Tra gli idioti della rete che vedono il capitalismo e lo Stato unicamente sotto forma di grandi figure mediatiche o di oscuri interessi che governerebbero il mondo, e gli sciocchi felici del movimento rrrivoluzionario incapaci di comprendere che una relazione sociale s’incarna anche negli uomini e nelle strutture del dominio all’angolo della strada, stiamo assistendo a una vera e propria gara a chi la spara più grossa. Alcuni s’inventano dei cattivoni capri espiatori, distanti e caricaturali il più possibile, mentre altri fanno acquisire coscienza dei bisogni primari o documentano i minimi recessi intricati della miseria e dell’oppressione del momento.
Non sorprende quindi che molti di loro non sappiano offrire altro che un imbarazzato silenzio di fronte alla moltiplicazione di attacchi che stanno colpendo alcune strutture del potere, soprattutto di telecomunicazione, in pieno confinamento. Gli uni perché questi attacchi colpiscono necessariamente accanto al club di burattinai che esiste solo nella loro testa, gli altri perché non distruggono collettivamente delle astrazioni. Dato che gli autori di questi attacchi sono spesso abbastanza furbi da non lasciare alcuna indicazione a nessuno, ciò diventa subito il colmo dell’incomprensione per ogni griglia di lettura troppo limitante. Come, individui che si permettono di sabotare le strutture dello Stato e del capitale fuori da un movimento sociale e per ragioni proprie, senza rendere conto a nessuno né trasmettere altri segnali al di là di mucchi di cavi bruciati o tagliati! Come, individui che osano pensare ed agire da soli in ogni angolo del territorio senza rispettare il confinamento del potere né spandere il loro morboso pathos davanti all’orrore del mondo? Sarebbe dunque questo l’autismo degli insorti, l’assenza di rivendicazioni rivolte a chicchessia (allo Stato come al movimento), ma le cui azioni parlano direttamente a tutti coloro che vi si riconoscono, le condividono e possono riprodurle a proprio piacimento? Come si fa ad inserirle nelle nostre piccole caselle, trattandosi di azioni individuali, anonime e diffuse, perfino coordinate, e avendo di fronte lo Stato che ci martella col suo ritornello contro-insurrezionale («cospirazionisti», «ultra-sinistra», ecc…)? È meglio fare i pappagalli poliziotteschi alla «chi è?» o gli struzzi innocentisti alla «guardate altrove»? Rifarsi alle griglie interpretative del potere o riflettere da sé difendendo ciascuno a proprio modo gli atti che ci ispirano?
Ad esempio, traendo la constatazione che il dominio ha più che mai bisogno di cavi in fibra ottica o di antenne-ripetitori per spingere una digitalizzazione applicata a tutti i campi dell’economia e della vita sociale. Non solo in materia di controllo e di sorveglianza (dai droni ai tablet Neo, dal coordinamento di polizia alle telecamere, dai processi in videoconferenza al tracciamento dei potenziali appestati), ma anche per accelerare il telelavoro, la scuola a distanza, la tele-medicina o da un po’ di tempo la circolazione di denaro e di affari. Per non parlare degli aspetti più miserabili della derealizzazione tecnologica in termini di relazioni o di passatempi virtuali, o tutto ciò che questo periodo di ristrutturazione ci assicura ancora come piacere. In questa prigione sociale a cielo aperto, diventa ogni giorno sempre più evidente che il «deconfinamento» è solo un’estensione del «confinamento» accompagnato da condizioni differenziate, così come la nuova normalità non è che un’intensificazione di quella precedente.
Ciò lascerà magari allibito qualche imbrattacarte di prefettura o di redazione, ma tagliare o incendiare cavi di ogni tipo attraverso cui transitano energia e dati, che per di più hanno il vantaggio di trovarsi un po’ dappertutto, ci sembra non solo una proposta di fatto all’altezza della posta in gioco, ma anche un mezzo sicuro di disturbo di questa mortifera normalità. Di quella prima del confinamento (la proliferazione di questo genere di attacchi risale almeno al periodo del movimento dei gilet gialli), come di quella che si profila oggi. E far tacere le poche voci sovversive che difendono apertamente la bell’arte di sabotare gli ingranaggi del dominio, in particolare le sue infrastrutture critiche, non cambierà la situazione: queste azioni diffuse e varie sono ormai promesse di un bell’avvenire distruttivo in questo migliore dei mondi tecnologizzati. Un mondo di autorità in cui la miseria e l’avvelenamento del pianeta nel nome del denaro ci ricordano costantemente che il capitalismo è un sistema mortifero e che lo Stato è un nemico.
[trad. da demesure]