Bolzano – Un contributo

“TUTTI SULLA STESSA BARCA” UN CAZZO!

La retorica patriottica, il “siamo tutti sulla stessa barca” e gli “andrà tutto bene” servono solo a far dimenticare che le condizioni materiali di vita sono tutt’altro che uguali per tutti, a maggior ragione in questa situazione. Per molti, a casa senza stipendio e in parecchi casi senza prospettive di accesso alle elemosine istituzionali, pagare l’affitto e fare la spesa è già un problema.

C’è chi una casa dove restare semplicemente non ce l’ha. Chi è recluso in galere sovraffollate, praticamente senza assistenza sanitaria, e ora senza colloqui, mentre il virus viene portato dentro dai secondini. Per molte donne la prospettiva di stare in casa è tutt’altro che rassicurante. E anche, banalmente, i metri quadri a disposizione non sono certo gli stessi per tutti.

“FURBETTI” E ASSASSINI

Mentre si riempiono le città di sbirri e militari e si incoraggia una massa di delatori a denunciare i “furbetti” che fanno una passeggiata come se fossero loro la causa del diffondersi del virus – e si sperimentano nuovi strumenti tecnologici di controllo sociale –, i padroni con l’avallo dei sindacati costringono a lavorare ammassati senza alcuna sicurezza anche in attività tutt’altro che indispensabili. All’Iveco di Bolzano – dove ora c’è la notizia di una positività al virus – si è continuato a lavorare per produrre blindati per i marines USA e per l’esercito brasiliano…

QUALE NORMALITÀ?

Nessuno può dire quanto questa situazione durerà e se avrà una fine, o se la prospettiva sarà quella di uno stato d’emergenza a tempo indeterminato. In ogni caso, siamo sicuri di voler tornare alla normalità di una società che ha sempre anteposto il profitto anche alla salute e che farà pagare sempre ai più poveri, con nuovi sacrifici imposti con le minacce, anche la crisi economica che si profila?
Sapranno deviare la rabbia di chi si trova senza un soldo nella solita guerra tra poveri, solo più feroce che in passato, o sapremo individuare il nemico?
Autorganizzarsi per far fronte ai propri bisogni senza aspettare le elemosine dello stato e il controllo che comportano, tutelare la propria salute estendendo gli scioperi che ci sono già stati nei giorni scorsi a tutte le attività non veramente necessarie, organizzarsi per non pagare affitto, bollette, spesa – come qualcuno ha già provato a fare, tanto che in alcune zone reparti antisommossa sono stati schierati preventivamente davanti ai supermercati…

Il coprifuoco porta all’estremo la tendenza all’isolamento. Se vuoi condividere – ovviamente anche in forma anonima – la tua rabbia nei confronti di padroni, sbirri e spie, carcere e altre istituzioni, episodi che ti sono accaduti o dei quali sei stato/a testimone o semplicemente la tua sofferenza in questa situazione, puoi scrivere all’indirizzo e-mail bolzanocontro@canaglie.org o alla pagina facebook Bolzano Contro. Nessuno può promettere nulla, ma rompere l’isolamento è l’inizio di una riscossa possibile.

Sull’immunità di gregge

Non si può negare che quanto sta accadendo in tutto il mondo non abbia perlomeno avuto il merito di far capire cosa si intenda quando si parla di immunità di gregge. Ci sembra un concetto rivelatore, in grado di far cogliere perfettamente la sua ambivalenza di significato. Non ci stiamo riferendo alla sua accezione medica, ovviamente, ma a quella sociale. In campo sanitario è quasi patetico il suo utilizzo, una vera e propria mistificazione che alimenta la confusione promettendo un’immunità che non può esserci. L’immunità, quella vera, è infatti una condizione accertata e perenne che può essere acquisita soltanto in maniera naturale, passando attraverso la malattia (non qualsiasi malattia, però). Con la vaccinazione si ottiene l’esatto opposto. Nella migliore delle ipotesi si cerca di evitare la malattia costituendo in maniera artificiale una difesa biologica, insuperabile solo fino a prova contraria, e che per di più è spesso e volentieri momentanea. È al tempo stesso un amuleto contro la malattia e un rimedio alla pigrizia, una scorciatoia industriale al lungo sforzo di alzare le proprie difese immunitarie. Avete presente quelli che per «tenersi in salute» inghiottono pillole su pillole, piuttosto che fare la fatica di conoscersi e prendersi cura di sé? Mangiano male e prendono farmaci, dormono male e prendono farmaci, vivono male e prendono farmaci. I muscoli del culturista imbottito di steroidi sono paragonabili ai muscoli del ginnasta che fa esercizi quotidiani? Con la vaccinazione accade la stessa cosa. Ecco perché, proprio come accade con l’assunzione di farmaci e steroidi, la vaccinazione fa più male che bene, avvelenando e indebolendo ulteriormente l’organismo. Ciò detto, a quale medico illuminato da un notevole senso dell’umorismo è venuto in mente di identificare l’umanità con un gregge?
No, lasciamo perdere, è solo lasciando l’ambito medico che il concetto di immunità di gregge appare in tutta la sua ineccepibile precisione. Dicesi immunità di gregge l’immunità acquisita da chi esercita il potere (compiendo innumerevoli soprusi e disastri) dopo aver trasformato in gregge chi il potere lo subisce. Basti osservare la situazione odierna. Chi è reso immune dal gregge popolare belante sicurezza, quello che canta in coro l’inno nazionale ed applaude le forze dell’ordine? Non ci vuole molto per capire che chi denuncia gli irresponsabili che osano respirare aria fresca e sgranchirsi le gambe non fa altro che salvaguardare i responsabili che inquinano, avvelenano, contaminano. Come se l’untore su cui scaricare la rabbia fosse chi cammina per strada, e non chi espone l’esistenza umana a mille pericoli seguendo ragioni di Stato o azioni di mercato.
Ma c’è un altra sfumatura di significato presente in questo concetto, ovvero che solo un gregge di pavide pecore può pretendere l’immunità. Si tratta di una pretesa trasversale, che non conosce differenze di classe. Infatti, se i ricchi la pretendono perché lavorano-producono-pagano, da parte loro i poveri la pretendono perché obbediscono-si rassegnano-consumano. Nel cosiddetto migliore dei mondi possibili, quello presente della Scienza, del Progresso e dello Sviluppo, tutti rivendicano il loro inalienabile diritto all’immunità, rimanendo oggi sconvolti e terrorizzati dall’idea che il loro conto in banca o la loro servitù volontaria non possano impedir loro di finire come un Marco Aurelio, o un Tiziano, o un Apollinaire — stecchiti da una pandemia. Che sciocco timore! Nel caso odierno, i ricchi potranno facilmente procurarsi un respiratore artificiale in grado di ridurre al minimo tale rischio. Quanto ai poveri, non hanno possibilità di passare alla storia in quanto vittime di un contagio. Gli uni come gli altri diventeranno solo numeri di statistiche.
Quando cesseremo di considerarci vivi solo perché siamo nati?
[1/4/20]

La vita al bivio

«L’obiettivo è percorrere 100 chilometri correndo sul balcone di casa, una sfida sportiva dopo il varo delle misure per contenere i contagi da coronavirus. E’ l’impresa che sta cercando di raggiungere Gianluca Di Meo, runner 45enne di Bologna che dopo avere superato il percorso di una maratona, iniziando alle 4.30 di questa mattina e ‘tagliando’ il traguardo dopo oltre 7 ore e 6mila giri, ha deciso di proseguire per altri 50 chilometri. A raccontare la storia dell’atleta, nel 2017 vincitore della 150 chilometri di Rovaniemi, è il ‘Corriere di Bologna’. La corsa terminerà alle 22 dopo 18 ore, Di Meo a disposizione ha un balcone, nella sua abitazione a Padova, di 8,8 metri di superficie. “Questo per me non è un balcone – ha raccontato il runner – lo affronto con lo stesso spirito delle altre avventure in natura. In qualunque condizione non bisogna perdersi d’animo. Mi piace quello che sto facendo”.»

Come nel film l’Odio, dove la voce narrante sembra rassicurars(c)i dicendo che “fino a qui tutto bene”, il problema dell’atterraggio comincia a balenare dietro ai nostri occhi. Gianluca, come una sottospecie di criceto, cerca di allontanare la realtà. Riesce anche ad autoconvincersi che ciò che sta facendo gli piaccia. È sicuro correre sul balcone, è contento di accettare tutto ciò, anzi, ci tiene a diventare testimonial della bontà delle scelte del governo. Correndo sul balcone Gianluca cerca di esorcizzare la paura, ma da questo problema non si può scappare, esso ci attende in fondo agli occhi, alla fine dei nostri incubi. O dei nostri sogni? Guardiamo al disastro, o forse alla catastrofe, con che aspettative?

«Una donna di Lodi sceglie di non far morire l’anziana madre in ospedale, tenendola a casa, dopo avere perso il fratello e col marito ricoverato in rianimazione. Tutti colpiti da coronavirus.
La storia raccontata da un operatore del 118, che ha fatto il giro del web in questi giorni, è stata diffusa ora anche da Agenzia regionale lombarda per l’emergenza (AREU), tra le 9mila mail pervenute nell’ambito dell’iniziativa che invitava a ringraziare i soccorritori e chi si prodiga per le cure.
Paolo Baldini, infermiere, spiega di avere ricevuto una chiamata da Lucia, 55 anni, che vive coi figli in una casa a due piani. A quello di sotto sta la madre. “Gianni suo marito è in rianimazione intubato, Stefano suo fratello è morto l’altro ieri in Rianimazione. Mi spiega che chiama per sua mamma, 88 anni, che ha febbre, astenia, tosse, dispnea. Mi dice che il medico ha appena visitato la mamma e consiglia il ricovero in ospedale perché non sa più come gestire la situazione”. L’infermiere le propone allora un mezzo di soccorso per portare l’anziana in ospedale. Prosegue il racconto: “Lei mi blocca. La sua voce è calma e decisa. Ho la sensazione di dovermi preparare a discutere. Sono stanco ed egoisticamente non ho più voglia di parlare con nessuno. Lucia invece mi da’ una lezione di vita e mi dice che non vuole portare la mamma in ospedale. Mi spiega che ha già perso un fratello senza poterlo salutare e senza poter andare al suo funerale e che non vede e non sente il marito da dieci giorni. Mi dice che non vuole che sua madre muoia in ospedale. Aggiunge: “So perfettamente che in ospedale riuscite a malapena a stare dietro ai pazienti giovani e so perfettamente che se mando mia madre in ospedale la lasciate morire da sola perché non avete tempo di curarla”. Il soccorritore scrive di essere rimasto “in silenzio perché so che ha perfettamente ragione”. Due ore dopo, la mamma di Lucia muore. “Magari un giorno riflette Paolo – andrà dalla signora Lucia per abbracciarla e per dirle che ha fatto la cosa giusta. Perché se fossi un padre vorrei una figlia come lei”.»

C’è un’oscillazione tra la rassegnazione e la coscienza, tra l’arrendersi alla deresponsabilizzazione e l’accettazione del peso delle proprie scelte. Tra la fuga dalla coscienza sul proprio balcone e l’affrontare la responsabilità della morte delle persone che amiamo.

Avrebbe potuto vivere alcune ore in più, la madre di Lucia. Grazie ad un respiratore o all’ossigeno. Lucia ha deciso di non farla ricoverare, ha distrutto ogni probabilità della madre di sopravvivere. Ha scelto che la morte certa, tra le braccia di chi l’amava, sarebbe stata preferibile alla morte probabile in un letto d’ospedale.

Forse le cure avrebbero potuto alleviarne le sofferenze, consegnare l’anziana donna a qualche ulteriore giorno di sopravvivenza. Eppure questa possibilità è stata stroncata.

L’amore delle ultime ore è stato preferito alla quiete degli ultimi giorni. La qualità della morte rispetto alla quantità dell’agonia.

Questa è l’oscillazione: rendersi conto che la sicurezza offerta dallo Stato è flebile. Un balcone è troppo stretto per poter correre. Che la morte non può essere rimandata, va piuttosto saputa affrontare, assumendosene la responsabilità.

Siamo tutti chiamati a fare la stessa scelta, in fondo, quotidianamente. Accettare la possibilità di ammalarci oppure cercare di salvarci ognuno nelle proprie case, soli. L’agonia della socialità telematica quando sarà rifiutata, in questa oscillazione latente, per il rischio del contatto umano?

Gli esseri umani non sono numeri. Non sono statistiche, non sono curve. Hanno delle vite e delle storie, che possono anche apparire assurde. Fanno delle scelte, che sono insindacabili. Come quella di porre fine alla propria vita, di morire come e quando uno desidera. Oppure si trovano a dover decidere per le persone che amano. Qual’è il limite etico per cui, pur di salvare una vita a tutti i costi, essa può essere ridotta al dato nudo, a simile tra le tante, semplice paziente in una corsia d’ospedale?

«I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono in solitudine senza neanche il conforto di appropriate cure palliative. Le famiglie non possono avere alcun contatto coi malati terminali e sono avvisate del decesso dei loro cari per telefono, da medici benintenzionati ma esausti ed emotivamente distrutti.  Nelle zone circostanti la situazione è anche peggiore. Gli ospedali sono sovraffollati e prossimi al collasso, e mancano le medicazioni, i ventilatori meccanici, l’ossigeno e le mascherine e le tute protettive per il personale sanitario. I pazienti giacciono su materassi appoggiati sul pavimento.»

Questo scrivono i medici di Bergamo. Lo stato della sanità in Italia non è un fallimento organizzativo, è un fallimento di un intero modo di vedere la salute e la cura. Il fatto che gli ospedali siano focolaio di infezione (e non solo per il coronavirus: le infezioni ospedaliere, solo in Italia, fanno circa 50.000 morti l’anno) e che inizialmente sembra che il contagio sia partito da un pronto soccorso, non fa che rafforzare queste tesi. Con buona pace di chi lamenta i tagli alla sanità invocando più fondi dallo Stato.

L’ospedale è stato infatti una delle prime forme di istituzione totale, ovvero uno di quei luoghi in cui l’individuo scompare tra regolamenti e medici che sanno «cosa è meglio per te». L’occuparsi della malattia e della morte viene strappato dalla comunità e dalla responsabilità degli individui e consegnato alla medicina ed all’ospedalizzazione. La centralizzazione della cura crea questo problema, ovvero che gli individui non possono più decidere per loro stessi e non hanno nemmeno più le conoscenze riguardo al loro corpo. La salute viene resa faccenda da specialisti.

Eppure la salute non è cosa da specialisti. La vita e la morte sono responsabilità degli individui. Lo sa bene la signora Lucia, che in tempi normali sarebbe stata denunciata sicuramente. Lo sanno tutti coloro che decidono che per loro la malattia ha un significato diverso e vogliono curarsi – e magari non “essere curati” – in maniera diversa. Lo sanno coloro che pensano che la salute sia un concetto più ampio di “assenza di malattia”: salute è prima di tutto vivere bene.

Salute, però, è anche sinonimo di salvezza. Ed è in questo secondo salto di significato che ci si presenta il secondo bivio esistenziale: questa presa di coscienza riguardo ad alcuni aspetti profondi dell’esistenza e della vita che conseguenze avrà sul “ritorno alla normalità”? Forse non ce ne sarà neppure uno, di ritorno, forse non dovremmo neppure volerlo.

Gianluca non ne è mai uscito, dalla normalità, impegnato com’è a correre in balcone, ripetendosi che in fondo va tutto bene. E Lucia? E tutte quelle persone che hanno visto fermarsi la società e si sono rese conto del gioco di spettri che essa rappresenta, cosa vorranno fare della loro esistenza? Tornare a sperare fissando il vuoto dai loro uffici o in un’astinenza di realtà, dopo averla assaporata nel suo doloroso essere, cominceranno a desiderare altro? Quanto meno per non vedersi scorrere la vita tra le dita.

Per rimettere in moto questo mondo serviranno sacrifici e rinunce, per anni. Ma a quale scopo farlo? Per quelle certezze illusorie che scompariranno al prossimo disastro? Come si può tornare ad affidare la propria sopravvivenza agli scaffali di un supermercato quando ci si rende conto che nessuno garantisce che resteranno pieni per sempre? Dopo aver assaporato il peso della responsabilità si può tornare nella cieca accettazione dello stato delle cose? Chi venne rinchiuso oltre la sentenza che il lavoro rende liberi, almeno sapeva che il mondo fuori ancora continuava ad esistere, oltre il filo spinato dell’ideologia al potere. Chi ha varcato la soglia dell’esistenza sotto il motto della Fine della Storia, perché non dovrebbe tornare ad immaginare un futuro diverso?

Chiunque sta vedendo che le certezze sono poche. Chi con orrore, chi con gioia. Questa società sta crollando e noi con essa.

Proprio perché la questione è profondamente esistenziale non si può trovare conforto nella politica o nelle parole dello Stato. Occorre piuttosto venire ai ferri corti con sé stessi, interrogandosi nudi davanti allo specchio dei propri bisogni. Cos’è la salute? Cosa serve all’essere umano per vivere – e non per sopravvivere? Lucia ha abbandonato in un gesto ogni certezza, ogni promessa di sicurezza, testimoniando con la propria scelta che la vita è altro. Che la salute non sta nell’ospedale anche se vi potrebbe essere la cura. Che la salute deve portare in sé la possibilità di vivere degnamente, in libertà, con la responsabilità di sé stessi e delle proprie scelte. Non con la responsabilità dell’obbedienza.

La salute passa dalla possibilità di vivere liberi, e questa possibilità risiede solo negli individui e nella loro volontà di liberarsi da ciò che si frappone alla vita, di ciò che sterilizza il pericolo per salvaguardarne la sopravvivenza. Perché la salute risiede anche nel senso che diamo alla nostra stessa vita, a ciò che vogliamo ricordare quando, sul punto di morte, sapremo di aver vissuto secondo i nostri desideri. Degnamente.

Salutiamoci reciprocamente ricordandoci perciò che “La salute è in noi”. Un concetto da tenere bene a mente, parole chiare in tempi difficili.

Sembra assurdo dire queste cose di fronte ai dati di questa pandemia. Eppure, non c’è momento migliore per porci di fronte al bivio della Vita che ricordarci che siamo noi a doverci assumere la responsabilità della nostra stessa esistenza. Gianluca e Lucia sono due modi opposti di reagire. Scappare sul balcone o affrontare l’impensabile. Ma a cosa serve ripetersi cantilenando che “andrà tutto bene?

La catastrofe è dolorosa opportunità, non torniamo alla normalità. Ne và della nostra salute.

La salute è in noi.

Genova – Solidarietà ai detenuti del carcere di Marassi

Si dice che lo stato di salute di una democrazia sia riscontrabile dallo stato di salute delle proprie carceri.
Possiamo quindi dire che la paziente Italia è in coma profondo.
Nel solo 2019 sono morte 143 persone di cui 53 suicidi e dall’inizio 2020 siamo già a 41 morti di cui 13 suicidi.
Alla faccia del recupero del detenuto!
Lungi da noi pensare che le carceri siano luoghi di recupero e riabilitazione, per quanto ci riguarda tali strutture andrebbero distrutte.
Una morte in carcere, qualsiasi fosse la natura, è una morte da attribuire allo stato detentivo, a chi istituisce e gestisce tali inferni di cemento: lo Stato!
Le proteste dei detenuti di questo inizio Marzo ci hanno dato coraggio e forza, abbiamo così ritenuto giusto far sapere che fuori c’è chi li sostiene con piccoli gesti di solidarietà.
In diverse occasioni all’inizio del mese siamo andati  sotto le infami mura del carcere di Marassi  facendo sentire la nostra complicità con petardi, fumogeni e srotolando striscioni.
Durante l’ora d’aria abbiamo lanciato dentro le mura palline da tennis contenenti un testo di informazione e solidarietà ai detenuti in lotta e gli aggiornamenti su quello che sta accadendo nelle altre carceri italiane.
Ai primi tentativi fatti la risposta è stata sempre immediata e focosa, col passare dei giorni la risposta si è affievolita, complice probabilmente la pressione interna da parte del sistema carcerario.
Abbiamo ritenuto che le responsabilità penali non fossero un deterrente abbastanza forte da spegnere il nostro desiderio di essere vicini ai prigionieri in lotta in questo momento.

IL NOSTRO AMORE PER LA LIBERTA’ E’ PIÙ FORTE DI OGNI AUTORITA’!
FUOCO ALLE CARCERI!
LIBERTÀ PER TUTTI!

Cile – Una prospettiva anarchica sulla pandemia da Coronavirus

Nel pomeriggio di un venerdì particolarmente caotico, Piñera inaugura la
pandemia sul canale televisivo nazionale. È dall’inizio di marzo che la
paura del virus è entrata poco a poco nelle conversazioni facendosi
sempre più protagonista tra il turbolento ritorno a scuola che vuole
essere una replica (come in un terremoto) della rivolta di ottobre, le
manifestazioni femministe di massa, la radicalizzazione dei settori
reazionari e l’imminenza del referendum.
La situazione internazionale è altrettanto complessa. L’anno scorso è
iniziata una nuova ondata mondiale di rivolte contro la normalità
capitalista, e la tanto logorata “istituzionalità” sembra star
collassando da dovunque la si guardi, lasciando spazio non solo alla
creatività insurrezionale ma anche a (mai tanto facilmente
differenziabili) populismi e fascismi d’ogni genere.
Da tempo l’economia sta perdendo velocità, però la guerra commerciale
tra due potenze in decadenza, l’aumento manipolato del prezzo del
petrolio, e la paralisi provocata dal coronavirus, hanno costruito la
tempesta perfetta per lasciare in caduta libera la borsa e la sua tela
di finzioni speculative.
È in questo contesto che la malattia arriva nel nostro territorio, con
uno stato d’eccezione ancora fresco nella memoria. Inizia nei quartieri
alti, e quasi ci rallegriamo prima di ricordarci che non saranno loro lx
primx a subirne le conseguenze. Il governo, sempre tardi, annuncia le
sue misure. Chiaramente non sono sufficienti, e il suo unico obiettivo è
assicurare la libera circolazione del capitale. Alcunx (le stessx che
vedono complotti in ogni angolo) sussurrano che è una strategia per
cancellare il referendum, a quanto pare tanto pericoloso. Però a noi è
chiaro che fachx inteligente vota apruebo (1), e che l’incompetenza del
governo non ha bisogno di altre giustificazioni che i propri interessi
di classe.
Tuttavia, abbiamo già visto come si è sviluppata la situazione in altri
paesi in una fase più avanzata dell’infezione. Nelle strade di Cina,
Italia e altre parti del mondo si sono dispiegate simulazioni di
controinsurrezione, di guerra urbana, di stato d’eccezione assoluto, con
diversi livelli di successo. Lo stato cinese, famoso per la sua capacità
repressiva, ha concentrato tutti i suoi sforzi nel contenimento della
zona zero, facendo il giocoliere per mantenere a galla l’economia, e ha
lasciato ai suoi governi regionali la libertà tanto di riprendere la
produzione quanto di promulgare leggi assurde per sostenere la
quarantena. Al di là di questo, in nessun paese la quarantena è stata
efficiente ed effettiva (manco a parlare degli Stati Uniti, la cui
politica pubblica si riduce a tapparsi le orecchie e gridare forte).
Il caso italiano è degno di nota, più che altro, per la resistenza alle
misure di quarantena e di “distanziamento sociale”, eufemismo nefasto
che si riferisce all’autoisolamento, alla precarizzazione forzata
mascherata da “tele-lavoro”, all’accaparramento dei beni essenziali e
alla negazione di qualsiasi forma di comunità. Quando allx prigionierx
(ammassatx e immunocompromessx da sempre) hanno proibito i colloqui, è
iniziata la rivolta carceraria più grande di questo secolo: ventisette
carceri in rivolta, diverse morti, poliziottx e gendarmi sequestratx e
centinaia di prigionierx fuggitx.
Nel territorio cileno, la situazione è incerta. Farmacie e supermercati
che poco tempo fa erano stati saccheggiati, presto saranno svuotati a
causa del panico generalizzato. I trasporti pubblici, campo di battaglia
permanente dall’inizio della rivolta, presto saranno evitati come la
peste. Il governo ha già proibito gli assembramenti di più di 500
persone, però a questo punto chi cazzo ascolta il governo. I militari,
che supponiamo si siano negati ad uscire di nuovo in strada per
conservare la poca legittimità che rimane loro e poter conservare i loro
privilegi in una nuova costituzione, non avranno altrettanto pudore se
possono mascherare da la salute pubblica il loro agire. La salute
pubblica vera, d’altra parte, conta meno di un pacchetto di popcorn. E
non abbiamo idea di che cosa succederà con il referendum.
Se in altri posti la pandemia è stata una prova d’insurrezione, qui
l’insurrezione sembra essere stata la prova di pandemia e crisi
economica. Teniamo viva la fiamma della rivolta, e organizziamoci per
sopravvivere.
Di seguito, appunteremo alcune misure che consideriamo degne di essere
generalizzate, più un’ ispirazione che un programma:
– il saccheggio e la ridistribuzione organizzata dei beni essenziali
– l’uso di occupazioni studentesche come centri di raccolta, case per
chi non ne ha e, chiaramente, focolai di rivolte
– il boicottaggio di qualunque forma di lavoro o studio a distanza: che
la quarantena diventi sciopero generale
– la liberazione dellx prigionierx politicx come punto centrale
– non pagare, in massa, le cliniche private: cure mediche libere per
tuttx
– sciopero dell’affitto, occupazione di case vuote

Il passamontagna è la miglior mascherina!
Evadi l’isolamento del capitale!
Nega l’immunità come dispositivo di polizia!
La crisi è un’opportunità, prenditi cura della tua banda e attacca!

(1) Il plebiscito è un referendum in cui si determinerà se si darà
inizio oppure no a un processo costituente (per sostituire la
Costituzione imposta nel 1980, durante la dittatura) e quali sarebbero i
suoi meccanismi. È il risultato dell’ “accordo di pace” siglato a porte
chiuse da parte della stessa élite politica che ha governato il paese
per decenni, per soffocare l’agitazione sociale cominciata il 18 ottobre
del 2019.’

Cile: una prospettiva anarchica sulla pandemia da Coronavirus

Canarie – Chiamata allo Sciopero dell’Affitto 1 Aprile

Dall’Unione degli inquilini di Gran Canaria chiediamo a tutta la classe lavoratrice e affituaria di sostenere lo Sciopero Generale e Indefinito degli Affitti che dichiariamo a partire da questo 1° aprile 2020.

La situazione attuale non potrebbe essere più allarmante, e non solo a livello sanitario, ma anche economico e sociale. Le misure adottate dall’esecutivo in relazione allo “Stato di Emergenza” decretato a causa del Covid-19, sono misure marcatamente antioperaie* e che toccano soltanto la superficie (con una moratoria limitata sui mutui) ignorando le basi: migliaia di famiglie che vivono alla giornata, che sopravvivono con lavori senza stipendio fisso, che sono state licenziate in maniera fraudolenta e nelle cui case non entra alcun reddito a causa del confinamento, sono esposte all’impossibilità di affrontare il pagamento dell’affitto.

Le fasce più povere della popolazione, come gli inquilini, i migranti, i senzatetto, i lavoratori domestici, i precari, sono stati completamente relegati e ignorati, come sempre.

Per tutti questi motivi, invitiamo tutti i collettivi, le piattaforme e i sindacati a sostenere questo Sciopero dell’affitto, chiamato anche a livello internazionale (dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Regno Unito, dalla Svezia, dal Cile e da quelli che seguiranno).

Le nostre richieste di base sono chiare:

1. Sospensione immediata del pagamento dell’affitto, soprattutto per gli affituari in situazioni di vulnerabilità e per chi affitta da multi-proprietari o entità giuridiche (invitiamo alla minoranza di propietari che non soddisfa questi requisiti a rivendicare un Reddito di base Universale). Non pagheremo fino a quando questo provvedimento non sarà adottato, senza un reddito sufficiente e regolare.

2º Che le case abbandonate in mano a fondi, enti finanziari e bancari (soprattutto quelli che sono stati salvati con denaro pubblico) siano socializzate e messe a disposizione delle migliaia di persone e famiglie che oggi sono senza casa.

Ci sono fin troppi motivi per proclamare lo Sciopero Generale e Indefinito dell’Affitto a partire dal primo aprile!

NON GUADAGNIAMO, NON PAGHIAMO.

* In Spagna il governo ha facilitato alle imprese l’applicazione degli ERTE (Expediente de Regulación de Empleo Temporal), che consentono la sospensione del contratto di lavoro.

Per maggiori informazioni (in spagnolo):

Unione delle inquiline di Gran Canariahttps://sindicatodeinquilinasgc.noblogs.org/

Federazione Anarchica di Gran Canariahttps://anarquistasgc.noblogs.org/

Contributo su repressione e tecnologia

DAL MICROSCOPIO ALLE TELECAMERE:

 lente sul laboratorio repressivo in atto

Da settimane ormai le news che scatenano il panico di un’epidemia mortale, dell’economia al collasso e della sanità che non regge e le immagini sui giornali di piazze vuote, mascherine e posti di blocco dilagano aumentando la tensione e la paura di un nemico sconosciuto. In questo clima emergenziale sorge spontanea la voglia di provare a fornire degli spunti di riflessione sul tenore di controllo attuato, e, partendo dalla realtà attuale, tentare di far luce sulle possibilità che il sistema neoliberale capitalista potrebbe cavalcare per rafforzarsi, proprio nel momento in cui le sue contraddizioni emergono più forti che mai.

Crediamo sia importante condividere riflessioni, analisi e ricerche  in questo momento storico, per cercare di comprendere come muoversi.

Il contesto chiamato “pandemia” apre di fronte a noi scenari del tutto nuovi: da un lato il sistema stato e l’economia capitalista dimostrano di avere un’ossatura più fragile di quanto sembri; dall’altro un contesto come questo può portare ad una maggiore legittimazione di legislazioni speciali e repressione, e le restrizioni imposte possono portare ad uno sgretolamento dei rapporti umani, favorendo l’isolamento e rendendo ancora più difficoltosa la presenza nelle strade.

Non è intenzione di questo scritto concentrarsi sulla questione prettamente sanitaria, quanto più riflettere sulle dinamiche di “contenimento”, che di fatto si traducono in misure di controllo, più fitte e diffuse, ancora più evolute e sulle conseguenze che potrebbero avere.

LA MACCHINA DEL CONTROLLO SI EVOLVE: COME L’EPIDEMIA DIVENTA POSSIBILITA’ DI CRESCITA PER L’INDUSTRIA DELLA SORVEGLIANZA

Innanzitutto è interessante provare ad osservare cosa è accaduto e sta continuando ad accadere in altri paesi per quanto riguarda il controllo attuato durante l’emergenza coronavirus, che sempre di più si concretizza in sorveglianza tecnologica, e chi sta guadagnando dalla situazione attuale.

Da alcuni siti di controinformazione (vedi lundi.am e hurriya.noblogs) giungono testimonianze interessanti circa il contesto repressivo in Cina, dove ora il governo sta avviando una campagna di propaganda per riacquisire credibilità dopo che le prime misure, nonostante la censura, sono state ampiamente criticate su internet.  Dietro l’immagine di uno stato forte che ha saputo contenere l’epidemia, citata e ripresa da politicanti nostrani, si celano le morti degli infermieri che non avevano mezzi per proteggersi dal contagio, si celano i suicidi di persone che per paura di contagiare i propri cari, consapevoli del fatto che in ospedale i rimedi non sarebbero stati sufficienti per tutti, si sono tolte la vita. Si cela la paura nelle strade, dove la polizia minaccia con le armi chi non porta la mascherina. Il paese ha nascosto la notizia della diffusione del coronavirus, che il medico Lin Wenliang aveva già provato a diffondere a fine dicembre. Il medico è morto. Di coronavirus, ovviamente.

In sostegno agli stati in materia di controllo di fronte a “nuove catasrofi”, appare l’ industria della sorveglianza.

Proprio in Cina, paese leader nella sperimentazione di nuove tecnologie, dove negli ultimi anni  si sono sviluppate forme di controllo sociale basate sul riconoscimento facciale, funzionali a stabilire il profilo morale di una persona e constatandone la propria “affidabilità” in quanto cittadino,
l’industria della sorveglianza e delle intelligenze artificiali  applicate al “contenimento del virus” hanno trovato terreno fertile.

Tra i metodi più usati per contenere l’epidemia vige il monitoraggio dei gps dei telefoni cellulari tra i contatti di chi è stato infettato, ma non solo; ad ogni triage allestito i medici sono tenuti a consultare gli smartphone di chi si reca anche solo per farsi misurare la temperatura per controllare gli ultimi spostamenti. Oltre a camionette e blindati della polizia droni e robot sono stati utilizzati per controllare le interazioni sociali e per limitarle, per controllare che le norme venissero rispettate. I robot sono stati utilizzati (oltre che a un ingente dispiegamento di polizia) anche per pattugliare le strade.

Il monitoraggio dei telefoni cellulari (non in forma anonima ma risalendo ai proprietari) è stato ampiamente utilizzato anche in Corea del Sud e in Taiwan. I movimenti dei pazienti, i loro contatti  e  le loro condizioni di salute sono in mano alla polizia. Un’applicazione assegna alle persone il colore verde, giallo o rosso, a seconda che siano autorizzate ad entrare negli spazi pubblici o che debbano entrare in quarantena in casa loro.

In Corea del sud, inoltre,  sono state attentamente attenzionate le farmacie, i cui archivi sono stati consultati dagli sbirri, così come i movimenti delle carte di credito.

La tecnica di controllo della popolazione tramite i big-data per il contenimento del coronavirus è stata messa in atto anche da Israele. Un interessante articolo di Wu-ming riporta che  sul sito dell’expo (iHLS InnoTech Expo) in materia di sorveglianza e intelligenze artificiali che si terrà a Tel Aviv  a novembre 2020 , appare un articolo che recita: “ In una mossa senza precedenti, in Israele sarà implementato il monitoraggio cellulare dei potenziali pazienti affetti da coronavirus, per assicurare che non stiano infrangendo le condizioni di quarantena e per scoprire con chi erano in contatto. Per la prima volta, Israele applicherà un’ampia localizzazione cellulare di cittadini che non rientrano nel contesto di un’indagine terroristica. La mossa riflette le misure adottate da Taiwan, che è riuscita a far fronte alla diffusione del virus.” Inoltre gli organizzatori dell’expo sfruttano l’occasione per invitare caldamente alla partecipazione tutti gli organi interessati ad approfondire le conoscenze in materia di intelligenze artificiali volte a contrastare “disastrosi scenari”…

Il 18 marzo sono apparsi i primi articoli sulle testate giornalistiche italiane circa l’utilizzo dei dati gps per  verificare quanto le misure imposte sulla circolazione vengano rispettate. Il 17 marzo  la regione Lombardia ha dichiarato di aver monitorato gli spostamenti dei cellulari da cella a cella, quindi di aver registrato quanti telefoni si sono collegati ad una determinata antenna “senza essere risaliti ai proprietari”, ma che se sarà necessario verrà applicato il modello della Corea del Sud, ovviamente “garantendo il trattamento dei dati esclusivamente a fini medici”…
(https://www.corriere.it/tecnologia/20_marzo_18/coronavirus-controlli-celle-telefoniche-tracciamento-privacy-223ea2c8-6920-11ea-913c-55c2df06d574.shtml)

Sempre per monitorare le destinazioni delle persone, otto operatori telefonici (tra cui Telecom e Vodafone) il 23 marzo hanno firmato un accordo con la Commissione Europea per condividere i dati relativi alla localizzazione degli utenti. Per difendersi di fronte ad accuse di violazione della privacy, dal Parlamento Europeo hanno affermato che “i dati saranno resi anonimi prima della trasmissione e saranno cancellati una volta finita l’emergenza”…
https://www.punto-informatico.it/covid-19-operatori-tracciano-movimenti/

Sempre il 23 marzo è uscito un articolo su Repubblica che annuncia che le polizie di alcuni comuni hanno usato droni per controllare i movimenti e che ora l’Enac (ente nazionale per l’aviazione civile), ha concesso un’autorizzazione ai comandi di polizia locale fino al 3 aprile per l’utilizzo di droni in questo senso. (https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/23/news/coronavirus_l_enac_da_il_via_libera_all_uso_dei_droni_per_i_controlli-252086528/)

Ma l’industria della sorveglianza non si esaurisce in droni e big data: essa si arricchisce anche attraverso le videocamere smart, le macchine biometriche da usare nei checkpoint e nei termoscan che si sono installati anche negli aereoporti e nelle stazioni italiani.

Insomma, cosa meglio di un’emergenza sanitaria, perfetto pretesto che legittima l’attuazione di un maggiore controllo, può creare grandi opportunità per i nuovi padroni di veder crescere l’ammontare del proprio capitale, proprio in un momento storico in cui l’industria delle intelligenze artificiali muove grandi passi in avanti? Sempre di più l’industria della sorveglianza si evolve e diventerà funzionale alla repressione; essa è già preziosa alleata dei governi, per esempio, nell’ambito del controllo frontaliero, dove macchinari per la raccolta dei dati biometrici saranno sempre più diffusi per lo schedaggio della popolazione.

E così, se da un lato il contesto creatosi con il Coronavirus mette in luce la crisi del sistema capitalista, dall’altro offre nuovi spunti e possibilità allo stesso di riconfigurarsi e ripensarsi.
Sempre di più ci imbatteremo in strade in cui la tecnologia sarà preponderante.

SULLO STATO D’EMERGENZA e il bisogno di securitarismo

Il 31 gennaio il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per motivi sanitari per sei mesi. Il potere centrale acquisice ancora più forza; alcune funzioni prima gestite da enti locali ora possono essere gestite direttamente dal governo centrale.
Lo stato dispiega ora maggiormente la sua forza militare in nome del’esigenza di contenere il contagio.
Sebbene finora c’è stato chi ancora ha deciso di uscire a piedi, per passeggiare, correre, fare sport, per le strade la presenza dello stato si fa ogni giorno più imponente, e nuove ordinanze sono state emanate per limitare le attività all’aperto.

Le rivolte nelle carceri diffuse e simultanee hanno fatto impallidire i ranghi del potere, che si prepara a calmare la rabbia sociale. Lo stato ha già annunciato che si sta mettendo in moto per preparare piani volti a fermare gli eventuali disordini che si potranno creare come conseguenza al disastro economico a cui questa crisi sanitaria sta portando e che “è necessario prepararsi in tempo, e cominciare a pensare piani d’azione per le forze dell’ordine e, nel caso, l’esercito”.
Le regioni  hanno invocato a gran voce l’intervento dell’esercito per far rispettare le misure, ora i militari pattugliano le strade, insieme a polizia e carabinieri. L’immagine di questi ultimi giorni è uno scenario di guerra.

Lo stato d’emergenza non è una proclamazione dello stato, è una condizione su cui si regge il potere. Quanto sta accadendo non è che il peggioramento di una condizione che è l’essenza dello stato stesso, una condizione di cui ha bisogno per giustificare la sua esistenza, la sua forza, le sue subdole propagande di odio. Diventa però un’occasione per riconfigurare il proprio potere di fronte a quella parte dei cittadini che ancora in esso nutre una speranza; gli sfruttati e le sfruttate, coloro che non hanno i mezzi per potersi curare, o per poter accedere alla sanità privata, visto che quella pubblica è allo sfacelo, potrebbero restare quella parte di popolazione dimenticata, quelli che per primi moriranno di fronte alle nuove epidemie che anche in futuro si potranno verificare e che probabilmente, visto i disastri ecologici di cui il capitalismo è responsabile, sempre più spesso si verificheranno.

La paura è un’arma in pugno a stati e governi, da sempre il potere si nutre del panico collettivo, che sia verso “l’immigrato” o in questo caso la malattia. Cosa di più della paura della morte può essere sfruttata dal potere?
Non è intenzione negare l’epidemia, nè puntare il dito contro chi sceglie di non uscire per timore di contagiare il prossimo; quanto più di porre il dubbio su quanto le misure adottate siano efficienti o siano la soluzione più rapida (e funzionale) per lo stato che si è ritrovato in un caos a cui ora cerca di sopperire. E’ chiaro che per esso sia più importante la propria sopravvivenza che quella delle persone.  E provare a dare una spinta per riflettere noi stess* su quali sono i metodi che possono essere funzionali ad evitare il contagio, in autogestione, senza farsi risucchiare dalla paranoia.  Il pericolo è che tutti gli spazi di confronto anche su quelli che sono i metodi per evitare di contagiarsi sono negati, perchè la verità è in mano allo stato, che diffonde l’idea che non ci sia altra soluzione che quella della repressione.

Le denunce per inottemperanza alle nuovi disposizioni hanno raggiunto numeri stratosferici;
ora sono state sostituite da ammende che arrivano fino a 3000 euro e non cadono nel pensale ma rimangono amministrative. La giustizia non ce l’avrebbe fatta a reggere il numero imponente di processi; per la cassa, comunque, c’è sempre spazio. Tali misure hanno colpito molto e continuano a colpire i senzatetto e chi non ha una possibilità di rientrare in casa, perchè una casa non ce l’ha.
Ascoltando una diretta su Radio Blackout, per esempio, qualcun* spiegava che per i senzatetto a Torino sono molte le denunce arrivate e che in particolare le misure hanno colpito chi è stato trovato in uno stato “alterato”.
Sui giornali si parla ad esempio di quanto nel centro delle città le persone rispettino le misure mentre nelle periferie gli assembramenti sono più problematici. Certo, nelle periferie dove magari non tutti hanno la possibilita di chiudersi in un appartamento. Dove è più possibile che la gente che vive di espedienti e che vive e lavora in strada, per sopravvivere non possa fare a meno di restarci. E anche il contesto dell’epidemia si prefigura come un’occasione per una guerra ai poveri.
Le denunce penali magari mai avranno un seguito, a meno che non verrà scelto di sfruttarle ad hoc, quindi di portare avanti i procendimenti, o aggiungerle come peso giudiziario, per chi ha già precedenti penali, o a chi lotta contro questo sistema.

Lo stato italiano, che si deve ora mantenere forte e mantenere la propria credibilità, dopo aver mostrato le proprie falle per quanto riguarda la gestione del servizio sanitario, ora attua un regime di controllo più serrato, perchè altrimenti non è in grado di contenere un’epidemia. Con la minaccia della pandemia gli stati ora si è guadagnano il consenso di un’intera popolazione di fronte a misure restrittive della libertà, e quando questo finirà la legittimazione al controllo avrà le basi per sussistere.

Le misure speciali adottate nel contesto dell’emergenzialità finiranno una volta contenuta l’epidemia ? Oppure lo stato sfrutterà la situazione di panico diffuso per permettersi di continuare nel tempo ad adottare misure sempre più restrittive, di fronte ad un qualsiasi pericolo minacci la sicurezza nazionale?

Una situazione molto simile a quella creatasi in Francia nel 2015, dove comunque l’agitazione sociale è continuata nel tempo, quando lo stato d’emergenza venne proclamato in seguito agli attentati di Charlie Hebdo e il Bataclan, potrebbe configurarsi; lo stato de’emergenza dura tutt’ora, e anzi, con la nuova legge securitaria del 2017 è diventato “parte integrante dello stato di diritto”, le frontiere sono terreno di inseguimenti da parte di sbirri e militari alla caccia di chi non ha i documenti “ validi”, le stazioni dei treni e le strade sono ipercontrollate, le guardie sempre in caccia dello straniero potenziale terrorista …di fronte a quest’epidemia e a quelle future forse la caccia sarà destinata ai presunti untori e forse, il divieto d’assembramento, che si traduce immediatamente in divieto di manifestare, sarà mantenuto per evidare il diradarsi di ulteriori epidemie, rendendo ancora più semplice per il governo reprimere chi prova a stare in strada, modalità che peraltro negli ultimi anni si sta consolidando sempre di più, coronavirus a parte.

(https://lundi.am/L-art-de-la-repression).

Come al solito, i primi a pagare il prezzo della situazione in cui ci troviamo sono coloro che la società rifiuta. I primi a pagare le conseguenze della gestione dell’epidemia sono i/le detenut*, carne da macello.
La rabbia per le misure adottate è già esplosa in moltissime carceri, dove le persone rimangono stipate nelle celle senza alcuna prevenzione al contagio, dove sbirri e personale girano ed entrano senza mascherina, mentre l’ora d’aria ed i colloqui sono stati vietati.
Una situazione simile è vissuta anche dalle persone riunchiuse dei centri di detenzione.
Dei reclusi nei CPR italiani non si hanno molte notizie, in alcuni centri le comunicazioni con l’esterno sono state interrotte, ma possiamo ben immaginare quali siano le condizioni a cui sottoposti, stipati nelle celle con scarsissime prevenzioni e senza neanche la possibilità di telefonare all’esterno, come accade a Torino. A Roma si apprende che nessun membro di una qualunque associazione entra nel centro, nè avvocati e che alcune detenute si sono chiuse in stanza per timore di essere contagiate, mentre una è stata portata in ospedale dopo aver ingerito della candeggina.
Uno sciopero dello fame invece è in corso al Cpr di Palazzo San Gervasio, dove i detenuti affermano che nessuna protezione contro il coronavirus è adottata dalle guardie, dove non c’è il riscaldamento e nulla viene igienizzato.
Dalla Francia ci giungono le stesse notizie; in molti dei CRA nemmeno il personale di pulizia entra più e le condizioni igieniche si fanno ancora più scarse durante l’epidemia. In molti dei Cra si sono già verificate rivolte e sono in corso scioperi della fame.
(https://hurriya.noblogs.org/post/2020/03/20/la-situazione-in-diversi-cra-in-francia-allepoca-del-coronavirus/)
Proprio dai luoghi di prigionia arriva un barlume di speranza. Le rivolte che si sono verificate mostrano una rabbia che non è relativa solo alla situazione del coronavirus, ma alle condizioni di merda in cui i detenuti si ritrovano a vivere tutti i giorni. Le rivolte mostrano una sete di libertà che è irrefrenabile, mostrano la rabbia verso la gestione di quest’epidemia, che vede ovviamente gli ultimi come prime vittime sacrificali.

LA CRISI COME POSSIBILITA’ D’AZIONE

In questo scenario quasi apocalittico ma tremendamente reale, che sembra cambiar di giorno in giorno spiragli di dissenso andrebbero colti e alimentati.
Quest’epidemia lascerà una crisi economica fortissima e moltissime persone si ritroveranno in condizioni critiche. E forse, chissà che la rabbia che si è manifestata all’interno delle gabbie per un sistema che ci sfrutta e ci uccide, un sistema che è il reale reponsabile delle catasftrofi, riesca ad uscire da quelle mura e scaldare l’aria circostante. Forse le pessime condizioni in cui tant* si ritroveranno chissà se possono portare ad una presa di coscienza più generale del fatto che il problema non è rendere migoliore questo sistema ma che questo sistema non deve più esistere.
Probabilmente la maggior parte delle persone non vede e non vuole vedere le contraddizioni in cui viviamo che emergono ora più forti che mai, anzi, come citato prima, si fa abbindolare dall’azione dello stato che si prefigge come unico dio salvatore, maestro di competenza ed affidabilità.
In tant* ci siamo trovati impreparat* di fronte a questo complesso fenomeno, Non è per nulla semplice fare luce sulle strade che ci si parano davanti e capire quale sia la più opportuna da percorrere, nè quale sia il modo più corretto di comportarsi nella specificità di questa situazione e per questo pensiamo che sia utile sfruttare questo momento per riflettere e cercare di comprendere come portare avanti le lotte, per riflettere su quali sono state le mancanze della passato che ora fanno ‘sì che non riusciamo a reagire prontamente di fronte a quello che ci si para davanti ed uscire da quest’empasse, come lo sono stati la mancanza di riflessioni sulla questione della sanità, su quali metodi alternativi possiamo costruire per delegare totalmente la nostra vita al sistema sanitario e all’industria farmaceutica.

Dobbiamo riflettere, innanzitutto per capire come affrontare questa situazione senza affidare la nostra vita e la nostra salute ad un sistema che cerca di salvare se stesso  e prepararci a quello che lascerà quest’epidemia, a come fare fronte ai nuovi contesti repressivi, riflettere su come agire , in uno scenario che si prefigura ostile e sempre di più governato dalla tecnologia.

 

https://roundrobin.info/2020/03/contributo-su-repressione-e-tecnologia/

Spoleto – …per un vero sciopero generale!

Nel mentre ci impongono di stare tutti a casa, nel mentre mettono i sigilli ai parchi, nel mentre fioccano denunce, ammonimenti e sanzioni, c’è chi è costretto ad andare a lavorare. Se le stesse mappe che diffondono i media mainstream dei focolai di Coronavirus indicano chiaramente come questi si intensifichino presso i principali centri industriali, non possiamo non accusare Stato e padroni di questa situazione. La sedicente scomparsa del mondo del lavoro è giunta a verità: anche in piena emergenza esiste qualcuno che è necessario alla produzione, qualcuno senza il quale tutto verrebbe giù. E allora tiriamolo giù!
In un lontano passato, lo “sciopero generale” aveva un significato catartico. Nelle sue varie tendenze – soreliane, individualiste, utopiste – il sindacalismo rivoluzionario immaginava lo sciopero generale come una battaglia fondamentale del processo rivoluzionario, se non addirittura del momento stesso della rivoluzione. Nello sciopero generale, gli sfruttati avrebbero sciolto le dinamiche capitaliste e avrebbero fondato una nuova società. Per alcuni, questo sarebbe stato un momento sublime e definitivo. Altri, meno utopisti, erano consapevoli di come per vivere durante lo sciopero i proletari avrebbero dovuto appropriarsi di che campare, sarebbero dunque arrivati i soldati e ci sarebbe stata battaglia.
Negli anni, le parole “sciopero generale” hanno perso questa aurea mitica. Lo sciopero generale è diventato il rito d’autunno, poi il rito di un autunno particolarmente caldo. Talvolta usato dalle burocrazie dei grandi sindacati riformisti per indebolire un governo ostile e favorirne uno “amico”. Ancora più imbarazzanti, le posizioni di chi continua a proclamare lo sciopero generale e lo proclama finanche radicale, senza avere la forza né che esso sia davvero generale né che esso sia davvero radicale.
In questo momento la nostra società appare vecchia e malata. Non è questo lo spazio per analisi, che alcuni di noi stanno facendo e faranno altrove. Possiamo però individuare alcune costanti in tutto l’Occidente: sospensione del regime liberale, forti limitazioni alle libertà degli individui, fine sostanziale dell’Unione Europea e delle sue leggi finanziarie, ma continuità delle produzioni che lo Stato ritiene strategiche (e non sono solo quelle sanitarie, ma anche metallurgia, militare, energetica ed estrattivistica). Stato e capitale tornano al centro della scena, chi si ribella è un untore e un traditore. Alcuni paesi, come il Portogallo, hanno sospeso per due settimane il diritto di sciopero.
Ora più che mai sono gli sfruttati che mandano avanti la baracca. Lo fanno al prezzo della loro sicurezza e della loro libertà. Altri sfruttati, invece, si trovano in una condizione di indigenza. I soldi promessi non arrivano, i padroni non pagano nemmeno i vecchi stipendi precedenti all’emergenza e non si attivano perché arrivi loro la cassaintegrazione. Che questa condizione possa essere di incubazione per un percorso di nuova radicalizzazione. Che si diffonda come una pandemia la convinzione che senza di noi tutto può venire giù. Che, come diceva Durruti, sappiamo che alla fine della sua storia la borghesia lascerà solo macerie; ma noi non abbiamo paura delle macerie, perché siamo noi che abbiamo prodotto ogni cosa e che potremmo ricostruire tutto nel mondo nuovo. Quel mondo cresce già ora.
A farci particolarmente schifo è la retorica di guerra. Siamo in guerra e dobbiamo fare sacrifici – ci dicono. Noi invece vi diciamo: fermatevi, non sarete i martiri di nessuno! Quando usciremo da questa emergenza la gente vorrà solo dimenticare, dimenticare in fretta.
Auspichiamo dunque a un vero sciopero generale spontaneo e di nuova forma. Che scavi la fossa al vecchio mondo.

CIRCOLACCIO ANARCHICO – SPOLETO

https://roundrobin.info/2020/03/spoleto-per-un-vero-sciopero-generale/

Cronache dallo stato d’emergenza (numero 2)

Le responsabilità a rovescio

Le quotidiane cronache della paura cancellano le responsabilità generali e specifiche dell’epidemia in corso, per rovesciarle interamente su chi non sta chiuso in casa, “untore” contro cui chiedere misure sempre più repressive (militari con funzioni di polizia, tracciamenti informatici della popolazione, inviti alla delazione, autorizzazione a usare i droni…). Chi ha smantellato la Sanità per logiche di profitto, aggravando così una situazione affrontabile in modo ben diverso? Chi ha tenuto aperte le fabbriche? Chi ha chiuso le scuole il 20 febbraio e i centri commerciali solo il 12 marzo? Chi è stato? Forse chi passeggia per strada o cammina su ciclabili e sentieri? E ancora: sono singoli “sciacalli” o un sistema a far sì che il prezzo delle mascherine per gli ospedali sia aumentato fino al 600 per cento?

Quale sicurezza?

Sono decenni che ci perforano i timpani con il grido “Sicurezza!”. Più telecamere, più controlli, più polizia, più carcere! Poi arriva un’epidemia di virus ed emerge tra le pieghe della coscienza e i non-detti della televisione che, se si fermassero l’autotrasporto e la logistica, nel giro di alcuni giorni nei supermercati non ci sarebbe più niente da mangiare. Che sicurezza possono avere degli esseri umani che dipendono da un sistema tecnologico e produttivo di cui non controllano più niente? Non si vive di tele-lavoro! Approfittiamo di questa “pausa” per riflettere. Senza riprenderci la terra e autogestire le fonti del nostro sostentamento alimentare, rinunceremo, assieme alla libertà e all’autonomia, anche alla sicurezza.

Telelavoro

Una delle sperimentazioni in corso, oltre al controllo poliziesco e militare, riguarda il lavoro: quanto e come può andare avanti l’economia senza che la gente esca di casa? Che cos’è, oggi, il “lavoro”? Ad approfittare di tutte le forme di telelavoro (che siano imposte agli impiegati o agli insegnanti) sono innanzitutto le multinazionali che possiedono le piattaforme informatiche e le diverse applicazioni. Da ogni attività online – gratuita o a pagamento poco importa – i “giganti del web” ricavano un’impressionante quantità di dati personali che analizzano e vendono. Tutto è un “dato” che si può processare e trasformare in merce: i gusti, le opinioni, il tono della voce, la mimica facciale, il libro citato dall’insegnante, le notizie relative alla salute, le paure, la reazione a certe notizie, il livello di attenzione degli studenti ecc. Nel migliore dei mondi possibili, anche un’epidemia – cioè milioni di persone chiuse in casa ma sempre connesse – diventa un ottimo affare. E un’occasione per giustificare l’introduzione della rete 5G, la cui funzione non è certo quella di permettere i contatti in caso di emergenza sanitaria, ma di generalizzare industria, macchine, telecamere e sensori smart. La paura è un sentimento ideale per spingerci ancora di più verso un mondo in cui gli esseri umani sarebbero governati da “oggetti intelligenti” e da chi li programma.

Telesorveglianza

Ha fatto un po’ di scalpore la notizia che il quaranta per cento dei milanesi è stato scovato lontano dalle proprie case attraverso il controllo delle celle telefoniche attivate dai cellulari. Qual è la notizia? Che le compagnie della telefonia mobile realizzino quotidianamente una schedatura di massa è un fatto noto (per quanto pochi ne traggano delle conseguenze). La novità è che si coglie l’occasione di un’emergenza sanitaria per giustificare apertamente qualcosa che esiste ben al di là dell’emergenza e che solleva, o dovrebbe sollevare, non pochi interrogativi etici e sociali. Ma non basta. Da giorni siamo sottoposti a una martellante propaganda finalizzata a introdurre anche in Italia “misure alla coreana”, cioè la schedatura dei contatti tra le persone a partire dal controllo incrociato di smartphone, wi-fi e Bluetooth (per localizzare gli “utenti” non in un determinato quartiere, ma casa per casa, negozio per negozio). I dati “pubblici” sarebbero archiviati e analizzati dalle autorità, quelli “nascosti” (che ogni applicazione sugli smartphone crea, anche quando la si disattiva) alimenterebbero le “macchine intelligenti” con cui si controllano i nostri comportamenti e si studiano le nostre “intenzioni di acquisto”. Felice il governo, felice il capitalismo digitale. E noi?

Che cosa è “essenziale”?

Ciò che non può essere fermato durante un’epidemia ci rivela, indirettamente, quali sono le basi della società in cui viviamo: l’infrastruttura informatica e la guerra. Per questo tutte le fabbriche di armi devono restare aperte. Per questo, mentre siamo chiusi in casa davanti agli schermi, il progresso tecnologico accelera e si installano di nascosto nuove antenne 5G. A conferma di come infrastruttura digitale e guerra siano sempre più intrecciate, Tim “sta insegnando” all’esercito le potenzialità del 5G e dell’intelligenza artificiale per la guerra del “nuovo mondo”. Rimane da chiedersi se quello che non riusciamo a vedere non sia solo un virus che si muove nell’aria, ma il mondo che ci stanno apparecchiando.

Alcune proposte sensate

Sembrano quelle suggerite dalle scritte tracciate sulle vetrate di diversi supermercati di Trento e Rovereto fra il 24 e il 25 marzo: “Sciopero generale”, “Chiudere le fabbriche”, “Abbassare i prezzi”.

Intanto…

Il 25 marzo, c’è stata un’ampia partecipazione allo sciopero generale indetto nel settore della logistica e delle fabbriche. Il 26 marzo, in un supermercato di Palermo, alcune persone hanno riempito i carrelli e cercato di uscire senza pagare. Carabinieri e Celere sono intervenuti sul posto e hanno presidiato, nei giorni successivi, l’entrata di diversi supermercati della città.

Sui social network si moltiplicano gli appelli a non pagare più.
Con il prolungarsi dell’emergenza, magari dopo mesi senza salario, sempre più persone si troveranno davanti al problema di soddisfare i propri bisogni materiali. Situazioni come quella di Palermo forse non saranno così rare: l’esigenza di prendersi ciò che ci serve per vivere sarà ben chiara a chi, semplicemente, non potrà più pagare.

Versione pdf: Cronache2

Chi è dentro è dentro

Negli ultimi giorni c’è stato un susseguirsi di dichiarazioni e analisi sulla situazione d’emergenza in cui versano le carceri attualmente dopo che il Covid19 ha iniziato a diffondersi tra i prigionieri, le guardie e il personale che lavora al loro interno. Già questa mole di parole, pronunciate spesso da pezzi grossi delle istituzioni, dà la cifra di quanta preoccupazione aleggi nelle stanze dei governanti, riguardo la possibilità che un’altra ondata di rivolte si scateni dopo quella di alcune settimane fa. Se poi, oltre a svariati magistrati di sorveglianza, sentiamo il Procuratore capo di Trieste, il capo del Csm e addirittura il Presidente della Repubblica  invocare l’amnistia, criticare i provvedimenti del governo perchè troppo blandi nello svuotare le carceri o mostrare una qualche empatia verso le problematiche dei detenuti, il quadro diventa ancora più chiaro.

Del resto per capire che la situazioe sia peggiorata rispetto alle settimane scorse non serve certo un’analista dei servizi di sicurezza interna: l’epidemia come dicevamo si sta diffondendo e il livello di cotagio con ogni probabilità sarà ben maggiore di quello che trapela all’esterno visto l’interesse delle autorità a mantenere una fitta cappa sull’argomento; le misure adottate dal governo non hanno poi in alcun modo intaccato il sovraffollamento e rischiano anzi di accendere ulteriormente gli animi per l’odore di presa per il culo che emanano a grande distanza.

A parte le concessioni fornite a semiliberi e a chi gode di permessi premio, che rappresentano una porzione molto esigua di chi è recluso, possono andare agli arresti domiciliari solo quei detenuti cui restano da scontare meno di 18 mesi di detenzione – e neanche tutti viste le numerose eccezioni – , quelli che però hanno ancora un residuo pena superiore a 6 mesi possono uscire solo dotati di braccialetto elettronico. Braccialetti elettronici che però non sono assolutamente sufficienti al pur esiguo numero di potenziali beneficiari, come sottolinea anche Fastweb, l’azienda che nel 2017 ha ricevuto l’incarico di produrli e gestirli. Una misura il cui sadismo è amplificato dalla lungaggine di questo gioco dell’oca organizzato dal governo, prima di rischiare di tornare alla casella VIA è necessario infatti fare istanza al magistrato di sorveglianza e attendere la sua risposta con tutto il carico d’ansia e incertezza che questa lunga attesa è inevitabilmente destinata a generare. Per completare il quadro vanno sottolineate poi le numerose eccezioni segnalate nel decreto, accanto a chi ha commesso reati gravi che rientrano nell’art. 4 bis, troviamo chi non ha un domicilio – e data la situazione non può ususfruire delle strutture che in precedenza assolvevano almeno in parte a questo compito -, tutti i prigionieri in attesa di giudizio – che la sospensione dell’attività dei tribunali lascia in questa condizione sine die – e i detenuti ritenuti responsabili delle rivolte – una qualificazione che persino alcuni direttori delle carceri non sanno bene come attribuire visto che sono ancora in cors gli accertamenti a riguardo- .

Nel frattempo, è bene ricordarlo, le visite con i familiari continuano ad essere del tutto bloccate.

Una situazione esplosiva che preoccupa certamente anche il governo. A pesare parecchio nella scelta di non prendere misure che provino in qualche modo a stemperare la tensione ci sono di certo considerazioni di carattere squisitamente elettorale – non cedere terreno e non offrire angoli d’attacco, dal punto di vista sicuritario, all’opposizione -: il carattere forcaiolo di questo governo, del resto, non lo scopriamo certo ora. Ma ancor più forte è la preoccupazione di indebolire il sistema carcerario che è uno dei pilastri su cui si regge la baracca, e assieme a questo scalfire la credibilità statale, che mai quanto ora si regge sulla capacità dello Stato di controllare la popolazione e quindi punire chi contravviene alle leggi. L’unico terreno su cui stanno seriamente ragionando, per far fronte a un’eventuale nuova ondata di rivolte, è dunque quello militare. Le stesse modalità adottate alcune settimane fa, programmate questa volta con una certa meticolosità per non farsi trovare impreparati. In questa direzione vanno le richieste di poter schierare l’esercito o dotare i secondini di taser, in caso di nuovi disordini.

A guidare i passi dei governanti è dunque una logica, in senso tecnico, assassina. Che ha preventivamente messo in conto di poter lasciare sul terreno altri morti tra i detenuti, oltre a quelli già lasciati sul selciato nelle settimane passate. Un dato da tenere bene a mente, anche quando quest’emergenza magari terminerà, specie per coloro che hanno sostenuto e continuano a sostenere a vario titolo l’operato del M5S, su scala nazionale come locale.

 

 

Se le righe di cui sopra si sono soffermate principalmente sulla situazione italiana, rivolte nelle carceri sono esplose un po’ ovunque nel mondo e ci è sembrato quindi utile fornirne una cronologia abbastanza approfondita, anche se probabilmente non completa, con i relativi link in lingua per capire cosa è accaduto precisamente.

Riguardo la situazione italiana vi consigliamo invece questo contributo audio realizzato da Radiocane sulla rivolta di San Vittore.

 

Francia

15\03 carcere di Metz-Queuleu

17\03 carcere di Grasse, Draguignan, Aix-en-provence, Maubeuge, Douai, Perpignan, Nancy, Valence, Saint-Etienne, Angers, Toulon, Maux,Argentan, Nantes, Carcassonne.Aiton, Angers, Douai, Epinal,La Santé, Lille-Sequedin, Montauban et Varennes-le-Grand, Longuenesse, Meaux, Moulins, Limoges, Rennes-Vezin, Saint-Malo, Nice, Fleury-Mérogis.

17/03 – 23/03 elenco carceri e CRA in rivolta in Francia

22\03 carcere di Uzerches

 

Spagna

15\03 carcere di Brians

15\03 carcere di Alcalà de Henares, Fontcalent, Castellon, Albolote

 

Brasile

17\03 carceri di San Polo, Mongaguà, Trememebè, Porto Feliz e Mirandòlis

 

Belgio

16\03 carcere di Nivelle

Perù

19\03 carcere di Piura

 

Cile

19\03 carcere di Santiago

 

Venezuela

18\03 carcere di San Carlos

 

Mauritius

19\03 carcere di Beau-Bassin

 

Sri Lanka

21\03 carcere di Anuradhapura

 

Uganda

22\03 carcere di Arua

 

India

21\03 Calcutta prigione di Dum Dum

 

Colombia

22\03 carceri di Ibague, Jamundi, Combita, Medellin, Bogotà

 

Samoa

23\03 carcere di Tanumalala

 

USA

24/03 carcere di Washington

 

Iran

16\03 carcere di Parsylon Khorramad
20\03 carcere di Aligoodarz

21/03 carcere di Khorramabad

Chi è dentro è dentro