are quarantine percentages, but they are not the ones that are poured at us daily on unified networks. They concern the purchase and consumption of ANIMALS, FISH FISH and UHT MILK. It is undeniable how the condition we are experiencing has been favoured by intensive animal farming and the consequent deforestation carried out for the cultivation of food for slaughter. To reconsider the way we look at the world, how we relate to nature, to question our own ideas, to stop considering animals as objects destined to satisfy our whims, masked by necessity. Nothing will ever be the same again. It is up to us to make it better.

“I only followed orders”

After the days of anger that exploded during the March riots in many prisons, the orders given by the Ministry can be summarized briefly: “Don’t let a fly – fly in prison”. While the infected (and the dead) are increasing among both the guards and the prisoners, how do we think certain directives can be carried out? Humiliation, stripped and beaten bodies. Even, in the prison of Caserta, shaved beards and hair. During a risky phone call a prisoner said “From “detainees” we have become “prisoners”, and there is a big difference”.

There will be those who will be indignant about the alleged “human rights” that have been trampled on, but the truth is much more immature. In prison facilities violence is what holds the balance, for it is the nature of power. When (and if) the “rotten apples” are caught among the prison police, it will have to resonate like the lie it has always been, because this is a systematic warfare operation (and hundreds of covert officers entering a section to massacre anyone who can give us an idea). And they will be sadly “right” to say that they have only followed orders feeling betrayed by their superiors. Because prison, by its very nature, is a state of exception without end, where every statement of the “upper echelons” can turn into the nightmare of death. Think about it, when they tell us that a prison guard is a “job like any other”.

Notes

[1] The General Confederation of Italian Industry (Italian: Confederazione generale dell’industria italiana), commonly known as Confindustria, is the Italian employers’ federation and national chamber of commerce, founded in 1910.  https://en.wikipedia.org/wiki/General_Confederation_of_Italian_Industry

Originally published by Il Rovescio. Translated by Enough 14.

 

Chronicles from the state of emergency No. 6 – Wall paper from #Trentino

Il tempo è finito

Rileggendo l’editoriale del numero 10 della rivista anarchica “i giorni e le notti” – in cui si accenna al rapporto tra la finitudine dell’esistenza umana e il sogno dell’immortalità – abbiamo trovato degli spunti non inutili, forse, per questi tempi di confinamento e di percezione di qualcosa che incombe. Quanto il sentimento della paura venga alimentato e sfruttato dallo Stato e dai tecnocrati per accelerare la digitalizzazione della società e la macchinizzazione dei corpi, non sfugge ormai a nessuno. E il sogno rivoluzionario di affrontare umanamente i limiti della nostra condizione (sì, possiamo ammalarci, sì, prima o poi moriamo), in che stato di salute è? Ci sembra che nelle analisi circolate finora – e ne abbiamo lette di buone e anche di ottime – manchi proprio il lato soggettivo di quello che stiamo vivendo. Gli scenari che si aprono, gli interventi sovversivi possibili… – tutto questo è necessario quanto urgente. Ma noi, ciascuno di noi, di fronte al rischio di ammalarci e di far ammalare, alla vista delle strade deserte, siamo rimasti esattamente gli stessi di qualche mese fa? Non abbiamo riscontrato, anche fra compagni, un certo disorientamento? E dal lato esistenziale si torna a quello pratico-operativo. Non è detto che in futuro – come stiamo sperimentando anche in queste settimane – potremmo fare affidamento sulla dimensione collettiva (gli incontri, le assemblee, lo scendere in piazza insieme e in modo annunciato). Saper cogliere le occasioni, certo. Approfondire le affinità e affinare la capacità di agire anche in pochi, senz’altro. Ma forse questo tempo ci sta dicendo altro. E a poco valgono le pose con noi stessi e con gli altri. Per cosa siamo disposti a vivere (e a morire)?

Di seguito il testo dell’editoriale

Dedichiamo gran parte di questo numero della rivista all’internazionalismo.

Non esiste oggi questione di una qualche rilevanza che non abbia una dimensione internazionale. Dai salari alla logistica, dalla produzione alle spese militari, dall’estrazione di materie prime agli oggetti di uso quotidiano, dai prezzi delle merci alla repressione, dagli affitti alle pensioni, dal ruolo dei territori alle emigrazioni, dall’urbanistica ai cambiamenti climatici, internazionali sono le cause e gli effetti, i processi e le dinamiche, le lotte e i rapporti di forza.

Di conseguenza non è mai stato tanto necessario avere una prospettiva internazionalista, come sfruttati in generale e come anarchici nello specifico.

Come cerchiamo di far emergere dagli articoli che pubblichiamo, esiste un rapporto sempre più stretto tra lotta di classe e tecnologia, tra Internet ed estrattivismo, tra il mondo virtuale e i suoi rovesci materiali su scala planetaria. I mercati capitalistici oggi in espansione – pensiamo all’agribusiness, alla bio-medicina, alla riproduzione artificiale e alla sperimentazione di nuovi farmaci – seguono precise linee di classe, di genere e di “razza”. Dietro c’è il saccheggio neo-coloniale. Dietro c’è la guerra.

Come dimostrano i casi incrociati dell’attacco da parte dell’esercito turco alle comunità curde e lo stato di emergenza decretato in Cile contro la rivolta seguìta all’aumento dei prezzi dei trasporti, la ristrutturazione economica oggi si impone con i militari e la guerra si rovescia all’interno contro il conflitto sociale. Dietro le mire assassine di Erdogan c’è il capitale internazionale. Più il “Sultano” attacca l’organizzazione dei lavoratori, più gli imprenditori stranieri investono in Turchia; più devasta il territorio, più le banche lo finanziano. E intanto in Siria – dove alleanze e “tradimenti” sono funzionali alla spartizione geopolitica delle zone di influenza – si sperimentano nuove armi, per la gioia dei produttori di mezzo mondo. Dietro i caroselli dei militari in Cile, dietro gli arresti di massa, dietro gli stupri e il fuoco aperto persino sui ragazzini da parte dei carabineros, c’è il capitale nordamericano.

Ma non siamo di fronte soltanto a un gigantesco Risiko fra le grandi potenze. Sullo sfondo, ci sono le lotte, le resistenze, le rivolte. Quella in corso in Cile non ha precedenti, per intensità, negli ultimi decenni in quel Paese: si è sedimentata sciopero dopo sciopero, barricata dopo barricata, molotov dopo molotov, ed ha trovato nei compagni anarchici in carcere una fonte di ispirazione e di incoraggiamento. E mentre i degni successori del neoliberista Pinochet schierano l’esercito, che non riesce a domare le fiamme, continua la rivolta sociale in Ecuador. Ben più complesso – ma necessario – il giudizio sulla guerriglia curda. Se essa è stretta da tempo nelle stesse contraddizioni che hanno segnato la Resistenza al nazi-fascismo in Italia – cercare di essere una forza autonoma dentro uno scontro inter-imperialistico –, la logica della guerra e della diplomazia ne ha trasformato profondamente i lineamenti. Se non ci siamo mai entusiasmati per la costituzione formale del Rojava – con la sua difesa della proprietà privata e i suoi governanti (tali addirittura per volontà divina!) –, abbiamo anche còlto la forza della sperimentazione sociale in corso in diversi villaggi. (Anche se da lì ai paragoni con la Spagna del ’36…). Ma quando dei guerriglieri si prestano a fare da fanteria per l’esercito statunitense (partecipando a operazioni militari ben lontane dal Kurdistan); a gestire campi profughi con migliaia di internati; a farsi carcerieri non solo di miliziani dell’Isis, ma anche dei loro familiari, continuare ad alimentare a livello internazionale il mito di un Rojava libertario è un tragico errore. Un errore figlio del taglio che si è voluto dare da più parti alla solidarietà con la resistenza curda. Averne fatto un avamposto eroico contro lo Stato Islamico (il Male assoluto contro cui ogni fronte comune è giustificato), ha allontanato la solidarietà dall’analisi materiale delle forze capitaliste in campo e allo stesso tempo da tanti proletari arabi, che conoscono per esperienza diretta la politica e la retorica democratiche contro il “fondamentalismo islamico”. Non sono certo, queste, buone ragioni per lasciare lo Stato turco massacrare le comunità curde. E non c’è bisogno che ci si ricordi ogni volta che noi possiamo formulare i nostri giudizi critici comodamente lontani dalle bombe e dai massacri, e che non ci siamo mai trovati ad affrontare una situazione così drammatica. Lo sappiamo. Ma non è certo meno comodo riempirsi la bocca di Kurdistan e poi non danneggiare concretamente gli interessi dello Stato e del capitale turchi. Senza rinunciare mai allo spirito critico, c’è un terreno in cui non si sbaglia mai: quello internazionalista dell’attacco ai padroni di casa nostra, dell’azione contro chi organizza da qui ciò che succede laggiù (basta pensare a Leonardo-Finmeccanica e a Unicredit, tanto per citare i responsabili più diretti).

Internazionalismo è anche conoscere e sostenere le lotte che gli anarchici portano avanti in Paesi lontani dal nostro, dove condizioni di vita, conflitto sociale e forme di repressione non si possono appiattire sul nostro spazio-tempo. Basta leggere la traduzione che pubblichiamo di un testo scritto dai compagni russi sul significato del gesto di Michail Žlobickij, l’anarchico diciassettenne che si è fatto esplodere in una sede dei servizi segreti di Putin. A colpire profondamente non sono solo la brutalità della repressione e il coraggio di quel giovane compagno, ma il linguaggio impiegato dagli anarchici russi. Concetti come sacrificio, eroismo e immortalità sembrano provenire da un’altra epoca, quella dei grandi romanzieri dell’Ottocento o dei proclami anarchici dei primi del Novecento. Concetti che stonano con il nostro materialismo della gioia. Eppure fanno riflettere. Non c’è dubbio che la lotta anarchica richieda grandi sforzi, lontana com’è tanto dalla mistica religiosa quanto dalle sirene del comfort tecnologico. E non c’è dubbio che tanta retorica del piacere – non a caso assorbita dal linguaggio della merce e della pubblicità – abbia contribuito ad infiacchire la disponibilità all’impegno e al rischio. Ma è proprio la falsa dialettica fra le litanie della militanza come sacrificio – invero oggi sempre più rare e fiacche – e le cattive poesie della soddisfazione immediata, che la passione rivoluzionaria dovrebbe far saltare. Eppure. Come diceva il materialista Leopardi, la vita non può fare a meno di illusioni necessarie. La ragione che irride i grandi sogni contribuisce a rimpicciolire gli animi. Un popolo di filosofi, tagliava netto Leopardi, sarebbe un popolo di vigliacchi. Pensiamo agli esordi del socialismo rivoluzionario. A infiammare la gioventù ribelle sono stati i regicidi e le barricate della Comune, ma anche il desiderio di “immortalità” da conquistare con la rivolta. A lungo il linguaggio dell’emancipazione sociale ha attinto al messianismo religioso (pensiamo alla giustizia come redenzione immediata, che prorompe con forza da I tempi sono maturi di un Cafiero, o al titolo Fede! dato a un giornale anarchico). Il sogno della rivoluzione sociale non è stato solo un orizzonte che rovesciava la promessa religiosa mantenendone l’intensità – il paradiso da conquistare sulla Terra –, ma anche la tensione individuale nel corpo a corpo con la finitudine della vita. Di fronte al fatto piuttosto seccante che si deve morire, il materialismo rivoluzionario non ha proposto la gelosa conservazione della vita, ma un sovrappiù di rischio, di gioia, di bontà, di coraggio che proietta nel futuro la memoria del proprio passaggio sulla Terra. Non la fama, che è legata ai corsi fortuiti e meschini del successo, ma la gloria, che è legata alla virtù, cioè alla giustezza delle scelte, indipendentemente dai risultati ottenuti. Concetti antichi, non c’è dubbio. Eppure a quel sogno di immortalità – illusione necessaria, ancorché non confessata – risponde oggi la potenza che ha quasi soppiantato la religione, cioè la tecnologia. Le tre maledizioni che nel racconto religioso seguono la Caduta, cioè dover morire, partorire con dolore e guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, sono proprio le condizioni che l’apparato tecnologico promette di abolire. La riproduzione artificiale dell’umano, la robotizzazione della produzione e la crioconservazione sono i perni dell’utopia totalitaria, il sogno macchinico di superare la finitudine umana. In attesa di eternizzare i corpi, l’intelligenza artificiale promette di conservare nella memoria dei computer i segni di una vita intera. Che tutto ciò non possa prescindere dal saccheggio del pianeta e dalla fatica di qualche miliardo di iloti non intacca, purtroppo, la forza della religione tecnologica. Né deve sorprendere che, a rovescio, per milioni di poveri il riscatto assuma le forme del radicalismo religioso, che è insieme arcaico e perfettamente contemporaneo. O meglio, che fa a brandelli il discorso progressista della contemporaneità, perché rivela che il mondo è attraversato da avvenimenti, tendenze, aspirazioni tra loro non-contemporanei, come se l’epoca attuale racchiudesse numerose epoche co-presenti. Il che non vale solo per il dominio, ma anche per le lotte. Siamo, qui in Italia, contemporanei delle lotte in Cile, in Ecuador o in Libano? Siamo contemporanei della guerriglia curda? Sì, nel senso che le date del calendario sono le stesse. No, nel senso che il nostro spazio-tempo è altro, e così i problemi, i sentimenti, l’urgenza che ci pungola. Altrimenti saremmo di un’indifferenza disumana e potremmo definire la nostra disponibilità al rischio comune come micragnosa. Il tempo – anche quello della percezione e del sentimento, quindi della solidarietà – non è affatto lineare. Essere contemporanei delle rivolte in giro per il mondo non è un dato; è una scelta, uno slancio, una tensione. Una tensione letteralmente utopica e ucronica.

[…]

«Il rischio è un bisogno essenziale dell’anima», scriveva Simone Weil. Da questo punto di vista, la democrazia – che contiene al suo interno le tendenze fasciste – è penetrata negli animi. Svuotandoli di ogni ideale, la cui ispirazione sola rende «a poco a poco impossibile almeno una parte delle bassezze che costituiscono l’aria del tempo che respiriamo». Qualcosa per cui valga la pena vivere, e morire: ecco cosa manca drammaticamente. Mentre una parte crescente dei dannati della Terra vede nel martirio portatore di morte una promessa di riscatto, si fa sempre più suadente e concreta la cattiva immortalità delle macchine, il prolungamento infinito dell’effimero, l’immensità dell’insignificante. Condannati a questa eternità (la domanda di grazia, respinta – chioserebbe Ennio Flaiano). Che forza esprime, di fronte a queste contrapposte narcosi del sentimento di finitudine, il sogno rivoluzionario? Per rispondere, dobbiamo attraversare lo specchio.

A proposito di tempo. Le ultime sentenze contro gli anarchici hanno proiettato nel nostro orizzonte l’ombra di lunghi anni di carcere. Un tempo che fa male. Un tempo che non si scalfisce con gesti effimeri né con fiammate di estasi. Bensì con un ideale, con la tenacia, con una sentita, poco retorica e rinnovata disponibilità al rischio.

La virtualità avanza, le vie di fuga si sprecano. Come ammoniva già il saggio Eraclito, «unico e comune è il mondo per coloro che sono desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio e particolare». Stiamo entrando nella notte artificiale dell’idiozia generalizzata (laddove idíotes deriva da ídios – chiuso in se stesso). Tenersi desti richiede e ancor più richiederà un faticoso sforzo di attenzione, la facoltà umana contro cui l’intera organizzazione sociale muove la sua quotidiana guerra.

Il tempo a disposizione di ciascuno di noi è letteralmente finito, cioè limitato. Ciò che non ha limiti, viceversa, ma soltanto delle soglie, è la sua intensità. Che poi è il contenuto della vita. L’intensità non è faccenda di adrenalina, né di muscoli. È una questione etica. Nelle sue soglie si trovano, materialisticamente e fuori da pose superomistiche, nel silenzioso dialogo dell’anima con se stessa, nel confronto sincero con i propri compagni, il senso del giusto, l’eroismo, la nostra finita, umana immortalità.

«L’etica applicata alla storia è la teoria della rivoluzione, applicata allo Stato è l’anarchia» (W. Banjamin).

novembre 2019

 

Il tempo è finito