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OP. PROMETEO – NUOVA UDIENZA PRELIMINARE FISSATA PER IL 10 LUGLIO PRESSO IL TRIBUNALE DI GENOVA
E’ stata notificata oggi agli avvocati di Natascia, Beppe e Robert la fissazione dell’udienza preliminare che si terrà presso il tribunale di Genova il giorno 10 luglio alle ore 9. Nel corso dell’udienza preliminare che si è svolta lunedì scorso presso il tribunale di Milano, i difensori avevano chiesto e ottenuto dal GIP il cambio di sede processuale a Genova per incompetenza territoriale della procura di Milano
SEGUIRANNO AGGIORNAMENTI
La nave dei folli – Episodio 12
Episodio 12
Catapultata fuori dagli abissi dell’interiorità, la memoria diventa un dispositivo per immagazzinare dati che rende possibile lo scambio di informazioni. Totalmente immerso nel processo comunicativo, il soggetto cibernetico – ormai privo di interiorità – cresce in un mondo dove l’idea stessa di autonomia politica perde di senso, dove conta solamente la lotta all’entropia.
Nel 1964 Wiener farà un intervento al convegno di Royaumont, Parigi, intitolato “L’uomo e la macchina” in cui sostiene: «le macchine che apprendono diventano diverse a seconda della loro esperienza.» (All’epoca si riferiva a un computer in grado di giocare a dama, non ancora a scacchi). La capacità di memorizzare e prendere decisioni sulla base delle informazioni ricevute portava, proprio mentre la nozione di interiorità soggettiva veniva svalutata, a riconoscere paradossalmente un’individualità alla macchina. E a un intervento del pubblico che sottolineava come la macchina non ha coscienza di sé in quanto incapace di provare dolore, lo scienziato si limiterà a rispondere: «Non è così sicuro…»
Le macchine cibernetiche, negando la specificità del vivente, divengono loro equivalenti. Concepita e fabbricata dall’essere umano, la macchina se ne distacca per imporsi come un nuovo stato di natura.
Riferimenti episodio 12
• Point Alpha, Data Blast (101+303+808 = Now form a Band, 1995)
• Mitch Walking Elk, If They Come in the Morning (Indians, 1988)
• Combo de la Muerte, Peace Sells (Megadeth) (Tropical Steel, 2008)
• LETTURE A MEZZA VOCE – Divieto di socialità (III puntata)
• Enore Zaffiri, Q64II (Musica reticolare, 1965-68)
• Werner Herzog, Il ventesimo secolo è stato un errore? Werner Herzog in conversation with Paul Holdengräber, 16/2/2007
• Werner Herzog, Cuore di vetro, 1976
• Νικόλας Άσιμος, Μην καρτεράτε άλλο πια (Με το βαρέλι που για να βγει το σπάει, 1978) – Nikolas Asimos, Mhn Me Karterate (Me to bareli pou gia na bgei to spaei, 1978)
• John Lee Hooker, The Motor City Is Burning (Urban Blues, 1967) (testo)
https://lanavedeifolli.noblogs.org/
Malmö, Svezia: Attacco incendiario contro una antenna-ripetitore da parte di un gruppo FAI/ELF
Tre settimane fa è stata incendiata una antenna per la telefonia mobile 4G/3G. Abbiamo compiuto ciò come risposta di pura ostilità all’incubo tecno-industriale in cui ci troviamo a vivere.
Come uno spettro vendicativo, abbiamo collocato i nostri incantati congegni incendiari nei cavi che collegano l’antenna alla rete leviatanica. Abbiamo ululato alla luna quando abbiamo acceso le micce e maledetto la civiltà per l’eternità. Solo con il fuoco è possibile esorcizzare il leviatano tecno-industriale. Pochi minuti dopo i cavi sono stati inghiottiti da un violento incendio che ha fatto perdere all’antenna la connessione con il cyberspazio. Nell’improvviso silenzio, quando le chiamate dei cellulari e le connessioni ad internet sono diventate vuote, si è potuto sentire solo il fuoco divorante.
Solo il buio ci porta nel luogo dove ci sentiamo a casa. Le intense luci industriali che fanno brillare la città bruciano i nostri occhi e oscurano i nostri cuori. Ma il silenzio cibernetico che abbiamo causato con il nostro incendio all’antenna ha fatto sentire i nostri corpi vivi e la gioia ha riempito i nostri cuori.
Oggi tutto è tornato alla normalità, tranne i cavi bruciati e la torre silenziata. Gli operatori e i padroni stanno sferrando il prossimo assalto alla nostra amata oscurità. Le torri 5G sono ora in funzione a Malmö, Göteborg e Stoccolma. Il prossimo livello del controllo leviatanico si sta dispiegando davanti ai nostri occhi. Gli schiavi della società stanno plaudendo la loro incarcerazione.
Ci auguriamo che la totalità della civiltà sia inghiottita dalle fiamme. Una volta bruciata fino a ridursi in cenere, le tenebre finalmente fioriranno. Ad ogni passo in cui il nostro piede tocca il cemento e l’asfalto, malediciamo il Leviatano. Ad ogni passo in cui il nostro piede tocca terra e suolo e piante e radici, cantiamo la nostra gioia per l’oscurità e il selvaggio.
Sappiamo che un futuro senza Leviatano non arriverà mai, ma questo non ci trattiene nel sognare la sua morte. Non ci impedisce di evocare congegni incendiari che brucino il suo corpo in putrefazione. Non ci impedisce di maledire la sua armatura scintillante e la sua luce tecno-industriale. Uccidere uccidere uccidere è tutto ciò che il Leviatano può dire. Bruciare bruciare bruciare è la nostra risposta.
Piccoli maledicènti ed evocatori amanti dell’oscurità
FAI/ELF [Federazione Anarchica Informale / Earth Liberation Front]
Genova – Attacco incendiario polizia locale. 24/25 giugno 2020
I danni della globalizzazione sono arrivati anche in occidente e ci siamo trovati a farne I conti direttamente. La reazione non è stata certo in una prospettiva di soluzione delle cause, bensì un ulteriore passo veloce verso il progresso ed un intensificarsi del dominio tecno-scientifico, della trasformazione e del rapido adeguamento delle logiche di autoritarismo e profitto.
Anche in tempi di pandemia il governo ha garantito gli affari delle case farmaceutiche e dei signori della guerra. Attraverso le politiche capitaliste gli Stati hanno continuato la produzione industriale a scapito dei lavoratori e le operazioni militari a scapito di intere popolazioni.
Anche nel porto di Genova hanno continuato a transitare navi cariche di carri armati e altri armamenti, dirette verso gli Emirati Arabi.
Lo Stato ha chiarito quali sono I suoi interessi, molto lontani dai reali bisogni degli individui, ed in continuità con la politica tecno-industriale: imposizione di tecnologie nocive come il 5G e controllo sociale di massa (realizzato con la militarizzazione dei territori, l’accellerazione tecnologica e l’utilizzo di vari mezzi come droni, GPS, motoscafi, elicotteri e vari progetti “smart”). Tutto questo è imposto con la violenza dei suoi corpi armati (polizia, carabinieri, esercito) ed ottenuto anche attraverso la repressione, la parcellizzazione sociale e l’isolamento degli individui; allarmati dalle retoriche emergenzialiste e dalle ossessioni securitarie abitualmente utilizzate dai Paesi coloniali europei. Le stesse che hanno accompagnato la chiusura delle frontiere e la gestione militare di un altro “effetto” della globalizzazione e della guerra, ovvero le migrazioni.
Il capitalismo ed il profitto dei padroni sono il vero virus di questa società. Governo e Stato li difendono attraverso la polizia, gli assassini di sempre, pronti a reprimere il malcontento e la ribellione oggi, così come domani, nella crisi economica ormai prossima.
Abbiamo scelto di rispondere con l’azione diretta a ciò che opprime per allargare le prospettive del conflitto e combattere le logiche del recupero riformista e della mediazione politica dell’”intervento”. Auspichiamo ad una crescita delle lotte nella continuità dell’attacco.
Solidarizziamo con le rivolte nelle carceri italiane. Vendichiamo I morti durante le rivolte, gli omicidi, gli abusi, le torture e gli stupri che la polizia pratica in tutto il mondo all’interno di quelle mura così come all’esterno.
Salutiamo con gioia le recenti rivolte in Cile e negli Stati Uniti.
Mandiamo la nostra solidarietà agli/le anarchici/e sotto processo in seguito all’operazione “Scripta manent” che vogliamo liberi/e. A loro va tutto il nostro Amore. Ai loro carcerieri tutto il nostro Odio.
Un abbraccio fraterno di solidarietà alle compagne e ai compagni anarchici/e arrestati nell’ultima operazione anti-anarchica “Bialystock” dei ROS di Roma.
Solidarietà ai/le compagni/e arrestati/e per l’operazione “Prometeo”, a Peppe, a Juan e a tutti/e I prigionieri/e anarchici/e e rivoluzionari/e.
W l’Anarchia!
https://roundrobin.info/2020/06/attacco-incendiario-polizia-locale-genova-24-25-giugno-2020/
Nuovo foglio murale da Lecco: VIRULENZE – paziente 0
VIRULENZE
Insorgere è necessario: lo capiscono anche i muri!
Pensando all’esperienza surreale e distopica vissuta con l’emergenza Covid, è assolutamente necessario discutere della realtà che ci circonda. Questo foglio murale nasce per opporre il virus della ribellione al silenzio e all’assuefazione del muro digitale, che annichilisce la socialità e aliena gli individui. Nasce per affrontare l’inquietante involuzione della vita quotidiana in ogni suo aspetto: salute, ambiente, repressione, educazione e quant’altro.
La volontà di accettare il rischio
Dalla diffusione del virus Covid-19 e dalla conseguente emergenza sanitaria, chiunque ha passato buona parte del suo tempo a preoccuparsi, in un modo o nell’altro, di non essere contagiato. Ognuno naturalmente ha reagito a modo suo, chi cadendo nella paranoia, chi affidandosi totalmente a leggi statali e regionali e chi seguendo il proprio buon senso. In ogni caso, magari anche per via del martellamento mediatico in atto, la conservazione della propria salute fisica è stata in cima alla lista delle priorità per tutti e, in nome di questo obiettivo, qualunque sacrificio o rinuncia è sembrato per molti accettabile e desiderabile. Anzi, con “ammirevole” spirito cattolico, è parso quasi che la penitenza della quarantena, la contrizione dell’isolamento, il flagellamento dei propri desideri potessero costituire un ulteriore schermo protettivo contro il temuto virus…maggiore la rinuncia, maggiore la ricompensa! Eppure l’atteggiamento di fronte all’epidemia non può e non deve ridursi soltanto a questo, ad una mera conservazione biologica di se stessi, a discapito di ogni relazione sociale, ogni attività, ogni altra cosa che realmente ci definisce in quanto individui. Non può esserlo né per la comprensibile paura né perché uno stato lo impone dall’alto. Per questo, per quanto possa sembrare paradossale, è necessario rivendicare a sé il diritto al rischio. Il diritto, la volontà di vivere la propria vita in modo completo, seguendo le precauzioni che si ritengono opportune ma accettando, se lo si sceglie il rischio del contagio ed eventualmente della malattia. Naturalmente una tale presa di posizione è complicata dal fatto che, in questo caso, la propria salute è indissolubilmente legata a quella delle altre persone con cui si entra in contatto, e quindi mantenersi al riparo dal contagio significa anche proteggere gli altri. Nonostante questo argomento sia stato frequentemente usato, in maniera sottilmente ricattatoria, da mezzi di informazione e governanti per accusare senza appello di follia ed egoismo chi accetta su di sé una parte di rischio, esso è di fatto un falso argomento. Infatti, si badi, affrontare consapevolmente il rischio non significa gettarsi allo sbaraglio senza il minimo pensiero per sé o gli altri. Non è poi così complicato assumere le precauzioni sanitarie necessarie per non contagiare persone a rischio o che preferiscono isolarsi. Al contrario, con accordi chiari tra individui è possibile accettare che una certa componente di pericolo sia inevitabile e valga la pena essere corsa per poter mantenere dei rapporti sociali degni di questo nome, reali e non telematici, con chi lo desidera. Concettualmente, anche se a livelli di urgenza ed importanza probabilmente diversi, è lo stesso processo mentale fatto da un alpinista che, arrampicando, decide di correre il rischio di cadere per poter godere del rapporto con la montagna.
Urge riaffermare la propria volontà e responsabilità nell’accettare il rischio in nome della propria libertà, a prescindere da qualunque proibizione imposta. Il potere infatti non potrà mai privare un individuo del diritto di determinare la sua condotta, foss’anche a rischio dell’esistenza stessa.
Scuola: indottrinamento…online?
Che la scuola sia una risorsa fondamentale per l’indottrinamento delle masse è un fatto palese.
A dimostrazione di ciò si possono fare svariati esempi presi dal passato, come la gioventù hitleriana, pietra miliare dell’indottrinamento nazista che ha portato, insieme ad altri fattori, al secondo macello mondiale e alle altre brutalità degli anni ’40.
Il potere ha sempre utilizzato la scuola per inculcare i propri “valori”.
Tuttavia, oggi non voglio soffermarmi sulla lettura astratta e teorica dell’educazione, bensì sul vissuto generato in chi l’ha dovuta affrontare.
Ciò che la scuola ha dato nonostante la propria struttura, in termini di vita vissuta, sono la socializzazione, l’incontrarsi, il condividere emozioni.
Non penso che molti ricordino quanto è stato bello imparare che 5 per 5 fa 25…ma le prime marachelle combinate coi compagni chi se le è dimenticate? I primi lavori in gruppo, i progetti, le simpatie, gli intervalli, le amiche e gli amici, le giornate tristi e quelle allegre, l’odio verso quel maestro o la stima verso quell’altro…insomma, il vissuto che ci ha lasciato l’esperienza scolastica è veramente ampio e importante per ciò che uno è, a volte con un bilancio positivo altre negativo. Senza dubbio ha costituito un percorso esperienziale intenso.
Poi è arrivato il COVID!
Come già da anni la spinta tecnologica voleva imporre, la scuola sta diventando una fredda esperienza esclusivamente nozionistica.
Pensare a bambini e ragazzi costretti a ore di videoconferenze davanti ad uno schermo per “imparare” è ciò che più dovrebbe fare arrabbiare. In pratica è rimasta la parte meno formativa, che, pur essendo un patrimonio conoscitivo, non arricchisce la sfera emozionale.
Per questo non può essere accettata la didattica online!
Rifiutarla e combatterla è l’unica via percorribile, sia prima del COVID, sia durante, sia in futuro.
Un passo fondamentale è non trasformarsi in scatole vuote da riempire con nozioni sterili e preconfezionate.
Contro la Scuola, tanto più se online!
L’angolo delle skifezze
La prima edizione di questa rubrica, dedicata alle cose più brutte e skifose vissute negli ultimi mesi, non può esimersi dal parlare del tricolore.
In un momento in cui, in tutto il globo, le vittime di questo virus si contano a migliaia, ridursi a pensare ai cosiddetti “compatrioti” è da annoverarsi sicuramente tra le dinamiche più pericolose che si sono sviluppate. Oltre al fatto che non possiamo dimenticare i fiumi di sangue provocati in nome di quella bandieruola a tre colori (dalle imprese coloniali fasciste alle più attuali carneficine in Iraq, Libano, Afghanistan, Libia…).
Ciò che ora possiamo fare è distruggerle tutte!
Con le forbici, col fuoco, con la rabbia!
Le gare di street-boulder non si possono più fare? Bene, sfogati arrampicandoti sui terrazzi a strappar bandiere, è un ottimo allenamento, per il corpo e per la mente!
Sarà bello ricordare a tutti che “la nostra patria è il mondo intero!”
Montevideo (Uruguay) – Striscione in solidarietà con i\le compagn* detenut* in Italia
Nelle immediate vicinanze dell’ambasciata italiana, più precisamente, nella piazza leon Tolstoi, abbiamo appeso questo striscione in solidarietà con compagn* perseguit* dallo stato italiano.
TERRORISTA E’ LO STATO ITALIANO FASCISTA, NON CON CHI SI RIBELLA CONTRO DI ESSO.
DIETRO L’ANGOLO PT.10 – UN’ALTRA VITA
Accanto a un generale e indiscutibile impoverimento legato all’emergenza pandemica, di cui ancora non si vedono chiaramente le conseguenze, con ogni probabilità l’affaire Covid 19 avrà acuito riflessioni critiche anche in chi, pur non essendo tra i maggiormente colpiti a livello economico, avverte come sempre più soffocante e insopportabile l’organizzazione della vita e dell’ambiente ad opera del capitalismo. In toto o perlomeno alcuni dei suoi tratti.
Brusche interruzioni del tran tran quotidiano del resto possono lasciar più spazio di quanto non vi sia di solito nelle vite di tutti alla messa in discussione, anche profonda, anche di ampio respiro, delle condizioni di esistenza, soprattutto quando se ne percepisce l’insensatezza e l’iniquità. E le caratteristiche stesse di questa pandemia, e della sua gestione, non hanno certo lesinato input a chi abbia avuto la capacità e volontà di coglierli. I segnali di quanto lo sviluppo capitalistico imponga all’ambiente e agli esseri viventi, un grado di sottomissione sempre più profondo e rigido ai dettami che regolano l’attuale organizzazione sociale, affioravano già da tempo. Il merito, se così si può dire, dell’attuale epidemia è quello di averli portati a galla con maggior abbondanza e velocità. E sarà interessante vedere quali forme di proteste e conflitti e quali discorsi sapranno emergere al di fuori della stretta inesorabile della logica capitalista, e in quali ambiti. Ad esempio immaginiamo che, nelle scuole, la teledidattica dovrebbe comunque continuare anche nel prossimo anno scolastico, anche se non se ne conosce ancora l’intensità ed ampiezza. Come reagiranno genitori, studenti e personale docente a un modello d’istruzione che nell’acuire ulteriormente le differenze sociali favorisce un’atomizzazione sociale 4.0? Una scuola a misura di pandemia potrebbe avere chissà tutte le carte in regola per diventare uno dei rivoli in grado di dar più precisione e sostanza ad un’opposizione contro l’installazione della rete 5G. Non solo per le ineludibili ragioni sanitarie ma anche contro il mondo cui quest’infrastruttura contribuirà a dar forma con la polarizzazione sempre più feroce tra inclusi ed esclusi e in cui le vite di tutti saranno sempre più mediate e controllate nel loro relazionarsi con l’ambiente e con gli altri, da artifizi tecnologici che rischiano di stravolgerne profondamente il senso e significato.
E in ambito sanitario cosa avrà lasciato in chi vi lavora l’emergenza delle settimane passate? Il decorso della pandemia ha mostrato chiaramente non solo l’evidente inadeguatezza della sanità pubblica ma anche i limiti strutturali di un certo modello centralizzato che è stato tra i principali fattori di moltiplicazione dei contagi. Un modello che, come hanno rilevato molti medici e infermieri a caldo, in piena emergenza epidemica, ha dimostrato con una certa sfacciataggine di esser pronto a sacrificare una parte di popolazione, non solo nelle carceri e nelle Rsa, ma anche tra chi lavora negli ospedali, mandandoli allo sbaraglio con regole e strumenti di protezione ugualmente raffazzonate rispetto alle esigenze che la situazione richiedeva.
Quale spazio troveranno questo tipo di critiche all’interno delle prevedibili agitazioni su rivendicazioni strettamente lavorative – aumento di stipendi e del personale – e fin dove riusciranno a spingersi nella messa in discussione, tanto teorica quanto pratica, di un certo modello sanitario, del rapporto lavoratori/utenti e, a salire, della funzione che la medicina svolge all’interno dell’attuale società? Questioni particolarmente importanti specie se si riusciranno a trovare punti di incontro tra esigenze dei lavoratori e dei cosiddetti utenti della sanità. E ancora quali ragionamenti si saranno sgretolati e quali invece si staranno sedimentando nei tanti, soprattutto giovani, che negli scorsi mesi avevano riempito le piazze un po’ in ogni dove contro le conseguenze del riscaldamento climatico? Uno dei dati più inconfutabili emersi durante l’emergenza Covid è che per fermare o perlomeno ostacolare la devastazione ambientale è necessario, né più né meno, fermare la produzione capitalista. A dircelo chiaramente erano tanto le immagini satellitari sui livelli d’emissione di Co2, abbassatisi come non mai durante il lockdown, sopra la Cina come un po’ in tutto il globo, quanto l’aria fattasi improvvisamente più respirabile lungo le strade delle città in cui viviamo; per non parlare delle tante immagini di animali e vegetazione che riconquistavano pian piano terreno man mano che la macchina capitalista rallentava i suoi giri. Dati di cristallina evidenza: vedremo se e come stravolgeranno i discorsi e le pratiche alquanto generiche e aleatorie che hanno finora contraddistinto buona parte del movimento contro i cambiamenti climatici. Tanto più che altrettanto evidenti sono i segnali di ciò che accadrà con l’intensificarsi di determinati problemi ambientali: le misure di lockdown, la crescente militarizzazione e l’acuirsi delle disuguaglianze sociali di cui abbiamo avuto un breve ma significativo assaggio ci illustrano chiaramente quale futuro ci attende sotto la cappa di una ragion di Stato d’emergenza.
Quale sarà infine la spinta che quest’emergenza saprà dare alla messa in discussione dell’agricoltura come dell’allevamento intensivi, delle principali fonti attraverso cui gran parte dell’umanità si riproduce attualmente? E quali progetti di autorganizzazione e autogestione della produzione alimentare sapranno trarre nuova linfa dai segnali allarmanti, ultimi di una lunga serie, lanciatici da quest’epidemia? Non limitandosi magari, non certo per sminuirne l’importanza, ad una risposta principalmente sanitaria ed ecologica alla produzione industriale ma riconfigurando ipotesi in grado di rimettere in discussione le strutture fondanti – tra tutte proprietà e lavoro salariato – di quest’organizzazione sociale e trarre così forza e al contempo darne ai conflitti che si svilupperanno nelle città. In un rapporto città/campagna – se così quest’ultima si può ancora definire – da sempre alla base delle ipotesi rivoluzionarie che meriterebbe di essere ripensato in un mondo come quello in cui ci troviamo.
Non siamo così ingenui, o abbastanza ottimisti, per pensare che il carattere extraordinario dell’emergenza in cui siamo stati catapultati produca di per sé il risveglio di un certo spirito critico e di una certa conflittualità. La forza di una certa ragion di Stato, in grado di presentarsi come l’unica entità in grado di fornire soluzioni di un qualche tipo, per quanto parziali e limitate, è innegabile, tanto più in una fase in cui lo Stato è tornato a mostrare il carattere su cui fonda la propria sovranità: quello di poter interrompere e sospendere la normalità. Di certo la capacità attrattiva di questa forza, che emerga in esplicito consenso o anche solo in senso di impotenza, sarà inversamente proporzionale allo svilupparsi di esperienze e conseguenti riflessioni critiche in grado di aprire qualche breccia e fornire suggerimenti e suggestioni altre. Altre modalità per far fronte ai problemi materiali, altre logiche su cui regolare le nostre vite e le relazioni tra esseri umani.
Un’alterità che con ogni probabilità tenderà a manifestarsi con un ventaglio di pratiche molto differenti tra loro che potranno andare – per limitarsi ad alcune tra quelle condivisibili – da scelte di rifiuto, a pratiche di nonviolenza attiva, a pratiche di solidarietà materiale basilare, al sabotaggio, allo scontro con la polizia e al saccheggio. E tenderà ad esplicitarsi con riflessioni anch’esse molto differenti, confuse e a volte tra loro contraddittorie, portatrici come saranno sia a livello discorsivo che pratico di interessi e visioni del mondo specifici e parziali. Riguardo a questa contradditorietà sarà necessario non farsi stupire dalle parole d’ordine e dall’habitus informe con cui certi conflitti si presenteranno: come è probabile che non poche rivendicazioni saranno all’apparenza prive di mordente sovversivo e avranno obiettivi per lo più riformisti, è altrettanto plausibile il moltiplicarsi di frizioni sociali di larga scala che saranno il frutto della differenziazione sociale che la governance della competizione sfrenata ha imposto negli ultimi decenni. Da una parte i dispositivi come la razza, l’etica produttivista, la morale legalitaria, il decoro e la paura di perdere anche i beni primari, dall’altra la mancanza di uno status formale (dai documenti identificativi ai contratti d’affitto e di lavoro), di punti di riferimento relazionali e di un radicamento ritenuto appagante sono elementi che tra gli sfruttati assumono spesso questa polarizzazione ma che si combinano nelle crisi in formazioni inedite e di difficile decifrazione per ricavarne una lotta puntuale contro i responsabili della miseria. Val la pena dunque ribadire che ridursi a sottolineare questi limiti e contraddittorietà non sembra sia il modo migliore per approcciarvisi e capire cosa bolle in pentola. Ben più interessante tentar di coglierne gli aspetti di rottura non solo rispetto a quel senso di inesorabilità di cui è ammantato il capitalismo ma anche alla conseguente idea che sia possibile, quando non l’unica via praticabile, apportarvi dei cambiamenti sostanziali soltanto collaborando con autorità politiche e padronato. Una logica di collaborazione che potrebbe avere una certa diffusione, sempre che la controparte sia interessata e disponibile a promuoverla, laddove tenderanno ad acuirsi i problemi legati alla sopravvivenza materiale. La vecchia ricetta dell’assistenza, insomma, che possiede fondamenta e appeal tenuti ben fermi dalla sua decennale storia all’interno delle democrazie avanzate alla luce della sua sostanziale inoffensività; di più, che sembra fondare la propria ineludibilità di fronte a tutte quelle privazioni, anche estreme, e a quelle necessità materiali generate dall‘organizzazione sociale all’interno di cui nasce.
Del resto come attendersi qualcosa di differente? I decenni di relativa pace sociale, ameno a queste latitudini, hanno scavato profonde e paludose trincee da cui non è certo facile uscire materialmente o anche solo spingersi con lo sguardo un po’ più in là di quanto lasci intravedere il capitalismo con il suo inesorabile procedere. Molto angusti sono i passaggi per chi prova a dare corpo ad un radicale sovvertimento delle attuali condizioni di vita, crinali stretti da una parte dalla logica dell‘agire per non star a guardare, dall’altra dalla logica di una distruzione col respiro corto. Da una parte quindi un attivismo che pur di arginare l’apocalisse in atto non va per il sottile, che alla bisogna collabora con agenti interni al sistema sociale che vorrebbe emendare, secondo logiche allineate e funzionali al mantenimento dello status quo. E trascina, più o meno volontariamente, in dinamiche di recupero o totale affossamento tutte quelle spinte di rottura da cui prende abbrivio. Dall’altra invece quella risposta alle difficoltà teoriche e pratiche proprie del conflitto sociale che, al netto dalla loro sacrosanta necessità, misura gli interventi rivoluzionari solo sulla base del volume offensivo; su tutti, il cosiddetto nichilismo anarchico, sviluppato ad esempio in Grecia nell’immediato indomani dei cicli di rivolte tra il 2008 e il 2012.
Ecco perché anche conflitti di combattività bassa non sono contesti da guardare storcendo il naso. Le teorie anarchiche classiche evocano il momento dell’insurrezione come un momento di rottura che rende insensato il tempo canonico e impone in tal modo una nuova vita; non diversamente, nell’incommensurabile piccola lotta che potrebbe prendere piede in un reparto di ospedale o in un magazzino della logistica potrebbe aprirsi la piccola breccia dell’interruzione, della possibilità. Non si va certo scrivendo che ogni situazione simile apre orizzonti di portata epica, ma in questi decenni di realismo fatalista e rassegnato, il mettersi di traverso al lavoro o per pretendere un servizio, fare ciò organizzandosi con chi condivide quell’oppressione o quel problema, può scalfire il moloch che abitiamo. I momenti di autonomia dalla governamentalità del capitalismo contemporaneo non nascono certo sotto ai cavoli insieme ai bambini né principalmente dalle astrazioni teoriche di alcuni rivoluzionari, ma sono il frutto di esperienze conflittuali di chi si mette faccia a faccia e ragiona su come ostacolare i suoi sfruttatori e migliorare le proprie condizioni di vita e di libertà. Guardare con attenzione a certe situazioni conflittuali, laddove si evince un certo spontaneismo lontano dalle proposte logore dei politicanti, non significa credere che gradualmente possano espandersi fino alla rivoluzione, ma è per la necessità di riprendere in mano anche i più piccoli spazi di vita e libertà per organizzarsi, dando per ormai assodato che la vita dell’umano sia ormai così dipendente dall’organizzazione capitalistica e dalla sua risoluzione interna dei conflitti, che non ci si può permettere di non dare una giusta occhiata ai rapporti sociali che entrano sul terreno dello scontro.
Non è certo un caso che la forza dell’Idea emancipatrice, che nei secoli o anche solo alcuni decenni fa, ha spinto tanti rivoluzionari e sfruttati a battersi per la loro libertà e per quella delle generazioni che sarebbero venute dopo, da tempo risulta quantomeno vaga e affievolita. Ormai da tempo chi si ostina ad avere come obiettivo un mondo di liberi e uguali non ha più ha che fare soltanto con un problema di espropriazione e distribuzione – la terra ai contadini e le fabbriche agli operai e poi a ciascuno secondo i propri desideri e da ciascuno secondo le sue possibilità, una formula quanto mai difficile da realizzare ieri come oggigiorno, dato che ci son pur sempre padroni e governanti di mezzo, ma perlomeno semplice da immaginare e verso cui dunque tendere, –. Ormai da lunghi anni la complessità dell’organizzazione sociale, l’opera di devastazione ambientale e di colonizzazione della vita quotidiana da parte del capitalismo ha posto problemi che non lasciano molto spazio a utopie così semplici e lineari, almeno da ipotizzare.
La vita altra cui accennavamo irrompe nel migliore dei casi come un’ombra, riuscendo con le sue chiare linee di confine a tracciare nette demarcazioni tra l’attuale organizzazione sociale, che appare nitida e immediatamente visibile, e ciò che invece sta al di là, e appare oscuro e indistinto. Un’ombra che si distingue quindi soprattutto in relazione al resto, un’alterità che si connota prevalentemente in negativo, rispetto a ciò che non è e non vuole essere. Non potrà quindi essere la mancanza di una visione complessiva, lineare e ordinata di come dovrà andare il mondo il criterio principale attraverso cui valutare la radicalità delle pratiche e, soprattutto dei discorsi, che riusciranno eventualmente a diffondersi a livello sociale. Come detto nessuno, compresi i rivoluzionari, ci sembrano in grado di elaborare utopie positive e lineari come quelle che hanno rischiarato altre epoche di oppressione e ingiustizie.
Se i contorni di un mondo di liberi e uguali sapranno delinearsi oggigiorno, sarà con ogni probabilità per l’intrecciarsi di una profonda e dolorosa opera di distruzione, tanto materiale quanto culturale, di ciò che il capitalismo ha con tanta cura e ferocia costruito nel tempo, e per i tanti tentativi, più o meno significativi, di vivere e abitare negli spazi che quest’attività insurrezionale permetterà di sottrarre al controllo dello Stato. Opera di distruzione a attività creativa che saranno tanto più precise e possibili quanto più nasceranno conflitti all’interno della società, nei quartieri, nel mondo del lavoro, della sanità etc. che, pur senza mettere in discussione il capitalismo nel suo complesso, saranno però in grado di rompere l’isolamento feroce e il senso di impotenza che attanaglia un po’ tutti e di rendere più precise le conoscenze e le riflessioni di come funzionano determinati pezzi di mondo e di come e se è possibile farli funzionare altrimenti. Ben difficilmente riflessioni e percorsi critici che nascono da problemi specifici potranno intrecciarsi tra loro a priori, a tavolino, vista la debolezza del collante ideologico che visioni del mondo altre hanno rispetto al passato. Se e quando percorsi di lotta differenti riusciranno realmente a intrecciarsi o coordinarsi sarà molto probabilmente perché il livello del conflitto che saranno stati in grado di raggiungere potrà stimolarli, o costringerli tout court, a perseguire delle ipotesi e avere una visione critica più complessiva. Altre ipotesi di coordinamento, o ricomposizione che dir si voglia, è facile diano vita invece a pachidermici e formali carrozzoni, come abbiamo avuto modo di vedere in questi anni, frutto del tentativo operato dalle componenti più militanti di mettere assieme, a tavolino, lotte differenti riuscendo a intrecciare per lo più qualche parola d’ordine e slogan da scrivere sugli striscioni di apertura di qualche manifestazione.
Pare necessario quanto mai prima dare una qualche forma a quel concetto di autonomia che affinché sia tale deve riuscire a tenere intrecciate la sfera della libertà e quella della necessità, come dolorosamente ci avverte l’epidemia attuale. A meno di non sposare o accettare di buon grado ipotesi apocalittiche in cui saranno solo in pochi a sopravvivere.
Per dire altrimenti occorre trovare il modo di riaffermare, in un’epoca che sta cancellando questo termine da ogni vocabolario, a parte quello peloso di alcuni politicanti, la centralità del concetto di universalità, contro ogni logica di selezione ed esclusione. E per farlo ci sarà bisogno di una spinta sovversiva talmente forte da far incontrare realtà e utopia.
Torino aprile-giugno 2020
Se vi siete persi le altre puntate di Dietro l’angolo potete leggerle cliccando qui sotto.
Tra salti e accellerazioni. A mo’ d’introduzione.
Lockdown, quarantene e zone rosse
Un lato oscuro. Ancora su guerra civile e insurrezione.
https://macerie.org/index.php/2020/06/24/dietro-langolo-pt-10-unaltra-vita/
Morte allo stato – Morte al patriarcato
La mattina del 12 giugno 2020 i Ros inscenano l’ennesima operazione
repressiva anti-anarchica, stavolta firmata dalla Procura di Roma. Due
compagni finiscono agli arresti domiciliari e altre/i cinque vengono
arrestate/i sul territorio italiano, francese e spagnolo. Tra le accuse,
come ormai prassi, quella di associazione sovversiva per finalità di
terrorismo e istigazione a delinquere. Ancora una volta lo scopo è
quello di colpire chi si rivendica la solidarietà come pratica offensiva
e supporta attivamente i compagni e le compagne anarchiche nelle maglie
della repressione. Come a Bologna il mese scorso, con l’operazione
Ritrovo, le modalità si ripetono: sbirri in passamontagna, in alcuni
casi pistole spianate e porte sfondate, telefoni requisiti, perquise e
sequestri di materiale informatico e cartaceo.
Lo stato attraverso queste dimostrazioni muscolari tenta di impaurirci e
farci sentire isolate, in linea con questa società patriarcale che ci
vorrebbe docili, rinchiuse nei nostri predefiniti ruoli di genere. Non
ci sorprende quando, come in questo caso, i media sottolineano la
presenza di donne all’interno delle inchieste, mostrando stupore nel non
trovarci relegate in seconda fila. Rifiutiamo queste logiche impregnate
di paternalismo, non cerchiamo protezione ma complicità nell’attaccare.
Al tentativo di sottrarci l’uso della violenza come risposta a ciò che
ci opprime ci si è sempre ribellate e sempre ci si ribellerà.
Non vogliamo avere in concessione un posto in questa società
patriarcale, che si mantiene e si riproduce anche attraverso la
distribuzione del potere al genere socializzato come femminile, ma solo
danzare sulle sue macerie.
Non ci interessano i tecnicismi legali e i concetti dicotomici di
colpevolezza e innocenza. Come femministe e anarchiche possiamo solo
rivendicare la solidarietà con chi colpisce il sistema patriarcale in
tutte le forme con cui questo si esprime.
Trasformiamo la paura in rabbia e la rabbia in forza. E questo ci rende
pericolose.
Morte allo stato
Morte al patriarcato
Per l’Anarchia
Complici e solidali con le arrestate/i dell’operazione Bialystock
TUTTI E TUTTE LIBERE
Alcune anarchiche femministe
Op. Prometeo – Aggiornamenti sull’udienza preliminare
Il 22 giugno si è tenuta l’udienza preliminare per l’operazione Prometeo presso il tribunale di Milano. Gli avvocati hanno chiesto e ottenuto dal gip il cambio di sede processuale a Genova per incompetenza territoriale della procura di Milano. I nuovi pm e GIP avranno perciò 20 giorni per chiedere la proroga delle misure cautelari per Beppe e Natascia, e si attende la fissazione della nuova udienza preliminare a Genova.
Seguiranno aggiornamenti.
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STRADA DELLE NOVATE 65
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GIUSEPPE BRUNA
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