Lunedì 9 marzo
Nel pomeriggio di lunedì 9 marzo è scoppiata una rivolta dentro il carcere della Dozza di Bologna.
Tra le cause scatenanti della rivolta, le misure che il governo e il Dap hanno adottato, a partire dal 25 febbraio, per prevenire la diffusione del Covid-19 nelle galere, quali l’annullamento dei colloqui visivi, la possibilità di fare solamente una telefonata di dieci minuti a settimana, l’impossibilità di far entrare pacchi da fuori, la sospensione dell’ingresso dei volontari, la sospensione della semilibertà, del lavoro all’esterno e dei permessi premio; e in parallelo, le false promesse dell’aumento dei colloqui telefonici o addirittura di poter effettuare videochiamate skype, quando è noto che queste possibilità non sono garantite nemmeno nella misura in cui ordinariamente dovrebbero esserlo. Queste misure di indurimento si aggiungono alle condizioni, da sempre esistenti, di sovraffollamento, di pessime condizioni igieniche e di una strutturale mancanza di accesso alle cure sanitarie che caratterizzano la Dozza, così come tutte le galere d’Italia. Il 5 marzo veniva annunciato che i colloqui settimanali dal vivo erano nuovamente possibili con l’accesso consentito di un parente maggiorenne per volta, mentre, con lo scoppiare delle rivolte nelle altre carceri, i familiari dei prigionieri non avevano più potuto ricevere notizie dei loro cari e comunicare con loro.
Pochi giorni dopo, il 9 marzo, la rivolta è scoppiata anche al carcere della Dozza dove un presidio di solidali, amiche/i parenti si è spontaneamente creato davanti all’istituto penitenziario, man mano che la notizia ha cominciato a diffondersi. Ai familiari è stato impedito sin da subito da un enorme dispiegamento di carabinieri e polizia di avvicinarsi all’ingresso del carcere e di ottenere notizie. Circolava l’informazione che alcune sezioni del maschile fossero state occupate, ma si sono susseguite per diverse ore soltanto informazioni incerte. Solo in seguito si è saputo dai giornali che ad essere occupate erano state unicamente le sezioni giudiziarie. Il silenzio assordante del circondario, così come dell’intera città era rotto soltanto dal rumore delle sirene. Il tentativo di avvicinamento del presidio alla sezione maschile, impedito dal dispiegamento di polizia, ha consentito di sentire qualche urla e battitura dall’interno. Il presidio si è poi spostato sulla strada principale creando un blocco del traffico per avvicinarsi al lato della sezione femminile; anche se sul momento non si sono sentite risposte, in seguito è arrivata la notizia che le detenute hanno dato luogo a una protesta in forma di battitura.
Nè le guardie, nè i vigili del fuoco -il cui mezzo è stato brevemente bloccato fuori dal carcere- hanno voluto dire nulla, neanche per rassicurare le madri, compagne e sorelle di chi era dentro, nemmeno dopo che due ambulanze erano corse via d’urgenza dal carcere proprio davanti agli occhi di chi era presente all’esterno.
Il silenzio da parte delle autorità alle richieste di notizie da parte di chi ha i propri cari rinchiusi là dentro, lasciava un baratro di incertezze e preoccupazione, alimentato anche dalle notizie del massacro avvenuto nel vicino carcere di Modena, nonchè delle rivolte che stavano avvenendo in una trentina di carceri italiane. Ciò non ha fatto altro che montare la rabbia e la voglia di star lì e farsi sentire. Nell’emergenza sanitaria, la solidarietà non va in isolamento.
Solamente in tarda serata, intorno alle 22 si è iniziata a vedere una densa nube di fumo che fuoriusciva dal blocco maschile contemporaneamente a dei movimenti sul tetto dello stesso blocco. I prigionieri che si erano barricati in sezione ed erano saliti sul tetto hanno quindi iniziato a urlare e a incendiare oggetti, gridando “Libertà!” al gruppo di solidali e parenti che hanno risposto con cori, messaggi di solidarietà e fischi. La rivolta e i fuochi nel blocco maschile sono continuati per tutta la notte, durante la quale sono andate a fuoco 4 macchine della polizia penitenziaria, ed è continuata fino all’ora di pranzo del giorno successivo.
Martedì 10 marzo
Il mattino del giorno seguente, martedì 10, si è nuovamente formato un presidio spontaneo fuori le mura della Dozza. I prigionieri ancora sul tetto avevano appeso striscioni che rivendicavano diritti, libertà e indulto mentre l’edificio rimaneva circondato dagli sbirri. Nuovamente era impossibile ricevere informazioni certe di quanto stesse accadendo all’interno. La notizia che circolava era quella di una trattativa in corso tra i reclusi in rivolta e la direzione del carcere e il capo delle guardie, mentre un altro gruppo di reclusi avrebbe voluto avviare una trattativa unicamente con un magistrato di sorveglianza, arrivato in mattinata.
Dopo che per un paio d’ore non si vedeva più nessuno nè si ricevevano risposte, verso le 15 si sono avvistati gli sbirri in tenuta antisommossa sul tetto, brandire il manganello, nella direzione del gruppo di solidali, in segno di vittoria e al grido di “lo Stato ha vinto”. Abbiamo comunque provato a far arrivare la nostra voce oltre alle mura lontane, per provare a comunicare ai detenuti quanto stava succedendo nelle altre carceri, per esprimere di nuovo la nostra solidarietà augurando a tutte le persone recluse in quella galera di riuscire a prendersi la libertà.
Nel frattempo circolava la notizia che la protesta era rientrata e la trattativa conclusa, ma non è ad oggi possibile conoscerne precisamente le modalità e gli esiti, al di là di quanto trapelato dai media, secondo cui i prigionieri sarebbero rientrati in sezione, con le richieste di consentire il reingresso degli educatori e misure di pena alternative alla detenzione. Sempre secondo i giornali, i detenuti feriti sarebbero 20, di cui 16 medicati sul posto. Le guardie ferite, 2.
Nella mattina di mercoledì 11, si è appresa la notizia certa di almeno un trasferimento nella prima mattinata. Per ora non è dato sapere ai familiari nè agli avvocati l’identità delle persone trasferite, nè la loro destinazione.
Nel pomeriggio si è appreso dai media che due detenuti sono morti per overdose, la stessa versione ufficiale usata per gli altri 13 morti nelle carceri di Modena e Rieti. Resta il fatto che la struttura di Modena è totalmente inagibile grazie alla rivolta e anche quella di Bologna riporta danni ad ora ancora da definire ma sicuramente ingenti. Sempre dai media è stato riportato che <<nel pomeriggio di martedì 10, a poche ore dalla conclusione della rivolta della Dozza, il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria, in Viale Vicini è stato danneggiato da “vandali” rompendo i vetri del portone d’ingresso. Gli stessi vandali hanno firmato l’azione lasciando scritte come “Acab”, “Solidarietà ai detenuti in lotta”, “Fuoco alle galere” e “Secondini assassini”.>>
Giovedì 12 marzo
Nel pomeriggio di giovedì 12, è stato fatto un veloce saluto al carcere, nel tentativo di raggiungere la sezione maschile e valutando l’inopportunità/inefficacia di una chiamata pubblica vista le incognite della situazione generale attuale legata agli effetti delle ordinanze. Una ventina di persone è riuscita ad arrivare sul posto e a scambiarsi dei saluti con i detenuti, al grido reciproco di “libertà”, in particolare con la sezione di As3 e con altre sezioni più lontane. Chi si trovava in As non ha cognizione di quanto sia accaduto, in quanto isolato, e tra i detenuti delle altre sezioni nessuno ha saputo riportare quale trattamento sia stato riservato ai prigionieri dopo la rivolta, nè notizie in merito alla persona morta nel carcere. Da dentro sono provenute nitidamente richieste di aiuto, nonchè la richiesta espressa che le guardie debbano mettersi le mascherine e l’affermazione condivisa che Bonafede voglia farli morire lì dentro. È evidente che l’imposizione dell’isolamento ai detenuti, tra loro e con l’esterno, trascende le esigenze reali di prevenzione e contenimento del contagio in carcere, se poi tanto sono le guardie stesse, potenziali veicoli del virus, a non indossare le mascherine. Secondo fonti ufficiali di oggi sembrerebbe che sia morta una persona e non due, come invece riportavano fino a stamane alcuni giornali locali, e che ci siano stati tra ieri e oggi 15 trasferimenti verso altre carceri, ma non sono note nè le persone nè la destinazione. Ai familiari e avvocati è ancora impedito di avere notizie dei propri cari, nè tantomeno di comunicare con loro o di poter inviare pacchi all’interno. I familiari dicono, tuttavia, che li tengono nel carcere distrutto a dormire ammassati per terra, che non si sa se la mensa funziona e che siano stati tutti massacrati di botte.
Le Autorità, sin dalle prime rivolte e dalle notizie delle prime morti hanno continuato a invocare il pugno di ferro nei confronti dei prigionieri, l’isolamento completo dei medesimi, omettendo di fornire ogni notizia a familiari e avvocati su dove sono stati trasferiti e sulle loro condizioni di salute, quindi impedendo di mettersi in contatto con loro, nonché di rendere nota l’identità delle persone morte di carcere nelle mani dello Stato.
Le rivolte nelle carceri di tutta Italia di questi giorni mostrano chiaramente che in situazioni di emergenza i primi che ne fanno le spese sono coloro che ogni giorno vivono le condizioni peggiori, gli stessi che tuttavia hanno deciso di ribellarsi e di scatenare rivolte per far emergere ciò che il carcere è quotidianamente. Non è solo nel momento di eccezione che la galera ci appare come qualcosa di inaccettabile che va distrutto, ora semplicemente qualcuno ha avuto il coraggio di tirare fuori questa realtà ribellandosi con decisione.
Non crediamo sia possibile mai, ma a maggior ragione di fronte a tutto ciò, limitare le prese di posizione alla richiesta di amnistia per alcuni, lasciando che gli altri prigionieri rischino quotidianamente l’isolamento e la morte nelle infami galere.
Libertà per tutte e tutti i prigionieri, che di ogni galera rimangano solo macerie.
Che le morti di stato non cadano nell’indifferenza!
Solidarietà alle/i prigioniere/i in rivolta!
Finchè ci sono prigioni che bruciano lo Stato non ha vinto.
Anarchiche/ci
https://roundrobin.info/2020/03/bologna-resoconto-rivolta-carcere/