Senza autorità
“Non furono gli oratori a conquistarmi all’anarchismo, ma la vita stessa”
Pavel Golman
Così si esprimeva un anarchico russo che, nei primi anni del Novecento, combatteva senza quartiere contro l’Autorità e l’iniquità che gli si presentavano davanti. La difesa della proprietà e delle classi più agiate significava fame e miseria per tutti gli altri, nonché galera e tortura qualora questi interessi venissero intaccati. A distanza di più di un secolo, la storia degli anarchici russi e polacchi, tra cui gli anarchici di Bialystok, piccola minoranza di origine ebraica, parla della lotta umana e ideale che si scaglia contro la ferocia dell’ordine costituito che affama e uccide. Parla di vite che vivono nel terrore (dalla katorga ai pogrom, alle manifestazioni di contadini e operai represse nel sangue) e che a quel terrore rispondono in tanti modi. Studiano e si difendono, attaccano ed espropriano. Nel clima generale di scioperi e rivolte, agiscono spinti dalla convinzione e dalla rabbia.
È curioso che, oggi, alcuni difensori del potere facciano riferimento a questa esperienza, raccontata in un libro uscito qualche tempo fa, per “custodire” nelle patrie galere alcuni anarchici accusati di sabotaggi e solidarietà.
Con l’arresto, qualche mese fa, di alcuni anarchici a Bologna, rei di aver solidarizzato con le proteste in carcere in tempi di stato d’emergenza, è stata dichiarata la base teorica secondo cui la solidarietà è diventata un crimine; l’ennesima operazione repressiva denominata Bialystok contro alcuni compagni, serve a consolidare il fatto che solidarizzare con gli anarchici arrestati o con i prigionieri in rivolta deve essere incriminato. Che diffondere e propagandare, nella pratica e nella teoria, idee di rivolta e insubordinazione è un crimine. Che impedire l’isolamento cui si vorrebbero relegare altri compagni (operazione Scripta Manent) e anzi difendere la ricchezza dei gesti e delle idee del movimento anarchico, va represso e ostacolato per meglio colpire quei compagni.
Ma in fondo, se tanto è cambiato da quella esperienza dei primi del Novecento, tanto risulta essere immutato. Che sia la vita stessa a spingere alla rivolta pare essere abbastanza chiaro, laddove la rabbia e la violenza sono gli unici linguaggi a potere essere usati contro la ferocia della repressione statale ed economica. Che sia l’istituzione carcere in sé, fatta di privazione di libertà e umiliazione, infantilizzazione e tortura, a spingere a rivoltarsi è innegabile. Che siano i Centri di Permanenza e Rimpatrio, fatti per rinchiudere e disumanizzare gli indesiderati della società, a spingere alla rivolta è innegabile. Che siano il nucleare, il controllo tecnologico, le infrastrutture energetiche, fatte per alimentare un mondo di merci mortifero e totalizzante, a spingere alla rivolta è innegabile.
Basta accorgersene, affidarsi al proprio corpo e affinare le idee. E se tutto ciò è un crimine nel triste e ristretto orizzonte del potere, per chi combatte l’autorità è vita.
Solidarietà a tutti gli anarchici prigionieri.
Alcuni beznachalie
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