Non li ucciderà il virus

Questo scritto approfondisce quanto pubblicato nel documento “Tutto va estremamente bene”.  Si avvale, inoltre, di considerazioni formulate in precedenti nostre pubblicazioni.

Il vuoto della tecnica

Il continuo adattamento delle progettualità politiche degli stati moderni alla presunta infallibilità della tecnica, pare aver posto in secondo piano quegli stessi governi che delegano ad essa le proprie scelte. Lo Stato continua, in realtà,  a svolgere un ruolo repressivo ed avalla, attraverso i suoi rappresentanti, l’innesco di protocolli economici, sanitari, amministrativi, già definiti. Nello specifico, se tali protocolli sono efficaci o perniciosi è un dato di secondo piano. Per i fantocci di turno, l’applicazione dei protocolli in questione deve risultare un fattore di accrescimento della propria popolarità e, al contempo, deve fornire una giustificazione scientifica delle scelte effettuate . Come rendere tutto ciò propaganda di governo è compito dei media e di ciò che ruota intorno alla politica. Se le cose dovessero andare male, ci si atterrà alla dicitura sempre efficace: ”Sono state eseguite tutte le procedure che il caso richiedeva”.
E’ chiaro, che tale procedura di comodo, non ridimensiona le responsabilità di nessun padrone, di nessun politicante, di nessun tutore dell’ordine, di nessun accademico compiacente, di nessun giornalista. Sebbene sia mutato l’aspetto del contenitore, sono persone in carne ed ossa a svolgere i ruoli di oppressori ed aguzzini.
Tuttavia, il tentativo di rendere efficiente l’azione di governo attraverso l’ausilio delle tecnica e delle scienze valutative ed economiche, ha spostato l’attenzione dal protagonismo reale dei governanti ad un mero raggiungimento di obiettivi; di tali obiettivi, però, non se ne discutono i contenuti, così da dare l’impressione che promotori ed esecutori si trovino ai margini delle scelte effettuate.  Ma è solo l’effetto spettrale del tentativo di distruzione della realtà di cui hanno bisogno gli artefici del sopruso.
Eppure, per le democrazie, l’idea di permettere al “popolo”, termine che riconosciamo esclusivamente come entità astratta, di decidere delle proprie sorti deve restare in piedi, anche quando le libertà concesse devono essere soppresse per lavori in corso. Ribadendo che non rimpiangiamo nulla delle libertà elargite dalle democrazie, crediamo che indignarsi ora per la stretta repressiva ulteriore equivarrebbe a riconoscere che nel recente passato vi siano state situazioni favorevoli. Lo Stato fa il suo lavoro, sta a noi anarchici rivoluzionari farlo stancare, esaurire, azzopparlo in qualunque veste esso ci si presenti. Riteniamo fondamentale quindi, evidenziatene le falle ed i punti scoperti, attaccarli in modo concreto. E state pur certi, ce lo insegnano la storia ed il buon senso, non vi sarà mai alcun Decreto o “ritorno alla normalità” che ci consentiranno di farlo senza conseguenze.
La democrazia non è l’eredità di una libertà concreta, ma un binomio costituito da una libertà astratta coesistente con svariate forme di servitù, dipendenza oppressione. Come far fruttare al meglio questo binomio se non attraverso il connubbio tra potere tecnico e sovranità politica? Un processo che potremmo considerare un “laboratorio” tendente ad autoimmunizzarsi procedendo per crisi interne. L’intensificazione della risposta autoimmunitaria del capitalismo ha luogo, da sempre, nelle sue aree periferiche o in via di marginalizzazione rispetto ai centri del sistema.  Di conseguenza, una transizione da un contenitore democratico-autoritario ad un contenitore tecno-autoritario non è che un gradiente con cui è modificato lo status di sistema in senso più conservativo. Il capitalismo, tanto amante della scienza a tutti i costi, si è creato la sua bella disciplina scientifica, ovvero quella economica, con la quale si incensa continuamente e si dota di una gloria immediata, nonché postula quel suo  dogmatismo che oggi giustifica come “vera” ogni affermazione che proviene dalla sacra bocca dei moderni vate, ovvero i cosiddetti scienziati. Ebbene, se noi avessimo la pazienza di addentrarci nello studio dell’economia potremmo vedere come questa risponda, perfettamente, all’immagine della società che il capitale, appunto, desidera forgiare per ottenere maggiori profitti, guadagni e controllo sociale. Tuttavia, non è il capitalismo ad essere in crisi. Possono essere in crisi alcune sue aree territoriali, poiché nuove emergono agli occhi della storia presente. Il capitalismo è sopravvissuto ad epidemie più distruttive, a due guerre mondiali, a svariate rivoluzioni comuniste riconvertitesi in capitalismo di stato. E’ in crisi il suo contenitore strategico attuale, ma non lo ucciderà il virus. Lo sfruttamento è messo in atto da persone reali e queste sono già in moto per reinventarsi o conservare un ruolo al vertice della piramide.

Non affidiamo ai padroni e ai politicanti la nostra vita

Se volessimo ripercorrere cronologicamente le dichiarazioni dei ministri, le uscite propagandistiche e i decreti legge del consiglio dei ministri, non potremmo non evidenziarne la contraddittorietà e l’approssimazione. E quando il nemico è confuso, va attaccato. Visto che lo Stato ha la memoria lunga, dimostriamo, anche noi sfruttati, di averla ben salda e funzionante.
Attenzione, però, nell’affermare che il nemico è confuso, non intendiamo dire che è debole, piuttosto ha evidenziato, palesemente, contraddizioni specifiche in tutto ciò che gli si muove intorno. Ha mostrato il fianco proprio nel momento in cui ci ha chiamati ad aiutarlo per difendere “la nostra economia”, le “nostre aziende”. Come un feudatario medievale, come un barone post-unitario, come un qualsiasi padrone lo Stato vorrebbe condividere le perdite e in prospettiva accaparrarsi gli utili; si affida al lavoro volontario, sottopagato e  oscura gli scioperi. Le persone chiedono inutilmente aiuto ai servizi sanitari che, se contattati, rispondono talvolta di “stare a casa” poiché non ci sono i presidi adatti a prestare soccorso. Mentre padroni e governanti spettacolarizzano la loro malattia, la pubblicizzano, la rendono un fatto condiviso, i ricchi vengono ben curati e hanno maggiori probabilità di  sopravvivere,  i poveri crepano e vanno a finire, spesso, in fosse comuni. Per attenuare le possibili conseguenze di una rivolta sociale davanti alla mancanza dei beni di prima necessità, all’aumento dei prezzi, alla perdita di salari, lo Stato delega ad associazioni di volontari la rappresentazione del proprio lato umano. Nel contempo , come detto in precedenza , continua a svolgere il suo mestiere di aguzzino.
Chi fa appelli all’unità ed alla condivisione è chi ci uccide ogni giorno.

La discarica dell’informazione locale, nazionale, globale

Siamo abituati al falso ed abbiamo imparato da tempo a non temerlo. La veicolazione del falso ha contraddistinto la storia di questa terra che oggi esige a gran voce di farsi chiamare “patria”. Si tratta di una prassi istituzionale rafforzatasi e perfezionatasi nel tempo: con le stragi di stato, con l’assassinio premeditato dei rivoluzionari in strada o durante un arresto, nell’ecocidio quotidiano dei luoghi che abitiamo. Ebbene, riguardo a tutto ciò, la versione ufficiale dei fatti, da parte dell’informazione “attendibile” qual è stata fino ad ora?
Far diventare, col tempo, la realtà “narrazione” con grande compiacimento di tanti mediattivisti.
Tra loro, infatti,  c’è chi vede nell’attuale dimensione, l’opportunità per spostare la cosiddetta “narrazione” dal profitto dei padroni sui valori umani.  Ci sembra alquanto ingenuo vedere nei decreti legge il mutamento dei principi capitalistici in senso accettabile, eppure c’è chi cerca di cavalcare l’onda coronavirus, proprio come chi governa l’economia e gli stati, per rientrare a dire la propria nel consueto processo democratico: dirette facebook, skype segnano il nuovo terreno di battaglia delle lotte di coloro i quali già ne portavano avanti un contenuto esclusivamente simbolico. Tali parti politiche che hanno tratteggiato la linea di intervento del nuovo capitalismo, ora lo sostengono nella fase di riavvio della macchina. Nel contempo ci si affida all’intrattenimento collettivo. Non è importante ciò che è giusto o sbagliato, tanto meno chi lo decide , l’importante è dire qualcosa, confessare uno stato d’animo, una sensazione, un disagio, renderlo tracciabile, classificabile, inglobarlo nella drammaturgia del potere.
Tutto si gioca sulla quantità di informazioni che consentono di prevedere l’andamento delle attese.
Il governo si arrabatta a fornire informazioni, notizie utili, comportamenti responsabili.  I Decreti sono prima alimentati dall’informazione e poi ratificati come qualcosa di già atteso, di già digerito. Tuttavia, la narrazione quotidiana delle quarantene, il diario di bordo delle proprie vite spettacolarizzano ed edulcorano la crudezza  degli eventi, nascondendoli o marginalizzandoli. Da una parte, la situazione è grave, a causa di chi esce di casa, non di chi ha speculato e continua a speculare sulle nostre vite; dall’altra, andrà tutto bene, ce la faremo, siamo un grande paese. Nel primo caso si è spinti ad identificarsi con un  comportamento conformista, timoroso, appiattito sulle leggi e sull’attendismo; nel secondo, si chiede uno scatto d’orgoglio, di coraggio, di ottimismo. Pur partendo da punti vista opposti, ci troviamo davanti allo stesso meccanismo di suggestione e arriviamo alla stessa conclusione: l’importante è obbedire senza protestare!
La riproduzione del meccanismo capitalistico di propaganda si connatura alla dimensione quotidiana così come sentenziano i marchi aziendali della pubblicità: “sii anticonformista nelle tue scelte!”; “uniformati agli altri per non essere isolato!”. L’importante è comprare!
Ma chi vende, ha già comprato gli slogan “sostenibili” e sostenuti “dal basso”. Insomma le parole d’ordine e gli slogan che prima si potevano leggere sui muri di qualche centro sociale okkupato, oggi li troviamo sulla bocca degli economisti più gettonati! L’impoverimento delle proposte, delle idee ravvisatosi negli ultimi anni nell’area riformista ed antagonista è passato dalla ideologia del fare a quella del dover essere scordando definitivamente l’agire.  Un bel progresso, non c’è che dire. Questo capitalismo dal basso, condiviso, sarà un capitalismo che individuerà le procedure da seguire in ogni momento della nostra vita, che normerà i nostri sentimenti e non lascerà nulla al caso e alla spontaneità ma al contempo ci dirà che siamo liberi. Questo concetto di capitalismo autogestito, probabilmente, nasce anche perché molte pratiche, come l’autogestione, nel corso del tempo hanno smesso di essere conflittuali e sono rimaste mero strumento di sopravvivenza, ecco perché ormai è facile far recuperare al capitale, all’economia, alcuni concetti.

Contro lo stato, senza eccezioni

In questo periodo risulta tristemente interessante osservare i linguaggi e i modi di comunicare i messaggi. In realtà trovarvi una apparente coerenza è difficoltoso, in effetti basta confrontare le varie dichiarazioni di ogni singolo esperto o politico, per rendersi conto che sono, a distanza di pochi giorni  del tutto contraddittorie.
Come funziona l’apparato strategico del nemico quando percepisce condizioni pericolose e dichiara uno stato di emergenza? Dimostra efficacia, prontezza di interventi? Premesso che lo stato di emergenza è pressoché permanente nella rappresentazione del potere e che i momenti di eccezionalità e di crisi sono costantemente mantenuti in auge, ciò a cui assistiamo oggi riveste un profondo aspetto di indeterminatezza e di imprevedibilità ed in tutto questo è percepibile fortemente una grande difficoltà da parte dei governi.  Un affanno più che evidente. Al momento,  il primo ministro Conte, espressione dell’unico organo statale attivo, il Consiglio dei Ministri, viene spinto davanti alle telecamere per fare dichiarazioni e leggere decreti . Il più delle volte si tratta di risoluzioni già venute alla luce attraverso svariati mezzi stampa, già masticate dall’informazione e da chi vi dà credito, in modo da ottenere un effetto di impatto minimo.
Facciamo alcuni esempi: la confusione sui protocolli sanitari, la contraddittorietà delle risoluzioni a livello territoriale, le concessioni e i divieti intercambiabili di giorno in giorno.
Altro aspetto fumoso, l’utilizzo dell’esercito. La presenza dei militari in luoghi considerati sensibili dallo Stato è ormai da tempo consuetudine e vederli affiancare polizia o carabinieri nelle stazioni o altre zone delle città non è un fatto inusuale. Tra l’altro la storia recente ci rimanda alla memoria momenti in cui ciò è avvenuto in alcuni territori considerati fuori dal controllo statale diretto. Ci riferiamo alle operazioni Vespri siciliani, Riace e Forza Paris svoltesi rispettivamente in Sicilia, Calabria e Sardegna tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.  A conti fatti, l’occupazione militare di queste terre portò esclusivamente ad aumento del controllo quantitativo del territorio, poiché le forze impiegate in aggiunta a quelle già presenti non ottennero un reale mutamento delle dinamiche illegali. Se lo Stato ha ottenuto risultati in questi territori, ciò si è verificato soprattutto grazie al pentitismo, non ad un’azione investigativa o ad un controllo capillare di città, paesi e montagne. Lo Stato, però, poté dimostrare, attraverso i criteri della scienza valutativa a cui il capitalismo fa riferimento, che il suo impegno si moltiplicò.
Come già detto, anche in questa occasione, l’unica soluzione formulata dai governanti è la raccolta di dati: un tot numero di denunce, di fermi, di posti di blocco, di sbirri dislocati nelle regioni; ciò nasconde, in parte, la richiesta di ventilatori, di supporti sanitari e strutture d’accoglienza per i malati.
Ma se si dispone di grandi numeri per il controllo, perché si chiede l’ausilio dei volontari per il soccorso minimo?
Quanti sbirri, militari e secondini che effettuano controlli o pestano i detenuti sono contagiati? Quanti di questi eroi diffondono il virus? Quanto costa l’indennità di missione dei militari impiegati? A chi viene affidato il comando dei presidi ospedalieri in emergenza? A quegli stessi angeli che insieme ai politici locali hanno riformulato i presidi sanitari sul territorio fino a poco tempo fa ridimensionandone la qualità e dislocandone le strutture?
La risposta è sempre afferente alla dimensione protocollare: si creano, quindi, task force che delegano alla tecnologia altre acquisizioni di dati.
Si propaganda il tracciamento degli spostamenti a fronte della richiesta di presidi sanitari per intervenire, fornire assistenza a chi dovrebbe recarsi in ospedale. Ma è evidente che si tratta di un’ennesima mossa per dimostrare che si è fatto il possibile.
Non riteniamo giusto soffermarci sulla portata dell’attuale ondata repressiva, né esaltare, oltremodo, dettagli e minuzie delle tecnologie militari in uso; tanto meno evidenziare restrizioni, limitazioni e disumanità dei decreti governativi. Non intendiamo certo passare per ingenui o superficiali, anzi riteniamo opportuno e sensato documentarsi e aggiornarsi sul funzionamento della macchina nemica; tuttavia nessuna trasformazione o aggiornamento dell’ordine democratico ci fa rimpiangere ciò che esso si lascia alle spalle.

Noi vogliamo distruggere la società, non migliorarla

I governi, come anticipato, sono in  confusione. Si affidano alla tecnoscienza che stenta a tenere testa ai mutamenti del virus. Si affidano ai calcoli logaritmici delle previsioni di mercato e di indagine economica. In poche parole demandano alla continua riformulazione dei parametri scientifici l’inconsistenza della loro azione.
Il metodo scientifico contempla l’errore, dice che si può sbagliare, anzi da un errore si  possono dedurre delle osservazioni che saranno utili per altre ricerche, ebbene cosi facendo, ecco dunque il  perfetto strumento di lettura del reale. I sostenitori della tecnoscienza affermano che mai si  smette di approfondire e ricercare, e sostengono che non è vero che ciò che non può essere misurato dal metodo scientifico viene semplicemente ignorato, essi sostengono che nulla viene ignorato ogni cosa viene ricercata.  Ricercando ogni cosa dunque la scienza ha la capacità di rispondere, prima o poi, ad ogni domanda? Se così è allora è in potenza, onnisciente, proprio come dio. Allora chi sostiene che oggi alla religione si è sostituito il dogma scientifico ha perfettamente ragione.  La scienza non è interpretazione del mondo? Non ha un suo progetto? La domanda appare retorica, alla luce di queste brevi considerazioni, e  questi sono i caratteri propri di ogni ideologia, ecco perché pare corretto, oltremodo corretto, parlare di ideologia della scienza. Come anarchici non crediamo possibile indicare, o peggio ancora credere, che esistano reali strumenti conoscitivi della realtà, ogni mezzo simile si configura come ideologia, ideologia è la scienza, ideologia può essere una forma di “credo politico” ideologia può anche essere lo stesso anarchismo. Crediamo che non esistano alcuna verità e certezze, chi le ricerca produce in noi molti dubbi e, soprattutto, un forte senso di repulsione.
Sappiamo bene però, che l’apparato tecno scientifico e militare si muove dietro alcuni pionieri che incarnano ancora il volto primordiale del capitalismo: i padroni. Essi sono da sempre il vero motore dello sfruttamento. Scienze economiche, teorie di mercato, previsioni di investimento costituiscono il fantasma dietro cui correre per perdere di vista l’effettiva realtà delle cose.
Sono i padroni, in carne ed ossa, gli artefici delle presenti e delle future forme di oppressione. Ad essi scienziati e sbirraglia si accodano.
In effetti, nella odierna situazione chi non pare avere le idee confuse è proprio il padrone,  l’imprenditore che, ammantatosi col mantello della filantropia, riconverte le sue aziende, produce quello che il mercato richiede e aumenta i suoi profitti. In realtà un numero elevato di fabbriche non ha mai smesso di produrre e molte spingono per riaprire al più presto. In entrambi i casi procedure di sicurezza fittizie giustificano il fatto che venga messa a repentaglio la vita dei lavoratori.   Le grandi corporazioni farmaceutiche oggi cercano di gareggiare le une contro le altre, nella corsa al vaccino, alcune di esse hanno già avviato la sperimentazione umana e mentre tutto il mondo guarda col fiato sospeso e cerca affannosamente notizie riguardanti i progressi scientifici che porteranno alla salvezza dell’umanità, le corporazioni farmaceutiche rivolgono il loro sguardo ai profitti.
Nel frattempo le aziende che lavorano da sempre alla tracciabilità dei movimenti si danno da fare per  progettare le nuove app che permetteranno di classificare l’umanità in varie porzioni: malati, sani, immunizzati. Una app potrebbe quindi permettere la gestione della circolazione umana e tutto questo per quale motivo?
Nel frattempo i prezzi dei generi di prima necessità aumentano e probabilmente, sono destinati a lievitare ulteriormente.
La verità appare ben chiara, a chi vuole leggerla, oggi soprattutto in previsione della fase due, c’è chi si è già preparato.
Ebbene su questo disastro, che sta costando un enorme numero di vite umane, si è già pensato a ricostruire , ricostruire mantenendo ferme le stesse regole: pochi devono poter speculare senza alcun vincolo al proprio sopruso, molti devono soccombere in condizioni di schiavitù. Lo strumento d’oppressione che sarà utilizzato è in via di costruzione. Università, governi, psicologi ne stanno calibrando e dosando gli effetti sotto il peso della sconfitta inflitta loro dal virus, rifacendosi a modalità operative già in corso. Non vi è quindi alcuna rivoluzione tecnologica imminente, solo un potenziamento di ciò che già esiste e che, dovremmo considerare con più attenzione nelle sfaccettature presenti, piuttosto che con  quelle di là da venire.
Nel mondo de-realizzato dalla produzione tecnologica, la mediazione tra l’individuo e la democrazia, tra le sacche, apparentemente, non pacificate e la società è sempre pronto a bussare alla porta, forse, è già dentro le nostre dimensioni di lotta quando stiamo cercando di sfuggirgli.
Ebbene, liberiamoci dai sedimenti e dalle incrostazioni che vorrebbero farci assumere comportamenti esemplari e porre in essere pratiche virtuose da immettere a pieno titolo nella democrazia in affanno. Noi vogliamo distruggerla questa società, non migliorarla. Non sentiamo ridimensionata quindi la nostra forza propulsiva e distruttiva, in questa attuale temperie. Anzi, ci sentiamo stimolati e curiosi di scoprire nuove forme di sopravvivenza ai margini della società “malata”; non ci siamo mai aspettati momenti facili e siamo consapevoli che le strade da percorrere sono costellate di luci ed ombre, di menzogne da dire all’autorità e verità taciute, di illegalismo e attacchi imprevedibili al nemico. Così come sono costellate da lunghi silenzi, attese, sconfitte. La nostra lotta non coincide con le lotte di chi aiuta lo Stato nella sua campagna propagandistica, ma tiene ben presente qual è il campo d’azione su cui innescare la battaglia.

Anarchici a Cosenza
20/04/2020

Indirizzi utili arrestati/e a Torino

I 4 compagni arrestati ieri in corso Giulio Cesare si trovano nel carcere delle Vallette con l’accusa di favoreggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Stanno tutti bene e al momento non sappiamo ancora con precisione quando verrà fissata l’udienza di convalida degli arresti. Per chi volesse scrivere o mandar loro un telegramma ecco i nomi e l’indirizzo

Daniele Altoè, Giordana Laera, Maria Francesca Giordano, Samuele Cattini

Casa Circondariale “Lorusso e Cotugno” via Maria Adelaide Aglietta 35

10151 Torino

TUTTE LIBERE TUTTI LIBERI

 

Indirizzi utili

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero5)

Che scoperta, la società!

Di fronte al rischio di morire per contagio, milioni di esseri umani stanno scoprendo che le azioni proprie e altrui hanno un effetto concreto sulla società, cioè su se stessi e sui propri simili. Dopo decenni di ideologia liberale secondo la quale la “società” era una sorta di buco nero in cui si poteva buttare qualsiasi cosa, ora si riscopre in fretta e furia il principio di responsabilità. Si scopre che i lavoratori sono carne da macello; che i profitti vengono prima della salute; che a decidere, dietro il fumoso “interesse pubblico”, c’è lo Stato con la sua polizia. Visto che i virus provocano degli effetti anche se non si vedono, scopriamo che esiste una “materialità dell’invisibile”. Le tecnologie digitali – a cui scienziati e governi affidano le nostre sorti – sono tutt’altro che immateriali. Perché milioni di persone stiano connesse mentre sono chiuse in casa, ci vogliono server, energia, cavi, antenne e, soprattutto, metalli e terre rari, il cui accaparramento significa guerre, saccheggio della crosta terrestre, radiazioni nucleari, semi-schiavi (spesso bambini) costretti a lavorare nelle miniere, intere zone del mondo trasformate in discariche, cioè condizioni per nuove epidemie. Può esistere un principio di responsabilità a comando, sotto l’imperio della paura?

Cosa significa “non si può uscire”?

L’aspetto forse più pericoloso di questo periodo è proprio il tentativo statale di far coincidere responsabilità e obbedienza. Se pensiamo alle tragedie che l’obbedienza ha prodotto nel Novecento («Ho eseguito solo gli ordini» è stata, non a caso, la frase più ripetuta dai nazisti a Norimberga), una tale sovrapposizione dovrebbe farci tremare i polsi. Perché, allora, stiamo in casa? Per senso di responsabilità? Perché lo dice il governo? Per paura delle multe? Milioni di persone risponderebbero senz’altro in modi molto diversi. Quello che è eticamente e socialmente inaccettabile è confondere obbedienza e responsabilità. Facciamo un esempio. Se si leggessero davvero i decreti del governo – senza farsi terrorizzare dagli annunci degli altoparlanti – e li si seguisse alla lettera, cosa succederebbe? Se migliaia di persone uscissero contemporaneamente a fare “attività motoria in prossimità della propria abitazione”, che assembramenti si creerebbero? Se invece le stesse persone vanno a passeggiare in zone isolate, violando di fatto il decreto, mettono forse a rischio la salute di qualcuno? La sanzione non è mai stata un argomento.

Obblighi e divieti

Mentre in alcuni “Paesi non democratici” la normalità sta diventando quella del tracciamento di ogni dato sull’identità, i luoghi frequentati, gli incontri, anche nell’“Occidente liberale” si guarda alle linee guida per la ristrutturazione 4.0 della vita sociale. In diverse zone della Cina (in cui i casi di contagio sono prossimi allo zero) non si entra in alcun luogo pubblico senza uno smartphone in mano a “garantire” il proprio status. Non possedere certi strumenti inizia a somigliare sempre di più all’essere dei clandestini, o come minimo persone sospette. Per capire l’antifona, basta guardare chi sono i 17 specialisti scelti dal governo Conte per programmare la “Fase 2” (cioè «ripensare l’organizzazione della nostra vita e preparare il graduale ritorno alla normalità») . A guidare la task force (con tanto di riferimenti al comitato interministeriale del ’45) sarà l’ex amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, che verrà fiancheggiato da numerosi tecnici ed esperti tra cui Roberto Cingolani, l’attuale responsabile dell’innovazione tecnologia di Leonardo (il più grande produttore italiano di armi) e direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Intanto il 5G inizia ad essere una realtà. «Ogni tecnologia porta con sé obblighi e divieti segreti», scriveva Günther Anders. E cosa c’è di più segreto e invisibile di una tecnologia che si confonde con la nostra stessa quotidianità?

Finché siamo in tempo

Si accumulano annunci e programmi di trasformare il “distanziamento sociale” in qualcosa di semi-permanente (dal momento che le pandemie sono già integrate come “effetto collaterale” della produzione tecno-industriale). In tal modo saremmo distanziati non solo dai nostri simili, ma dalla possibilità individuale e collettiva di difenderci dagli amministratori della coercizione. Senza poterci incontrare e organizzare, come reagire a misure di sorveglianza sempre più totalitarie, oppure, più banalmente, a dei licenziamenti? Se si affida il “problema contagi” a un apparato tecnologico-burocratico, la soluzione più efficace – l’unica che non mette in discussione l’apparato stesso – è il controllo totale. Non perché i tecno-burocrati siano malvagi o perché siano parte di chissà quale complotto mondiale, ma perché le soluzioni tecniche devono strutturalmente prescindere da considerazioni etico-sociali. Soprattutto in nome dell’emergenza. La libertà, proprio perché imprevedibile, costituisce un fattore di disturbo per gli algoritmi; il giudizio di valore è sempre umano, troppo umano, mentre il calcolo si presenta come oggettivo. Qual è la soluzione più efficace se un bambino fa troppo chiasso? Legarlo, oppure somministrargli degli psicofarmaci. Se i genitori non lo fanno, non è perché non lo trovano efficace (calcolo costi-benefici), ma perché lo considerano sbagliato (giudizio etico-pedagogico). Togliamocelo dalla testa: quella di non ammalarsi non sarà mai una certezza. La domanda , cui nessuna intelligenza artificiale potrà rispondere al posto nostro, è sempre la stessa: a cosa siamo disposti a rinunciare della vita per continuare a vivere?

Pensavano che chiamandoli “eroi”…

Mentre il personale sanitario di Piacenza si dichiara pronto a scendere in sciopero se vengono riaperte le fabbriche, duecento medici e infermieri greci sottoscrivono un documento con il quale rivolgono sette domande al “Comitato di esperti” del Ministero della Salute. Eccone un paio: «Quale approccio scientifico impone la circolazione dei nostri concittadini con guanti e mascherine all’aperto e al contrario tratta con ironia e “non importa” la questione della garanzia assolutamente necessaria dal punto di vista igienico e sociale di tutti i mezzi di protezione individuale degli operatori negli ospedali e nelle cliniche?»; «quale approccio scientifico impone il divieto di incontro all’aperto di più di due persone, ma NON denuncia il funzionamento di imprese e industrie che producono beni non essenziali con dozzine di lavoratori assembrati in spazi chiusi e senza i necessari mezzi di protezione?». Assunzione di altro personale sanitario; fornitura di mezzi di protezione a tutti gli operatori; requisizione immediata e senza condizioni di letti normali e di terapia intensiva, di attrezzature di laboratorio e di cliniche dal settore dell’assistenza privata: con queste rivendicazioni sono stati organizzati presìdi davanti a 25 ospedali in 20 Province della Grecia. Alle iniziative hanno partecipato lavoratori di tanti altri settori, pensionati e studenti. Durante uno dei presìdi, l’intervento della polizia è stato respinto in modo collettivo e solidale. Tra gli slogan: «Siamo schiavi solo della nostra coscienza» e «il divieto di circolazione non fermerà le lotte».

Resistere all’emergenza, sfidare i divieti

31 marzo, Milano. Picchetto dei lavoratori (quelli non ancora ammalati) del magazzino Fruttital a rischio licenziamento. In piena emergenza l’azienda aveva annunciato la chiusura e il trasferimento. Inoltre, nei giorni precedenti non era stato fornito agli operai alcun dispositivo di protezione dal contagio.

1° aprile, Calliano (TN). Per questa giornata, alcuni parenti dei detenuti avevano invitato a far sì che le battiture risuonassero anche fuori delle carceri. Così, un gruppetto di anarchici, per spiegare il senso della battitura che ci sarebbe stata la sera, ha pensato di rovesciare la pratica istituzionale di diffondere sinistri moniti e avvisi dagli altoparlanti, girando per il paese con l’impianto audio e facendo diversi interventi a sostegno delle lotte carcerarie. Nel giro di poco tempo, giungono sul posto otto pattuglie dei carabinieri, più altre auto della polizia locale e della Digos.

8 aprile, Torino. Il “food delivery” viene considerato un’attività essenziale ma le ciclofficine sono chiuse; aziende come Glovo o Deliveroo non hanno mai provveduto alla manutenzione dei mezzi di chi fa le consegne: i riders si ritrovano in piazza, con biciclette e attrezzi, per una “ciclofficina itinerante” che permetta di aggiustare i propri mezzi a chi, nonostante il “lockdown”, continua a lavorare.

14 aprile, Roma. Rivolta nel Centro profughi di Torre Maura. Gli operatori vietano di uscire dal centro, gli internati rispondono con incendi e danneggiamenti. Nei giorni precedenti si erano verificati proteste, atti di autolesionismo, incendi, tentativi di evasione, scioperi della fame e della sete in vari Centri Per il Rimpatrio.

15 aprile, Carmagnola (TO). Picchetto degli operatori sanitari di una casa di riposo in cui si erano registrati  46 contagiati su 50 ospiti. Le richieste: mascherine e tamponi per i dipendenti. Le risposte: arrivano polizia e carabinieri, la cooperativa Socialcoop dichiara di aver “effettuato assunzioni per ovviare alle assenze di personale”… contagiato.

15 aprile, Torino. Scendono in piazza (mantenendo le distanze di sicurezza) gli ambulanti del mercato di Porta Palazzo, l’unico ancora non riaperto in città, forse perché si trova in una zona oggetto di intensa “riqualificazione” (sempre più investimenti per i ricchi, sempre meno spazi per i poveri).

16 aprile, Massalengo (LO). Sciopero di 250 operai nel magazzino centrale di Carrefour Lombardia contro il subappalto ad una cooperativa che paga la manodopera il 20% in meno. Viene firmato un accordo che cancella il subappalto. Nel frattempo si apprende della chiusura della Fruttital di Milano, trasferita a Verona. Dal momento che Fruttital è uno dei fornitori di Carrefour, gli operai decidono che i suoi camion non verranno più scaricati, come forma di solidarietà verso i lavoratori appena licenziati.

16 aprile. Parenti e solidali dei detenuti protestano fuori dalle carceri di varie città (Roma, Bologna, Torino, Bolzano…). A Roma la polizia li circonda e spintona, fregandosene delle tanto invocate distanze di sicurezza, e porta 8 persone in questura. Nei giorni precedenti i parenti protestano fuori dalle carceri di Secondigliano, Poggioreale, Santa Maria Capua Vetere. Nelle carceri di Ariano Irpino, Palermo, Crotone, Bologna, Alessandria, Santa Maria C.V., Rebibbia, Secondigliano si verificano rivolte, battiture, scioperi della fame e della sete.

17 aprile, Torrazza Piemonte (TO). Sciopero di tutto il personale dello stabilimento Amazon: l’azienda non fornisce informazioni sui casi di contagio all’interno della sede, nascondendosi dietro il paravento della “tutela della privacy”.

Il 25 aprile

Mentre governo e Regioni stanno riaprendo i luoghi della produzione e del commercio, il divieto di uscire all’aria aperta perdurerà almeno fino a maggio. Questa palese discrepanza non risponde ad alcuna “evidenza scientifica” (a meno di non confermare quello che un filosofo scriveva più di trent’anni fa, e cioè che lo Stato ha «abbattuto il gigantesco albero della scienza all’unico scopo di farne un manganello»). Da un lato si deve produrre e consumare; dall’altro, prima che la gente possa uscire si vuole aver già programmato come controllarla. Ecco. Dobbiamo anticiparli, se non vogliamo subire, oltre alla “crisi sanitaria”, anche la ristrutturazione economica che l’accompagnerà. E quale data più evocativa per resistere del 25 aprile? Lanciamo un appello a violare le misure. Seguendo il principio di cautela per l’altrui e la nostra salute. E ognuno secondo le sua disponibilità. Non si tratta solo di affermare la responsabilità contro l’obbedienza, ma di dire chiaro e tondo che non accettiamo la divisone tra sacrificabili e salvabili; che le nostre vite non sono “dati da estrarre e da analizzare”; che non c’è salute senza relazioni di mutuo appoggio con gli altri e con la natura da cui dipendiamo.

Non vogliamo “convivere con le pandemie”, ma farla finita con l’organizzazione sociale che le crea.

Versione pdf: Cronache5 (numero_doppio)

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero5)

Ad alta voce

Alternativa. Detto semplicemente: di fronte ad un virus o a qualsiasi disastro, non esiste gestione di massa che possa essere anti-autoritaria. Quali che siano le buone intenzioni di chiunque intenda occuparsi di tutti e di ciascuno, resterà un pastore che trasforma gli altri volenti o nolenti in greggi. In un rapporto anarchico in cui prevalgano la libertà, la reciprocità e l’unicità, l’auto-organizzazione generalizzata degli individui non sopporta nessuna uniformità, nessuna gestione, nessuna separazione delegata a specialisti, nessuna soluzione (ancor meno tecnica o medica) valida per tutti, e diciamolo un po’ crudelmente: nessuna efficacia quantitativa. Ciò che conta non è la certezza o la sicurezza, non è la data di una morte inevitabile da quando siamo nati, ma la qualità individuale, piena ed intera, della vita così come ognuno intende esplorarla. Di fronte al Covid-19 come ad ogni cosa, la prospettiva anarchica è quella di auto-organizzarsi in completa autonomia dalle istituzioni per prendersi cura gli uni degli altri a livello individuale e di coordinamento, e di continuare a minare le fondamenta del dominio.
Reclamare di fatto un confinamento (e domani un deconfinamento) diverso — quando non addirittura lo stesso dello Stato —, reclamare uno sfruttamento e un’istruzione po’ più o un po’ meno a distanza, ovvero sbirri più disarmati e prigioni più vuote, non significa battersi per la libertà. Significa promuovere un’autorità alternativa, una mera riconfigurazione dello stesso anziché la sua spietata distruzione. Non è altro che un miserabile realismo senza mezzi che non spinge fino in fondo il suo spaventoso ragionamento. In alto i cuori! Elencate in maniera un po’ dettagliata le aziende non essenziali che lo Stato dovrebbe ancora chiudere, secondo voi. Per parte nostra, è l’intera economia che vogliamo rovinare. Continuate a stabilire chi deve uscire immediatamente dal carcere, e di conseguenza chi deve rimanerci. Per parte nostra, lo vogliamo raso al suolo con tutti fuori. Spiegateci infine quali misure di polizia militante sarebbero previste contro tutti i refrattari a un confinamento alternativo o ad un tracciamento bio (nessuna gestione di massa senza monitoraggio, giusto?, altrimenti è l’anarchia).
Quando non ci si limita a parlare, essere favorevoli a misure di confinamento di massa, a queste o ad altre più indolori, cioè a misure di reclusione collettiva, non può che significare disciplina, controllo e amministrazione degli individui, oppressione delle loro varie possibilità di auto-organizzazione autonoma, e repressione dei refrattari. Il tutto nel nome dell’emergenza e del bene comune, ovviamente.
Altrove. Pandemia globale e accettazione sociale. Nessun Gran Confinamento nei Paesi Bassi, in Svezia e in Germania. Autodisciplina? Scienziati lunatici? Chiari interessi economici di fronte alla Cina o agli Stati Uniti che non si sono affatto fermati? Tanto meno un Gran Confinamento prolungato in altri continenti, dove la sopravvivenza nell’economia informale non è sufficientemente garantita dalle briciole statali. Là c’è il coprifuoco di notte o dal pomeriggio ma si lascia sopravvivere di giorno, là si cerca di confinare alternando, una settimana su due, uomini o donne, prima una zona poi un’altra… Là come dappertutto lo Stato improvvisa senza dirlo, militarizza per mantenere il potere, scientifizza come gli viene, propaganda per indorare la pillola. Spettri di moti per fame. Spettri di guerre civili. Gestione autoritaria pragmatica che si adatta in base alla resistenza che pensa di trovarsi davanti. Là come qui, d’altronde.
Attaccare. In un periodo come questo, in cui lo Stato e il capitalismo si ristrutturano piuttosto rapidamente, ma non sono pertanto garantiti della stessa stabilità per affrontare le nuove turbolenze sociali che potrebbero sorgere, non restare confinati e attaccare è più che mai importante. Oltre ai loro dispositivi di controllo e sorveglianza, gli snodi di circolazione di energia e di dati rimangono un obiettivo fondamentale in un momento in cui la pandemia tecnologica è parte integrante di tale ristrutturazione.
Detenzione. Tutte e tutti reclusi nella grande prigione sociale. Il tipo, la dimensione e il colore delle gabbie possono variare ed accavallarsi come tante bamboline russe. Ospedali psichiatrici, campi di lavoro, centri per stranieri, caserme di addomesticamento, campi profughi, templi della sottomissione, laboratori del consenso, celle familiari o galere. È da queste ultime, dove le condizioni sono più drammatiche, che continuano a partire segnali di fumo in tutto il mondo. Contro il confinamento dapprima per la fine dei colloqui, poi per il timore di venire contaminati e quindi di morire tra quattro mura sovraffollate, infine per esigere la libertà, come campeggiava su uno striscione degli ammutinati della prigione di San Juan de Pasto (Colombia). E noi, qui fuori, che pensiamo che la libertà consista nell’auto-recluderci e nell’obbedire agli ordini del potere, noi che non abbiamo né sbarre che offuscano l’orizzonte, né filo spinato che lacera la nostra carne, né garitte di sentinelle che ci sparano a vista, non abbiamo proprio nessuna struttura da devastare, nessuna gabbia da incendiare?
Domani. Il deconfinamento sarà sicuramente solo un altro momento del confinamento e durerà per molti lunghi mesi. Sarà forse un po’ meno duro per i cittadini più lavoratori e più esemplari, ma certamente più duro per tutti gli altri, tracciando nuove linee di demarcazione tra i due. Permessi di circolazione interna differenziati, esami obbligatori del sangue o della temperatura, tracciamento digitale incrociato, quarantene obbligatorie, controlli di identità abbinati a una schedatura sanitaria, limitazione degli assembramenti, mascherine nei trasporti, lavoro forzato per rilanciare l’economia, incremento della caccia ai potenziali ri-contaminatori. E frontiere sempre sbarrate al di là dei soli indesiderabili, come con la Spagna che intende farlo per tutta l’estate allo scopo di prevenire una seconda ondata di epidemia in autunno.
Gregge. In fin dei conti, alcuni ritengono che la maggioranza degli individui saranno colpiti da questo nuovo virus. I giochi di confinamento e di deconfinamento non servono quindi ad evitare una contaminazione generale (ci vorrebbe una gestione alla cinese per questo, come minimo) ma sono piuttosto misure di massa destinate a rallentarne la progressione, stabilizzando i picchi ospedalieri pur mantenendo l’economia a galla. Più ci sono persone che restano a casa, meglio lo Stato può gestire la disorganizzazione temporanea nell’industria e i servizi che ritiene importanti grazie ai suoi indispensabili scagnozzi armati. Il confinamento/deconfinamento è anzitutto una questione di continuità e di mantenimento dell’ordine, non di protezione di una popolazione da cui si prepara a difendersi in caso di crisi sociale derivante da una crisi sanitaria. Quanto al virus, gestisce il gregge sperando che una parte sufficiente della popolazione (60%) finisca, certo il più lentamente possibile, per essere definitivamente immunizzata in modo che cessi di diffondersi non trovando più ospiti (il che è una ipotesi molto relativa, dato che la durata di vita degli anticorpi contro il Covid-19 pare sia breve, portando piuttosto a prevedere una serie di ondate infettive). E qualora ciò non accada, lo Stato intende gestire il suo gregge con lo stesso genere di misure drastiche fino all’arrivo promesso per il 2021 di un futuro eventuale vaccino (il che, tra l’altro, significa inoculare artificialmente parte del virus, senza alcuna garanzia che gli anticorpi perdurino abbastanza a lungo o che l’originale non muti).
Dal primo confinamento iniziale per la paura e la servitù volontaria fino ai deconfinamenti mediante algoritmi in camice bianco, con svariate spole di andata-e-ritorno, siamo molto lontani dall’uscire dal rifugio. Per sfuggire alla statistica dei grandi numeri, forse bisognerebbe cominciare a ribaltare il tavolo senza attendere nulla dal potere, e non comportarsi più come un gregge che si considera vivo solo perché non è morto.
Guanti. Per proteggersi dalla porta che si spacca. Dalla rete metallica che si trancia. Dalla merce che cambia rapidamente di mano. Dalla vetrina che si sfonda. Dall’obiettivo che si incendia. Guanti e mascherine per proteggersi dalle impronte digitali e dal DNA, per mantenere una distanza vitale dai laboratori scientifici del virus poliziesco.
Pompieri. Qua una parte della testa del corteo parigino distribuisce mascherine protettive ai vigili, in Cile una parte della Primera Linea pulisce la metropolitana. Supermercati da espropriare? Metropolitane da incendiare? Dopo, sì dopo, i domani canteranno. Forse. O per niente. Quando il governo concederà più permessi di uscita. Nell’attesa si autogestisce il confinamento. Si umanizzano le carenze dello Stato. Auto-organizzarsi per attaccare gli sbirri, saccheggiare i magazzini alimentari o sabotare le arterie tecnologiche della prigione sociale sarebbe troppo rischioso. La rivolta potrebbe essere più contagiosa del virus, chi lo sa? Pianificatori del male minore. Contro-potere tutto contro il potere.
Primavera. Il meteorologo che ti insulta tutti i giorni prevedendo un tempo radioso prima di intimarti a restare in casa. Le nuvole al cesio della foresta di Chernobyl, in fiamme da una settimana, sarebbero forse più convincenti. Ma, come è noto, si fermano alle frontiere.
Responsabilità. Non si può essere responsabili del passato che esisteva prima di noi, né di tutti gli esseri umani che popolano la terra, il continente, il paese, la regione, la città, il villaggio, il quartiere, il vicinato. Per contro, nonostante l’oceano di dominio in cui ci bagniamo — un oceano imposto dalla servitù di molti e la repressione degli altri — si può essere responsabili delle proprie azioni per combatterlo. Laddove ogni vita è sacrificata sull’altare del profitto e dell’autorità, la sola responsabilità individuale possibile in rapporto a ciò che ci circonda è la coerenza tra l’idea anarchica che ci muove e i nostri atti che la rendono viva. Nessun piccolo gesto salverà il pianeta, nessun auto-confinamento impedirà la propagazione del virus. Identificare il nemico nel progresso industriale, la tecnoscienza o lo Stato colpendo le loro strutture senza riprodurre i loro meccanismi di dominio, sarebbe viceversa già più salutare. Sempre che si intenda salvare qualcosa, ovviamente.
Ritorno alla normalità. Non ci sarà questo genere di ritorno all’indietro. Perché noi non lo vogliamo (la normalità che c’era prima era già il problema). Perché neanche loro lo vogliono (ah, era ancora pieno di rigidità troppo umane e di piccoli formalismi, questo prima). Perché la normalità è il gigantesco laboratorio del presente, con i suoi droni e la sua sopravvivenza digitale, con i suoi militari e il suo forsennato produttivismo. Perché come è stato detto che il XX secolo in realtà è iniziato nel 1914 con la Prima grande macelleria industriale mondiale, il XXI secolo ha appena realizzato una svolta definitiva nell’attuale anno 2020, con conseguenze ancora incerte per tutti. Sta a noi fare in modo che tutti i loro calcoli e previsioni del nuovo ordine tecnologico deraglino per sempre.
Stato. Ad eccezione di noti imbecilli i quali ritengono che incoraggiare a spezzare il confinamento equivalga a negare la contagiosità del Covid-19 o ad assumere un gesto infantile di sfida, è ovvio che nessuna azione o auto-organizzazione (in diversi ambiti) possa realizzarsi virtualmente. Per di più, il confinamento di massa è strutturalmente una misura resa possibile da una gigantesca concentrazione autoritaria di forza e mezzi che rimanda direttamente allo Stato. Di fronte a una minaccia così generalizzata contro cui si atteggia a sovrano protettore dei piccoli come dei grandi, si può persino immaginare che risulterà quello che ha fatto, malgrado gli errori, il minimo necessario, o ancor peggio, l’inevitabile, preservando e organizzando la sopravvivenza della maggior parte delle persone pur sospendendo alcuni diritti di base. Quest’ultimo terreno non è certo quello dei nemici dell’autorità, da tempo avvezzi a questi giochi d’equilibrio sospesi tra emergenze decretate dall’alto e intensità della guerra sociale. Se si desidera ardentemente distruggere lo Stato, attaccare la sua onnipotenza confinante che esacerba e rafforza i rapporti di servitù come di cittadinismo, una prospettiva anarchica non può che lottare per una libertà smisurata.
Vivere. Tutto c’era già e tutto accelera. Il che significa respirare in un mondo costruito su fiumi di sangue, di sofferenza, di miseria, di guerre e di avvelenamento generalizzato del vivente. Morte lenta o morte rapida. Vita sospesa e insulsa sopravvivenza dappertutto. «Non potete ucciderci, perché siamo già morti». Rivolta cabila, davanti ai militari, 2001, all’inizio del millennio. «Ci hanno tolto così tanto che ci hanno rubato persino la paura». Sollevamento cileno, davanti ai militari, 2019, venti anni dopo. Era prima. Quando eravamo di fronte a qualcosa di visibile, di palpabile e di attaccabile. Non una dose radioattiva o un microrganismo. Eppure, i rapporti sociali sarebbero magicamente scomparsi con questo Covid-19 che non è una catastrofe naturale? Si muore globalmente di questo nuovo virus oppure del mondo che lo genera consentendo la sua rapida proliferazione in tutto il pianeta: massiccia deforestazione, metropolizzazione e concentrazione urbana, cibo industriale standardizzato, ingestione ad alte dosi di chimica farmaceutica, avvelenamento senza precedenti della terra, dell’acqua e dell’aria, ipermobilità, ecc.? Uscire per fermare tutto piuttosto che contemplare il disastro dietro uno schermo è allora proprio il minimo se si desidera un mondo totalmente diverso. Meglio vivere in libertà che morire confinati. La rivolta è la vita.

[Avis de tempêtes, n.28, 15 aprile 2020]

Riflessioni sull’anarchismo e la questione organizzativa in epoca d’epidemia – e non solo

Nota redazionale – Per motivi di spazio abbiamo caricato solo l’introduzione del testo. Il testo completo è scaricabile in pdf a fondo pagina.

Per contatti: editricecirtide@autistici.org

«Dovrebbe servire piuttosto per aiutare a sviluppare seriamente delle progettualità di intervento nell’immediato futuro. Negli ultimi giorni continuano senza posa a uscire su siti d’area contributi che non aggiungono nulla a quanto già sapevamo, una sfilza di testi che sembra mirino più a dare ragione alle analisi stilate negli ultimi anni che a costituire degli utili strumenti per orientarci nella situazione attuale. Contributi impregnati da quell’ideologia dell’insurrezione che cerca ovunque le possibilità di una rivolta, senza mai osare immaginare di provocarla, o alla ricerca delle condizioni oggettive di una crisi del capitalismo, mancando dell’immaginazione necessaria per ipotizzare un intervento autonomo che metta finalmente e per davvero in crisi l’esistente, e ancora una volta dimostrano solo quanto le ragnatele teoriche del passato ricoprano ancora le analisi che fuoriescono dal cosiddetto milieu anarchico.»
Il futuro non è scritto – un contributo sui possibili sviluppi della situazione attuale

Riflessioni valide, quelle riportate in questo approfondimento. Valide e che quindi devono essere proseguite dall’apporto di diverse sensibilità. Il problema non è un problema attuale, è un problema che ha covato sotto le ceneri per diversi anni. Tra buchi nell’acqua e treni persi, i momenti di verifica delle teorie non sono mancati. È mancata forse la lucidità di trarne conseguenze, consigli, indicazioni.

Veniamo da un’epoca di pacificazione, da questo non si può purtroppo prescindere. Se negli anni ‘80 l’anarchismo si confrontava con il bisogno di ripensare l’agire in funzione di ciò che era avvenuto negli anni ‘60 e ‘70, se negli anni ‘90 dei tentativi sono stati fatti, come quello di trasformare in realtà le riflessioni sul tema dell’organizzazione e si sono sviluppate delle tematiche, come quella degli spazi occupati, il G8 di Genova del 2001 tramortisce un movimento, costruisce un cordone sanitario di sangue e tute bianche intorno alle idee radicali. Le torri gemelle fanno da prodromo a quella che sarà l’affermazione di un nuovo ordine mondiale militar-politico quanto culturale, con la chiusura dell’orizzonte sovversivo all’interno della sopravvivenza emergenziale nel migliore dei mondi possibili.

Come aveva fatto l’eroina in passato, la possibilità di costruire parvenze di legami, rapporti e conversazioni virtuali svuota le piazze e cambia i modi di pensare la possibilità di comunicare idee, lottare ed incontrare persone. Il tramortimento collettivo, tra tentativi sporadici di lotta che non riescono ad essere metabolizzati a dovere ed il rifiuto di partecipare alla socialità virtuale ci lascia sbigottiti davanti alle innumerevoli questioni che la contemporaneità apre di fronte a noi.

Per questo voglio provare a sviluppare una riflessione propositiva sulla questione organizzativa, su più livelli, che possa ricollegarsi al passato, ben oltre a quello prossimo, nel tentativo di far ripartire – non tanto un dibattito, necessario ma che rischia di restare sul piano della filosofia – la riflessione progettuale dei singoli, anche in direzioni diverse rispetto a quanto qui ipotizzato. La ragione non esiste e non mi interessa. Come scriveva qualcuno in un vecchio numero di Anarchismo: “Rivendichiamo le nostre lotte di anarchici… i nostri errori, in essi non c’era l’asfissia della certezza”.

Nota editoriale

Le citazioni non vengono proposte in quanto esaustive o ancora completamente valide ma come elemento di confronto con un certo modo di approcciare i problemi o come esempio di riflessioni su cui vale ancora la pena “perdere” tempo a riflettere. Più che esempi sono da intendersi come suggestioni e pungoli.
Molte persone hanno sconsigliato di inserirne tante ed in maniera così invadente. Hanno ragione. Ma il punto non è rendere appetibile la questione, snellire, riassumere. D’altronde, se annoiano, possono sempre essere saltate.
La questione è chiarire che si tratta sì di inventare tutto, ma ancor prima di riscoprire, rilanciare, ripercorrere i passi. Certo, si sarebbe potuto scrivere in altri modi e con altre forme. Ma per chi? Per chi non ha orecchie per ascoltare? Per chi non ha tempo di fermarsi a riflettere su diverse questioni? Si sarebbe potuto fare meglio, ma era quello lo scopo? Quei testi, inoltre, sono il frutto di confronti a caldo tra diverse persone, sono riflessioni che poi sono state messe alla prova nella realtà, mentre le mie sono poco più che disquisizioni sul nulla. Che abbiano un peso minore, quindi.
Preferisco inoltre l’incomunicabilità della complessità piuttosto che lo svilimento della semplificazione. Nessuno ha nulla da insegnare, dobbiamo tutti imparare dal mondo che ci sta intorno.
L’unica cosa che possiamo fare è condividere dubbi e perplessità, (es)porci con le questioni che ci attanagliano, illuminarle.
La follia del pensiero è anche quella del salto temporale tra la più stringente contemporaneità e la polvere dei vecchi libri dimenticati sullo scaffale.
Il mistero della quarantena, la scoperta di un tempo elastico del pensiero.

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La Nave dei Folli – Episodio 3

La genesi della cibernetica risale alla seconda guerra mondiale.

Come Claude Shannon, che nel 1948 scriverà “Teoria matematica della comunicazione”, e Alain Turing, uno dei fondatori dell’informatica, molti padri della cibernetica hanno partorito le loro idee nel contesto bellico. Arruolato dal governo USA nel progetto AA Predictor, lo scienziato americano Norbert Wiener ha l’incarico di sviluppare con alcuni colleghi un dispositivo servomeccanico di contraerea in grado di prevedere su base probabilistica i movimenti del nemico.

Wiener non partecipò al Progetto Manhattan, il gigantesco programma statunitense per produrre l’arma nucleare che ha mobilitato circa centomila tra scienziati e tecnici, ma nel dopoguerra collaborerà strettamente con alcuni dei suoi più convinti sostenitori e artefici, in primis John Von Neumann, uno dei padri dell’imminente computer, che calcolò a quale altitudine dovesse scoppiare l’ordigno su Hiroshima e Nagasaki in modo da provocare il maggior numero di vittime.

In uno scritto di quegli anni, Wiener paragonava il comportamento umano alla retroazione, ovvero a un dispositivo servomeccanico, unificando nello stesso sistema basato sull’informazione uomo e macchina, in questo caso il pilota e il suo velivolo. Sottoposto alle condizioni fisiche e psicologiche più estreme, dunque, il soldato rappresenta un oggetto di studio privilegiato sul funzionamento della macchina umana ed è a tutti gli effetti il primo modello di cyborg.

Riferimenti Episodio 3

  • How to Destroy Angels, Parasite (Welcome Oblivion, 2013)
  • Stanley Kubrick, Full Metal Jacket (1987)
  • Naief Yehya, Homo cyborg (2001)
  • Tuxedomoon, Crash! (Half Mute, 1980)
  • Michael Radford, Orwell 1984 (1984)
  • The Doors, The End (The Doors, 1967)
  • Francis Ford Coppola, Apocalypse Now (1979)
  • Transglobal Underground, Radio Unfree Europe (Impossible Broadcasting, 2004)
  • Didier Dulieux et Eric Boccalini, Le chant des baleines (Ho Ho)
  • Can, Quantum physics (Sun over Babaluma, 1974)
  • Werner Herzog, Dove sognano le formiche verdi (1984)
  • Kalashnikov Collective, Una guerra senza fine (L’Algebra Morente Del Cielo, 2015)

People of the World, One More Effort!

The shock of the coronavirus [2] has only carried out the judgment that the totalitarian economy founded on the exploitation of people and nature has announced against itself.

The old world is fainting and collapsing. The new one, dismayed by the heaping up of the ruins, doesn’t dare clear them out. More frightened than resolved, it struggles to find the boldness of the child who learns to walk. As if screaming about the disaster for so long has left the people without a voice.

And yet those who have escaped from the deadly tentacles of the commodity are standing up amidst the rubble. They have awoken to the reality of an existence that will no longer be the same. They want to free themselves from the nightmare that the denaturation of the earth and its inhabitants has brought down upon them.

Isn’t this proof of the indestructibility of life? Isn’t it on this fact that the lies from above and the denunciations from below are shattered in the same backwash? The struggle to live has no need for justifications. The reclamation of the sovereignty of life is able to destroy the empire of the commodity, the institutions of which are being shaken up globally.

Until now, we have only battled to survive. We have remained confined in a social jungle in which the law of the strongest and craftiest has reigned. Will we leave behind the imprisonment in which the epidemic of the coronavirus has held us, only to return to the danse macabre of prey and predator? Isn’t it obvious to everyone that the insurrection of everyday life, of which the Yellow Vests3 have been the harbinger in France, is nothing other than the overcoming of the survival that this society of predation hasn’t stopped imposing on us daily and militarily?

That which we no longer want is the seed of what we do want

Life is a natural phenomenon that is at a permanent state of experimental boiling. Life is neither good nor bad. Its manna gives us [edible] morels as well as [poisonous] Amanite phalloides. [4] Life is in us and in the universe like a blind force. But it has endowed the human species with the ability to distinguish the morel from the death cap and a little more besides that! It has armed us with consciousness; it has given us the ability to create ourselves by recreating the world.

To make us forget about this extraordinary aptitude, it has been necessary to weigh us down with the weight of a history that begins with the first City-States and that ends – even quicker than otherwise if we get our hands on it – with the crumbling of market globalization.

Life is not a speculative enterprise. It only cares about signs of respect, reverence and worship. It has no other meaning or direction [sens] than human consciousness, which life has given our species in order to illuminate it. Life and its human sense [sens] are the poetry made by one and by all. [5] This poetry has always shined with its radiance in the great uprisings of freedom. We no longer want it to be an ephemeral flash, as it has been in the past. We want to put into play a permanent insurrection, one just like the passionate fire of life, which
dies down but never dies out.

It is now the entire world that is improvising a song of the trails. [6] It is here that our will to live forges itself by breaking the chains of power and predation – the chains that we, men and women, have forged for our misfortunes.

Here we are, at the heart of a transformation that is social, economic, political and existential. This is the moment of Hic Rhodus, hic salta,
[7] “here is Rhodes, here you jump.” It is not an order to reconquer the world from which we have been chased. It is the breath of life that the irresistible impulse of the people will restore to its absolute rights.

Alliance with nature demands the end of its lucrative exploitation

We haven’t fully understood the concomitant relationship between the violence exercised by the economy against nature, which it pillages, and the violence with which the patriarchy has struck women ever since it was established, three or four thousand years before the advent of the so-called Christian era.

With the advent of so-called “green” capitalism [le capitalisme vert-dollar], the brutal pillaging of terrestrial resources has tended to give way to subornation on a grand scale. Though the name of the game is protecting nature, it is still nature that pays the price. Thus things proceed as they do in simulations of love in which the rapist dolls himself up as a seducer in order to better grab hold of his prey. Predation has long used the practice of the velvet glove to get what it wants.

We are at a moment when a new alliance with nature takes on the utmost importance. It is obviously not a question – how could it be? – of returning to a symbiosis with the natural world in which the hunter-gatherer civilizations evolved before they were supplanted by a civilization founded on commerce, intensive agriculture, patriarchal society and hierarchical power.

It is rather, as one will certainly understand, a question of restoring a natural world in which life is possible, the air is breathable, the water drinkable, agriculture is practiced without the use of poisons, the freedom of commerce is revoked by the freedom of living beings, the patriarchy is dismembered and all hierarchies are abolished.

The effects of dehumanization and of the attacks systematically conducted against the environment have had no need of the coronavirus to demonstrate the toxicity of market oppression. [8] On the other hand, the catastrophic management of the catastrophe has shown the inability of the State to demonstrate the slightest efficiency outside of the only functions that it is able to exercise: repression and the militarization of individuals and societies.

The struggle against denaturation has nothing to do with promises and commendable rhetorical intentions, whether or not they are bribed by the market in renewable energy. It is actually based upon a practical project that bets on the inventiveness of individuals and collectivities. The permaculture that renatures the lands poisoned by the market in pesticides is only a testimony to the creativity of people who have everything to gain by destroying that which has conspired to bring about its loss. It is time to ban the concentration-camp livestock farms in which the abuse of animals has notably been the cause of swine fever, Avian flu and cows driven crazy by the madness of fetishized money that economic reason will once again try to get us to ingest, if not digest.

Do these caged animals who leave their confinement to enter the slaughterhouse have a destiny that is so different from ours? Do we not live in a society that pays dividends to the business parasites and let the men, women and children who lack proper medical care die? An unanswerable economic logic reduces budgetary resources due to the growing number of old people. It foresees a final solution that with impunity condemns them to die in retirement homes deprived of resources and caregivers. In Nancy, France a high-ranking health official recently declared that the [coronavirus] epidemic isn’t a valid reason for not continuing to reduce hospital beds and medical personnel in accordance with previously made plans. [9] Nobody kicked his ass. These economic assassins cause less commotion than a mentally ill person running through the streets brandishing the knife of religious illumination

I am not appealing to popular justice; I am not encouraging the massacre of the dirt-bags of business turnover. [10] I’m only asking that human generosity makes the return of market reason impossible.

All the methods of governing that we have known have gone bankrupt, disintegrated by their cruel absurdity. It is the people who must implement the project of a society that restores to the human, the animal, the vegetal and the mineral their fundamental unity.

The lie that describes such a project as “utopian” hasn’t resisted the shock of reality. History has struck the market civilization of obsolescence and insanity. The construction of a human civilization hasn’t simply become possible; it now clears the way for the unique road – passionately and desperately dreamed of by innumerable generations – that opens upon the end of our nightmares.

Because despair has changed sides; it belongs to the past. The passion of a present to be constructed remains with us. We will take the time to abolish the time is money [11] that is the time of programmed death.

Renaturation is a broth of new cultures in which we will have to fumble around between confusion and innovations in the most varied domains of activity. Haven’t we accorded too much credit to a mechanistic medical practice that often treats the body like a mechanic treats the car in his garage? How can we not distrust an expert who repairs us so that we can get sent back to work?

Hasn’t the dogma of anti-nature, for so long hammered into us by production-centered imperatives, contributed to the exasperation of our emotional reactions, to the propagation of panic and security-conscious hysteria, thus exacerbating the conflict with a virus that the immune systems of our bodies would have had some chance of softening or rendering less aggressive, if they hadn’t been weakened by market totalitarianism, to which nothing inhuman is foreign? [12] We have been completely drenched with the progress of technology. To end up with what? Heavenly flights to Mars and the terrestrial absence of beds and respirators in the hospitals.

Assuredly there will be more to marvel at, in the discoveries of a life of which we know nothing or almost nothing. Who could doubt it? No one will, except for the oligarchs and their lackeys, whom mercantile diarrhea will empty of their substance and whom we will confine to their latrines.

To have done with the militarization of the body, morals and mentalities

Repression is the State’s final reason for existing. The State itself is subjected to it under the pressure of the multinationals, which impose their diktats upon the earth and life. The foreseeable questioning of the governments’ decisions will respond to this question: would confinement have been relevant [with respect to stopping the spread of the coronavirus] if the medical infrastructure had remained efficient and hadn’t experienced its well-known dilapidation, which was decreed by the obligation to be profitable?

Meanwhile – there is no denying it – the current militarization and ferocious security-consciousness have only adopted the ongoing repression imposed all over the world. The democratic order couldn’t have asked for a better pretext for protecting itself against the anger of the people. Isn’t imprisonment at home the goal of those in power, worried about the weariness of their assault teams of police clubbers, eye-pokers and salaried killers? A nice dress rehearsal of the netting tactic now employed against peaceful demonstrators, demanding the rehabilitation of the hospitals, among other things.

At least we have been warned: the governments will now try everything to make us go from confinement to the doghouse. But who will accept going docilely from penal austerity to the comforts of patched-together servility?

It is probable that the rage of those who are caged will seize the occasion to denounce the tyrannical and aberrant system that treats the coronavirus in the fashion of the multi-colored terrorism [13] with which the market in fear has had a field day.

Reflection doesn’t stop here. Think of the schoolchildren who, in the country of the Rights of Man, [14] have been forced to kneel down before the State’s cops. Think of the education system in which, for centuries, professorial authoritarianism has shackled the spontaneous curiosity of the children and prevented the generosity of knowledge from being freely propagated. Think of the extent to which relentless
competition, rivalry and the pushiness of “get out of my way” [pousse-toi de là que je m’y mette] have confined us to the barracks.

Voluntary servitude is a mob of unruly soldiers who march in step. A step to the left, a step to the right? [15] Does it matter? They both remain in the order of things.

Anyone who accepts being barked at, whether it is from above or from below, has no other future than that of a slave.

Leaving the morbid [16] world and the end of market civilization

Life is a world that opens up and it is an opening upon the world. It has certainly often been subjected to the terrible phenomenon of inversion in which love changes into hatred, in which the passion for living becomes an instinct for death. For centuries, life has been reduced to enslavement, colonized by the crude necessity of having to work and survive in the manner of an animal.

And yet we have never before seen such confinement, in isolation cells, of millions of couples, families and solitary individuals, whom the failure of the health services have convinced to accept their lot, if not docilely then at least with contained rage.

Each person finds him- or herself alone, confronted with an existence in which it is tempting to disentangle servile work from crazy desire. Is the boredom of consumable pleasures compatible with the elation of the dreams that childhood left cruelly unfulfilled?

The dictatorship of profit-making has resolved to take everything from us at the very moment in which its powerlessness is spreading globally and exposes it to potential destruction.

The absurd inhumanity that has sickened us for so long has exploded like an abscess in the confinement into which the politics of lucrative assassination (cynically practiced by the financial mafias) have led us.

Death is the final indignity that human beings inflict on each other. Not due to the effects of a [divine] curse, but because of the denaturation that was forcedupon them.

When we break the chains that we have forged out of fear and guilt, we will not be motivated by fear or guilt, but by life rediscovered and restored. Doesn’t this show, in these times of extreme oppression, the invincible power of mutual aid and solidarity?

A form of education repeated for millennia has taught us to repress our emotions, to shatter our life impulses. Under it, we have been told that the animal in us must become an angel at any cost.

Our schools are lairs for hypocrites, inhibited people, and thoughtful torturers. The last ones who are impassioned by knowledge flounder around there with the courage of despair. Upon leaving our prison cells, we will finally learn to free science from the fetters of its lucrative utility? Will we devote ourselves to refining our emotions instead of repressing them? Will we rehabilitate our animal nature, not tame it, the way we tame our allegedly inferior brothers and sisters in the animal world?

Here I am not encouraging anyone to practice perpetual ethical and psychological goodwill; I am merely pointing my finger at the fear market in which security makes the noise of its boots heard. I am drawing attention to the manipulation of emotions that stultifies and stupefies the masses; I am guarding against the guilt-tripping that prowls in search of scapegoats.

“Down with the old people, the unemployed, the undocumented immigrants, the homeless, the Yellow Vests – throw them out!” It is the roaring of these stockholders in nothingness who shop for the coronavirus in order to propagate the emotional plague. The mercenaries of death only obey the orders of the dominant logic.

What must be eradicated is the system of dehumanization that is put into place and applied ferociously by those who defend it because of their taste for power and money. Capitalism was judged and condemned a long time ago. We are weighed down by the plethora of the defense’s arguments. We’ve heard enough.

Capitalist imagery identifies its death throes with the death throes of the entire world. The specter of the coronavirus has been, if not the premeditated result, then at least the precise illustration of capitalism’s absurd curse. The cause is understood. The exploitation of people by people, of which capitalism is the avatar, is an experiment that has turned out badly. Let us make sure than the sinister joke of its being the sorcerer’s apprentice is devoured by a past from which it should never have emerged.

Only the exuberance of rediscovered life can break both the handcuffs of market barbarity and the characterological armoring that stamps the mark of what’s economically correct into the living flesh of each and every person.

Self-managed democracy annuls parliamentary democracy

It is no longer a question of tolerating the fact that, perched at all levels of their national, European, trans-Atlantic and global commissions, the leaders come before us to play the roles of guilty and not guilty. The economic bubble, which they have inflated with virtual debts and fictitious money, is imploding and collapsing right before our eyes. The economy is paralyzed.

Well before the coronavirus revealed the extent of the disaster, the authorities at the “senior levels” seized hold of and stopped the machine, more surely so than the strikes and social movements that, though very useful as protests, remained much less effective than they needed to be.

Enough of these electoral farces and cheap diatribes! May these elected representatives, who are conjoined by financial interests, be swept away like trash and disappear from our horizon in the same way that the portion of life that gives them their human appearance has also disappeared.

We do not want to judge and condemn the oppressive system that condemns us to death. We want to destroy it.

How can we not end up returning to this world that is collapsing, in us and before us, if we don’t construct a [new] society with the humanity that remains within our reach, with individual and collective solidarity? The awareness of an economy that is managed by the people and for the people implies the destruction of the mechanisms of the market economy.

As part of its final feat, the State hasn’t been contented with merely taking its citizens hostage and imprisoning them. Its non-assistance to people at risk is killing them by the thousands.

The State and its patrons have wrecked the public services. Nothing works anymore. We are certain about it: the only thing that continues to function is the criminal organization of profit-making.

The State and its patrons have conducted their affairs with no regard for the people; the results are deplorable. It is up to the people to take care of their own affairs by ruining theirs. It is up to us to make everything get going again on new roads.

The more exchange-value prevails over use-value, the more the reign of the commodity imposes itself. The more we give priority to the use that we want to make of our lives and our environments, the more the commodity loses its biting intensity. What’s free [la gratuité] will deal it a deathblow.

Self-management marks the end of the State, the bankruptcy and noxiousness of which the pandemic has highlighted. The protagonists of
parliamentary democracy are the undertakers of a society dehumanized for profit.

On the other hand, we have seen the people, confronted with the deficiencies of their governments, demonstrate an unfailing solidarity and mobilize a veritable healthcare self-defense. Isn’t this an experience that heralds extensions of selfmanaging practices?

Nothing is more important than preparing ourselves to take charge of the public sectors, previously managed by the State, before the dictatorship of profit scrapped them.

The State and the rapacity of its patrons have brought everything to a stop, paralyzed everything, save for the enrichment of the rich. It is one of history’s ironies that pauperization is now the basis for a general reconstruction of society. How can someone who has confronted death fear the State and its cops?

Our wealth is our will to live.

Refusing to pay taxes and fees has ceased to belong [exclusively] to the repertoire of subversive incitements. How will the millions of people who lack the means of subsistence be in a position to pay them, while money – counted in the billions – continues to be swallowed up by the abyss of financial malfeasance and the debt worsened by it? Let us not forget that it is the priority accorded to profit that gives rise to pandemics and the inability to treat them. Will we remain in the position of the “mad cow” [17] without drawing any lessons from the experience? Will we finally admit that the market and its managers are the virus to be eradicated?

The time for indignation, lamentation, and the assessments of intellectual disarray has passed. I insist on the importance of decisions taken “by the people and for the people” in local and federated assemblies where matters of food, housing, transportation, healthcare, education, monetary cooperatives and the improvement of the human, animal and vegetal environments are concerned.

Let’s move ahead, even if we have to grope to find our way. Better to meander in our experimentation that to regress and repeat the errors of the past. Self-management is the seed in the insurrection of everyday life. Let us remember that it was Communist [18] duplicity that destroyed and stopped the experiments of the libertarian collectives in the Spanish Revolution.

I am not asking anyone to approve of me and even less to follow me. I make my own way. Everyone is free to do the same. The desire for life is limitless. Our true homeland is everywhere that the freedom to live is threatened. Our land is a homeland without borders.

Raoul Vaneigem

Notes

[1] Raoul Vaneigem, “PEUPLES DU MONDE, ENCORE UN EFFORT!” dated 10 April 2020 and circulated with the following note: “Please distribute this text and, if possible, print it for people who do not have access to the Internet or distrust it.” Translated from the French by NOT BORED! on 12 April 2020. All footnotes by the translator. Note that Vaneigem’s title echoes Sade’s famous manifesto, “One more effort, Frenchmen, if you would be republicans!” (1795).

[2] Cf. Vaneigem’s previous statement, “Coronavirus,” dated 17 March 2020, and translated into English here: http://www.notbored.org/coronavirus.pdf (pdf), you will also find it here: https://enoughisenough14.org/2020/03/21/evade-chile-final-communique-the-pandemic-will-not-stop-the-revolt-raoul-vaneigem-coronavirus/

[3] Cf. Vaneigem’s “Concerning the ‘Yellow Vests,’” dated 11 December 2018, and translated into English here: http://www.notbored.org/yellow-vests.pdf.

[4] Also known as “death cap” mushrooms

[5] An echo of Lautreamont’s famous slogan, “Poetry should be made by all and not by one.”

[6] An allusion to the title of Bruce Chatwin’s book, Un chant des pistes (1987).

[7] Latin in original.

[8] In my opinion, a better way to have phrased this would have been: “the coronavirus wasn’t necessary to demonstrate the toxicity of market oppression: the effects of dehumanization and of the attacks systematically conducted against the environment were enough.” But, of course, I’m just the translator of this text, not its author.

[9] His name is Christophe Lannelongue, the director of the Regional Health Agency of the Grand Est. He made these remarks on 3 April 2020. See this news report (French only): https://www.rtl.fr/actu/debats-societe/nancy-l-ars-envisage-desupprimer-des-postes-a-l-hopital-colere-chez-les-soignants-et-les-elus7800364774.

[10] The French here, septembriser les pouacres du chiffre d’affaire, echoes the massacres carried out in September 1797 during the French Revolution.

[11] English in original.

[12] Cf. the writings of Michel Bounan, especially Le Temp du Sida (1990).

[13] Terrorism of all political stripes.

[14] That would be France, where “The Declaration of the Rights of Man and of the Citizen” was promulgated in 1798.

[15] Cf. David Bowie, “Fashion” (1980): “Fashion! Turn to the left. Fashion! Turn to the right. Oooh, fashion! We are the goon squad and we’re coming to town.”

[16] The French word used here, morbide, can also mean sick or unhealthy.

[17] Bovine spongiform encephalopathy is a neurodegenerative disease that affects cattle. Caused by the consumption of meat-and-bone meal, “mad cow disease” broke into public consciousness in 1990s.

[18] A note from Enough 14. Even if we understand ourselves as anarchists, we want to point out that the authoritarian communists, backed by Stalin, destroyed and stopped the experiments of the libertarian collectives in the Spanish Revolution. There are many other communist tendencies that disaprove the move by authoritarian communists against the anarchists in the Spanish revolution.