Roma – Aggiornamenti CPR di Ponte Galeria

17 Aprile
Dai contatti con alcune persone recluse nel CPR di Ponte Galeria sappiamo che nella sezione femminile sono ancora detenute almeno tre donne. Per quanto riguarda la sezione maschile non si hanno notizie dirette, ma il numero dei reclusi sta diminuendo anche lì, non registrandosi nuovi ingressi. Essendo bloccati i voli di rimpatrio per l’emergenza da Covid-19, le persone  vengono liberate con un foglio di espulsione per scadenza dei termini (45 giorni per chi viene dal carcere e 180 per tuttx lx altrx), per esiti positivi dei ricorsi inoltrati dagli/dalle avvocatx o, come nel caso riportato oggi dalla Legal Clinic di Roma Tre, per rigetto da parte del Tribunale delle richieste di proroga avanzate dalla Questura.
Seppur l’obiettivo dichiarato dei Centri Per il Rimpatrio sia la deportazione delle persone senza documenti, ed essendo questo venuto meno per l’impossibilità di effettuare i voli di rimpatrio verso i Paesi di origine dex reclusx a causa della pandemia, i Cpr continuano ad esistere e a far lucrare chi guadagna dalla detenzione amministrativa: lo Stato, le cooperative che lo gestiscono. Ciò rende palese il fatto che in realtà la funzione dei Cpr sia tutt’altra: essere una forma di ricatto costante per chi non è in regola con i documenti, acuire la distinzione tra migranti “buoni” – che hanno una giusta motivazione per richiedere il permesso di soggiorno, seguono le regole che vengono loro imposte nei centri di accoglienza, svolgono forme di lavoro volontario chiamate tirocini per l’integrazione – e migranti “cattivi”, la fetta indesiderata e intollerabile della società, marginalizzata, che vive nella costante condizione di poter essere imprigionata più e più volte, rimpatriata nei luoghi dai quali scappa o che nemmeno conosce . Il confine tra le due condizioni è molto labile, in quanto basta perdere il lavoro e i requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno per finire tra lx indesideratx, o ribellarsi alla situazione infantilizzante e oppressiva che si vive nei centri di accoglienza per essere condannatx, imprigionatx nelle carceri e nei Cpr.
Il virus che da anni ci impensierisce è lo Stato, con tutte le sue strutture detentive.
L’unico antidoto lo conosciamo bene e ancor di più lo conoscono le persone che da sempre si ribellano a quella prigionia: il fuoco.
Per la libertà di tuttx,
fuoco ad ogni gabbia, galera e CPR!
Nemiche delle frontiere
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riportiamo in seguito il commento della Legal Clinic
COMMENTO ALLE ULTIME DECISIONI IN MATERIA DI TRATTENIMENTO
Negli ultimi giorni, il Tribunale di Roma conferma l’interpretazione già proposta in precedenza in materia di trattenimento di richiedenti asilo nel CPR di Ponte Galeria nel contesto dell’emergenza sanitaria Covid-19 e rigetta cinque richieste di proroga della Questura di Roma, disponendo l’immediata liberazione delle persone trattenute.
Nel provvedimento allegato al post, il Tribunale motiva sulla base del diritto alla salute del trattenuto, che prevale sulle esigenze di controllo dell’immigrazione che giustificano il trattenimento, e sul venire meno della ratio stessa della misura – così come definita dalla “Direttiva Rimpatri” – alla luce dell’impossibilità di procedere al rimpatrio delle persone trattenute.
Il Tribunale, inoltre, evidenzia le posizioni assunte da diversi organismi internazionali che si sono espressi in favore della liberazione dei migranti trattenuti nei centri di detenzione e sui rischi per la salute delle persone connessi al protrarsi delle misure di limitazione della libertà personale.
Le decisioni del Tribunale di Roma e di altri organi giurisdizionali sul territorio nazionale confermano quanto la Clinica – insieme a diverse realtà associative e sociali – afferma dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Il trattenimento delle e dei migranti si pone oggi in palese contrasto con l’obbligo delle autorità di tutelare la salute delle persone migranti e in aperta contraddizione con la sua funzione – comunque a nostro avviso illegittima – di agevolare l’adozione di misure di rimpatrio nei paesi di origine.
Ribadiamo quindi ancora una volta la necessità e l’urgenza di chiudere i CPR, di liberare le persone trattenute e di offrire misure alloggiative adeguate a chi non ha una casa dove stare in sicurezza.
Legal Clinic Roma Tre

Sardegna – Riprendono a breve le esercitazioni militari a Quirra e Capo Frasca

A Foras: «Ora è ufficiale: a fine aprile riprendono le esercitazioni a Quirra e Capo Frasca. La smentita dell’Aeronautica è durata solo un paio di giorni. Dopo Pasqua lanceremo una mobilitazione e una campagna per chiederne lo stop immediato e il reinvestimento dei soldi risparmiati nel potenziamento della sanità pubblica. Stiamo a casa, ma non stiamo zitti»

Qualche giorno fa avevamo denunciato il rischio che riprendessero in Sardegna le esercitazioni militari, anche approfittando dell’azzeramento del traffico aereo civile sui cieli dell’isola. Dall’Aeronautica Militare era arrivata, a mezzo agenzia, una secca smentita.

Ieri la conferma definitiva: le esercitazioni ci saranno. Dal 22 al 30 aprile si sparerà nel Poligono di Quirra e sono già state rese note le ordinanze di sgombero. Dal 20 al 30, la notizia la apprendiamo dalla stampa ma ancora non sono state pubblicate le relative ordinanze, a Capo Frasca. Probabilmente l’attività nei due poligoni si svolgerà in coordinamento, grazie all’istituzione dei tre corridoi aerei da cui è partita la nostra denuncia dei giorni scorsi.

Quest’atteggiamento è del tutto irrispettoso nei confronti della crisi sanitaria ed economica che sta colpendo la Sardegna in queste settimane e delle quali, al momento, non è possibile intravvedere la fine.

Centinaia di migliaia di euro verranno sperperati, per giocare alla guerra con i caccia e i bombardieri sulle nostre teste. Mentre centinaia di migliaia di sardi rischiano di perdere il lavoro e di sprofondare nell’abisso della crisi economica più nera.

Non siamo stupiti, sappiamo che per i vertici militari italiani questa terra non è altro che uno scacchiere dove addestrare le truppe ed esercitare la propria potenza distruttiva. Ma non staremo zitti, neanche stavolta.

Da dopo Pasqua lanceremo una campagna per chiedere l’immediato stop delle esercitazioni e il reinvestimento dei soldi risparmiati nel potenziamento della sanità pubblica isolana. Invitiamo fin da ora tutti i sardi e le realtà politiche che hanno a cuore il destino di questa terra a tenersi pronti, perché non possiamo lasciar passare sotto silenzio questo ennesimo affronto.

Sardegna. Riprendono a breve le esercitazioni militari a Quirra e Capo Frasca

War games. Usa e Nato ai tempi del Coronavirus

Non vanno mai in vacanza le guerre e neanche in quarantena. Guai poi a  sospendere i war games o la produzione dei sistemi di morte. In tempo di pandemia, il massimo concesso da generali e ammiragli è quello di “rimodulare” o “ridimensionare” le maxi-esercitazioni previste in primavera nel cuore d’Europa. E’ quanto accade in questi tragici giorni con Defender Europe 2020, presentata come la più

“massiccia mobilitazione” delle forze Usa e Nato degli ultimi venticinque anni e che solo dopo l’esplosione del coronavirus a livello mondiale e la defezione delle forze armate dei paesi più colpiti è stata ipocritamente trasformata in un’operazione militare di routine delle artiglierie terrestri al confine con la “cattiva” Russia. “In risposta all’odierna esplosione del virus COVID-19 e alle recenti linee guida del Segretario della Difesa, abbiamo modificato l’esercitazione Defender Europe in dimensioni e scopo”, ha annunciato il 15 marzo scorso il Comando delle forze armate Usa in Europa. “Sono stati bloccati tutti i trasferimenti di personale e mezzi dagli Stati Uniti all’Europa. La salute e la sicurezza dei nostri militari, civili e familiari è la nostra prima preoccupazione. Abbiamo fatto gli appropriati aggiustamenti così non si terranno più le esercitazioni collegate a Defender Europe come Dynamic Front, Joint Warfighting Assessment, Saber Strike e Swift Response. Anticipiamo che la brigata da combattimento già schierata in Europa condurrà esercitazioni a fuoco e altri addestramenti con gli Alleati nell’ambito dell’esercitazione modificata Allied Spirit. Le altre unità schierate nel continente faranno ritorno negli Stati Uniti. Con questa decisione, continueremo a preservare l’efficienza delle nostre forze armate, massimizzando i nostri sforzi a favore dei nostri alleati e partner”.

Nonostante il “ridimensionamento” a sparare nei poligoni di Germania, Polonia e Repubbliche baltiche resteranno 6.000 militari statunitensi più i 3.000 carri armati giunti via mare dagli Usa a partire da gennaio e altri 9.000 tra pezzi d’artiglieria, blindati e mortai provenienti dai depositi “pre-posizionati” nel vecchio continente (tra essi anche l’hub di Camp Darby in Toscana). A metà marzo neanche US Air Force si è lasciata intimorire dal coronavirus: rispettando il cronogramma addestrativo programmato, alcuni bombardieri strategici B-2 “Spirit” a capacità nucleare sono stati trasferiti dagli Stati Uniti negli scali di Lajes Fied nelle Azzorre (Portogallo) e Fairford (Gran Bretagna). Per Washington e alleati Nato, Defender Europe doveva essere un test chiave per saggiare l’efficienza e la tenuta delle grandi reti infrastrutturali dell’Europa nord-centrorientale (porti, aeroporti, autostrade e ferrovie) in caso di dispiegamento di un imponente numero di uomini e mezzi per “contrastare” una potenziale aggressione da parte di un nemico esterno (leggi Russia). “I convogli di Defender Europe si muoveranno agilmente lungo 4mila chilometri perché l’Ue, la Nato e il Comando europeo degli Stati Uniti hanno lavorato insieme per migliorare le infrastrutture”, ha dichiarato il generale Tod D. Walters, comandante supremo alleato in Europa. Quello della massima efficienza della mobilità per fini militari è uno dei temi cardine della sempre più stretta alleanza tra Unione europea e Nato. “Bruxelles, tramite l’Agenzia Europea della Difesa (EDA), sta lavorando sulla mobilità militare e Defender Europe aiuta in parte a capire dove sono necessari ulteriori investimenti”, ha spiegato a Rai News Andrea Gilli, senior researcher del Nato Defense College. Nel 2014 l’EDA si è assunta il compito di sviluppare un progetto finalizzato ad “armonizzare” le procedure che consentono alle truppe e all’equipaggiamento militare di “attraversare facilmente” l’Europa. Si tratta dell’EU Multimodal Transport Hub, sostenuto economicamente da 14 membri Ue e che nei prossimi anni dovrebbe comportare investimenti per svariati miliardi di euro per “promuovere reti e infrastrutture di trasporto dual-use” (civili e militari) nel vecchio continente.

Proprio la concezione stessa di “libera mobilità” delle forze armate in tempi di pandemia ha sollevato fondati allarmi tra la popolazione. Le immagini pubblicate sui social da Comandi Nato e Usa documentano come gli sbarchi di uomini e mezzi in Belgio, Germania e Olanda siano avvenuti senza alcun minimo accorgimento o protezione anti-coronavirus (l’uso di mascherine è stato inesistente). Non si sono contanti gli abbracci e le strette di mano tra i militari e i capi di stato e i diplomatici che li hanno accolti all’arrivo in Europa e, peggio ancora, l’allarme epidemia influenzale non ha fermato il tour melle piazze e nei teatri della Polonia della rock band dell’esercito Usa. Comportamenti irresponsabili e del tutto inspiegabili anche alla luce delle preoccupazioni manifestate pubblicamente dagli alti comandi dell’Alleanza. La schizofrenia al potere: da una parte nessuna volontà di cancellare tout court le grandi manovre in Europa; dall’altra, per ragioni di “massima sicurezza” sono state annullate a poche ore dal loro inizio le due grandi esercitazioni programmate dal Pentagono nel continente nero: African Lion (con oltre 3.800 militari provenienti dai reparti d’èlite come la 173rd Airborne Brigade di stanza a Vicenza e il 31st Fighter Wing di Aviano e altre 5.000 unità di una decina di paesi tra cu Marocco, Senegal, Tunisia, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Spagna) e Obengame Espress nel Golfo di Guinea.

Nessuno stop invece per l’esercitazione aerea multinazionale che si tiene annualmente in Nevada (Red Flag). Così, mentre il nostro paese veniva sottoposto a pesantissime limitazioni negli spostamenti, il ministero della Difesa ha autorizzato il trasferimento negli Stati Uniti dei reparti dell’Aeronautica militare di stanza nelle basi di Pisa, Grosseto, Pratica di Mare, Amendola e Trapani-Birgi. “Il deployment operativo e logistico in Nevada è stato portato avanti dalla nostra Forza Armata come pianificato, nonostante i concomitanti sforzi organizzativi in campo nazionale nell’ambito delle attuali azioni di contrasto e gestione dell’emergenza COVID-19”, ha sfacciatamente rivendicato lo Stato maggiore dell’Aeronautica.

Nessun problema neanche per l’esercitazione Dynamic Manta che la Nato ha effettuato nelle acque del mar Ionio e del Mediterraneo centrale dal 24 febbraio al 6 marzo per “garantire l’interoperabilità costante tra le forze aeree, di superficie e subacquee nella lotta anti-sommergibile”. Ai war games hanno partecipato ben cinque sottomarini, sette unità da guerra e cinque velivoli per il pattugliamento aereo di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Turchia, Canada, Spagna, Stati Uniti e Turchia. Principale base operativa l’immancabile stazione aeronavale di Sigonella, ma è stato rilevante pure il ruolo di altre importanti installazioni ospitate in Sicilia (i porti di Catania e Augusta, lo scalo aereo “civile” di Fontanarossa). “Nelle ultime due settimane potreste aver notato un aumento del numero di personale della Nato a Sigonella, specificamente a NAS I, intorno al flightline e a cena nel nostro ristorante Bella Etna”, ha scritto il 14 marzo il tenente Karl Schonberg sul profilo ufficiale facebook della base siciliana. Una massiccia affluenza di militari alleati che ha comportato il tutto esaurito nei locali pubblici di Sigonella. Bar e ristoranti che, come documentano i video postati sullo stesso profilo, non sono mai stati chiusi nonostante le rigide disposizioni del governo italiano. Se il coronavirus non conosce confini, Washington difende a denti stretti l’extraterritorialità delle proprie basi d’oltremare.

Articolo pubblicato in Mosaico di pace, n. 4, aprile 2020

War games. Usa e Nato ai tempi del Coronavirus

Sguardo obliquo

Guarda a tutt’occhi, guarda.”
Jules Verne

La prima battaglia culturale è stare di guardia ai fatti.”
Hannah Arendt

La disinformazione giornalistica scomposta ed emergenziale sta facendo da narratrice unidirezionale alla situazione complessa in cui siamo immersi da un mese a questa parte. Improbabile trovare un’unica lente di osservazione ed analisi per affrontarla. Molti piani, prospettive e dinamiche si mescolano e intrecciano richiamando relativi interessi e protagonisti di processi già in corso.
C’è da dire che, come spesso accade nella storia, avvenimenti emergenziali accelerano determinati processi e in questo caso affiorano chiaramente quelli che sono gli obiettivi che, grazie a questa pandemia, si vorrebbe raggiungere.
L’eccezionalità permette di spostare il confine dell’accettabile in modo poco rumoroso e senza preavviso, attuando delle “trasformazioni silenziose” irreversibili.
È importante che gli scenari non siano previsioni. Piuttosto, sono ipotesi ponderate che ci permettono di immaginare, e poi di provare, diverse strategie per essere più preparati per il futuro – o più ambiziosi, come aiutare a plasmare un futuro migliore… gli scenari sono un mezzo attraverso il quale è possibile non solo immaginare ma anche attualizzare un grande cambiamento” (Rockfeller Foundation).
E’ stata imposta la frammentazione sociale con la retorica del “distanziamento come nuova forma di solidarietà” mentre in alcune fabbriche il frastuono dei macchinari continua incessante per non interrompere il flusso di capitale.
Lampante è l’esempio di alcune aziende della bergamasca, la Tenaris Dalmine, del gruppo Techint, tra tutte. Specializzata nella fornitura di tubature per il settore petrolifero, non ha mai smesso la sua produzione spalleggiata dall’amicizia “disinteressata” con i sindaci dei comuni bergamaschi.
Una fabbrica che se anche avesse chiuso non avrebbe perso i propri profitti dal momento in cui gli stessi proprietari possiedono anche l’ospedale polispecialistico privato Humanitas Gavazzeni.
Da una parte o dall’altra il guadagno sulla pandemia era assicurato.
Un sinistro teatrino per far sì che “le bugie sembrino sincere e l’omicidio rispettabile” (G. Orwell).
Un’emergenza che mette ancora più in luce quelli che sono i meccanismi della vita sociale, tracciando ancora più profondamente i confini tra la classe dominante e quella degli sfruttati, appiattendo le soggettività a favore dell’utilitarismo in cui l’operaio è ridotto a mero strumento e l’anziano deceduto a numero statistico con cui concorrere con le percentuali di mortalità degli altri paesi.

Il quotidiano bollettino giornalistico della conta statistica dei morti scandisce questi giorni di quarantena. L’amministrazione della morte, come della vita, diventa materia prima per calcoli matematici trasformando la quotidianità in un vetrino da microscopio.
Non bastano più i dati digitali raccolti da una mano che tocca un touchscreen, servono i dati biometrici di quella mano.
I corpi diventano luogo dell’estrazione, mezzo, fonte e spazio della sorveglianza.

L’efficacia dei governi si misura in base alla loro capacità di cambiare il comportamento quotidiano delle persone”.
Fin dall’inizio dell’emergenza è apparsa scontata l’attivazione di piattaforme di smart working (utilizzata da più del 70% e che con le ultime disposizioni per la fase 2 si appresta a diventare obbligatorio in alcuni settori) e didattica online (utilizzata dal 98% del settore) mettendo in luce che dal momento in cui queste sono immediatamente operative significa che un’infrastruttura in grado di sostenere miliardi di interazioni in rete con un sovraccarico extra che in questo momento ha toccato punte del +90%, già esisteva.
Il contesto emergenziale sta creando così la condizione ferace per l’avanzamento dei processi tecno-scientifici, alcuni dei quali sono avvalsi proprio dall’accettazione sociale creata dalla produzione della paura e nella visione salvifica della tecnologia.
Si parla di semplificare le lungaggini burocratiche per l’amplificazione della rete proprio nelle zone più piegate dal virus, Lombardia in primis.
Da un punto di vista tecnologico un piano di emergenza a breve termine per dotare un’area limitata come la regione Lombardia di una rete 5G immediatamente operativa è perfettamente realizzabile” dice l’amministratore delegato di ZTE Italia.

Gestire la crisi mentre si costruisce il futuro” ha un’accezione assolutamente negativa dal momento in cui il futuro che viene costruito è il loro, in cui noi e le nostre interazioni diventiamo pellet di dati per saziare gli algoritmi.
Stiamo assistendo ad un’equiparazione tra il nostro mondo e il funzionamento di una macchina in cui ogni movimento è perfettamente regolato, monitorato e oleato.
Basta guardare i 17 specialisti scelti dal governo Conte che faranno parte della Task Force che si occuperà “Fase 2” per la ripartenza del paese. Significativo che a guidarla sarà proprio l’ex amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, che verrà fiancheggiato da numerosi tecnici ed esperti tra cui Roberto Cingolani, l’attuale responsabile dell’innovazione tecnologia di Leonardo e direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Ad essi è affidato il compito di “ripensare l’organizzazione della nostra vita e preparare il graduale ritorno alla normalità”.
Una ri-organizzazione commissionata a tecnici, accomodati dallo Stato e i suoi amministratori,che ci porterà in una direzione tutt’altro che misteriosa.
Sul suolo italiano, Vodafone, è stata la prima compagnia telefonica – una delle più grosse al mondo – ad aver investito nell’infrastruttura del 5G. Nei primi mesi dell’anno scorso era l’unica compagnia ad offrire una copertura 5G nelle cinque città pilota italiane (Milano, Bologna, Torino, Napoli e Roma).
La scelta di creare una task force con a capo proprio l’ex amministratore delegato è una scelta ben precisa mirata a sostenere lo spirito tecnologico dominante mettendo in luce le “affinità elettive” tra sistema tecnico e potere statale.
Proprio qualche giorno fa l’attuale CEO di Vodafone, durante un’audizione presso Montecitorio ha preso voce rispetto alle prospettive future del paese dichiarando che “So bene quanto l’importanza della tecnologia e delle reti fosse già nota […]. Vi segnalo che abbiamo deciso di focalizzare parte dell’attenzione e dell’impegno che stiamo mettendo in campo sulle esigenze sanitarie che possono essere sviluppati grazie alla diffusione del 5G e delle sue applicazioni.
Vodafone sta rafforzando la collaborazione con ospedali e istituti di cura per mettere a disposizione della salute degli italiani le tecnologie più avanzate e per aiutare i nostri
medici e infermieri nel loro prezioso lavoro a favore della comunità. […].”
Dopo una serie di premesse per mettere in luce la ramificazione del potere dell’azienda in questa situazione emergenziale, si passa al reale interesse di tale dichiarazione chiedendo “un immediato adeguamento dei limiti di campo elettro-magnetico al livello degli altri principali Paesi europei (in Italia abbiamo i limiti più restrittivi dell’intera Unione Europea) e sono necessarie misure di semplificazione, avvalendosi degli istituti già noti al nostro ordinamento dell’auto-certificazione e del silenzio-assenso.”
Quale momento più ideale per uscire allo scoperto? Soprattutto dal momento in cui i lavori per la nuova infrastruttura 5G sono già in corso da diverso tempo (le pubblicità e i documenti ufficiali parlano piuttosto chiaramente a riguardo) centinaia antenne già installate, quindi di fatto lo spostamento dell’asticella dei limiti di tollerabilità è già in atto e questa pantomima col governo probabilmente rappresenta unicamente una formalizzazione necessaria per l’istituzionalizzazione della rete 5G.
La stessa Vodafone la ritroviamo nel servizio di messaggistica gratuita correlato alle applicazioni per il monitoraggio e la mappatura delle persone in fase di progettazione e attuazione su tutto il territorio.

Vodafone insieme a Google, Facebook, Amazon, Apple, Microsoft e altri nel settore hanno potuto così proporsi per collaborare alla gestione dell’emergenza sfruttando un momento di vulnerabilità per applicare delle condizioni altrimenti premature. Condivisione di dati e mappature digitali, creazione di applicazioni ad hoc e “solidarietà digitale” sono alcuni esempi di come, sottochiave umanitaria, le grandi multinazionali della sorveglianza hanno potuto ulteriormente ingrassare i loro server di dati e scavalcare alcuni scalini per l’accettazione di innovazioni tecnologiche.
In un futuro non troppo lontano sarà proprio in nome della sicurezza sanitaria “digitale”, della comodità del lavoro “flessibile” e della formazione scolastica che le infrastrutture per le città intelligenti verranno implementate barattando l’illusione di una libertà nelle comunicazioni illimitate con controllo e sorveglianza totali.
Un processo alla quale siamo indotti a partecipare, arruolati nel progresso tecnico, e nel quale ci confesseremo quotidianamente – tramite i dispositivi tecnologici – per un bisogno interiore sapientemente manipolato da un nuovo potere totalizzante, fluido, consensuale, a “misura d’uomo”.
La parvente “benevolenza” di un potere è ciò che lo rende così efficace.

In Cina, a emergenza finita – almeno per il Coronavirus – ogni spostamento ed interazione sono registrati, analizzati tramite DataMining e classificate tramite smartphone. Se si sale su un pullman, su un treno, si entra in stazione o in una determinata zona della città, c’è un QRcode da scansire in modo che il sistema registri il passaggio. Un’amministrazione automatizzata delle condotte che tramite incroci di dati, alcuni dei quali neanche ci immaginiamo, analizza ogni aspetto della vita in un processo prescrittivo dal quale siamo esclusi.
Una nuova implementazione al Sistema di Credito Sociale¹ che il governo cinese si era prefissato di rendere completamente operativo proprio quest’anno dopo una fase “sperimentale” di 6 anni alla quale sarebbe seguita l’adesione obbligatoria per tutti i cittadini. Ora, quindi, alle quattro macroaree scansionate da questo sistema (onestà negli affari di governo, integrità commerciale, integrità sociale e credibilità finanziaria) si aggiunge l’area riguardante i dati sanitari delle persone completando il profilo bio-sociale.
Il contesto cinese, insieme a ciò che sta avvenendo in Corea del Sud, Singapore ed Israele seppur con considerevoli differenze, è sicuramente importante ma basta dare un’occhiata a tutto ciò che sta avvenendo sul suolo italiano per accorgersi che il controllo e la gestione sociale di Xi Jinping non è poi così lontano come sembra.
L’emergenza Coronavirus, quindi, è la tempesta perfetta che ha permesso al governo cinese il rafforzamento e l’implementazione di quei sistemi già inaccettabili ma attivi da diversi anni, alzando ulteriormente la soglia dell’accettazione sociale.
Quel che viene presentato come un sistema extra-ordinario per mappare il contagio serve unicamente a renderci partecipi al nostro profilamento e alla nostra sorveglianza.
Le tecnologie più profonde sono quelle che scompaiono. Si legano al tessuto della vita quotidiana fino a diventare indistinguibili da esso” S. Zuboff.
Con App che ti dicono se puoi essere contagiato da Coronavirus, da puntatori biometrici che controllano la tua temperatura, droni che sorvegliano città come sentieri di montagna per la tua sicurezza, velocemente si concretizza un mondo nuovo in cui la realtà viene scomposta, riassemblata e ripropostaci da compagnie e governi.
Per riprendere D. Lyon “diventiamo la sintesi delle nostre transazioni, meccanismi di classificazione” in cui è l’algoritmo di un telefono a intimarci in quale modo possiamo agire all’interno di uno spazio determinato.
La quotidianità che conoscevamo viene macinata per costruire un nuovo futuro con una velocità tale da paralizzare la consapevolezza e creare enormi vuoti.
Ancora una volta l’inevitabilità della soluzione tecnologica ci viene riproposta.
Una ideologia pericolosa, contagiosa.
Ancora una volta si confonde una strategia calcolata nel dettaglio in una precisa contingenza storica come un avvenimento assolutamente emergenziale, extraordinario che si propone di gestire una situazione difficile nel modo meno impattante possibile.
Ci abitueremo così alla “Calm Technology” e senza accorgercene saremo immersi nel tecnomondo che scompare negli ambienti della nostra quotidianità facendoci perdere di vista il confine tra reale e artificiale.

Numerose sono le metafore alla guerra riferendosi a questa pandemia. Ma se una guerra è in corso, è quella contro la natura, la natura umana, la sua socialità e la sua volontà di pensare e agire. Una guerra lampo, che colpisce con velocità e che tenta di lasciare intorno a sé solo soggetti inermi, confusi, soffocati. A differenza però della guerra, fatta di ”menzogne unificanti”, a cui fanno riferimento giornalisti e amministratori statali di vario genere che spingono al nazionalismo verso un nemico esterno – ed interno -, questa offensiva deve creare consapevolezza della realtà che prende forma intorno a noi, veloce, e spingerci ad avere “sangue freddo per pensare l’impensabile”.
Una narrativa frammentaria e funzionale ha dirottato i sentimenti e i pensieri verso la piena fiducia nei leader statali e del settore delle telecomunicazioni, tecnocrati e ricercatori di varia fattura. C’è spazio per ogni esperimento se può aiutare a salvarci dalla pandemia. Dalle manipolazioni genetiche con CRISP-Cas9, agli esperimenti sulle scimmie, ai progetti di vaccini sintetici in giro per il mondo, ai chip impiantati sottopelle, l’ignoranza e la paura spalancano le porte al sistema tecno-scientifico.
Negli USA e in Cina si parla già di una corsa geostrategica delle biotecnologie.
Le potenze mondiali si spintonano per accaparrarsi i laboratori migliori ed assicurarsi un posto in prima fila nella gara al vaccino e alle sperimentazioni sulle persone.

Tra i più colpiti da questa pandemia sono sicuramente gli anziani.
Dopo il 1985, anno riconosciuto come quello della prima generazione di quelli che Mark Prensky ha battezzato nativi digitali, e nei decenni successivi ancora di più, la realtà che oggi viviamo è percepita come l’unica vivibile, impensabile un passato diverso privo di comodità digitali e tecnologie suadenti.
Corriamo verso un mondo, come immaginava J.Verne ne La Parigi del XX secolo, dominato dalla tecnica e i suoi ingegneri in cui l’arte, la letteratura, l’umanità diventavano prendi-polvere ammassati in biblioteche abbandonate, dimenticate da tutti.
Questo virus colpisce principalmente le ultime generazioni di “affezionati” all’epoca pre-digitale della storia umana, i meno adattabili a questo nuovo sistema algoritmico, innervato da reti, sensori e chip. Con essi se ne vanno i racconti che descrivono l’oggi come un incubo di fantascienza assolutamente inimmaginabile qualche decennio fa.
Come scrive H. Keyeserling “dovunque penetri la tecnica, non resiste alla lunga alcuna forma di vita pre-tecnica”.
Anche se le nuove avanguardie tecnologiche sono pensate per inglobare tutte le fasce d’età con i nuovi progetti di Active and Assisted Living perchè “non può esistere una smart city senza cittadini smart e soprattutto anziani smart!”.
La memoria è indispensabile anche perché ci rammenta mondi altri, possibili, esistiti e che possono esistere sotto altre forme.
La memoria ci salva dall’inevitabilità del presente che sembra schiacciarci fino a soffocare ogni volontà ed è indispensabile, ma non può essere la chiave di lettura di questo presente.
Le nuove forme di potere che agiscono sull’oggi non hanno antecedenti storici ed analizzarli sotto la lente di modelli passati sarebbe un errore che non ci permetterebbe di coglierne in pieno le peculiarità e di conseguenza di trovare le strategie per opporvisi.

I giornali di sinistro gusto vendono migliaia di copie per i continui articoli sulla sterile conta statistica dei morti, in strada tra il vicinato non si parla d’altro.
Nelle ultime settimane in città il lutto fa da metronomo a queste giornate silenziose.
Ma se c’è un senso di lutto che sicuramente dobbiamo avere è quello per tutto ciò che ci stanno togliendo. Per tutta la libertà individuale che si stanno accaparrando e per tutta la distruzione che inesorabilmente sferzano contro la Terra e i suoi abitanti.
I tempi in cui non ci sarà più stupore e sgomento saranno i tempi in cui ci saremo normalizzati ad uno stato di cose inaccettabili. Rivendichiamoci il nostro stupore e la nostra meraviglia, fatta di rabbia e angoscia, perché sono quei sentimenti che stimolano alla consapevolezza, all’agire e alla volontà di volere senza aspettare i tempi in cui i sentimenti diventeranno “diritti” che lo stato ci concede.

Quanto prima di dimenticarci chi eravamo quando non eravamo ancora di loro proprietà, chini nella penombra a studiare vecchi libri che parlano di autodeterminazione, con uno scialle a scaldarci, la lente d’ingrandimento in mano, come se stessimo decifrando antichi geroglifici?”
S. Zuboff

Nella
Bergamo – 14 Aprile 2020

¹ Sistema di Credito Sociale cinese: il sistema nazionale per la classificazione dei cittadini funzionante tramite l’incrocio di informazioni riguardanti la condizione sociale, economica e la valutazione comportamentale di ogni individuo. Non si tratta solamente di un sistema di sorveglianza capillare e di massa ma di una precisa architettura tecnica per manovrare i comportamenti verso una direzione programmata.
E’ basato su tecnologie per l’analisi di Big Data che, tramite l’assegnazione di punteggi, crea caratteri di inclusione od esclusione nella società trasformando i punti in “diritti” che, proprio come dei punti, possono essere persi o acquisiti. Il programma prevede la stesura di liste nere esposte pubblicamente. Un sistema che incita alla partecipazione dei propri cittadini secondo un principio di interiorizzazione, affidando a meccanismi automatizzati il mantenimento dell’ordine sociale. E’ in vigore dal 2014, in fase di sperimentazione e adattamento, e da previsioni programmatiche si appresta a diventare obbligatorio per tutti i cittadini proprio quest’anno.

Sguardo obliquo

Palmaro di Pra, Genova – Insulti dai balconi contro la polizia locale

La polizia locale interviene per spegnere della musica diffusa da un garage, ma la reazione del quartiere è ancora più rumorosa della musica diffusa

Video da Facebook

https://www.facebook.com/stefano.lazza/videos/10217183699884503/?__xts__[0]=68.ARCf564y1cJojTuDF9ZSG31opV_Q0T8z7Y4CM9-rJWE0l8UuO1z-NBI4EqqNmYelGV3_4dmEhJJTTsIy-6eLn773zB0cC7_aeKTnpRR3adIhGKO3ddgf-BVVjjoT4-KyHMODg89pNMdcvcQWv90slKyiiXnE5M8CzQP1e3Sg7gkPFKrHL3U7i8ZuExjgitVfjQr5TKX9FHvr–K4oz_vMukY3qMohbu1MJW5qwGFLs8fUA25ccEJ7MfJu48GxSUJS58eK0FhL01xC8YPnQ&__tn__=H-R

 

Trento – CARNE DA MACELLO. Non parlatemi di eroi ed eroine!

Testo affisso sui muri di Trento da una compagna :

CARNE DA MACELLO

Non parlatemi di eroi ed eroine!

Molti operatori socio sanitari che assistono gli anziani avrebbero preferito evitare di continuare a lavorare rischiando ogni giorno il contagio (e la vita) a causa della mancanza dei dispositivi di sicurezza adeguati nelle strutture in cui esercitano. Usare il termine “eroe” serve solamente a nascondere il ruolo che sono costretti a ricoprire in tutta questa situazione, quello di carne da macello.

Nonostante l’amore e la professionalità che tanti di loro hanno sempre dedicato nella cura degli anziani, in queste settimane avrebbero voluto evitare di trascorrere ore ed ore a stretto contatto con ospiti e colleghi contagiati, privi delle tute protettive, degli occhiali, delle mascherine (quelle che ti proteggono veramente). Avrebbero preferito evitare di lavorare in contesti lavorativi disorganizzati, in cui la dirigenza si sta rivelando completamente inadeguata alla situazione.

Ma questo è ed è sempre stato il lavoro. Una volta firmato il contratto, il tuo capo crede che tu sia di sua proprietà. Non si sente tenuto a spiegare con chiarezza quali sono le condizioni ed i rischi in cui incorrerai. E se gli chiedi delucidazioni, gli dai fastidio. Siccome è convinto di possederti, alle tue critiche e titubanze risponde in malo modo ed evasivamente. Esige che tu esegua gli ordini senza proferire parola.

La figura dell’operatore sanitario è sempre stata considerata l’ultima ruota del carro del sistema sanitario, raramente valorizzata dai datori di lavoro sia per quel che riguarda lo stipendio, sia per quel che riguarda la considerazione professionale. Usare il termine “eroe” non cambia la sostanza: quando sei costretto ad andare a lavorare, quando ti negano spiegazioni precise e dettagliate sulle condizioni a cui andrai incontro, quando non ti forniscono i dispositivi di protezione adeguati, quando ad ogni tua critica e titubanza rispondono con arroganza, sei carne da macello.

Una

CARNE DA MACELLO. Non parlatemi di eroi ed eroine!

“Conosci il nemico come conosci te stesso”: sull’operato recente di RWM Italia

“Conosci il nemico come conosci te stesso. Se farai così, anche in mezzo a cento battaglie non ti troverai mai in pericolo. Se non conosci il nemico, ma conosci soltanto te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari alle tue possibilità di sconfitta.”
L’arte della guerra, Sun Tzu

Mai sottovalutare i propri nemici, o leggere superficialmente le loro azioni. L’adagio di Sun Tzu, all’opposto, ci spinge ad andare in profondità nella conoscenza dell’avversario, a scrutare con attenzione le sue mosse per dedurne ogni dettaglio, per arrivare, in altre parole, a saper interpretare le sue intenzioni con la stessa chiarezza con cui formuliamo le nostre.

È a partire da questa prospettiva che analizziamo il recente operato di RWM Italia, in particolare rispetto alla sua presenza nel Sud Sardegna.

Ci siamo già occupati in passato di questa azienda che da qualche anno è divenuta nota per essere produttrice ed esportatrice di armamenti soprattutto (ma non solo) verso il Medioriente ed i suoi scenari di guerra.
L’attuale stato di emergenza dovuto alla pandemia da covid-19 ha portato ad un ridimensionamento delle attività produttive: il governo ha stabilito una differenziazione fra produzioni a carattere essenziale e non essenziale ed abbiamo già constatato come l’industria bellica, per lor signori, rientri nella prima categoria.
L’RWM è sembrata, in un primo momento, andare in controtendenza rispetto a questa decisione annunciando uno stop temporaneo alla produzione: un atto di responsabilità, in quanto lo stabilimento di Domusnovas è classificato ad alto rischio di incidente rilevante, ed un incidente in questo periodo di grande emergenza caricherebbe il sistema sanitario locale di un peso insostenibile. L’annuncio è stato subito rilanciato ed amplificato da vari media, assieme alla notizia che mascherine e vari dispositivi di protezione sarebbero stati donati dall’azienda ad ospedali e forze dell’ordine. Insomma, dei benefattori.
Se non avessimo fatto nostro l’adagio di Sun Tzu potremmo anche fermarci qui ed occuparci di altro; invece, ancora una volta, occorre guardare più in profondità.

Innanzitutto, il Piano di Sicurezza Esterno dello stabilimento è obsoleto: è scaduto otto anni fa e non è mai stato aggiornato, e nella sua ultima versione fa riferimento ad una realtà con ipotesi di produzione prevalentemente civile – il che rende la prospettiva di un incidente ancor più tragica di quanto già sarebbe normalmente. In secondo luogo, l’attività dell’azienda non si è fermata: proseguono, infatti, le operazioni di ampliamento che interessano soprattutto il vicino comune di Iglesias. L’ampliamento in questione corrisponde alla creazione di una nuova linea produttiva, di capacità superiore a quella già esistente, di un nuovo reparto di assemblaggio e caricamento di munizioni, e di altri locali che avranno funzione prevalentemente logistica.
Non si tratta di marginali modifiche, ma di un raddoppiamento della capacità produttiva, la cui realizzazione peraltro, con immensi scavi e la creazione di terrapieni artificiali, sconvolgerà il profilo dell’ecosistema circostante in maniera drammatica.
La richiesta originale risale ormai al 2017 e, da allora, prosegue in maniera “opaca”: essa avviene infatti attraverso piccole, mirate richieste fatte ai comuni di riferimento, i quali serenamente approvano ogni singola istanza della fabbrica. Invece di presentare un progetto complessivo (dal quale emergerebbe la necessità di più avvedute verifiche in vista di un mutamento paesaggistico così rilevante, in un’area considerata oltretutto di interesse pubblico e classificata come “boschiva”), RWM parcellizza la richiesta di autorizzazione sminuzzandola in mille rivoli. Ed ecco il colpo finale: solo nel mese di marzo, in piena emergenza sanitaria e sociale, il comune di Iglesias ha velocemente approvato ben otto di queste richieste.

Tutto questo ad oggi è stato denunciato da vari comitati ad associazioni che si muovono su base locale e nazionale (qui ad esempio il comunicato di Italia Nostra), e non ha certo ottenuto dai media la stessa risonanza accordata invece agli annunci parziali dell’azienda. Alcuni di questi gruppi sono promotori di un ricorso al TAR il cui obiettivo è quello di bloccare l’intero ampliamento, dunque le varie autorizzazioni concesse dal comune arrivano in un momento in cui sull’opera complessiva pende ancora il giudizio di legittimità.

La sfacciataggine di RWM non ci stupisce, ma di certo non ci lascia indifferenti.
Abbiamo di fronte un nemico cinico e senza scrupoli: non ci aspettiamo nessun ravvedimento da parte di questi assassini in giacca e cravatta, men che meno ci lasciamo incantare dalla loro carità.

Limassol (Cipro) – L’epidemia di incendi di antenne a relè si sta diffondendo

Traduzione fatta da plagueandfire.noblogs.org

https://demesure.noblogs.org/archives/1394

Limassol (Cipro): l’epidemia di incendi di antenne a relè si sta diffondendo

Sabato sera, 11 aprile, ignoti hanno dato fuoco a un’antenna di telefonia mobile a Limassol, la seconda città più grande di Cipro e la polizia ha subito ipotizzato che gli oppositori della rete 5G l’avessero incendiata, dicendo che sull’isola non era ancora stata installata.

Dato che prevenire è meglio che curare, come si usa dire al tempo del covid-19, questo incendio può essere stato il risultato di un trattamento preventivo applicato al pilone? O molto semplicemente, ci sono molte altre ragioni per attaccare questo tipo di strutture di telecomunicazione e le voci sul collegamento tra 5G e covid non hanno nulla a che vedere con questo. Certo è che il fuoco è una buona cura per qualsiasi virus, compreso il virus pandemico tecnologico. Al prossimo!

Limassol (Cipro): L’epidemia di incendi di antenne a relè si sta diffondendo

Lozère/Gard (Francia) – Sabotare le strutture (capacità) della pandemia tecnologica (73 comuni)

https://plagueandfire.noblogs.org/lozere-gard-france-saboter-les-capacites-de-la-pandemie-technologique-73-comunes/

Lozère: un atto vandalico provoca un guasto a siti internet e cellulari

Midi Libre, 14 aprile 2020

Un atto malvagio ha visto tagliare una fibra ad alta capacità della rete Orange, privando circa 23.000 clienti di internet e di servizi mobili per 12 ore.

L’interruzione si è verificata lunedì intorno alle 17.00 sulla rete Orange. Internet è stato interrotto e la rete di telefonia mobile è stata gravemente danneggiata. 73 comuni delle regioni Lozère e Gard, ovvero più di 23300 clienti sono stati improvvisamente colpiti, tra cui più di 900 aziende e 400 professionisti. 12.260 clienti sono stati privati di 2G, 24.140 di 3G. Un vero e proprio “disastro” in un periodo di reclusione e telelavoro a poche ore dal discorso del Presidente della Repubblica.

Questo guasto è stato causato dal taglio di un cavo in fibra ottica ad alta capacità che serve i comuni. I tecnici di Orange si sono subito messi a lavoro presso l’ufficio centrale di Mende, aspettandosi di ripararlo in serata. Stanchi. La mattina presto, gran parte degli abitanti di Lozère erano ancora scollegati.

Tuttavia, il blackout è stato localizzato nella notte, vicino a un binario ferroviario. I tecnici hanno potuto intervenire questa mattina, con l’autorizzazione della SNCF. Alla fine della mattinata, le riparazioni sono state effettuate e le case e le imprese sono state ricollegate.

Lozère/Gard (Francia): Sabotare le strutture (capacità) della pandemia tecnologica (73 comuni)

Italia – Resoconti della giornata del 16 aprile sotto alle carceri

ROMA

NON CI STANCHIAMO DI RIBADIRLO ANCHE OGGI: L’UNICA SICUREZZA È LA LIBERTÀ!

Le testimonianze delle parenti dei detenuti di Rebibbia continuano a riferire di notizie occultate dal carcere relative a diversi casi di contagio all’interno. D’altra parte è evidente: questa è la linea dettata dal D.A.P. che nega la realtà (tenendo nascosto il numero dei casi) senza il minimo imbarazzo, dimostrando disinteresse e spregio della vita dei detenuti e delle detenute.

“Dentro” la tensione è alle stelle… e anche la consapevolezza che lo stato sta giocando sulla pelle di chi è rinchiuso cresce di ora in ora.

È di ieri la comunicazione, arrivata ai familiari con due settimane di ritardo, del trasferimento di un detenuto del penale all’ospedale Pertini, il quale è ora intubato a causa di una polmonite grave.

La gestione da parte dello stato italiano dell’emergenza covid all’interno delle carceri non solo è inadeguata, ma è colpevole.
Non è nostra abitudine fermarci di fronte ai limiti imposti dalla legge. Soprattutto se si fanno strumento di negazione totalitaria dell’espressione di dissenso. Di fronte a uno stato che nega il problema, mostra sfacciatamente il proprio menefreghismo, e risponde alla giusta preoccupazione dei detenuti e delle detenute con la più atroce repressione, non farsi chiudere in un angolo e continuare a sostenere le istanze che arrivano da dentro ci sembra il minimo sindacale.

Oggi un gruppo di parenti e solidali si è ritrovato di fronte all’entrata principale di Rebibbia per non rendere inascoltato il grido di libertà che da più di un mese a questa parte sta animando le proteste all’interno delle carceri di tutta Italia. Contemporaneamente in altri punti lungo il perimetro del carcere altri solidali sono riusciti a comunicare con l’interno, a unirsi a quel coro di voci e a stabilire un contatto visivo, aprendo un dialogo sulla situazione in corso.
Tutta l’area intorno (e dentro) al carcere è stata militarizzata per diverse ore. Nel luogo del concentramento pubblico la manifestazione è stata interrotta immediatamente, le prime persone lì presenti identificate, ed alcune di loro portate al commissariato di zona con un ridicolo sfoggio di muscoli. Importante è stato comunicare dentro che c’è qualcuno/a che non dimentica, che non gira lo sguardo altrove facendo finta che il problema non esista.

Qualcuno/a disponibile a mettere in gioco perfino la tanto sbandierata “sicurezza” rispetto al contagio, perché se c’è una cosa che si è verificata fin dall’inizio è la violazione delle minime misure precauzionali da parte delle guardie, che come in altri ambiti, con fare provocatorio, si sentono superiori perfino al virus, inattaccabili. Ben presto si accorgeranno che non è così, ché ci sono tutte le condizioni che determineranno focolai di altro tipo pronti a esplodere.
Rilanciamo la solidarietà con tutti i detenuti e le detenute.

Liber* tutt*

Roma, 16 aprile 2020

BOLZANO

Tratto da bergteufelbz.noblogs.org

Dentro e fuori

16.04.2020

Questo pomeriggio una manciata di solidali si è materializzata – sempre con le dovute precauzioni – sotto le mura del carcere di Bolzano per portare un saluto e scambiare due chiacchiere sulla situazione all’interno – dopo che nei giorni scorsi è arrivata la prima notizia ufficiale della positività di un secondino –, riuscendo poi a dileguarsi prima dell’arrivo degli sbirri. Dalla viva voce dei detenuti si è potuta apprendere una realtà ben diversa da quella riportata dai giornali: le guardie positive sarebbero tre e non una, e il fatto che non siano state a contatto coi detenuti è, come prevedibile, una cazzata. Da dentro confermano che il tampone è stato fatto solo alle guardie; per il momento sembra che nessuno dei detenuti abbia sintomi. Raccontano inoltre che alle persone che stanno continuando a entrare anche per piccoli reati viene semplicemente misurata la febbre. D’altronde, per portare il virus all’interno evidentemente bastano e avanzano i secondini. In compenso ieri è stato annunciato l’avvio della sanificazione di alcuni locali del carcere considerati più a rischio ad opera di un nucleo specializzato di alpini del reggimento Julia di Merano.

Nella giornata di oggi presenze solidali ci sono state anche fuori da altre carceri italiane, in risposta a un appello lanciato dai familiari dei detenuti per rompere il silenzio sulle scelte omicide dello stato, ribadendo che l’unica forma possibile e accettabile di “prevenzione” è liberare tutti. A Roma otto solidali sono stati caricati a forza da un assembramento di sbirri tutti sullo stesso pulmino alla faccia del distanziamento e portati in commissariato, per essere poi rilasciati con multa e denuncia nelle ore successive.

Nel frattempo, a Bolzano una cosa sembra non essere cambiata con l’emergenza coronavirus, ma semmai essersi intensificata: l’”attenzione” delle forze dell’ordine nei confronti delle presenze che “sporcano” la zona su cui più si appuntano le grida di denuncia sul degrado e le grinfie riqualificatrici alle quali sono strettamente collegate, ovvero quella tra piazza Verdi e la stazione. Presenze tra le quali evidentemente sono da annoverare gli esercenti stranieri multati nei giorni scorsi perché sorpresi a indossare gli scaldacollo appena donati loro dai pompieri in luogo delle mascherine.

Più indicativa di un contesto decisamente mutato rispetto al pre-emergenza la visita a sorpresa ricevuta, a quanto riporta il giornale online locale Salto, da almeno una mezza dozzina di persone che si sono trovate gli sbirri alla porta per aver girato un messaggio in cui si chiamava per lo scorso sabato un flashmob contro le restrizioni eccessive, nel corso del quale peraltro non si prevedeva di violare le restrizioni ma ci si sarebbe limitati a scendere in strada ognuno nei pressi della propria abitazione. Gli sbirri avrebbero “amichevolmente” chiesto informazioni, invitato a consegnare i telefoni e fatto firmare delle carte senza lasciarne copia. Da sottolineare che sia le persone che hanno ricevuto la sgradevole visita sia i promotori del flashmob parrebbero del tutto estranei a qualsiasi ambiente “politico”.

BOLOGNA

Saluto al carcere della Dozza – Bologna

La mattina del 16 aprile, in risposta all’appello dei parenti dei detenuti di Roma e dei/delle solidali che li hanno sostenuti per tornare pubblicamente sotto il carcere di Rebibbia, una dozzina di compagnx ha raggiunto le mura del carcere della Dozza di Bologna per portare un saluto e capire dalle loro voci come si sta sviluppando la situazione dentro le mura passato più di un mese dalla rivolta.

I/le compagnx sono riuscite a parlare con alcune persone rinchiuse, alcune delle quali stanno nella sezione AS3 che, dopo la morte di Vincenzo per covid avvenuta il 2 aprile, doveva essere chiusa per far posto ai detenuti della sezione giudiziaria (devastata nel corso della rivolta). I trasferimenti previsti per lo svuotamento dell’AS3 sono stati probabilmente interrotti dopo la notizia dei contagi che ne sono seguiti. Infatti, nelle scorse settimane, oltre 30 detenuti sono stati trasferiti nelle carceri di San Gimignano e di Tolmezzo, destinazioni che certamente non lasciano immaginare un miglioramento delle condizioni di prigionia (se mai si possano immaginare). I detenuti sono risultati positivi al tampone a trasferimento già avvenuto e questo ha logicamente scatenato la rabbia delle altre persone rinchiuse. Quale criterio di tutela della salute dei prigionieri stanno seguendo DAP e compagnia bella nei trasferimenti? Evidentemente nessuno, perchè la tutela della salute dei prigionieri non è cosa importante per lorsignori, questo già lo sapevamo e non ci stupisce.

Le voci uscite da dentro hanno ringraziato per la presenza e raccontato di condizioni disperate. Hanno riportato che molti detenuti sono ammalati e che non sono ancora state date loro le mascherine. Del resto, già sapevamo che il responsabile capo di medicina penitenziaria dell’Ausl di Bologna, Roberto Ragazzi, con una circolare interna datata 24 febbraio aveva dato disposizioni a tutti gli operatori sanitari di non utilizzare le mascherine durante le visite ai detenuti, nell’infermeria e negli ambulatori della Dozza, per timore di generare preoccupazioni e tensioni all’interno della struttura. Da dentro ci hanno inoltre riportato che tutti i prigionieri sono senza ora d’aria da settimane e che non fanno videochiamate in sostituzione ai colloqui, ma solo 1 telefonata di 10 minuti alla settimana che si devono pagare loro.

Dopo circa 15 minuti il gruppo di compagnx è stato raggiunto da un dispiegamento sproporzionato di Digos, secondini, volanti e celere che ha fermato tuttx, multandoli per aver violato il decreto (compagnx con guanti e mascherine, sbirri decisamente meno attenti “alla profilassi” e senza garantire il metro di distanza). Il fermo è avvenuto in un punto in cui i/le solidali erano a vista dalle celle e per questo la solidarietà dei detenuti si è fatta sentire con urla e insulti agli sbirri, invertendo i ruoli a cui siamo abituatx.

NON CI STANCHIAMO DI RIBADIRLO ANCHE OGGI: L’UNICA SICUREZZA E’ LA LIBERTA’.

Resoconti della giornata del 16 aprile sotto alle carceri