Nel numero di Maggio 2020Apre in una nuova finestraApre in una nuova finestra:
Liberi e impuri
Cecità
Nuovo disordine mondiale
Un diavolo in corpo
Sterpaglia – prima uscita di un aperiodico errante kavernicolo
Nel numero di Maggio 2020Apre in una nuova finestraApre in una nuova finestra:
Liberi e impuri
Cecità
Nuovo disordine mondiale
Un diavolo in corpo
Sterpaglia – prima uscita di un aperiodico errante kavernicolo
La notte del 1° maggio abbiamo spaccato le vetrine della Banca cantonale bernese BEKB a Bümpliz e le abbiamo spruzzate di vernice. Con questa azione vogliamo attirare l’attenzione sullo sfruttamento e la distruzione da parte del sistema capitalistico. Il primo maggio è un giorno di lotta, con questa azione potremmo dimostrare che la polizia non può impedirci di resistere anche nel periodo di Corona.
Le banche sono coinvolte in modo significativo nella fine di questo mondo. Una banca può sopravvivere solo se realizza un profitto. Deve fare più soldi con i soldi, ed è chiaro che qualcuno perde soldi. Così investono in guerre, distruzione ambientale e sfruttamento dei lavoratori.
BEKB non fa eccezione, anche se non è coinvolta in grandi scandali come UBS o CS. È importante attaccare tutte le banche, perché con le banche anche questo sistema andrà in crisi. Organizziamoci contro le banche e bruciamole insieme.
Inoltre, anche le vetrine del complesso commerciale adiacente sono state devetrificate e colorate. Questo complesso è un buon esempio dell’avanzata della gentrificazione di Bümpliz. Gli affitti sono in aumento e le famiglie sociali e le famiglie con un background migratorio vengono sfollate. Con queste azioni vogliamo dimostrare ai proprietari di immobili sporchi* che loro e i loro palazzi non sono tollerati nei nostri quartieri.
Classe contro classe!
Niente pace e tranquillità nell’entroterra!
Il mondo brucia quando le banche bruciano!
Berna – Rottura di vetri e vernice presso la Banca cantonale di Berna e il complesso commerciale
In periodo di confinamento, alcuni non hanno più granché da mettere sotto i denti. Questo è dovuto principalmente alla chiusura di molti negozi di alimentari. Ma per soddisfare il loro feroce appetito, i nostri amici roditori, che sono dotati di un olfatto assai sviluppato tra le specie che popolano il pianeta, hanno trovato una prelibatezza altrettanto succulenta e abbondante.
A partire dal XVIII secolo, Rattus norvegicus ha progressivamente sostituito alle nostre latitudini Rattus rattus, più comunemente chiamato «ratto nero». Più grande, più grosso e più goloso del suo predecessore, possiede un gusto assai sviluppato e non esita a scegliere il proprio cibo per trovare gli alimenti che più gli piacciono. D’altra parte, è in grado di registrare il gusto di ciò che mangia e riesce perfino a capire se un alimento che già conosce sia stato modificato.
A Poitiers, nella Vienne, la notte tra l’11 e il 12 aprile i nostri fini buongustai si sono concessi una leccornia situata sotto il cemento tra il municipio e la biblioteca multimediale. Ma cosa ci potrà mai essere a pochi metri sotto i nostri piedi che i roditori sappiano apprezzare adeguatamente? Cavi in fibra ottica le cui guaine sono ricche di amido. Questi potrebbero dunque diventare uno dei loro pranzi preferiti negli anni a venire, considerata la loro diffusione in tutto il territorio.
Il loro pasto non è stato gradito dal dominio, avendo escluso in particolare diversi server installati nei siti annessi del Comune.
Questo piccolo animale molto mobile e con un’alta capacità riproduttiva non ha mai goduto di grande popolarità nel corso della storia, soprattutto perché è considerato responsabile della propagazione della peste oltre che di una moltitudine di malattie. Ma che importa la cattiva reputazione, questa esagerata squisitezza del Poitou può parlare al cuore di coloro che hanno già gioito per i recenti sabotaggi contro la rete…
Da lì a vedervi la zampata di un movimento di ultra-Rattus che, in pieno confinamento, moltiplica i pasti ricchi di fibre e rosicchia le arterie del dominio tecnologico…
11/05/2020, Finimondo
Tradotto da Sans attendre demain
Il 27 aprile nel Centro di permanenza temporanea per immigratx di Melilla* (CETI) circa 600 persone (pare provenienti dalla Tunisia) hanno iniziato uno sciopero della fame, ed una si è cucita le labbra. Chiedono di essere portate nella penisola iberica, e temono per la loro salute.
La protesta è comiciata lunedì mattina con un sit-in all’interno del patio di uno degli edifici della Secretaria de Estado de Migraciones del Ministerio de Trabajo con uno striscione nella quale si leggeva “Abbiamo diritti (CETI)” e occupando l’area e la strada interna.
Il governo ha trasferito alla penisola 51 migrantx dal CETI di Melilla.
Queste persone dichiarano che rimarrano in sciopero della fame fino a che verrà accetta la loro richiesta di trasferimento dato che sono a Melilla da più di un anno.
Il centro attualmente vede 1600 persone presenti ed è un evidente potenziale focolaio di virus.
*enclave spagnola in Marocco
Da:
Si tratta del secondo episodio che riguarda l’amministrazione guidata dal sindaco Giovannoli: due mesi fa un incendio ha danneggiato una vettura in uso alla famiglia del vicesindaco
Il 1 ° maggio un gruppo di vicini oltraggiati, abolizionisti e altri furfanti si sono riuniti per prendere d’assalto le porte e occupare un centro di detenzione per bambini gestito da Heartland Alliance nel quartiere di Rogers Park a Chicago. Il carcere minorile è attualmente in fase di ristrutturazione ed è temporaneamente non occupato. Secondo le notizie locali, “Più di tre dozzine di bambini immigrati in un rifugio Heartland Alliance … si sono rivelati positivi per COVID-19”.
Questa camera di tortura situata al 1627 W Morse è stata utilizzata per isolare e punire i bambini migranti che hanno tentato di fuggire o si sono ribellati contro i loro rapitori in altre strutture. Il seguente comunicato è stato distribuito nelle strade circostanti e lanciato dal tetto della struttura.
Stiamo occupando questo edificio in solidarietà con tutti i bambini ribelli che sono stati detenuti qui in passato, coloro che sono ancora detenuti altrove, persone incarcerate dappertutto e tutti coloro che continuano a subire violenze per mano dello stato. Ogni giorno che passa di questa pandemia, ci rendiamo conto, come alcuni hanno provato da tempo, che il coronavirus non è l’unica cosa che ci uccide: i suoi effetti sono acutizzati da sistemi a cui ci è stato detto di credere e di fare affidamento, ma che ci danneggiano attivamente e che ci eliminano .
Heartland Alliance, un’organizzazione senza no-profit che maschera il suo sinistro programma di controllo sociale come sforzo altruistico, imprigiona i bambini migranti in tutti gli angoli di questa città, incluso proprio qui al 1627 W Morse. Questo centro di detenzione è attualmente vuoto, non perché Heartland abbia iniziato a riconsegnare i bambini alle loro famiglie, ma perché la gabbia di mattoni e malta è stata ristrutturata e rimodernata per continuare a imprigionare e traumatizzare i bambini o per trasformarla in un altro tipo di struttura carceraria per detenere i nostri vicini senza casa mentre migliaia di unità CHA rimangono vuote. Indipendentemente da ciò, lo scopo di questo edificio sarà di sorvegliare, controllare e criminalizzare
Attualmente ci sono 42 casi di COVID-19 presso le strutture di Heartland. Anche prima che questi numeri fossero confermati, le manifestazioni di solidarietà hanno denunciato ciò che è inevitabile nelle gabbie. Per tutta risposta Heartland ha affermato che cantare ai bambini, esigendo la loro libertà e comunicando loro amore, li spaventa e li mette in pericolo.
I responsabili dichiarano: “Stiamo distruggendo l’illusione che l’attività carceraria di Heartland non sia altro che una sovrapposizione insidiosa tra il complesso industriale non-profit e quello carcerario”.
Tratto da https://evasioni.info/2020/05/06/734/
Pubblichiamo questo estratto sul carcere tratto dall’opuscolo “Krino. Riflessioni sulla pandemia” allegato alla fine del testo.
“Di respirare la stessa aria dei secondini non ci va”
E’ a partire dal 7 marzo che abbiamo assistito a una delle più vaste rivolte delle carceri avvenute nella storia di Italia. È ormai un dato abbastanza accertato che la polizia (vedremo se con la complicità dello Stato), nei giorni successivi ha fatto delle spedizioni punitive dentro le celle, spesso lasciando i detenuti nudi in una pozza di sangue.
I fatti:
Tutto è cominciato a Salerno, dove la sospensione dei colloqui con i parenti, giustificata come misura per proteggere i detenuti, è stata la miccia che ha fatto scattare la rivolta. Sono circa in 200 a devastare un’intera sezione e ad accedere al tetto. Il giorno dopo da Modena, a Milano, a Pavia, a Roma e in moltissime altre carceri italiane, vi saranno incendi, occupazione di padiglioni, ostaggi e tutto ciò che può essere usato da un detenuto per cercare di cambiare la propria condizione. Uno scenario che in Italia non si vedeva da moltissimi anni, e difatti, come accade spesso quando si disabitua la mente, fanno più scalpore le rivolte dei moventi o, ancora peggio, dei morti (ovviamente dipende da che parte sono). Chissà; forse perché in Italia siamo abituati a vedere morire quei disperati che si dividono in due categorie: coloro che annegano e coloro che “se la sono andata a cercare”.
Tornando alle rivolte di quei giorni di marzo (7,8 e 9), il bilancio è pesantissimo: le rivolte si sono estese a quasi tutti i penitenziari del territorio nazionale e il numero dei morti fra i detenuti è di 13 persone, il tutto in 72 ore circa. Un susseguirsi così rapido di eventi probabilmente è stato mosso, se non si vuole credere alla narrazione della destra e di Salvini, da paura e disperazione dovuta a condizioni di vita indecenti: sovraffollamento, ricatti lavorativi e amministrativi, e trattamenti che la maggior parte delle volte non rispettano la dignità umana.
Le richieste dei prigionieri erano l’indulto e/o l’amnistia per coloro che avevano meno di 5 anni da scontare. Ricordiamo che in Iran sono state liberate circa 70.000 persone e anche nella non proprio democratica Turchia vi è stato un importante svuota-carceri.
Alcuni dati
Per capire meglio le carceri e i detenuti riportiamo alcuni numeri: al 30 aprile 2019 l’Italia ha 60.439 persone nei penitenziari, che significa circa 1 detenuto ogni 1000 abitanti.
I posti letto sono ufficialmente disponibili 50.511 (bisognerebbe sottrarre tutti gli eventuali in manutenzione), non andiamo oltre riguardo il sovraffollamento che è abbastanza evidente.
Chi c’è dentro queste strutture?
L’Italia è uno dei paesi in Europa dove si uccide meno, gli omicidi (prendiamo uno dei reati più gravi) sono calati tra il 2015 e il 2016, eppure il nostro paese è il primo dell’UE per aumento della popolazione detenuta tra il 2016 e il 2018.
Nel 2013 i detenuti per rapina erano il 28,9% dei casi, mentre quelli legati alle droghe il 38,8% che poi nel 2018 caleranno al 31,1%. La media europea comunque è del 18%. Anche qui non ci dilunghiamo nel dibattito sul ruolo del carcere e i consumatori di droghe, che forse riguarderebbe più una questione di salute che penitenziaria. Altra riflessione doverosa è notare come nel 2013 quasi il 70% della popolazione carceraria fosse dentro per questioni legate a droga, furti e rapine. Crediamo anche sia importante, anche se forse banale, ricordare che coloro che sono dentro per aver rubato non sono gli stessi che rubano migliaia o milioni di euro alla gente per vivere nel lusso… la maggior parte di questi è fuori. Dentro ci sono i poveri, a mostrare quanto quelle mura siano solo uno strumento di classe volto a contenere quelle “risorse umane” ritenute difettose in quanto non vivono (spesso per necessità) una vita scandita dai ritmi della produzione e del consumo. Non ci rimane che fare un’ultima riflessione a riguardo, e cioè che l’uguaglianza politica e civile non può che essere formale in una società fondata sulle disuguaglianze economiche: la legge criminalizza e punisce le condotte che quella parte di popolazione che vive in uno stato di disagio sociale o di deprivazione economica è costretta ad avere.
Altro e ultimo dato che riteniamo molto interessante, è che coloro che sono dentro senza una condanna definitiva rappresentano il 34,5% circa della popolazione carceraria anche se, stando alla Costituzione, si tratta di persone innocenti. Per trovare altri dati vi rimandiamo alla nota qui sotto.
Alcune riflessioni
Quindi tornando alle persone che chiedevano amnistia e/o indulto per coloro a cui rimaneva da scontare una pena inferiore ai 5 anni, contro di essi si è scagliata gran parte dell’opinione pubblica. Etichettandoli come dei possibili pericoli per la società (e vi rimandiamo ai dati appena mostrati per una riflessione) dimenticandosi, come spesso accade, che se oggi molte persone muoiono perché non hanno un posto in ospedale le responsabilità sono di altre persone. In più forse non si riflette che il vero pericolo per la società è non fare un decreto che svuoti in maniera più consistente le carceri, in quanto ad oggi sono più di 133 i positivi al virus dentro i penitenziari ma se si creano nuovi focolai ne risentiranno anche gli ospedali e le persone fuori.
Abbiamo assistito quindi a un dibattito praticamente unilaterale dove oltre a stigmatizzare queste persone, si giustificava la misura presa dell’interruzione dei colloqui come una misura di tutela nei confronti dei detenuti. Sarebbe buffo, se non fosse ipocrita, notare che è sempre nelle situazioni di emergenza che ci si preoccupa delle condizioni inumane nelle quali si vive o si lavora (dalle carceri agli ospedali o alle fabbriche), quando per tutto il resto del tempo si fanno tagli e ci si preoccupa di altro. Le carceri sono dei luoghi sovraffollati e dove vi sono scarse condizioni igieniche, rendendoli degli ambienti favorevoli per la propagazione dei virus. Si può comprendere una misura del genere solo se è accompagnata da un’amnistia o indulto, cioè un provvedimento che riduca la popolazione carceraria per tutelare la salute delle persone, solo se la si accompagna parallelamente con una informazione costante di quello che accade fuori (non cercando di oscurare le informazioni come invece è avvenuto), se di conseguenza si fossero aumentate subito le telefonate e videochiamate, se si fossero prese anche tutte le altre misure preventive (mascherine per tutti, gel, etc…). Tutto questo o non è stato fatto o solo in piccola parte e male. Infatti chi si trovava in cella, probabilmente si è chiesto come mai il proprio parente fosse più pericoloso per la propria salute del secondino che tutti i giorni ha di fronte (il quale entra ed esce dal carcere) oppure di tutto il resto del personale. Coloro che dovevano essere protetti dalla sospensione dei colloqui con i parenti non ci hanno messo molto a capire sia che questa misura era una presa in giro e che forse Coronavirus sarebbe potuto essere un forte pericolo anche per loro: come la preoccupazione divampa fra i cittadini in stato di libertà, fra i detenuti in poche ore questa paura si è espressa con l’unico mezzo che chi è recluso possiede per farsi sentire da chi sta fuori e cercare di ottenere qualcosa.
Se la paura e il virus sono qualcosa che può colpire tutti gli esseri umani, risulta evidente che il diritto è qualcosa che difende solo alcuni. L’articolo 2 della Costituzione (un testo non male per certi aspetti, peccato che vorrebbe essere la realtà, un testo di diritto e non un libro fantasy) recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In senso generale questo articolo vorrebbe prendere le distanze dalla visione nazionalista di destra, e del fascismo, che lega lo Stato al cittadino. Così la Repubblica riconosce (attenzione al verbo!), in quanto il diritto fa già parte dell’essere umano e non gli è assegnato, una dignità a tutti gli uomini, cittadini e non. Altro verbo importante dell’articolo è: inviolabili. Lo Stato quindi riconosce, garantisce e difende l’essere umano e il suo diritto inviolabile. E’ evidente che in questo caso il carcerato non è riconosciuto come essere umano.
Quando nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (vicino Caserta) il 5 aprile (un mese dopo la sospensione dei colloqui) un detenuto viene trasferito in isolamento in quanto positivo al Coronavirus, succede che 150 dei 400 reclusi, fanno una piccola rivolta (che non è più di una battitura e alcune barricate) che rientra nel giro di poche ore, con la concessione e promessa di un colloquio con il Magistrato di Sorveglianza. Il giorno dopo, una volta andato via il Magistrato, entrano 400 agenti in antisommossa che in gruppi da 7 entrano nelle celle massacrando di botte i detenuti. Non ci dilunghiamo nel racconto dei dettagli di questa mattanza (per chi è interessato alleghiamo l’articolo1), prendiamo solo nota del fatto che questo non è altro che l’ennesimo caso in cui le richieste dei carcerati vengono represse nel sangue.
A seguito delle proteste, oltre a pestaggi in cui sono state spaccate mascelle e setti nasali2 (c’est la démocratie…), trasferimenti che non hanno fatto altro che portare il virus da un carcere all’altro (come avvenuto da Bologna al carcere di Tolmezzo) è seguito un decreto che ha punito chi si è ribellato in quei giorni, incrementato le forze dell’ordine per evitare che la paura si esprimesse di nuovo e che i detenuti si facessero nuovamente sentire. I provvedimenti presi per il sovraffollamento è chiaro che sono ancora troppo timidi, e soprattutto che escludono anche solo chi è sospettato di aver preso parte alle rivolte. Ricordiamo che un terzo dei detenuti sono ancora innocenti in attesa che il giudice si esprima. E’ evidente come la discrepanza fra la Costituzione e la realtà sia ampia e come tutte le volte che ci sbattono in faccia la “bellezza della nostra Costituzione”, ci stanno semplicemente mostrando qualcosa che non esiste. Spesso veniamo anche tacciati di essere utopisti, a questi rispondiamo che siamo utopisti che accusano la realtà di non essere ciò che ci viene mostrato.
Oltre a questo decreto, i detenuti hanno ricevuto anche un’altra cosa “molto importante”: un caloroso saluto dalla persona più importante del nostro Stato, Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che evidentemente oltre a esprimere vicinanza e riconoscere che la situazione all’interno “non sempre rispetta la dignità umana”, non poteva fare di più (ricordiamo che il Presidente della Repubblica ha il potere di dare l’amnistia senza passare per altri organi). Insomma, come spesso accade, le uniche risposte sono state paternalismo e repressione.
Il carcere non agisce solo su chi si trova dentro, ma angoscia anche tutti gli amici e i familiari che sono fuori. Alcuni parenti dei detenuti hanno segnalato che questi ultimi oltre a non avere più i corsi scolastici, gli incontri con i volontari, i colloqui, le attività sportive etc, adesso cominciano anche a rinunciare alla propria ora d’aria per paura del contagio, così da vivere giornate ancora più grigie, monotone e pesanti. Segnaliamo a tal proposito questa testimonianza e domanda fatta alla Associazione Antigone riguardo un detenuto autoimmune: “il ragazzo ormai vive nel terrore di ammalarsi perché sa che non può prendere nessun farmaco. Vive rinchiuso nella sua cella, evita pure di telefonare a casa tutte le volte che vorrebbe perché ha paura pure di prendere il telefono in mano e sta sviluppando attacchi di panico, tanto che è stato visto dallo psicologo. Vi prego, potete fare qualcosa?”3
Al netto di ciò, dei decreti e dei 12 morti, l’ultimo effetto delle rivolte che prendiamo in considerazione è che il SAPPE (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) ha fatto sapere che il penitenziario di Modena chiuderà perché inagibile e che in tutta Italia ci sono stati più di 20 milioni di danni nei penitenziari.
A questo punto crediamo sia necessario riflettere su cosa sia più importante, in questo l’opinione pubblica si è divisa (anche se non in egual misura) tra chi ha preferito pesare questi danni e chi ha invece considerato ben più grave la morte di 13 persone e la costante violazione dell’essere umano che avviene nelle carceri.
Lo Stato ha già scelto da che parte stare.
1 https://www.ilriformista.it/carcere-di-santa-maria-capua-vetere-detenuti-torturati-82455/?refresh_ce
2 https://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2020/03/19/news/carceri_la_denncia_di_antigone_tante_le_segnalazioni_di_violenze_negli_istituti_di_pena_-251721455/?fbclid=IwAR3UZ-XZdLX5KsqgWsaKhO5e2XXrpF5sJoDgFU-CjchB-W-9kF2iDe_fsLw
3https://medium.com/@AntigoneOnlus/il-coronavirus-in-carcere-attraverso-le-parole-dei-famigliari-dei-detenuti-d2e07fb513af
Qui sotto per scaricare l’intero opuscolo:
Per farla semplice: questo nuovo livello di controllo ci ha fatti/e incazzare ancora di più e dato voglia di agire. Non far nulla, ai nostri occhi, equivaleva ad accettarlo.
Come al solito, se il controllo funziona così bene, è anche perché i cittadini lo accettano docilmente, ben installati nella loro bolla virtuale, a continuare a divertirsi e a telelavorare. Ma è più che mai il cordone ombelicale che li lega a questa vita patetica.
Ecco perché abbiamo incendiato un ripetitore di telefonia mobile, nella notte fra il 5 e il 6 maggio, a Tolosa, sul lato est del Pont de l’Embouchure. È stato più semplice di quello che pensassimo.
Si vede che non siamo le sole persone a ribollire di rabbia e ce ne felicitiamo. Ostilità totale contro la civiltà e i mucchi di merda che la compongono.
(it-en-fr) Tolosa, Francia: Un ripetitore in meno (06/05/2020)