Pensieri su salute e medicina
(Cronache dallo stato di emergenza n.10, 29 maggio 2020)
Mentre il governo ci accorda per la cosiddetta Fase 2 la libertà di lavorare, di consumare e di fare passeggiate – ma non quella di manifestare –, il fatto che dei medici in formazione si dichiarino in mobilitazione permanente ci sembra un bel segnale. Così come il fatto che la situazione creatasi negli ospedali di fronte al Covid-19 venga esplicitamente collegata ai tagli (37 miliardi di euro solo negli ultimi dieci anni) e al processo di aziendalizzazione della Sanità. Se c’è un insegnamento da trarre dall’esperienza di massa che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, è che la difesa della salute individuale e collettiva non può essere delegata e che è urgente aprire nei diversi territori spazi di confronto e di iniziativa che uniscano il personale sanitario e il resto della società. Non solo perché “ripartire” come se nulla fosse successo è quanto di più insensato si possa fare; ma anche perché l’enorme debito pubblico che il governo sta creando con i prestiti alle banche e alle grandi aziende comporterà, in assenza di resistenze, ancora tagli e una più feroce aziendalizzazione. «La salute non è in vendita» non può che essere un invito a lottare, dunque, non certo una costatazione: in un mondo in cui tutto è profitto, la salute è in vendita, eccome!
Partiamo allora da un passaggio del vostro appello:
«Chiediamo che venga riconosciuta la centralità della medicina sul territorio, realtà che si assume la cura della persona nella sua totalità e globalità. Chiediamo che venga garantito ai futuri Medici di Medicina Generale un percorso formativo di qualità, nel quale venga valorizzata l’importanza di una gestione globale e proattiva dei pazienti». Questo significa non solo avere gli strumenti per affrontare le malattie, ma anche la volontà di prevenirle. Una «medicina sul territorio» che «si assume la cura della persona nella sua totalità e globalità» può esimersi dal denunciare le cause ambientali delle malattie? L’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo, le condizioni in cui lavoriamo, i mezzi con cui ci spostiamo sono le basi stesse di un territorio. L’inquinamento, l’artificializzazione del cibo, gli incidenti sul lavoro e del lavoro hanno o non hanno a che fare con la medicina? Che l’arte medica richieda competenza e formazione è sicuro; che la sua estrema specializzazione tenda a rendere dei perfetti incompetenti in ciò che è umano e sociale, è altrettanto sicuro.
È proprio questa competenza umana e sociale che manca, e che si tratta di costruire insieme. Una volta che abbiamo denunciato tagli e privatizzazioni, vogliamo dir qualcosa sulle cause strutturali per cui milioni di esseri umani si ammalano? Vogliamo dire che le stesse malattie zoonotiche come il Covid-19 – diventate ormai il 70% delle nuove infezioni – sono provocate dalla deforestazione, dagli allevamenti intensivi di animali, dall’agricoltura industriale e dall’urbanizzazione smisurata? Se possiamo suggerirvi e suggerirci degli esempi da seguire, che vanno ben al di là di un ambito professionale specifico, questi non sono certo i grandi baroni della medicina (che sulle varie controriforme sanitarie sono sempre stati zitti), ma quei “medici scalzi” che denunciavano insieme agli operai il pericolo dell’amianto o assieme agli abitanti di città e campagna l’impatto delle varie nocività petrolchimiche. Si tratta di figure nate non a caso negli anni in cui si discuteva e si lottava su tutto ciò che riguarda la società, cioè ci si prendeva cura della «persona nella sua totalità e globalità». In tal senso, auspichiamo non solo che le mobilitazioni riprendano e continuino, ma che si intreccino fra loro. Abbiamo visto fin troppo bene che “malattie” produce l’isolamento.
testo distribuito il 29 maggio, a Trento, nel corso dell’iniziativa organizzata lì come in ventuno altre città dai “medici in formazione in mobilitazione permanente”
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