Vigevano – Saluto a Stefania

Giovedì 14 maggio

Oggi un gruppo di compagni e compagne si è recato sotto le mura del carcere di Vigevano per portare un saluto solidale a Stefania, arrestata ieri nell’operazione “Ritrovo” che ha portato all’arresto di 7 compagni/e e ad altre 5 misure cautelari.

Siamo riusciti a comunicare con i detenuti, abbiamo raccontato loro perchè eravamo presenti lì sotto.

Da dentro si sono fatti sentire con cori e battiture.

Non sappiamo se Stefania ci abbia sentito: noi abbiamo provato a spostarci il più vicino possibile alla sezione femminile e fortunatamente qualche detenuto ci ha assicurato che proverà a farle arrivare il nostro saluto.

Bologna (Italia) – Operación represiva «Ritrovo». Siete anarquistas arrestados

Durante la noche del 13 de mayo de 2020, siete anarquistas fueron arrestados en Bolonia, Milán y Toscana, otros cinco fueron obligados a quedarse en los municipios de residencia y se allanó en el espacio de documentación anarquista Il Tribolo en Bolonia. La operación represiva, llamada «Ritrovo», fue coordinada por el fiscal Stefano Dambruoso y los Carabinieri del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale), quienes llevaron a cabo los arrestos y las búsquedas conjuntamente con el comando provincial de los Carabinieri de Bolonia.

Los siete arrestados están acusados del artículo 270bis del código penal (asociación subversiva con el propósito de terrorismo o subversión del orden democrático), los otros cargos se relacionan con los artículos 414 (incitación a cometer un delito), 639 (desfiguración y ensuciamiento) y 635 (daño). Una persona está acusada del artículo 423 (incendio) por el ataque incendiario del 16 de diciembre de 2018 contra algunas antenas de telecomunicaciones ubicadas en Monte Donato en Bolonia y destinadas a la transmisión de redes de televisión nacionales y locales. En el sitio quedó la escritura «Apaga las antenas, despierta la conciencia. Solidaridad con los anarquistas detenidos y bajo vigilancia ».

Las fuerzas represivas afirman que los anarquistas arrestados están acusados de haber creado una asociación subversiva-terrorista que tiene «el objetivo de afirmar y difundir la ideología anárquico-insurreccionalista, así como de instigar, con la difusión de material de propaganda, la comisión de actos de violencia contra las instituciones ». Además, la oficina del fiscal de Bolonia, con la ayuda de los medios de comunicación del régimen, subrayó que las medidas de precaución asumen un «valor preventivo estratégico destinado a evitar eso en cualquier momento posterior de la tensión social, derivado de la situación particular de emergencia [vinculada a la epidemia de coronavirus], en otros momentos una campaña de lucha antiestatal más general puede tener lugar ».

Estas son las direcciones actuales de los compañeros arrestados:

Giuseppe Caprioli
C. R. di Alessandria «San Michele»
strada statale per Casale 50/A
15121 Alessandria
Italia

Stefania Carolei
C. C. di Vigevano
via Gravellona 240
27029 Vigevano (PV)
Italia

Duccio Cenni
C. C. di Ferrara
via Arginone 327
44122 Ferrara
Italia

Leonardo Neri
C. R. di Alessandria «San Michele»
strada statale per Casale 50/A
15121 Alessandria
Italia

Guido Paoletti
C. C. di Ferrara
via Arginone 327
44122 Ferrara
Italia

Elena Riva
C. C. di Piacenza
strada delle Novate 65
29122 Piacenza
Italia

Nicole Savoia
C. C. di Piacenza
strada delle Novate 65
29122 Piacenza
Italia

ITALIA: OPERACIÓN REPRESIVA «RITROVO». SIETE ANARQUISTAS ARRESTADOS. (ES/EN/IT)

Bologna – Nelle strade ci “ritroverete” Sempre al fianco di chi lotta /si ribella

Nel tardo pomeriggio del 14 maggio, a Bologna, un corteo di circa un
centinaio di persone si è mosso per il quartiere della Bolognina per
portare in strada messaggi in solidarietà alle/i compagne/i
anarchiche/ci arrestate la notte del 13, attraverso interventi al
megafono, cori, volantinaggi e striscioni.
Dopo ormai diversi mesi di isolamento da emergenza coronavirus, la
presenza solidale in strada di ieri è la dimostrazione che una simile
inchiesta dei Ros, per quanto ridicolosamente abbozzata, che ha
portato alla carcerazione dei/delle compagni/e e all’applicazione di
ulteriori misure repressive per altre/i compagne/i, non riesce a fermare la
solidarietà con chi si ribella allo stato delle cose. Nè tantomeno, le
lotte in ogni tempo di chi si difende contro chi controlla le nostre
vite, contro lo sfruttamento a spese della salute altrui, contro ogni
infame galera.

LIBERTÀ PER: ELENA, NICOLE, STEFI, DUCCIO, GUIDO, LEO E ZIPEPPE!
VI RIVOGLIAMO SUBITO TRA NOI!

 

 

Tolosa (Francia) – Effetto tunnel (09/05/2020)

«L’effetto tunnel è una reazione naturale, legata allo stress e dovuta alla focalizzazione dello sguardo su un punto preciso, come se si guardasse attraverso un teleobiettivo».

Nella notte fra l’8 e il 9 maggio [2020], su una filiale della banca Caisse d’Epargne è stata fatta la scritta «Macronavirus, quando la fine?» e i suoi vetri sono stati infranti.

Gli/le autori/e non smettono di descrivere l’attitudine provocatoria e insultante del governo, la sua gestione mediocre della crisi sanitaria e nei confronti della crisi economica che arriverà; come spiegazione, che vorrebbero assolutoria, mettono avanti l’effetto tunnel. Per loro, l’uscita dal tunnel era, quella notte là, l’attacco della Caisse d’Epargne. Questa reazione estrema sarebbe quindi dovuta a un contesto di stress estremo.

E lungo la via del ritorno avrebbero perfino detto «mi ha fatto piacere», cosa che lascia prevedere una seconda ondata.

scoiattolo

[Nota: Lo scoiattolo è la mascotte delle banca Caisse d’Epargne].

[Rivendicazione in francese pubblicata in attaque.noblogs.org].

(it-en-fr) Tolosa, Francia: Effetto tunnel (09/05/2020)

Chiaro e tondo. Sugli arresti di Bologna

Sette arresti e cinque obblighi di dimora nel Comune aggravati da rientro notturno e quattro anche da firme quotidiane. Questo l’esito dell’operazione Ritrovo, condotta dai Ros e dalla procura antiterrorismo di Bologna contro alcuni compagni anarchici, nella notte tra martedì 12 e mercoledì 13 maggio. L’inchiesta ricalca un copione ormai logoro, ciclicamente rispolverato negli ultimi vent’anni. Un’associazione sovversiva con finalità di terrorismo – art. 270bis – contestata ai soli arrestati, condita da un certo numero di reati e condotte specifiche che vanno dall’istigazione a delinquere, al danneggiamento e deturpamento fino all’incendio di un ripetitore, aggravati dalla finalità eversiva e distribuiti, non sappiamo ancora bene in che modo, tra i vari indagati.

Non avendo notizie più precise sull’inchiesta e sulle ordinanze di misure cautelari ci limitiamo per ora a sottolineare le particolarità relative all’emergenza coronavirus di quest’operazione. Sul fronte penitenziario i compagni e le compagne sono stati immediatamente trasferiti in carceri con circuiti di Alta Sicurezza, senza passare e sostare per qualche settimana, come normalmente avviene, in carceri vicine al luogo dell’arresto. Una scelta che immaginiamo sia dettata da ragioni di logistica penitenziaria legate non solo a ragioni sanitarie ma anche a preoccupazioni di ordine pubblico. Guarda caso nelle dichiarazioni della Procura si fa espressamente riferimento alla partecipazione di questi compagni ai recenti conflitti scoppiati nelle carceri italiane in seguito all’epidemia da coronavirus. Ma vediamo più precisamente cos’altro dice la Procura bolognese di quest’inchiesta rispetto all’attuale emergenza epidemiologica:

«In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica». Dichiarazione che tradotta dalla lingua di legno utilizzata dagli scribacchini dei tribunali vuol più o meno significare:  coi tempi che corrono è opportuno toglierci dai piedi questi irriducibili rompiscatole, che siamo certi non perderanno occasione per tentare di ricordare in vario modo le responsabilità delle autorità statali e promuovere lotte contro di queste.

Parole che, nell’esprimere le notevoli e legittime preoccupazioni degli uomini di tribunale per i tempi che verranno, non tentano in alcun modo di dissimulare la funzione preventiva di quest’inchiesta e del loro lavoro in generale. Una funzione che raramente ci sembra sia uscita con tanta chiarezza dalla bocca del nemico. Se ancora ci fosse qualche sincero democratico in grado di leggere con attenzione queste righe avrebbe sicuramente di che indignarsi, a maggior ragione se poi sapesse che, a quanto pare, quest’inchiesta era pronta e giaceva ormai da diversi mesi in un cassetto di qualche procuratore. A noi queste parole sembrano invece ribadire che il futuro prossimo venturo sarà pieno di rischi e difficoltà come di possibilità e occasioni di lotta . E del resto ben difficilmente queste ultime possono viaggiare da sole senza la compagnia dei primi.

Per completare il quadro delle particolarità post-Covid di quest’operazione segnaliamo che venerdi prossimo si svolgeranno gli interrogatori di granzia dei comapgni arrestati in videoconferenza.

Questi gli indirizzi cui scrivergli e mandare un saluto:

Giuseppe Caprioli, Leonardo Neri
C. R. di Alessandria “San Michele”
strada statale per Casale 50/A
15121 Alessandria

Stefania Carolei
C. C. di Vigevano
via Gravellona 240
27029 Vigevano (PV)

Duccio Cenni, Guido Paoletti

C. C. di Ferrara
via Arginone 327
44122 Ferrara

Elena Riva, Nicole Savoia
C. C. di Piacenza
strada delle Novate 65
29122 Piacenza

Chiaro e tondo. Sugli arresti di Bologna

Dietro l’angolo pt.6 – Macchine, sensi e realtà

QUALCHE IPOTESI SU COVID-19 e SUL MONDO IN CUI VIVREMO

Imparare a convivere con il virus. Questo il leitmotiv che ci viene ripetuto oramai da settimane.

Il peso specifico di un’epidemia non dipende solo dalle peculiarità del virus, dai suoi tassi di contagiosità e letalità, ma in buona parte dagli effetti che queste provocano all’interno di una determinata organizzazione sociale e da come quest’ultima decide di farvi fronte.

Imparare a convivere con il virus va dunque ben al di là di quell’insieme di pratiche e comportamenti utili, a livello strettamente epidemiologico, per evitare di contagiare ed essere contagiati. Quello che dobbiamo apprendere sembra piuttosto essere, l’abitare in un mondo a misura di pandemia, dove la misura non verrà certo stabilita per salvaguardare la salute collettiva.

Un mondo che prenderà forma piuttosto attorno alla priorità di limitare i danni e i fastidi possibili che emergenze di questo tipo possono arrecare al capitalismo e al funzionamento dello Stato. Tanto rispetto all’epidemia in corso, in una prospettiva più o meno breve a seconda del numero di ondate e della loro durata, che rispetto alle pandemie prossime venture, visto che le cause che hanno originato e favorito lo sviluppo di questa non verranno certo rimosse, e sono da annoverare nell’elenco di quei danni e fastidi da limitare di cui sopra.

Le nostre vite dovranno adattarsi a queste esigenze. Una logica di compatibilità che non nasce certo con il Covid19 ma è da tempo il cuore delle politiche relative alla cosiddetta emergenza climatica.

In cosa concretamente consista questa compatibilità ce lo mostrano ad esempio le ipotesi geoingegneristiche di mitigazione e adattamento all’emergenza climatica. La Gestione della Radiazione Solare (Srm), ad esempio, ossia l’iniezione tramite aerosol di solfati nell’atmosfera per deflettere parte dei raggi solari nello spazio e contrastare così il surriscaldamento globale. Senza entrare nel merito della fattibilità di simili ipotesi e delle imprevedibili e tragiche spirali di conseguenze che potrebbero innescare, qui preme sottolineare come la soluzione per far fronte a un cambiamento climatico sia quella di cambiare in maniera pianificata il clima: non potendo riconfigurare le politiche economiche alla base dei problemi ambientali si sceglie di riconfigurare materialmente il pianeta. Per quanto particolarmente emblematici non è necessario soffermarsi su macro progetti dall’aspetto vagamente fantascientifico, la stessa logica regola il funzionamento di strumenti molto più familiari, come i condizionatori presenti in molte abitazioni in grado di creare ambienti domestici a misura di surriscaldamento globale, senza contrastare ma anzi aggravando le cause del problema.

All’interno di questo quadro la vita, tanto nella sua essenza biologica che rispetto alle gradazioni di benessere materiale che vanno dalla mera sopravvivenza ai gradini più alti della scala sociale, dipenderà sempre più dal livello di artificializzazione che riuscirà a raggiungere.

Già da tempo nella retorica ufficiale c’è sempre meno spazio per l’idea di un miglioramento generale delle condizioni di vita da un punto di vista economico, sociale, culturale e tantomeno ambientale; l’unico progresso cui si accenna, per l’uomo come per il mondo in cui viviamo, e che in qualche modo fagocita tutti gli altri, coincide con il progresso tecnologico tout court.

Per questo per noi senso ha parlare di artificializzazione e pervasività tecnologica rispetto agli scenari presenti e futuri. Seppur il termine artificiale possa essere frainteso se viene opposto intuitivamente al termine naturale – mettendo in scena una contrapposizione difficile da districare riguardo al significato e alla sostanza delle attività umane – quando lo utilizziamo intendiamo un concatenamento di tecniche umane sempre più complesse che svuotano la vita individuale di capacità di autonomia, non potendo i singoli individui controllarne l’intero processo. Concatenamenti che costituiscono una sorta di ipoteca sulla propria libertà poiché legano la propria sopravvivenza a quella di una determinata organizzazione sociale.

Una condizione di dipendenza che rappresenta l’aspetto più critico della crescente pervasività tecnologica. Se dal cielo delle ipotesi geoingegneristiche in cui le entità statali che dovessero adottarle si autoattribuirebbero un ruolo di deus ex machina definitivamente necessario, abbassassimo lo sguardo verso gli aspetti più minuti della nostra vita ci accorgeremmo che una parte considerevole dei momenti in cui entriamo in contatto con il mondo, cioè dell’esperienza che facciamo nel nostro quotidiano, è filtrata attraverso tecnologie digitali, ed è lecito attendersi che di questo passo i nostri sensi saranno sempre meno in grado, da soli, di orientarci e guidarci nel mondo reale. Non è un caso se i sensori attraverso cui alcuni elementi – siano essi suoni, immagini, condizioni dell’aria, temperature etc.- vengono trasformati in dati, “catturati”e immagazzinati in rete, sono spesso paragonati alla vista, all’olfatto, all’udito e al tatto umani dato che costituiscono la base di quel processo di elaborazione delle informazioni e di apprendimento definito come Intelligenza Artificiale.

Un concetto, quello di intelligenza, che ormai da tempo non è più appannaggio esclusivamente degli esseri viventi e l’aggettivo smart è diventato una sorta di prefisso che accompagna, senza che nessuno ci faccia più caso, determinati dispositivi tecnologici e ambienti iperconnessi, come quello domestico o urbano, in grado di svolgere funzioni complesse elaborando attraverso algoritmi una mole consistente di dati. Associare questa facoltà a delle macchine è un tratto caratterizzante di quest’epoca che in passato ha suscitato non poche discussioni e critiche accese, e sarebbe interessate comprendere attraverso quali passaggi questa associazione, un tempo ricca di criticità, si sia normalizzata.

Alcuni suggerimenti utili possono forse venirci da un libro, «Macchine calcolatrici e intelligenza» scritto nel 1950 da Alan Turing che iniziava con la seguente domanda: «Propongo di considerare la questione: le macchine possono pensare?» e prosegue definendo quello che comunemente è conosciuto come il test di Turing, in cui un giudice, attraverso delle domande scritte, deve riuscire a riconoscere tra un certo numero di partecipanti un computer, programmato per cercare di convincerlo di essere umano. Alla metà del secolo scorso Turing ipotizzava che in cinquant’anni i computer sarebbero stati programmati così bene da riuscire ad ingannare 3 volte su 10 un interrogatore medio, dopo cinque minuti di domande. Ipotesi che a quanto sembra si sono rivelate abbastanza fondate e la costante crescita della capacità di elaborazione e apprendimento dei cervelli sintetici ha spinto molti a vedere nei risultati raggiunti dai computer in questo test, il criterio per rispondere affermativamente alla domanda iniziale. Sembra però che non fosse questa l’ottica dell’autore che nel prosieguo del suo testo scrive: «La domanda originale “le macchine possono pensare?” credo sia così priva di significato da non meritare alcuna discussione. Ciò nonostante, credo che alla fine del secolo l’uso delle parole e l’opinione generale delle persone informate sarà cambiata a tal punto che si sarà in grado di parlare di macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetti».

Detta altrimenti, per Turing la possibilità di associare la facoltà del pensare a delle macchine non risiedeva nell’implementazione della capacità di calcolo delle stesse e nella loro capacità di ingannare un tot di volte il giudice del suo test; ma nel modificarsi del significato di parole come pensare o intelligenza fino a permettere di associarle alle macchine in grado di raggiungere determinate prestazioni.

Se alla capacità di pensare sostituiamo il concetto di vita, come ipotizziamo possa essere utilizzato tra vent’anni o forse meno? E non sono certo problemi di ordine linguistico quelli che ci poniamo. Se è la materialità del mondo e delle attività che caratterizzano le nostre vite a contribuire al significato di alcuni concetti e questi sono quindi una sorta di specchio in grado di aiutarci a capire come è organizzato il mondo in cui vengono utilizzati, le parole racchiudono altresì idee e tensioni, in grado di influenzare profondamente l’agire e modificare quindi la realtà. Idee che hanno una loro forza materiale.

Difficile valutare lo spessore e di quale materia sia fatto il filo che intreccia tra loro i concetti di vita, umanità e ambiente.

Tralasciamo – perché non meritano discussione, per dirla con Turing – le trame tessute dalle ipotesi accelerazioniste o transumaniste che individuano nell’artificializzazione dell’ambiente e della stessa vita biologica delle prospettive di liberazione. Le misure adottate per far fronte all’epidemia in corso promettono di assottigliare ulteriormente questo filo, aumentare ancor più il distacco fisico dalla realtà e accrescere quindi l’inadeguatezza delle nostre percezioni. L’isolamento sociale particolarmente rigido, vissuto nelle settimane di lockdown, minaccia a piccole o grandi dosi di durare nel tempo e anche quando questa pandemia potrà dirsi conclusa da un punto di vista epidemiologico, le nostre relazioni con gli altri esseri umani e con il mondo – i fondamenti della nostra esperienza e del nostro tentare di dar significato e intellegibilità a ciò che ci circonda – rischiano fortemente di non essere più quelle, tutt’altro che ottimali, dell’epoca pre-Covid. Perché nel frattempo quella parte di esperienza reale venuta meno sarà stata sostituita da un’esperienza mediata in misura e intensità crescente da dispositivi e infrastrutture tecnologiche digitali, in grado di offrire un ventaglio ampissimo di possibilità: dall’ottimizzare le nostre scelte quotidiane a livello nutritivo e ginnico, all’organizzare i nostri spostamenti nel modo più veloce e al contempo sicuro; dal permetterci di consumare una gamma di merci sempre più ampia attraverso un app, all’aiutarci a scegliere quali persone incontrare all’interno di safe zone relazionali; fino alla sostituzione tout court del mondo esterno attraverso il ricorso alla realtà virtuale o a quella aumentata e alla creazione di nuovi ordini di bisogni e desideri. Arrivando potenzialmente a colonizzare ogni aspetto della quotidianità.

Una colonizzazione in atto già da tempo, a cui quest’emergenza permetterà di fare notevoli salti in avanti, tanto da un punto di vista giuridico che infrastrutturale, forzando in breve tempo delle strettoie che con ogni probabilità avrebbero richiesto tempi più lunghi, – pensiamo soltanto alla rete 5G – specie in un paese come l’Italia che sotto questo profilo si trova certamente indietro rispetto ad altri. Non solo perché continuerà ad aleggiare, con una forza che non siamo in grado di prevedere, la minaccia di altre pandemie, ma perché nel frattempo la pervasività di questi dispositivi digitali sarà aumentata e una certa organizzazione della vita si sarà sedimentata.

Proviamo ora a soffermarci brevemente sulla sfera lavorativa. Una sfera che verrà profondamente riorganizzata dalla crescente automazione, in grado non solo di sostituire braccia e cervelli umani in un ventaglio molto ampio di attività ma anche di stravolgere i compiti e i comportamenti di chi non sarà espulso dall’ambito lavorativo. In attesa di vedere come e per quanti lavoratori lo smartworking diffusosi nelle ultime settimane diventerà permanente e quali conseguenze questo comporterà, un buon esempio di stravolgimento delle mansioni lavorative può essere quello del cosiddetto stoccaggio caotico con cui da tempo sono organizzati, da cervelli sintetici, i magazzini di Amazon e di altre aziende: i prodotti sono collocati sui vari scaffali non in base alla tipologia di merce, come farebbero probabilmente dei magazzinieri per memorizzarne meglio la posizione, ma in base al principio di ottimizzare i tempi – mettendo ad esempio vicini quei prodotti che più frequentemente sono spediti assieme – e gli spazi. Un ordine che non è assolutamente a portata d’uomo e che nel rendere i lavoratori del tutto dipendenti da elaborazioni algoritmiche, ne riduce le competenze e accresce la precarietà; dinamiche simili stanno iniziando a regolare, o promettono di farlo a breve, anche attività meno manuali, come quelle svolte negli uffici pubblici e nelle banche o negli studi legali e medici.

Esempi significativi del livello di condizionamento che l’automazione può arrivare ad imporre, a livello lavorativo, possiamo poi trarli dal controllo sulle cassiere adottato nella catena di distribuzione statunitense Target, dove un sistema automatico classifica come verde, gialla o rossa ogni operazione alle casse in base alla velocità e precisione. Una scala cromatica a cui sono legati stipendio e mantenimento del posto. Ancora più invasiva è la valutazione della performance emotiva effettuata nell’azienda giapponese Keikyu che misura la quantità e qualità dei sorrisi, dei propri dipendenti a contatto con il pubblico, attraverso software che controllano e interpretano i loro movimenti oculari e la curva delle loro labbra.

Una certa organizzazione della vita è in grado di sedimentarsi grazie alla raccolta e gestione di enormi mole di dati, di primaria importanza a livello economico e politico, e che permettono poi di implementare ulteriormente le capacità d’apprendimento di questi cervelli sintetici, che saranno così in grado di aumentare il ventaglio delle proprie funzioni e svolgere compiti sempre più complessi, in una dinamica capace quindi di autoalimentarsi.

Emblematica la discussione attorno alle nuove app di tracciamento in cui l’accento delle dichiarazioni governative è stato intelligentemente messo sulla loro non obbligatorietà. Una questione alquanto oziosa. Al momento, per i numerosi problemi tecnici che queste app di tracciamento sembrano avere, a partire dal fatto che non sono ancora pronte, l’introduzione del contact tracing sembra per lo più utile a fornire alle autorità una nuova figura di untore – chi sceglie di non scaricarle – cui attribuire la responsabilità di eventuali nuovi focolai. Ma una volta che applicazioni di questo tipo entreranno a far parte della quotidianità, e si saranno risolti i problemi di ordine tecnico, l’attuale non obbligatorietà risulterebbe alquanto aleatoria. Non solo perché potrebbe essere velocemente sacrificata, a livello legislativo, sull’altare della tutela della salute pubblica, ma soprattutto perché sarebbe facile renderle obbligatorie di fatto impedendo o limitando l’accesso a determinati luoghi e servizi a chi ne fosse sprovvisto. Come già accade in altri paesi più hi-tech e come alcuni, del resto, ipotizzavano sarebbe accaduto anche qui, quando a ridosso dell’inizio della Fase 2 si vociferava che la mobilità individuale sarebbe stata subordinata all’utilizzo di queste app. Discorso simile si potrebbe fare per una delle ultime new entry nel campo delle tecnologie “anti-Covid”: i braccialetti elettronici in grado per ora di di regolare “soltanto” il distanziamento sociale e che a quanto sembra hanno buone possibilità di entrare a far parte della nostra quotidianità. Ma l’esempio più lampante di obbligatorietà convergente è quello che quasi tutti portiamo già in tasca: lo smartphone. Per come sono organizzati i più svariati ambiti della vita, farne a meno risulta in molti casi estremamente difficile e anche quando è possibile richiede un notevole dispendio di tempo ed energie per elaborare strategie alternative.

Quella che stiamo tentando di tratteggiare è una tendenza che non si svilupperà certo in maniera piana e omogenea. All’incerta velocità con cui si realizzeranno le infrastrutture necessarie a rendere smart le città o i territori in cui viviamo si aggiungeranno fattori sociali e anagrafici a differenziare la diffusione di dispositivi digitali. E ci saranno poi ostacoli soggettivi, di coloro che rifiuteranno di delegare una parte più o meno consistente delle attività e scelte della propria vita a strumenti collegati in rete. Tentativi, individuali come collettivi, di sbarrare la strada a questa colonizzazione o perlomeno di utilizzare criticamente questi dispositivi indubbiamente importanti, sotto molteplici punti di vista, ma che da soli non hanno grandi possibilità di contrastare questi processi. Il rischio è anzi di convincersi e corroborare l’idea, ingenua e pericolosa, che la tecnologia si riduca a un insieme di strumenti che si possono decidere o meno di utilizzare, quando in realtà appare oggi come una fitta ragnatela che intrappola il mondo materiale, modificando le capacità percettive degli esseri umani, organizzando e regolando fette sempre più crescenti dell’approvvigionamento, della distribuzione e della produzione delle risorse su cui si basa l’esistenza umana. Le tecnologie digitali sono quindi un sistema di relazioni che contribuisce a dar forma alla realtà e alle nostre vite. Pensare di poterne semplicemente vivere al di fuori è come pensare di poter vivere al di fuori, senza esserne quindi profondamente influenzati, dal capitalismo.

Scrivevamo che ci sembra difficile valutare come si stiano intrecciando i concetti di vita, ambiente e umanità. Tra chi aspira a vivere in un mondo di liberi e uguali da un lato si corre il rischio di sottovalutare il problema, minimizzandolo o subordinandolo a priorità di altro ordine – sociale, economico, ambientale etc. – cui se ne affida automaticamente la risoluzione, o si rimanda piuttosto qualsiasi riflessione critica o iniziativa di contrasto a un indefinito domani, e se ne perdono in ogni caso di vista le specificità; dall’altro si rischia di assolutizzarlo, come se l’artificializzazione della vita non si intrecciasse e contribuisse ad approfondire le disuguaglianze sociali, come se questo processo avvenisse in un ambiente vuoto in cui il principale, se non l’unico, contrasto esistente fosse quello tra l’essere umano e quello macchinico. Una visione in cui è facile lasciarsi tramortire e catapultare in labirinti distopici in cui iniziative o lotte che nascono attorno ad altre problematiche risultano inutili e non possono che condurre a vie senza uscita.

A complicare ulteriormente il quadro il fatto che una necessaria prospettiva luddista risulta sempre più difficile, da molti punti di vista, senza un adeguato bagaglio di conoscenze tecnologiche.

Capire come difendere e ridare spazio a una certa idea e materialità, del mondo come dell’uomo, ci sembra quindi una questione estremamente complessa. In cui il necessario livello di attenzione, su un piano tanto riflessivo quanto pratico, al problema specifico dell’artificializzazione non può essere separato da quegli sforzi volti ad aprire attraverso altre lotte e conflitti delle brecce nell’organizzazione sociale della vita. Questione complessa ma centrale in una prospettiva rivoluzionaria che voglia ancora confrontarsi con la parola libertà in tutto il suo spettro di significati. Perché vivere in un mondo di liberi e uguali richiede che esistano ancora un certo tipo di mondo e di esseri umani.

La retorica di un crescente benessere che il capitalismo avrebbe pian piano assicurato un po’ a tutti, è ormai morta e sepolta da tempo.
L’immagine con cui le autorità hanno tentato di rappresentare il mondo riservato alla gran parte degli uomini e delle donne, è diventata più simile a una scala a pioli, cui bisogna tentar di restare aggrappati con le unghie e coi denti, per evitare di cadere giù ai tanti scossoni che le vengono dati.
Una scala cui continuano a togliere punti d’appoggio, mentre aumenta il numero di uomini e donne in cerca di un appiglio. La prepotente entrata in scena del Covid19 minaccia di renderla ancor più carica e traballante.
Tenteremo di approfondire la questione in un testo che uscirà a puntate, una a settimana, in cui se ne affronteranno di volta in volta alcuni specifici aspetti. Un testo redatto a più mani, da alcuni compagni che partecipano alla redazione di questo blog e da altri che invece non ne fanno parte. I singoli capitoletti potranno quindi avere uno stile e magari dei punti di vista diversi o contenere delle ripetizioni.
Del resto le possibilità di confrontarsi collettivamente in questi giorni sono notevolmente ridotte e discutere attraverso piattaforme online non è certo la stessa cosa che farlo vis a vis.

Se vi siete persi le altre puntate di Dietro l’angolo potete leggerle cliccando qui sotto.

Tra salti e accellerazioni. A mo’ d’introduzione.

Cablaggi di Stato

Nord sud ovest est

Taglio netto

Il mondo inabitabile

 

Dietro l’angolo pt.6 – Macchine, sensi e realtà

Germania – Fiamme per la scuola di polizia, per i ricchi..

9 maggio, Bamberg: incendio doloso all’accademia di polizia

Nella notte tra venerdì 8 e sabato 9 maggio a Bamberg, situata a circa 60 km a nord di Norimberga, tre veicoli sono stati incendiati nel parcheggio dell’accademia della polizia federale. È stata una guardia di sicurezza durante la ronda che ha notato le fiamme attorno alle 00.45 i che hanno inghiottito tre furgoni Ford Transit, parcheggiati uno accanto all’altro. Anche se i vigili del fuoco sono stati veloci a spegnere il fuoco, i veicoli sono stati totalmente distrutti. Le prove iniziali suggeriscono che gli ignoti piromani hanno fatto irruzione nell’area aprendosi un varco nella recinzione. Il danno è stimato in 20.000 euro.

6 maggio, Amburgo: Mercedes tagliata (longitudinalmente)

Nella notte tra martedì 5 e mercoledì 6 maggio una Mercedes AMG GT di lusso è stata distrutta da un incendio nella Rainvilleterrasse nel quartiere di Ottensen. I vigili del fuoco sono stati molto veloci, ma il loro intervento non ha impedito che venisse distrutta. Quest’auto viene venduta al prezzo minimo di 91.000 euro.

4 maggio, Heeseberg: due autobus bruciati

Mentre giovani e meno giovani si preparavano a tornare a scuola e al lavoro, due autobus della KVG sono stati dati alle fiamme a Heeseberg, nel distretto di Helmstedt (Bassa Sassonia). Un autista di autobus, mentre si recava al deposito per prendere servizio alle 5.15 circa, si è imbattuto in un autobus in fiamme, fiamme che si stavano propagando al veicolo parcheggiato accanto. Il danno ammonta ad almeno 300.000 euro.

21 aprile, Hagen (Nord Reno-Westfalia): incendio di due auto di lusso

Nella notte tra lunedì e martedì, due auto di Richards (una Mercedes Klasse E e un’Audi S8) sono state bruciate ad Hagen, a sud di Dortmund. L’incendio è stato appiccato alla parte anteriore della Mercedes, parcheggiata proprio dietro l’Audi.

[Tratto dalla stampa tedesca]

https://sansattendre.noblogs.org/archives/13323