Una storia italiana. Di terremoti ed emergenze sanitarie
Il giorno 2 maggio il capo della polizia Franco Gabrielli ha dichiarato: «Attenzione, con la fase due dell’emergenza coronavirus ripartirà anche la criminalità», che, tradotto, voleva significare «ma perché non prolunghiamo per un altro periodo questa quarantena e poi facciamo in modo che lo stato d’eccezione diventi la normalità…?».
Ebbene, Gabrielli sa perfettamente cosa dice e penso che abbia anche in mente uno scenario ben definito. Infatti c’è stato un periodo e un luogo in cui l’autoritarismo emergenziale è assurto a realtà fattuale, trasformando una città e ilsuo territorio in un laboratorio politico per il superamento di tutte le normali dinamiche sociali.
Mi riferisco alla gestione del sisma che ha colpito L’Aquila e il suo circondario il 6 aprile del 2009.
Il giorno stesso del terremoto il governo Berlusconi, che annoverava come ministro dell’interno Roberto Maroni, come primissimo atto politico nominò proprio Gabrielli, che proveniva dalla guida dei servizi segreti civili, prefetto della città… guarda alle volte i casi…
In seguito la protezione civile, comandata dal ras Guido Bertolaso, evocato da Renzi e Salvini come salvatore della patria nell’emergenza coronavirus e poi nominato commissario straordinario della Lombardia e delle Marche, stese una cappa di coprifuoco militare, chiamata zona rossa (…vi dice niente?), su L’Aquila e su 52 comuni del cosiddetto cratere sismico.
Nessuno poteva accedere alle proprie case se non scortato da forze dell’ordine e vigili del fuoco, tutti gli abitanti furono o confinati in tendopoli gestite dalla protezione civile, in cui era persino vietato fare assemblee pubbliche, oppure deportati negli alberghi sulla costa adriatica.
La sistematica attuazione di tale piano di contenimento sociale è avvenuta seguendo una ben precisa strategia chiamata Metodo Augustus. In pratica una serie di linee guida per fronteggiare l’emergenza, pubblicate la prima volta nel 1997 e integrate nel corso degli anni, mutuate interamente dalle procedure adottate dall’Ente Federale Gestione Emergenze statunitense, che fa parte dell’Homeland Security, cioè l’antiterrorismo interno.
Tale impostazione militare è ben presente nel protocollo italiano fin dai nomi scelti, ad esempio il centro di coordinamento della protezione civile sul territorio si chiama Direzione di Comando e Controllo… come in guerra…
Controllo che non doveva limitarsi alla gestione del territorio, ma bensì come si legge testualmente sul documento Augustus, doveva spingere la cittadinanza ad «abdicare alle proprie autonomie decisionali, a sottoporsi a privazioni e limitazioni, e ad ubbidire alle direttive impartite».
Come si vede, niente di nuovo sotto il sole…
mammut
Tratto da Fase zero, giugno 2020.