Svizzera – Rivolte a Champ-Dollon carcere di Ginevra

https://renverse.co/Revoltes-a-Champ-Dollon-2522

Venerdì 3 aprile, circa 40 detenuti della prigione di Champ-Dollon si sono rifiutati di tornare in cella dopo la passeggiata. Molti giornali hanno ristampato il comunicato dell’Ufficio cantonale di detenzione (OCD) pubblicato la sera. Ci sembra che molte delle informazioni essenziali per la comprensione di questa mobilitazione non siano state comunicate.

Eravamo lì tra le 19:00 e le 22:30, e quello che non appare da nessuna parte sulla stampa è che nonostante fossimo tenuti a grande distanza dai posti di blocco della polizia, le grida, le voci e le richieste dei detenuti ci hanno raggiunto perfettamente. Come può tutto questo venire ignorato da tutta la stampa di Ginevra?

Per ore e ore i detenuti hanno protestato e gridato le loro richieste. Credeteci, non erano solo le voci di 40 persone a risuonare, ma anche quelle degli altri, probabilmente dalle loro celle. Inoltre, non sorprende che il sostegno per coloro che si trovano nel cortile sia stato fatto dalle celle, al contrario … Ciò che sorprende è che l’OCD, ampiamente seguito dai media, sostiene che questo incidente ha coinvolto solo una quarantina di persone.

Le loro voci erano potenti. Queste voci isolate, queste voci chiuse, queste voci che cercano di portare via tutta l’umanità, risuonavano in tutta la campagna circostante. E niente è più forte e potente che sentire tante persone urlare contemporaneamente, tante persone che chiedono “libertà” nel contesto della crisi sanitaria che stiamo vivendo.

Il portavoce dell’OCD si vanta anche del fatto che le visite non sono state annullate. Non annullare i colloqui è semplicemente una questione di logica. Umanità o paura della ribellione? Solo le autorità penali lo sanno, noi, con quello che sappiamo sulle politiche criminali a Ginevra, abbiamo i nostri dubbi. Ma in ogni caso, le visite sono un elemento essenziale per la dignità e la vita del detenuto (e dei suoi parenti). Sono stati mantenuti nel rispetto delle necessarie condizioni sanitarie, e per questo non abbiamo nulla di cui lamentarci. Ciononostante, i detenuti sono limitati in altri diritti in nome di questo covid-19, e nulla viene messo in atto per facilitare il contatto con il mondo esterno in un momento in cui le persone sono preoccupate per i loro cari. Nel suo comunicato, l’OCD continua a minimizzare le affermazioni dei detenuti sostenendo che il principale è il divieto di giocare a calcio. Ma quello che abbiamo sentito dalla maggioranza era molto più vitale …

Libertà!

Qui l’articolo dalla stampa ufficiale

https://www.tvsvizzera.it/tvs/coronavirus–detenuti-champ-dollon-protestano/45667090

Svizzera: Rivolte a Champ-Dollon carcere di Ginevra

Dietro l’angolo Pt.1 – Qualche ipotesi su COVID19 e sul mondo in cui vivremo

La retorica di un crescente benessere che il capitalismo avrebbe pian piano assicurato un po’ a tutti, è ormai morta e sepolta da tempo.
L’immagine con cui le autorità hanno tentato di rappresentare il mondo riservato alla gran parte degli uomini e delle donne, è diventata più simile a una scala a pioli, cui bisogna tentar di restare aggrappati con le unghie e coi denti, per evitare di cadere giù ai tanti scossoni che le vengono dati.
Una scala cui continuano a togliere punti d’appoggio, mentre aumenta il numero di uomini e donne in cerca di un appiglio. La prepotente entrata in scena del Covid19 minaccia di renderla ancor più carica e traballante.
Tenteremo di approfondire la questione in un testo che uscirà a puntate, una a settimana, in cui se ne affronteranno di volta in volta alcuni specifici aspetti. Un testo redatto a più mani, da alcuni compagni che partecipano alla redazione di questo blog e da altri che invece non ne fanno parte. I singoli capitoletti potranno quindi avere uno stile e magari dei punti di vista diversi o contenere delle ripetizioni.
Del resto le possibilità di confrontarsi collettivamente in questi giorni sono notevolmente ridotte e discutere attraverso piattaforme online non è certo la stessa cosa che farlo vis a vis.

 

Tra salti e accelerazioni. A mo’ d’introduzione.

«È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo».

Un affermazione che ha riscosso un certo successo negli ultimi tempi, quelli pre-Covid19 tanto per intenderci, a causa della crescente attenzione sviluppatasi attorno ai cambiamenti climatici e alla devastazione ambientale e alla contemporanea debolezza delle ipotesi rivoluzionarie. Un affermazione che risulterebbe probabilmente ancor più convincente oggi, in seguito al diffondersi di un contagio di cui è difficile intravedere, per l’appunto, la fine, o perlomeno comprendere quali scenari possa evocare questa parola.

Al di là del suo carattere suggestivo, è un affermazione che però non ci convince granché, ancorata come ci sembra sia a una certa fantascienza da giorno X, in cui da un momento all’altro un fenomeno apocalittico farà la sua comparsa avviando il definitivo conto alla rovescia.

Se proprio dobbiamo pensare a una fine o comunque a una china discendente, ci sembra molto più appropriata, e cupa, l’idea di una discesa graduale e costante, con picchi e momenti topici com’è quello che stiamo vivendo, verso una sempre più diffusa impossibilità di far fronte anche solo alle basilari necessità di vita.

Le riflessioni che seguiranno tenteranno di muoversi lungo questo solco, provando a non lasciarsi schiacciare dal carattere epocale della situazione che stiamo vivendo. Cercheremo quindi di mettere in luce alcune dinamiche che non sono state certo prodotte dal diffondersi di questa epidemia o dalla sua gestione, ma sono in atto già da tempo e con ogni probabilità potranno nei prossimi tempi subire una drastica accelerazione. Proveremo poi a cogliere alcune tra le peculiarità che l’epidemia in corso sta facendo emergere e che sembrano invece suggerire scenari diversi, o che almeno possono apparire tali.

Per la complessità e contemporaneità della situazione, e per i limiti che ci sono propri, pensiamo a queste riflessioni come una sorta di bozza, con uno sguardo rivolto principalmente a questo pezzo di mondo, da precisare e magari rimettere in discussione nei prossimi tempi. Oltre che come un contributo per un dibattito a più voci, che possa aiutare a precisare i contorni del mondo in cui ci troveremo a vivere e lottare.

Nel tentare di fornire una lettura del presente, specie in alcuni periodi, può certamente essere utile guardare al passato per sottolineare i corsi e ricorsi storici. In più di un’occasione, ad esempio, è stato fatto emergere il filo che lega le recenti misure sul decoro urbano e la più generale colpevolizzazione dei poveri alle leggi contro il vagabondaggio, che nel XVII secolo portarono poi alla Grande reclusione: dover gestire masse crescenti di uomini espropriati della possibilità di aver di che vivere.

Altrettanto prezioso sarebbe però, oltre a rintracciare gli elementi di continuità, tentar di far emergere le rottura con il passato, ciò che traccia una netta discontinuità tra l’oggi e l’altroieri.

Rimanendo sull’esempio precedente, quali analogie si possono intravedere tra le condizioni economiche, sociali e ambientali di allora e quelle attuali? Di quanta forza lavoro ha attualmente bisogno il capitalismo, e di quanta ne avrà bisogno domani? Quali dimensioni è destinata a raggiungere la schiera degli inutili al mondo? La necessità di serrare le vite di tanti uomini e donne alle catene del lavoro salariato con la prigione, il marchio a fuoco e con la forca, quali corrispondenze conserva con l’oggi? E ancora, quali porzioni di territorio restano da colonizzare per dar sfogo, isolare e valorizzare, come in passato, chi è di troppo?

Le differenze che emergono, tra passato e presente, nel tentar di rispondere a queste domande sono qualitative.

Il capitalismo ha oramai raggiunto ogni angolo del pianeta, nell’organizzare la natura in base alle proprie esigenze ha devastato l’ambiente e consumato le sue risorse con un’intensità tale da rendere sempre più territori inabitabili, a partire proprio da quelli che, attraverso il colonialismo, hanno conosciuto politiche di sfruttamento più feroci. Paesi che se un tempo hanno assorbito una buona fetta dell’umanità in eccesso, mandata lì per esigenze militari, economiche o anche solo punitive, ora producono invece una parte considerevole degli inutili al mondo cui non resta che migrare, senza per di più grandi possibilità di tornare prima o poi indietro, come avveniva in passato.L’inabitabilità delle loro terre ben difficilmente, a voler essere ottimisti, risulterà reversibile.

Fattori ambientali cui si intrecciano quelli più strettamente economici. Senza volersi addentrare in un’analisi complessiva dell’attuale fase economica, sia per l’obiettivo più circoscritto di questo testo che per la nostra inadeguatezza a farlo, ci sembra di poter dire che uno dei punti su cui un po’ tutte le analisi concordino è la tendenziale riduzione del numero di lavoratori necessari su scala globale. Una tendenza che, nonostante le profonde differenze da paese a paese, è resa irreversibile dal crescente livello d’automazione che si sta diffondendo in un ampio ventaglio di attività lavorative. Un processo tecnologico da cui derivano delle conseguenze che non tarderanno a manifestarsi. Tra queste le più evidenti e prossime saranno lo smantellamento di determinati comparti produttivi e attività commerciali, e la crescente concentrazione di ricchezza e capacità produttive nelle mani di pochi.

Mezzi di sostentamento che vengono dunque a mancare per un numero sempre maggiore di esseri umani, man mano che porzioni sempre più estese del pianeta diventano letteralmente invivibili e che al contempo vengono meno le modalità attraverso cui, negli ultimi decenni, era in qualche modo organizzato il soddisfacimento di determinati bisogni. Masse crescenti di persone ammassate attorno a pezzi di città, più o meno ampi, in cui si riuscirà a mantenere un certo livello di sopravvivenza – perchè riusciranno a rimanere ancorati al lavoro salariato o ad alcune tra le molteplici forme di sostegno al reddito che verranno istituite, – quando non un notevole benessere, grazie anche a una sempre più intensa artificializzazione dello spazio fisico e della vita, di cui potranno godere, se così si può dire, sempre meno persone.

Un’esclusione che sembra profilarsi quindi come permanente e verso cui sarà ancor più difficile che in passato trovare delle alternative in qualche “fuori”, almeno per porzioni così cospicue di popolazione, vista l’intensità con cui il capitalismo si è costantemente prodigato a cancellare qualsiasi forma di autonomia.

É il carattere permanente che sembra gravare sull’attuale condizione di escluso a renderla qualitativamente differente dal passato.

Una fine, se si vuole continuare a utilizzare questo termine per descrivere questo processo, che evidentemente è già iniziata.

Si sarebbe conclusa all’incirca così questa sorta d’introduzione, se l’avessimo scritta alcune settimane fa.

Ora non si può non provare ad interrogarsi su cosa ci suggerisce l’epidemia in corso, e la gestione di essa, riguardo le dinamiche di selezione ed espulsione legate a fattori sociali e, diciamo così, ambientali abbozzate finora.

Ritorniamo per un momento alla repressione del vagabondaggio. Le strutture ospedaliere vennero allora utilizzate con funzioni prevalentemente di contenimento, per rinchiudere un buon numero di poveri e ridurre così la crescente insalubrità delle città, che minacciava non solo gli ultimi ma anche i primi gradini della scala sociale.

Che peso ha oggi avuto, assieme a valutazioni di altro tipo, la natura contagiosa di quest’emergenza, nel costringere le autorità nostrane a doversi in qualche modo occupare di un po’ tutta la popolazione, anche di quella parte cui normalmente non sono destinate così tante risorse sanitarie – visto che, almeno su grandi numeri, non sarebbe stato possibile adottare misure di isolamento efficaci, da un punto di vista epidemiologico, per tutti gli altri -?

E sarà possibile sostenere questo sforzo per molto tempo, se quest’epidemia come tutto lascia prevedere durerà, magari a fasi alterne, ancora a lungo? Un’ipotesi in forte contrasto con le politiche sanitarie recenti e che potrebbe sembrare in linea con la decisione del Parlamento europeo di ridefinire la Sanità, «non più come un servizio ma come un’infrastruttura», strategica perchè essenziale per poter continuare o ritornare a produrre.

O si possono intravedere altre strade che, attraverso misure di selezione e separazione, permetteranno alle autorità di poter decidere di non farsi carico di determinati pezzi di popolazione? Come consentono almeno in parte di intravedere, tra le altre, alcune dichiarazioni su possibili passaporti d’immunità da rilasciare a chi abbia anticorpi “validi” nel sangue.

Soluzioni che non si escludono certo a vicenda e che dipenderanno e al contempo influenzeranno anche la gestione dell’ambiente urbano: quanto smart diverranno le città, o dei pezzi di queste, e che possibilità di gestire e delimitare la mobilità ci saranno, tanto a livello tecnologico e militare, quanto economico e politico? Una questione che non nasce certo oggi – pensiamo tra i tanti all’introduzione dei daspo urbani o alla banalizzazione delle zone rosse – ma che potrebbe diventare quanto mai stringente, legata com’è alle modalità e tempistiche con cui si sta progettando la fantomatica fase 2.

Soluzioni che poi, assieme alle dinamiche finora accennate, contribuiranno a dar forma e intensità a quegli scenari di guerra civile che promettono di diventare una costante di quest’epoca e su cui varrà quindi la pena tentar di affinare dei ragionamenti.

Sarà infatti su questo sfondo di conflitti, che tracimano l’alveo dello scontro tra sfruttati e sfruttatori o tra oppressi ed oppressori che dir si voglia, che dovrà muoversi chi continua testardamente a pensare che non ci sia altra strada da percorrere, se non quella della guerra sociale.

Resterà infine da tentare di intravedere come si snoderà e di cosa sarà lastricata questa strada, dopo quella che è forse la prima esperienza in grado di sconvolgere contemporaneamente la normalità di tutti gli abitanti di questo pianeta, a partire dalla seconda guerra mondiale.

Cosa resterà di questo sconvolgimento davanti a problemi che si presenteranno sempre più assillanti e feroci? In che misura questa frattura potrà stimolare la crescita e l’intensificarsi di queste lotte, anche nella capacità di squarciare il velo d’inesorabilità dietro cui il capitalismo si ripara? E quale spazio potrebbe aprirsi per l’irragionevolezza di ipotesi rivoluzionarie?

Lleida – Sentimientos y reflexiones que nos surgen (en relación al COVID-19)

Después de haber pasado ya unas semanas desde que se están aplicando los protocolos de «prevención y protección» ante el COVID-19 en las cárceles, sentimos la necesidad de expresarnos. Expresarnos en base a nuestro sentimiento, a nuestra rabia, preocupación, impotencia e indignación por como se gestiona la situación, por como han aislado y recluido aún mas a lxs compas de dentro, por las noticias de abusos, maltratos, palizas que nos llegan con dificultad, por como se abusa mas que nunca del poder y la impunidad, y por como parece que se consideran como «positivas» ciertas medidas que se han empezado a adoptar por parte de Instituciones Penitenciarias que, a nuestro parecer, son solo un lavado de cara.

Parece ser cierto que, al menos en algunas comunidades, se están adoptando incipientes medidas para calmar los ánimos de lxs presxs y contrarrestar los efectos de las restricciones para prevenir el coronavirus en la cárcel. Cabe recordar que las medidas adoptadas han estado basadas en mas aislamiento, soledad y castigo. No dar permisos de salida, no permitir las comunicaciones por locutorio ni los vis a vis, suspensión de actividades, etc. Nos resignamos a pensar que esta era la única solución. Estamos seguras que tiene que haber formas de poder seguir teniendo contacto con lxs presxs, al menos a través de un cristal. Esto implicaría más lentitud, más trabajo, cambiar estructuras, normas y funcionamientos. Invertir en mas medidas de higiene y desinfección. Pero creemos que sí hubiera sido posible, si de verdad la población reclusa importara mínimamente a las autoridades y a la sociedad. Con el pretexto de intervenir en relación a la expansión del COVID-19 se han vulnerado, aún más, los derechos de estas personas de un modo brutal.

Todo es un sinsentido que nos genera rabia. Se les dan papeles absurdos e instrucciones de lavarse las manos cuando no se les proporciona gel desinfectante o apenas champú. Recordamos la precariedad de los lotes de higiene, y que ellxs tienen que comprar en el economato -quien puede- papel de váter, jabón y otros materiales básicos para la salud. Insultantemente se les prohíbe tener contacto con su entorno, cuando lxs carcelerxs entran y salen todos los días siguiendo controles y protocolos mínimos, van a sus casas y vuelven a la cárcel, siendo ellxs el mayor foco de contagio . Cuando ha habido posibles casos de contagio se ha metido a lxs presxs en celdas de castigo, para «aislarlxs». Se les prohíben las visitas del exterior cuando la misma estructura carcelaria es una maquinaria de muerte que imposibilita cualquier tipo de medida de seguridad ante el virus. Por ejemplo, ¿como van a guardar la distancia de seguridad cuando comen juntxs, cuando muchas veces se ven obligados a compartir celdas de 2 x 3 metros?

Como siempre, cuando intentas contactar con las cárceles, cuesta la vida que te respondan al teléfono, y cuando lo hacen suelen ser incapaces de solucionarte las dudas. En la mayoría de casos te dicen que no pueden darte la información que pides, que no saben qué medidas se están adoptando, qué protocolos se siguen. O bien en cada sitio se aplican normas diferentes, o bien quien te coge el teléfono te dice lo primero que le pasa por la cabeza. Ni siquiera hemos podido aclarar realmente si funciona el correo, si lxs presxs pueden mandar cartas y si les llegan cartas del exterior. ¿Como puede ser que ni siquiera sepan o puedan decirte esta información? Algunas veces te dicen que sí funciona, pero esto no concuerda con el hecho de llevar semanas sin recibir cartas de una persona ni con la información que nos dan sus familiares.

Como decíamos, después de varias semanas, parece que se empiezan a adoptar algunas medidas por parte del Gobierno. Medidas que nos siguen pareciendo tardías e insuficientes. Y no olvidemos que si se están llevando a cabo, o pensando en llevarlas a cabo es, en buena parte, gracias a la presión que muchas personas privadas de libertad están haciendo en decenas de cárceles de Cataluña y el Estado. Motines en algunos módulos, confrontación con carceleros, huelgas de patio, plantes coordinados, quema de objetos… Ellxs son quienes principalmente han conseguido estos logros, lxs que han conseguido presionar para que les den «algo», afrontando una vez mas la represión y el castigo por revelarse. No es por la buena voluntad de las Instituciones ni porque estas se preocupen por lxs presxs y sus derechos, ya que sus derechos se vulneran sistemáticamente ya en un escenario «normal», y se han seguido vulnerando de forma atroz ante la aparición del COVID-19.

Se dijo que se iban a dar mas llamadas telefónicas a lxs presxs. Estas llamadas se pagan, como siempre, a precios desorbitados. Es decir, las empresas telefónicas van a seguir sacando provecho de la desesperación de lxs de dentro. Y de la desesperación de las familias, que tienen más necesidad que nunca de meter dinero a lxs suyos. Sacándolo de donde sea, para que estos puedan llamar, ya que ahora ni siquiera pueden verles, y porque están preocupadas por lo que pasa dentro. Ahora dicen que, al menos en Cataluña, se van a dar llamadas «gratis» a lxs presxs sin recursos. «Gracias, que buena voluntad!» ¿Por qué no dan 20 llamadas gratis para todxs? ¿Por qué se siguen cobrando las llamadas cuando ahora mismo es el único contacto con el exterior? Porqué la cárcel sigue siendo un negocio, incluso en “estado de alarma”. ¿Y quién se considera un preso sin recursos? Por lo que sabemos solo se consideran personas sin recursos aquellxs presxs que no cobren ninguna clase de peculio. Es decir, que no tengan ninguna clase de ingreso. Eso significa que todxs lxs que cobren 30, 40 euros al mes, que eso no te llega mas que para 4 cafés, algo del economato y un par de llamadas, ya no pueden tener acceso a estas llamadas gratuitas, porque se considera que «ya tienen recursos», o dicho de otra forma «que no son lo suficientemente pobres». Por lo que sabemos, no es que se estén dando llamadas, sino que se dan 3 o 5 euros semanales, dependiendo en que prisión estés, para poder llamar. Esto llega para hacer una llamada y media a la semana, (una llamada son 8 minutos). Para todas esas personas, es decir, la mayoría, tanto las que la familia les da 40 euros al mes como para los que tienen que agradecer a la Institución que les regalen 3 euros de mierda, no les sirve de nada que hayan aumentado el numero de llamadas que se pueden hacer a la semana. Pasando de 10 a 15, o de 10 a 20. Porque ellxs van a poder seguir haciendo solamente unas pocas, prácticamente las mismas que hacían antes de esta situación de doble encierro.

También se dice que se van a poder «cambiar» los vis a vis por videoconferencias. Como si pudiera haber comparación alguna entre una mirada a los ojos, y no a través de una pantalla. Es evidente que es mejor que nada, pero es poca cosa. ¿Y qué pasa con las comunicaciones por cristal? Hay muchísimos presxs que no hacen vis a vis. ¿Qué pasa con ellxs? ¿Las comunicaciones por cristal también se van a poder cambiar por videoconferencias? ¿Y que pasa si la persona de fuera no dispone de Internet, de recursos o de tecnología para poder realizar estas videoconferencias?

La Generalitat de Catalunya ha mandado empezar el 24 de Marzo, en Quatre Camins, la aplicación de videoconferencias de 1 hora y en salas con ordenadores. Decían que lo antes posible lo aplicarían a las otras prisiones. ¿Que sabemos de esto? Pues según familiares de personas presas de Quatre Camins, no es verdad. Lo que se está haciendo son 10 minutos de videollamadas por Whatssap en salas pequeñas a través de móviles. También se está aplicando en Mas d’Enric y a partir del jueves 2 de abril empezará en Brians. En Wad-Ras y Lledoners aún no se han aplicado y en Ponent dicen que lo están gestionando. Es muy complicado conseguir información.

Se aplican innumerables medidas de restricción en relación al contacto con el exterior, con el pretexto de prevenir el Coronavirus, pero allí siguen hacinados, en condiciones de falta de higiene, muchas veces sin agua caliente, con una desatención sanitaria permanente, compartiendo celdas diminutas y numerosos espacios comunes. Usando una misma cabina de teléfono para decenas de personas, cosa que genera colas, angustia y tensión. Pero lxs carcelerxs entran y salen, van a distintos espacios de la cárcel, a veces sin medidas de protección. Y lxs presxs sin siquiera la posibilidad de lavarse frecuentemente las manos, de usar mascarilla o conservar distancias de seguridad. Se sigue teniendo encerradas a personas mayores, personas con problemas respiratorios, con enfermedades crónicas, pudriéndose en una enfermería o en una celda de castigo.

Esto se ve en las diferentes vivencias de personas presas y sus familiares. Por ejemplo: Hace no mucho, en la cárcel de Lledoners, en el módulo 8, mientras estaban comiendo, el Jefe de Servicio paseaba como pedro por su casa, fumándose un cigarro y sin llevar mascarilla. Otro ejemplo: En la prisión de Ponent, se les ha preguntado si hacía falta mascarillas para las presas ya que se podría hablar con las redes que se han creado de elaboración de mascarillas, aquí en Lleida. Pero lo que nos respondieron fue que no hacía falta. Que ya tenían suficiente material y que las personas presas no pueden llevar mascarilla. Niegan la elaboración y la entrada de mascarillas para las reclusas. Esto lo vemos reflejado en la noticia que salió el 25 de Marzo en el diario el Segre, podemos leer el titular “ Aíslan un preso acusado de instar a otros a plantarse en plena crisis.” y el subtitulo es: “Familiares afirman que se le ha acusado por utilizar mascarilla”.

También estamos un poco hartas de que las Instituciones Catalanas divulguen el discurso de que el estado español es el malo y así fortalecer la idea de que sus cárceles son mejores, que cuidan a lxs presxs y que piensan en ellxs. Sí podemos ver que hay pequeñas cosas diferentes, y podríamos decir positivas, que tienen las cárceles catalanas, pero esto no quiere decir que las catalanas se salven de el trato denigrante que siguen teniendo muchísimas personas en su día a día , y aún más, de la falsedad que tienen las instituciones catalanas, con su cara bondadosas, ya que vemos que en cuanto a lo que dicen hacen menos. Siempre pretenden quedar de “progres y avanzados” pero luego vemos que la mitad de lo que dicen no es real, o lo aplican de una forma cutre y deficitaria, como se puede ver en el tema de las videoconferencias que hemos explicado antes.

La situación y por tanto la información va cambiando día tras día, por eso estar atentas a lo que está pasando es muy importante para que las personas dentro no estén solas y aisladas en esta situación vulnerable y de doble castigo.

No nos olvidamos de nuestrxs compañerxs presxs. Mucha fuerza para todxs, y todo nuestro apoyo ante las formas de lucha que se están llevando a cabo dentro. Aquí estamos ahora, y aquí estaremos cuando esto pase.

Muerte a la cárcel y viva la libertad.

Grup de Suport a Presxs – Lleida-.   30.03.2020

Sentimenti e riflessioni che ci sorgono – gruppo di supporto ax prigionierx di Lleida

Poche settimane dopo l’attuazione dei protocolli di “prevenzione e protezione” del COVID-19 nelle carceri, sentiamo il bisogno di esprimerci. Esprimerci sulla base dei nostri sentimenti, della nostra rabbia, della nostra preoccupazione, dell’impotenza e dell’indignazione per come la situazione viene gestita, per come i/le compagnx detenutx sono statx isolatx e imprigionatx ancora di più, per le notizie di abusi, maltrattamenti, percosse che ci arrivano con difficoltà, per come si abusa più che mai del potere e dell’impunità, e per come sebra si considerino “positive” certe misure che hanno cominciato ad essere adottate dalle Istituzioni Penitenziarie, che a nostro avviso sono solo un pulirsi la faccia.

Sembra certo che, almeno in alcune comunità, si stanno prendendo misure incipienti per calmare gli spiriti dex prigionerx e contrastare gli effetti delle restrizioni per prevenire il coronavirus in carcere. Va ricordato che le misure adottate si sono basate su un maggiore isolamento, solitudine e punizione. Nessun permesso di uscita, nessuna comunicazione ai colloqui, nessun vis a vis, sospensione delle attività, ecc. Ci siamo rassegnatx a pensare che questa fosse l’unica soluzione. Siamo sicure che ci deve essere un modo per continuare ad avere contatti con x prigionierx, almeno attraverso un vetro. Questo implicherebbe più lentezza, più lavoro, cambiamento delle strutture, delle regole e delle operazioni. Investire in più misure di igiene e disinfezione. Ma crediamo che questo sarebbe stato possibile, se davvero alle autorità e alla società importasse minimamente della popolazione carceraria. Con il pretesto di intervenire in relazione all’espansione di COVID-19, i diritti di queste persone sono stati violati in modo ancora più brutale.

È tutta un’insensatezza che ci genera rabbia. Vengono distribuiti documenti assurdi e le istruzioni per lavarsi le mani quando non gli viene fornito il gel disinfettante o a malapena lo shampoo. Ricordiamo la precarietà dei kit per l’igiene, e che x detenutx sono obbligatx ad acquistare – chi può farlo- carta igienica, sapone e altri materiali sanitari di base. Si proibisce ingiuriosamente il contatto con il loro ambiente, quando i carcerieri entrano ed escono ogni giorno seguendo controlli e protocolli minimi, tornano a casa e ritornano in prigione, e sono loro il principale focolaio di infezione. Quando ci sono stati possibili casi di contagio, hanno messo x prigionierx in celle di punizione, per “isolarlx”. Vengono vietate le visite dall’esterno quando la struttura stessa del carcere è una macchina di morte che rende impossibile qualsiasi tipo di misura di sicurezza contro il virus. Ad esempio, come possono mantenere una distanza di sicurezza quando mangiano insieme, quando molte volte sono costretti a condividere celle di 2 x 3 metri?

Come sempre, quando si cerca di contattare le carceri, si diventa vecchi ad aspettare che rispondano al telefono, e quando lo fanno, di solito non sono in grado di rispondere alle domande. Nella maggior parte dei casi ti dicono che non possono darti le informazioni che chiedi, che non sanno quali misure vengono prese, quali protocolli vengono seguiti. O si applicano regole diverse in ogni luogo, oppure la persona che risponde al telefono ti dice la prima cosa che le viene in mente. Non abbiamo nemmeno potuto capire se la posta funziona, se x prigionierx possono inviare lettere e se ricevono lettere dall’esterno. Come è possibile che non sappiano o possano dare queste informazioni? A volte ti dicono che funziona, ma questo non è coerente con il fatto che non riceviamo lettere da nessunx da settimane, né con le informazioni che ci vengono date dai loro parenti.

Come dicevamo, dopo diverse settimane, sembra che il governo cominci ad adottare alcune misure. Misure che ci sembrano ancora tardive e insufficienti. E non dimentichiamo che, se vengono portate avanti, o se si pensa di farlo, è, in gran parte, grazie alla pressione che molte persone private della libertà stanno facendo in decine di carceri della Catalogna e dello Stato. Rivolte in alcuni moduli, scontri con le guardie, scioperi dell’aria, azioni coordinate, incendi di oggetti… Sono principalmente loro che hanno ottenuto queste conquiste, loro quellx che sono riuscitx a fare pressione affinché gli diano “qualcosa”, affrontando ancora una volta la repressione e la punizione per essersi rivelati. Non è per la buona volontà delle istituzioni né perché si preoccupano dex prigionierx e dei loro diritti, poiché i loro diritti sono sistematicamente violati già in uno scenario “normale”, e hanno continuato ad essere atrocemente violati con la comparsa del COVID-19.

Si diceva che avrebbero dato più telefonate ax detenutx. Queste chiamate si pagano, come sempre, a prezzi esorbitanti. In altre parole, le compagnie telefoniche continueranno a trarre profitto dalla disperazione di quellx dentro. E dalla disperazione delle famiglie, che hanno più bisogno che mai di dare soldi ax loro carx. Tirandoli fuori da qualsiasi cosa, in modo che possano chiamare, visto che ora non possono nemmeno vederli, e perché sono preoccupate per quello che succede dentro. Ora dicono che, almeno in Catalogna, daranno chiamate “gratis” ax prigionerx senza soldi. “Grazie, che atto di buona volontà!” Perché non danno 20 chiamate gratis a tuttx? Perché continuano a far pagare le chiamate quando in questo momento è l’unico contatto con l’esterno? Perché la prigione è ancora un business, anche in “stato di emergenza”. E chi è considerato un detenuto senza risorse? Per quanto ne sappiamo, sono considerate persone indigenti solo quex detenutx che non hanno nessun tipo di ingresso di denaro. Cioè che non hanno alcun tipo di reddito. Questo significa che tuttx coloro che prendono 30, 40 euro al mese, che basta appena per 4 caffè, qualcosa dallo spaccio e un paio di telefonate, non possono avere accesso a queste telefonate gratuite, perché si ritiene che “hanno già delle risorse”, o in altre parole “non sono abbastanza poveri”. Per quanto ne sappiamo, non è che si stiano dando le, ma che si danno 3 o 5 euro a settimana, a seconda del carcere in cui ci si trova, per poter chiamare. Questo basta per fare una chiamata e mezza a settimana (una chiamata dura 8 minuti). Per tutte queste persone, cioè la maggior parte di loro, sia quelle a cui la famiglia dà 40 euro al mese, sia coloro che devono ringraziare l’istituzione per avergli regalato 3 euro di merda, non serve a nulla che abbiano aumentato il numero di chiamate che si possono fare a settimana. Perché potranno continuare a farne solo poche, praticamente le stesse che facevano prima di questa situazione di doppia reclusione.

Si dice anche che sarà possibile “cambiare” i colloqui vis a vis con delle videoconferenza. Come se si potesse comparare uno sguardo negli occhi con uno attraverso uno schermo. Ovviamente è meglio di niente, ma è una piccola cosa. E che succede alle comunicazioni attraverso un vetro? Ci sono moltissimx prigionierx che non fanno colloqui vis a vis. Che succede con loro? Anche le comunicazioni attraverso il vetro si potranno convertire in videoconferenze? E se la persona fuori non ha Internet, risorse o tecnologia per fare queste videoconferenze?

La Generalitat de Catalunya ha ordinato di iniziare il 24 marzo, a Quatre Camins, l’applicazione di videoconferenze di 1 ora in sale con computer. Hanno detto che al più presto l’avrebbero applicata alle altre carceri. Cosa ne sappiamo? Ebbene, secondo i parenti delle persone detenute a Quatre Camins, non è vero. Quello che si sta realizzando sono 10 minuti di videochiamate tramite Whatssap in piccole stanze, attraverso dei cellulari. Si sta applicando anche al Mas d’Enric e da giovedì 2 aprile inizierà a Brians. A Wad-Ras e Lledoners non è ancora stato applicato e a Ponent dicono che lo stanno gestendo. È molto complicato ottenere informazioni.

Innumerevoli misure di restrizione sono applicate in relazione al contatto con il mondo esterno, con il pretesto di prevenire il Coronavirus, ma lì le persone continuano ad essere ammassate, in condizioni di mancanza di igiene, spesso senza acqua calda, con permanente trascuratezza sanitaria, condividendo minuscole celle e numerosi spazi comuni. Usando la stessa cabina telefonica per decine di persone, il che genera code, ansia e tensione. Ma x carcerierx vanno e vengono, vanno in diversi spazi del carcere, a volte senza misure di protezione. E x prigionerx non hanno nemmeno la possibilità di lavarsi le mani frequentemente, di indossare una mascherina o di mantenere una distanza di sicurezza. Gli anziani, le persone con problemi respiratori, con malattie croniche, continuano ad essere rinchiuse in un’infermeria o in una cella di punizione.

Questo si può vedere nelle diverse esperienze deelle persone detenute e delle loro famiglie. Per esempio: non molto tempo fa, nel carcere di Lledoners, nel modulo 8, mentre mangiavano, il capo del servizio camminava come fosse a casa sua, fumando una sigaretta e non senza indossare la mascherina. Un altro esempio: nella prigione di Ponent, è stato chiesto se c’era bisogno di mascherine per le prigioniere siccome si poteva parlare con le reti che sono state create per fare le mascherine, qui a Lleida. Ma quello che hanno risposto è che non ce n’era bisogno. Che hanno già abbastanza materiale e che le persone imprigionate non possono indossare maschere. Negano la produzione e l’ingresso delle mascherine per le prigioniere. Lo vediamo riflesso nelle notizie uscite il 25 marzo sul quotidiano “el Segre”, possiamo leggere il titolo “Isolano un prigioniero accusato di aver spinto gli altri a ribellarsi nel bel mezzo di una crisi” e il sottotitolo è: “I parenti affermano che è stato accusato di indossare una mascherina”.

Siamo anche un po’ stufe del fatto che le istituzioni catalane diffondano il discorso che lo Stato spagnolo è quello cattivo per rafforzare l’idea che le loro carceri siano migliori, che si prendano cura dex prigionierx e che pensino a loro. Sì, possiamo vedere che ci sono piccole cose diverse, e potremmo dire positive, nelle prigioni catalane, ma questo non significa che nelle prigioni catalane si salvino dal trattamento denigratorio che molte persone continuano a ricevere nella loro vita quotidiana, e ancora di più, dalla falsità che le istituzioni catalane hanno, con il loro volto gentile, visto che vediamo che rispetto a quello che dicono fanno ancora meno. Fingono sempre di essere “progressisti e avanzati”, ma poi vediamo che la metà di quello che dicono non è reale, oppure lo applicano in modo meschino e carente, come si può vedere rispetto al tema delle videoconferenze che abbiamo spiegato prima.

La situazione e quindi l’informazione sta cambiando di giorno in giorno, quindi essere consapevoli di ciò che sta accadendo è molto importante affinché le persone dentro non siano sole e isolate in questa situazione di vulnerabilità e di doppia punizione.

Non ci dimentichiamo dex nostrx compagnx prigionerx. Tanta forza per tuttx, e tutto il nostro sostegno alle forme di lotta che si stanno portando avanti dentro le carceri.
Ora siamo qui, e qui saremo quando tutto questo sarà passato.

Morte al carcere e viva la libertà.

fonte: supportpresxslleida.noblogs.org

https://roundrobin.info/2020/04/sentimenti-e-riflessioni-che-ci-sorgono-gruppo-di-supporto-ax-prigionierx-di-lleida/

Lipsia – Passeggiata presso il penitenziario

Abbiamo voluto rompere l’isolamento per un breve momento e mostrare a* prigionier* del carcere di Lipsia che non l* abbiamo dimenticat* e non l* dimenticheremo. Il 22.03.2020, un giorno prima dell’inizio del coprifuoco, abbiamo marciato davanti alle recinzioni con fuochi d’artificio e cori solidali. Ci hanno accolto con applausi e urla. Ovviamente la stampa ha diffamato il gesto definendolo un “attacco” alla casa circondariale.

Come tutti e tutte sappiamo, la pandemia del C19 aumenta drasticamente l’isolamento de* prigionier*. I divieti di visita sono stati imposti in tutto il paese e gli|le avvocat* in Sassonia sono autorizzat* a visitare * loro “clienti” solo con un’eccezione giustificata. Le attività del tempo libero sono state completamente abolite e anche il lavoro forzato è stato interrotto. Nel frattempo il personale del carcere entra ed esce dalla prigione e rischia di contagiare le persone all’interno. Nel carcere di Chemnitz le detenute sono tenute a cucire mascherine per la Croce Rossa tedesca, il personale e i poliziotti. Ma i|le prigionier* stess* possono solo sognare di ottenerne qualcuna.

“Onestamente, non so cosa pensare, altrimenti qui saremo trattati come spazzatura, ma siamo abbastanza bravi per questo”. E ha ragione con questa affermazione. Chi in questa società pensa a noi, in questo momento? Chi pensa alla nostra protezione?
[…] La società e lo Stato non pensano a noi, sembra che non esistiamo. Almeno finché non potremo servirli”. [1]

Questo dimostra ancora una volta come le|i detenut* siano stigmatizzat* come criminali e poi trattati come persone di seconda classe. Possono servire la società, ma quando muoiono non importa a nessuno.

Anche se questa azione è avvenuta poco prima del coprifuoco, è importante non isolarsi e continuare a resistere. Le condizioni oggettive sono nuove e dobbiamo adattare ad esse la nostra analisi e le nostre azioni. Le persone più invisibili della società staranno peggio in questi tempi. Il nostro compito potrebbe essere quello di rendere queste persone più visibili, di lottare per condizioni migliori e di creare possibilità reali di aiuto, lontano dalle istituzioni statali e dalle istituzioni dipendenti dallo Stato. Sia per detenut*, senzatetto, disoccupat*, fuggitiv* o le donne vittime di violenza domestica.

Organizzare la resistenza, nonostante il Corona!

 

https://roundrobin.info/2020/04/passeggiata-presso-il-penitenziario-di-lipsia/

Genova – A proposito di pandemia e “normalità”

Testo diffuso in diversi modi a Genova

Stiamo vivendo una difficile situazione data dalla diffusione di un virus nominato Covid-19. Rispetto alla sua genesi non crediamo a nessuna “ipotesi di complotto”: semplicistica soluzione, per non leggere la situazione per quel che è. A conferma, il fatto che nessuno ne sta giovando, anzi. A causare l’epidemia è una tipica condizione di ultra-sviluppo industriale e mercantile. Milioni di contadini deportati in Cina per affollare le nuove metropoli, con stili di vita ancora agresti (animali selvatici, animali da allevamento e avicoli smembrati vivi in mercati malsani affollati di persone) e condizioni di sovraffollamento urbano sono state il detonatore di questa pandemia. La globalizzazione degli spostamenti umani (basta un passeggero su un aereo a portare un virus in 6 ore dall’altra parte del mondo) ha fatto il resto, contaminando l’intero pianeta. Gli imprenditori e i loro viaggi d’affari sono stati appunto i primi untori in giro per il mondo. L’ipotesi complottista è per certi aspetti un’ipotesi consolatoria. In fin dei conti è più facile credere che ci siano delle persone massimamente cattive, in grado di fare una simile perfidia. Più difficile è accettare che sia l’intera società a essere massimamente cattiva. Il vero lato oscuro, che il complottismo cerca di oscurare ancora di più.

Ci preme dire che governi, politici, capitalisti, le annesse mafie, imprenditori e tirapiedi, sfruttano tutte le situazioni ed eventi per il loro tornaconto. Poco o niente interessa loro di sfruttati e poveri, se non il fatto che rimangano tali: sfruttabili e “forza lavoro”.
Tanti esempi si possono citare, come le “ricostruzioni” dopo i terremoti e altri eventi naturali, quando i costruttori si sfregano le mani per gli appalti mentre sta finendo di tremare la terra; o durante e dopo le Guerre ecc.
Purtroppo abbiamo la memoria corta. Lo stato d’emergenza concentra ancora di più il pensare agli affari propri, a fregarsene di tutto e di tutti, a rimbecillirsi davanti alla TV e ai “social”, e a mandare giù tutto quello che ci imboccano. La peggiore abitudine a cui ci ha costretti il sistema è l’ignoranza, l’abbandono all’informazione di massa e alla disinformazione “social”. Così un virus più che annidarsi nei nostri corpi è sicuramente entrato nelle nostre teste. Certo una pandemia, tra le tante nella storia umana, si è sviluppata, ha fatto e continua a fare morti tragiche, lasciando conseguenze per chi si ammala e non solo. Si accompagna a questo un bombardamento mediatico di regime, più che chiarificatore, confusionario e di convenienza.

Memoria corta dicevamo. Sui politici soprattutto, quegli stessi che si sono sempre arricchiti sulle spalle altrui, che speculano attraverso le banche, nel riproporsi di scandali finanziari, potere e privilegi. Ora si fanno passare per “salvatori della patria”, tra corali appelli all’unità conditi da una retorica di “guerra”. Non è però la vera guerra militare e le tante altre guerre che finanziano o fanno direttamente questi sinceri democratici al potere. Quelle migliaia di morti civili sono numeri?
Ci viene detto che “siamo tutti sulla stessa barca”, ma sappiamo bene chi è impegnato a mantenere i propri profitti e i propri interessi, quindi sarebbe il momento di buttare a mare parecchia gente: politici, banchieri, capitalisti, e i loro sbirri, padroni, prelati e tanti altri.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, organo indiscusso di quel potere politico della Scienza, sembra essere l’unica salvezza. La stessa che tra i suoi vertici ha dirigenti legati agli interessi delle lobby per la produzione di vaccini o forniture mediche diventano i buoni samaritani della situazione. Come quelli che in piena emergenza (febbraio 2020) hanno trovato il tempo per dare il via libera al 5G in Italia e in Europa, e all’aumento dell’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale e delle reti di controllo sociale, facendo passare come “innocui” per la salute gli incrementi esponenziali di campi elettromagnetici su vasta scala. Ma come, non era nocivo un singolo telefonino?
Che dire poi degli industriali, dei ricchi padroni, che si mostrano filantropi quando conviene, pur di continuare a produrre profitto. Un esempio sono alcuni colossi automobilistici, anche di lusso, che hanno “convertito” temporaneamente la produzione per assemblare parti di apparecchiature sanitarie e mascherine. Questo sia chiaro più come propaganda che come effettiva produzione sistemica. I numeri sono comunque irrisori. Un “gesto simbolico” di stampo nazional-imprenditoriale, comodo a gettare altro fumo negli occhi. A proposito di fumo, queste industrie, appena torna la “normalità”, torneranno a sfornare automobili che inquinano sia per le emissioni di idrocarburi che per la produzione dell’energia necessaria alle auto elettriche (già, l’energia non piove dal cielo ma viene prodotta nelle centrali), e continueranno a mantenere il livello di insalubrità della terra nella quale potenzialmente prolificherà qualche altra epidemia. Allora ci vorranno le mascherine per l’aria inquinata.

La filantropia dei ricchi non ci imbroglia. Torneranno loro, come i padroni, la Chiesa e i politici, a imporre quella “normalità” dell’economia globale capitalista, fatta di tasse, produzione-consumo, guerre, sfruttamento e speculazioni.
Il sistema capitalista e lo Stato non hanno mai reso “tutti uguali”. Mai lo faranno. Padroni e sfruttati si combattono da sempre, e il servilismo volontario di qualcuno non significa che sia giusto o normale piegarsi a chi comanda. E’ importante non delegare alle istituzioni la propria esistenza, già schiacciata in una vita di regole, leggi, paure indotte, “emergenze” e doveri. L’unità e la solidarietà deve esserci tra sfruttati e oppressi di tutto il mondo, per la realizzazione dell’ autogestione delle proprie vite in una prospettiva di autonomia e liberazione.
Alla pandemia lo Stato ha risposto con la polizia. Imprenditori e gli industriali si sono fatti minacciosi con gli organi predisposti a proteggerli: polizia, militari e Ministero dell’Interno. Alla ribellione dei tanti lavoratori che minacciano lo sciopero (e lo fanno) per le condizioni di lavoro, gettati al macello nelle fabbriche, nei campi e nelle imprese in piena pandemia, lo Stato democratico è ricorso alla possibile precettazione, alle denunce/multe per chi sciopera. La repressione la sentiamo anche per le strade, é viva nelle carceri che hanno ammazzato 12 detenuti. La sentono i migranti che nelle campagne del centro-sud Italia lavorano come schiavi nei campi per la raccolta agricola, e vivono in baraccopoli in condizioni disumane anche in tempi di pandemia, per garantire il nostro pasto. Certo, i migranti “fanno comodo” finché si fanno sfruttare e finché si trovano i prodotti sul bancone del supermercato. Altrimenti si invoca l’esclusione e il razzismo, e voti per chi grida all’”invasione”…
Sindaci, politici e pennivendoli della stampa, a turno reclamano in coro la polizia e l’esercito; repressione e controllo tecnologico individuale e di massa, arresti e denunce. E poi appelli alla delazione per chi avvista assembramenti e chissà cos’altro, inviti a diventare cittadini-poliziotti, cioè spie. A chi si adegua ubbidiente a queste infami pratiche delatorie va tutto il nostro sincero disprezzo e i più sinceri auguri di ripercussioni vendicative.

Intorno a quest’odierna micro situazione c’è la macro economia, o meglio la grande Finanza, che si avvia verso una crisi globale. La pandemia del Covid-19 è un evento casuale che ha accelerato una tendenza già avviata da tempo: la crisi della globalizzazione.
“Un nuovo modello industriale e sociale basato sul futuro delle nuove tecnologie è già in atto e lo stiamo vivendo…”, citano gli esperti. Gli stati-nazione tendono a tornare protagonisti, e sarà peggio. Alcuni governi ricorrono a primi ministri onnipotenti più di prima, e si riaffacciano dittature e nazionalismi qua e là. La recessione è dietro l’angolo, la crisi della moneta ancor di più. Sapranno, come sempre, dove e chi spremere: gli sfruttati. Il velo del “migliore dei mondi possibile” comincia a perdere i pezzi.
La retorica unitaria di salvezza nazionale è una strategia che tenta di mantenere la pace sociale al fine di frenare il conflitto sociale. Se c’è conflitto sociale non c’è crescita economica dicono gli “esperti” nella speranza che la disuguaglianza sociale venga sempre fatta digerire con fasulli ideali identitari aggreganti. A tal poposito urliamo: “Io non canto l’Inno!!!”

Tanta gente è morta e muore, questo purtroppo è vero. Ma non piangeremo per il manager della Porsche o il Principe d’Inghilterra, il ricco industriale o un Primo Ministro, lo sbirro che ci reprime, ci multa, ci manganella durante gli scioperi o spara alle manifestazioni e nelle proteste, che pratica pestaggi nelle caserme e nelle carceri.
I nove anni di guerra in Siria hanno fatto 390.000 morti; 11 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case; 4 milioni di profughi in fuga. Gli stessi migranti e profughi vengono usati come ricatto economico-sociale dalla Turchia e duramente repressi alle frontiere con la Grecia. Ce li siamo dimenticati? E le migliaia di morti nella guerra in Yemen, sostenuta dalle forniture di armi dell’Italia e della Francia?
Non ci salveranno le preghiere del Papa e di quei ladri e truffatori morali dei preti. Non cantiamo l’inno, nessun tricolore, ombra dei nazionalismi più beceri che hanno sempre mandato alla rovina guerrafondaia la popolazione e arricchito la borghesia.
Necessario più che mai è una presa di coscienza degli sfruttati. La Storia è sempre raccontata dai vincitori dominanti, dal potere governativo, per tutelarsi e dividere gli sfruttati, usata come strumento per scatenare la guerra tra poveri. Sarà invece la lotta degli sfruttati agli sfruttatori che potrà garantirci l’emancipazione, in totale libertà, e a suggerirci e mostrarci la strada da intraprendere, i momenti da cogliere per rovesciare e distruggere un sistema corrotto e marcio, ribellandoci.

“Le macerie non ci fanno paura. Sappiamo che non erediteremo che rovine, perché la borghesia cercherà di buttare giù il mondo nell’ultima fase della sua storia. Ma, le ripeto, a noi non fanno paura le macerie, perché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori…Questo mondo sta crescendo in questo istante” Buenaventura Durruti, rivoluzionario anarchico.

L’Ideale anarchico porta in seno il rispetto fraterno fra chi non vuole più servi ne padroni, sfruttati e sfruttatori. La pace fra gli oppressi, la guerra sociale agli oppressori che vogliono mantenere privilegi politici, economici e sociali.
Anarchia come cambiamento rivoluzionario della qualità della vita. Liberi dalla divisione in classi, dai pregiudizi sessuali, dal razzismo, dalla religione, tutti strumenti per dividere e dominare il più debole. Liberi dal ricatto del lavoro salariale, dalle istituzioni repressive (carceri, tribunali, militari) non necessarie dove non ci sono ne potere ne proprietà privata. E’ necessario emanciparsi per liberarsi dallo Stato, autorganizzandosi. Questo attraverso la lotta, senza mediazioni politiche e pacificatrici di sindacati istituzionalizzati e asserviti, senza politicanti di turno.

“Noi invochiamo l’anarchia, questa manifestazione della vita e delle aspirazioni, l’eguaglianza vera di tutte e tutti.
Come noi abbiamo piena fiducia negli istinti delle masse popolari, il nostro mezzo di rivoluzione è nello scatenamento organizzato di ciò che chiamasi cattive passioni, e nella distruzione di ciò che, nel medesimo linguaggio borghese, chiamasi ordine pubblico”. Michael Bakunin

Alcuni “Anormali”

Rebellion in times of the curfew

We are in a situation that is absolutely new to us. Our freedoms are reduced to a minimum, similar to wartimes or imprisonment. Only this time the “enemy” is invisible and our prison is our home. Catastrophes, state of emergency, curfew, pandemic, media bombardment, panic, insecurity and isolation … It’s not about minimizing or assessing the deadly consequences of the coronavirus – on a medical level I cannot judge this. But I want to formulate a critique of the authoritarian formation taking place, i.e. the state of war declared by the state and the consequences this has for us and society. While every bill and every restriction is waved through with reference to the relevant experts and no one can predict what the situation might look like in a week, we don’t need experts to know that in times of crisis and war the state of emergency becomes the normality way too fast (you remember the “war on terror” or the “refugee crisis”?)

The social misery: lonely, digital and obedient

In the always-on society, the speed and presence of the news has reached a new level. Live updates show us the number of infected people. Our insecurity grows faster … Fear of being infected, of the sick, of the fellow human being, of the neighbour. Meanwhile, politicians are positioning themselves on the front line in the war against the enemy, assuring us that they know what is best. “Stay home! Stay satisfied” this is all we have to do. Prove unity and follow the orders because after all, now is “the wrong time for critique”. And, lo and behold, we find ourselves in a totalitarian scenario of control. You shouldn’t leave the house and should even report anyone who doesn’t stick to the orders. The good citizen becomes aware of his responsibility and calls the cops when he suspects that the neighbours are having a party. In the meantime the use of internet is rising to new heights. As we are no longer allowed to venture out into the world around us, we are being made to believe that there is another world we can escape in: the digital world. Instead of moving and  taking care of your social relations, life gets transposed into the digital world. Instead of going out and meeting friends, you can chat, watch series, make your home your office, get delivered everything in front of your door, watch porn, publish your critique and argue about something or just play games on the internet. In the digital intoxication, life becomes artificial and alienated. Ultimately we lose any possibility of changing anything about the reality around us. Stressed out, underutilized, overwhelmed and with square eyes bumming around within your own four walls – is this the future? Permanently locked in and scared from new horror-news. The number of those who decide themselves to put an end to such a life generally increases. As does the interpersonal and domestic violence which is mostly exercised by men against women.

Towards a permanent open-air prison

While I am writing this text, a police car is driving around in the parallel streets with speakers loudly announcing that one should stay at home. At the same time, some of the leading politicians sit down together and discuss how the curfew can be adapted nationwide. On the roof of a neighbouring house there is radio mast which collects the movement and contact data of all mobile phones in its radius. The companies Telekom and Vodafone will then pass this on so that can be analysed with whom infected persons have probably had contact and to what extent the exit restrictions are being observed. In a few days, the state will probably turn the curfew into an outright ban and abolish rights such as the secrecy of correspondence and the integrity of the home. All to examine who has contact with whom and where, who lives where and is where. The state subjects get categorized, divided and ordered or separated. Furthermore, under the call for total obedience, a global militarization of society is being achieved that has never existed before like this. Closed borders, soldiers preparing for action on the streets, prohibition of any gathering of people and helicopters searching for them with thermal imaging cameras. The fact that China is used as a model state in the fight against the epidemic shows in which direction the journey goes: drones flying above our heads, giving us orders, barcodes on our smartphones which allow us to go to the supermarket or force us into quarantine based on some incomprehensible algorithms, the lockdown of entire cities and checkpoints on every corner. The suggestion of one “expert” in Italy that people in quarantine should also be given electronic shackles to ensure that they do not leave the house, illustrates that the city has now been turned increasingly into an open-air prison and that the methods of discipline, control, administration, punishment and monitoring are applied to all citizens. Some are now content to wait for this brief period of restriction to pass and try to find amusement online. They demonstrate not only that freedom is worth nothing to them, but they also don’t understand that this condition will last more than a few days.

Normality is the real crisis

From the perspective of the ruling class it makes no sense to maintain this state of emergency for only two weeks. If you want to freeze society to stop a virus, it has to be for at least one year from a virological point of view. The consequences will be enormous even if the restrictions will afterwards be relaxed or lifted. Once you live lonely, digital and obedient, you will train yourself to behave in this way. Just a few months ago we saw protests and uprisings exploding globally, but the means of counterinsurgency and social stupidity will cause deep scars. Because those who live lonely and digital also let themselves be robbed of their possibilities and tools to discuss, revolt and self-organize with their friends. The state forbids us any social life while it puts itself in the role of protector of life and limb. But we know that it is the state and its industries that constantly kills, that disseminates wars all over the world, that lets refugees die at the borders and that for hundreds of years has been destroying and exploiting the earth. The state pretends to be the guardian of the common good, but actually it wants us to be work slaves and obedient soldiers – producing profits for its polluting industry and willing to die in its wars. First and foremost the state protects the rich and if in this economic crisis someone thinks of just taking from them what he or she lacks, the public servants will not hesitate to shoot the looters and thieves. Capitalism and the state need crises and states of emergency to increase and strengthen their power over us. The virus is not the reason, but the trigger. The state is calling on us to take our responsibility. But it forbids us to self-organize, to meet and to help each other. We are supposed to sit in front of the screen and say “yes” and “amen”. But when we abandon the role of subject, it declares war on us. If the state wants to control and prevent any of our movements and relations, we have to find ways to move and meet despite all of this. If we lack the essentials of life, we have to take it from where it exists in abundance. When we are separated from each other and locked up, we shouldn’t see ourselves as competitors or enemies, but as people with whom we can relate – as possible carers and accomplices. And as the eyes of the state become more and more omnipresent and the noose of capitalism becomes tighter and tighter around our necks, we must look for ways to cut them out and sever them.

“To be governed is to be watched, inspected, spied upon, directed, law-driven, numbered, regulated, enrolled, indoctrinated, preached at, controlled, checked, estimated, valued, censured, commanded – by creatures who have neither the right nor the wisdom nor the virtue to do so. To be governed is to be at every operation and at every transaction noted, registered, counted, taxed, stamped, measured, numbered, assessed, licensed, authorized, admonished, prevented, forbidden, reformed, corrected, punished.

It means to be exploited, monopolized, extorted, squeezed, deceived, robbed under pretext of public utility and in the name of the general interest; then, at the slightest resistance, by the first word of complaint, to be repressed, fined, vilified, harassed, hunted down, abused, clubbed, disarmed, bound, choked, imprisoned, judged, condemned, shot, deported, sacrificed, sold, betrayed; and to crown all, mocked, ridiculed, derided, offended, dishonoured.

That is government, that is its justice, that is its morality. The government of man by man is slavery. Whoever lays his hand on me to govern me is an usurper and a tyrant. I declare him my enemy.”

(Originally published in the anarchist Newspaper Zuendlumpen on 24.03.2020)

Delazioni e lezioni

È notizia di ieri che — secondo un sondaggio — il 72% degli italiani ritiene sia giusto segnalare alle forze dell’ordine chi non rispetta i divieti anti-pandemia. In particolare andrebbero segnalati eventuali assembramenti o festeggiamenti nelle case dei vicini. Quasi tre italiani su quattro spiano i comportamenti dei loro vicini, pronti a chiamare la polizia se qualcuno ha l’ardire di incontrarsi e divertirsi con gli amici? E che dire di tutti quei potenziali stragisti che osano andare a correre, portare a spasso il cane, far giocare i propri figli — magari con gli amichetti — all’aria aperta?
È notizia di oggi quanto accaduto in Calabria ad un esemplare di questo 72%, il quale aveva postato in rete un video che ritraeva uno dei tanti controlli «per il contenimento epidemiologico» che avvengono per le strade. In questo video aveva ripreso… ehm, come dire… la persona che non avrebbe dovuto riprendere… la persona sbagliata… o meglio, quella con il parente sbagliato. Quest’ultimo, una volta informato che un suo familiare era stato beccato in flagranza di divieto e messo alla gogna in rete, ha pensato bene di andare a congratularsi di persona con l’autore del video. In effetti, per diffondere immagini simili bisogna proprio avere un alto senso civico, pregno di orgoglio nazionale. Il parente sbagliato si è quindi presentato alla porta dell’appartamento da dove era stato fatta la ripresa, ha bussato, e dopo qualche inutile scambio di parole sul valore della riservatezza, ha estratto una pistola facendo risuonare tutta la sua ammirazione. Purtroppo il parente neanche poi tanto sbagliato è stato arrestato e quindi, dovendo da ora in poi stare rinchiuso in una cella anziché stare chiuso in salotto, non potrà più dispensare sagge lezioni di cazzisuologia. Quanto al suo allievo involontario, trascorrerà il resto dei suoi giorni zoppicando.
Chissà se gli basterà per stare lontano dalla finestra e soprattutto per non ficcare il naso nella vita privata degli altri?