Tolosa (Francia) – Sabotate cinque auto

A maggio fai ciò che ti piace.* Per ciò che rappresentano diverse auto si sono ritrovate le gomme bucate:

– un’auto del municipio di Tolosa
– una macchina di una società di distribuzione di carne…
– due auto dell’agenzia immobiliare
– un’auto EDF

Taglierino o punteruolo sul lato del pneumatico (non sulla parte superiore) e questo è tutto! (attenzione, può causare un contraccolpo ed essere rumoroso, il punteruolo pare faccia meno rumore)

Abbasso (abbatti) questo mondo!

Nota d’Attaque: forse una risposta a questa chiamata.

Toulouse : A bas (abats) ce monde !

Stoccarda (Germania) – Notte di rivolta, scontri e saccheggi

A Stoccarda, nella notte tra il 20 e il 21 giugno, un fermo per un controllo anti-droga ha fatto scoppiare una vera e propria rivolta.

Alcuni giovani presenti in un parco vicino al luogo dell’operazione sono intervenuti per liberare il fermato poco prima di mezzanotte. In breve tempo a queste prime persone – tra le 100 e le 200 – se ne sono aggiunte altre, in buona parte con il volto occultato da mascherine chirurgiche – viva la sicurezza e la responsabilità individuale – e indumenti vari. La folla in rivolta ha raggiunto circa le 500 unità e ha continuato ad attaccare la polizia e le sue volanti con lanci di pietre e oggetti trovati in zona. La folla si è poi diretta in gruppi più piccoli verso il centro città attaccando e saccheggiando una ventina di negozi. Il tutto è durato fino alle tre del mattino, quando alla sbirraglia già presente se n’è aggiunta altra arrivata in rinforzo. Si contano circa diciannove poliziotti feriti, diverse volanti danneggiate, 14 tra negozi e ristoranti danneggiati, 9 saccheggiati tra i quali una gioielleria, 20 persone in stato di fermo.

Mentre in molti affermano di non aver mai visto scene del genere in quella città aggiungendo di aver avuto l’impressione di vivere situazioni da ‘guerra civile’ i servi del sistema si affrettano a ricondurre le ragioni dell’inaspettata violenza verso cause, per loro, più accettabili. Se da una parte c’è chi dice che la rivolta è stata determinata dall’eccesso di alcool altri affermano che invece deriva da questioni etniche. Altri ancora non riescono proprio a capire il perché di una tale e inaspettata violenza..

Qualcun’altro, invece, forse non fa fatica a comprendere le cause di questa esplosione di rabbia liberatrice. In Europa veniamo infatti da mesi di reclusione per un problema che – ingigantito, o meno, creato dagli umani o meno – è sicuramente veicolato e alimentato da questo sistema. Reclusione che è stata possibile solo tramite il massiccio utilizzo di infami in divisa, utilizzo che non ne ha di certo aumentato la simpatia e l’accettazione. Oltre a queste, il diffondersi delle immagini delle rivolte scoppiate negli Stati Uniti, che seguono di qualche mese quelle che, l’anno scorso, hanno sconvolto l’ordine di buona parte del mondo sono verosimilmente state fonte di una spontanea ispirazione.

Queste le probabili ragioni alla base di quella notte di incontrollato attacco e distruzione. Ragioni che causeranno di sicuro grandi preoccupazioni in coloro che governano questo mondo.. forse temono l’inizio, o meglio la continuazione, di una stagione di rivolte.

Se questa idea farà perdere loro il sonno a noi non può che farci sorridere..

Quì un articolo piuttosto esaustivo, di seguito alcuni video.

https://invidio.us/watch?v=FjZcyY8A2Zk

https://invidio.us/watch?v=tyHku5LQTQA

https://invidio.us/watch?v=-YKKJGZPmnE

https://invidio.us/watch?v=dCA-yPmJBaM

Small is beautiful?

«Ho studiato il fenomeno della dedizione, spesso cieca, dei tecnici per il proprio compito.
Considerando la tecnologia moralmente neutra, costoro erano privi del minimo scrupolo
nello svolgere le loro attività. Più tecnico era il mondo che ci imponeva la guerra,
più pericolosa era l’indifferenza dei tecnici davanti alle conseguenze delle loro attività anonime».

Albert Speer, architetto membro del partito nazista 
e Ministro per gli armamenti e la produzione bellica dal 1942 al 1945
 
Nel 1959, un fisico che aveva partecipato al programma di ricerca che ha portato alla costruzione della bomba atomica, fece una curiosa presentazione in una università californiana. Concluse pronunciando parole che volevano essere profetiche, come si addice ai grandi visionari della scienza: «C’è molto spazio in fondo alla scala». Per decenni la sua profezia generò più speculazioni che accurate ricerche. Fino al giorno in cui i primi laboratori di ricerca cominciarono, negli anni 80, a dedicarsi allo studio dell’«infinitamente piccolo». Battezzate «nanotecnologie», queste ricerche comprendono tutti i procedimenti di fabbricazione o di manipolazione di strutture su scala nanometrica (1 nanometro corrisponde ad 1 miliardesimo di metro; un filamento di DNA umano ha una larghezza di 2 nanometri). Il «grande balzo in avanti» è stato fatto nel 2001, quando gli Stati Uniti riconobbero le nanotecnologie come un settore strategico per la ricerca scientifica, irrorando i laboratori col più grande piano di investimenti della loro storia.
Ma le tenebre durarono ancora per un po’ in fondo alla scala. Passò diverso tempo e molti laboratori faticavano a produrre qualcosa di «concreto», nel senso di applicazioni industrializzabili. Diventarono un po’ più discreti, non solo a causa della feroce concorrenza tra differenti potenze, ma forse anche per timore di una contestazione «irrazionale» e «tecnofobica» come quella incontrata dall’introduzione degli OGM in alcune parti del mondo (oggi in gran parte sconfitta, anche se alcuni paesi come la Francia continuano a vietare la loro commercializzazione per l’alimentazione umana nel proprio territorio — il che non impedisce che la quasi totalità delle coltivazioni di mais negli Stati Uniti sia transgenica, così come il riso in India, il grano e la colza in Argentina, ecc.). Assisteremo dunque all’ennesimo inutile annuncio da parte di scienziati che giurano di «rivoluzionare il mondo»? Dappertutto sono stati creati nuovi laboratori, unità di ricerca, cluster che raggruppano istituzioni e aziende, tutti dediti a ricerche sulle nanotecnologie. In Francia, si contano almeno 240 laboratori di nanoscienze. I «poli di competitività» collegati alle nanotecnologie si trovano a Lione (Lyonbiopôle), Grenoble (Minalogic), Besançon (Microtechniques), Provence Alpes-Côtes d’Azur (Optitec e Solutions Communicantes Sécurisées) e Centre-Limousin (Sciences et systèmes de l’énergie électrique). Invece i più importanti istituti di ricerca sono a Grenoble (Institut des Neurosciences), Saclay (Triangle de la Physique), Strasburgo (Centre International de Recherche aux Frontières de la Chimie) e Aix-Marseille (Institut Carnot). Si noti comunque che la maggior parte delle università dispongono ognuna di almeno un laboratorio specifico per le nanotecnologie e che molte regioni si sono dotate di un «centro di competenze» che raggruppa gli attori della ricerca e della produzione nanotecnologica.
Qualche anno fa, lo Stato francese ha istituito un meccanismo di dichiarazione obbligatoria per le imprese che usano nanomateriali nei propri prodotti. Senza ovviamente riportarne i nomi esatti (non esiste alcuna regolamentazione relativa alla segnalazione di presenza di nanoparticelle prodotte, come avviene ad esempio nel caso di additivi negli alimenti), ma l’ultimo rapporto annuale (relativo al 2019) rileva almeno 900 prodotti alimentari contenenti nanoparticelle. Tra questi c’è il latte per bambini, dolciumi, cereali per la colazione, barrette di cereali o dolci e dessert surgelati. Inoltre l’utilizzo di nanomateriali in altri settori conosce da qualche anno un aumento significativo: nanocomponenti in elettronica, nanoparticelle nei prodotti cosmetici, nanopolveri utilizzate per trattare e migliorare le superfici metalliche, ecc., senza dimenticare — e questo con un po’ meno «trasparenza» — le loro numerose applicazioni in campo militare. E siccome ogni produzione genera la sua parte di rifiuti, i residui dei processi produttivi di nanomateriali si accumulano. Sembra che per il momento questi scarti vengano semplicemente bruciati oppure spediti altrove, preferibilmente verso i campi della morte in Africa (come in Ghana, dove si trova una delle più grandi discariche a cielo aperto per i rifiuti informatici del mondo intero).
 

E allora? In cosa i nanomateriali differiscono da qualsiasi altro prodotto industriale? Da qualsiasi tossicità prodotta dall’economia? Oseremmo dire, a rischio di dare forse troppo credito all’entusiasmo dei ricercatori, che un’altra soglia qualitativa può essere superata coi nanomateriali, e che non si tratta di una mera estensione quantitativa di ciò che già esiste. Per fare il parallelo con gli OGM: questi costituiscono, sì o no, una soglia-limite in rapporto alla devastazione già provocata dall’agricoltura industriale? Sono semplicemente «un po’ più della stessa cosa» o stanno aggiungendo «qualcosa d’altro» alla somma delle schifezze esistenti? Per gli OGM, non v’è dubbio che la risposta sarebbe generalmente affermativa, trattandosi di manipolazioni che influenzano la struttura stessa del vivente e della sua diffusione nell’ambiente. Ebbene, noi saremmo piuttosto propensi a dare la stessa risposta in materia di nanotecnologie.

La sintetizzazione di composti chimici non è certo nuova. Durante la Seconda guerra mondiale, i complessi chimici del Terzo Reich producevano già un «petrolio sintetico» per rispondere ai bisogni della Wehrmacht. La novità con le nanotecnologie è la scala su cui è possibile lavorare, e soprattutto il fatto che su scala nanometrica le proprietà della materia cambiano. Non si comporta più secondo le medesime leggi fisiche. Il carbonio ad esempio può diventare più resistente dell’acciaio. Il rame può diventare trasparente e l’alluminio esplosivo. Basta e avanza per suscitare l’entusiasmo degli apprendisti stregoni in questo mondo in cui l’artificiale prevale sempre più sul «naturale». Modificare le proprietà della materia potrebbe semplicemente trasformare nel tempo l’insieme della produzione attuale e generare nuovi «insormontabili problemi» (rifiuti, tossicità, limiti fisici…). Basti pensare a come potrebbe essere sconvolto il panorama del trasporto di elettricità, considerata l’attuale perdita di quasi il 5% sulla linea, se alcuni nanomateriali superconduttori venissero usati per sostituire i cavi odierni, costituiti per lo più da una lega di alluminio. O se i microchip diventassero così microscopici (oggi, la loro miniaturizzazione è limitata dalle proprietà dei materiali usati, di solito il silicio) da non essere quasi più rilevabili. 
Parlando di irrilevabile, istituzioni di controllo come l’Anses (Agenzia nazionale di sicurezza sanitaria) ammettono da parte loro che è molto difficile e per il momento abbastanza aleatorio rilevare le nanoparticelle nei prodotti o nell’ambiente. Inoltre le nanoparticelle sono «indistruttibili», non scompaiono mai, viaggiano di corpo in corpo, dai laboratori ai prodotti, dai prodotti alla terra, dalla terra al cibo, ecc. Queste particelle, le cui proprietà sono state modificate, trapassano per di più tutte le membrane e i «filtri» protettivi di cui sono dotati la maggior parte degli organismi viventi. Pertanto, una nanoparticella può passare dallo stomaco o dal polmone al sangue, quindi dal sangue al cervello e così via, e sono disponibili pochissimi dati sulla loro tossicità. A titolo di esempio, lo Stato francese ha vietato nel 2019 in base al «principio di precauzione» l’additivo E171, il biossido di titanio, in tutti i prodotti alimentari ma non nei 4000 farmaci che lo contengono. Secondo cifre ufficiali, lo stesso biossido di titanio utilizzato dall’industria può contenere fino al 2,3% di nanoparticelle. Come per gli altri veleni industriali, la tossicità nanometrica è legata principalmente a una questione di gestione, con soglie modificabili all’infinito in funzione delle necessità del momento.
 
Per il momento, i «limiti» contro cui si scontra l’attuale produzione capitalistica sono parecchi, ma non costituiscono ostacoli insormontabili tali da annunciare la fine della loro preziosa crescita. Al contrario, costituiscono altrettante «sfide» per un’economia in perpetua ristrutturazione. Ad esempio, le previsioni di penuria di petrolio (tra l’altro abbastanza discutibili) incitano da decenni alla ricerca, alla commercializzazione e alla produzione di idrocarburi alternativi, e oggi possiamo vedere dovunque i disastri causati dal superamento di tale «limite»: monocolture di mais e colza per produrre idrocarburi, esplosione del fracking, sostituzione dei tradizionali motori a combustione con motori elettrici (e domani forse a idrogeno) e così via. Le nanotecnologie svolgeranno sicuramente un ruolo fondamentale nell’ulteriore artificializzazione del mondo. In questo senso, ogni attesa non fa che contribuire al progresso del dominio e delle sue opprimenti prospettive. Perdersi in interminabili discussioni sui gradi di pericolosità delle nanoparticelle rischia allo stesso modo di far perdere di vista che si tratta anzitutto di una via importante per l’economia allo scopo di superare determinate soglie e perpetuare così, ipotecando permanentemente il mondo, la sua mortifera esistenza.
In fondo, come davanti alle altre promettenti tecnologie del dominio, la sola questione di qualche interesse da porre, qui e ora, resta quella dell’attacco distruttivo.
 
[Avis de tempêtes, n. 30, 15 giugno 2020]
https://finimondo.org/node/2493
 

Aggiornamenti su Mauro Busa

Mauro, trasferito ad Agrigento, ha richiesto i domiciliari per la sua condizione di salute a rischio COVID. Il magistrato di garanzia della città l’ha respinta motivando la scelta con l’affermazione che lui è un prigioniero
che i NIC (nucleo Investigativo Centrale: la DIGOS dell’amministrazione penitenziaria) di Torino hanno classificato “detenuto pericoloso”.
Il suo concellino, una volta saputo della sua malattia, ha iniziato a creare problemi sostenendo che – a cuasa della sua condizione – Mauro era più a rischio di ammalarsi di Coronavirus e poi di infettare gli altri.
Dopo che la voce era girata in sezione, per evitare problemi Mauro ha chiesto di essere messo in cella da solo: hanno accolto la sua richiesta.
Da un po’ di tempo Mauro ha smesso di mangiare animali; inoltre dice di non mettere francobolli dentro alle buste perchè non li fanno passare.
Non gli stanno facendo arrivare l’opuscolo “Olga” perchè ritenuto sedizioso.
Chiede che gli si spediscano cose da leggere perchè non ha nulla.
Dice di aver spedito lettere “a mezza italia” ma non ha praticamente ricevuto risposte.

per scrivergli:
Rossetti Busa Mauro
cc. piazza di Lorenzo, 1
Contrada Petrusa
92100, Agrigento

https://roundrobin.info/2020/06/aggiornamenti-su-mauro-busa/

Non se, ma quando

Non se, ma quando

Ad appena un mese dall’operazione Ritrovo una nuova operazione sbirresca, detta Bialystock, ha colpito sette compagni e compagne anarchiche. Due di loro si trovano ai domiciliari, tre nelle patrie galere, e due, sempre in carcere, attendono di essere trasferiti in territorio italiano, poiché al momento dell’arresto si trovavano all’estero. A questi compagni e compagne va la nostra piena solidarietà e vicinanza.

Vorremmo anche, con questo scritto, provare ad articolare qualche più ampia riflessione.

Non se, ma quando: è quel che verrebbe da pensare nell’analizzare, globalmente, le operazioni antiterrorismo condotte dallo Stato italiano negli ultimi anni a danno di chi si richiama all’ideale anarchico. Non è un ripiegamento vittimista, né un’invocazione iettatoria, semplicemente prendiamo atto del fatto che sempre più spesso il tentativo del potere è quello di incarcerare e reprimere le individualità anarchiche… in quanto tali.

Questa conclusione è banale solo in parte. Nelle costruzioni giudiziarie, infatti, sono sempre meno i fatti specifici ad essere contestati, e sempre più spesso si ricorre abbondantemente al reato di istigazione. Testi, scritte sui muri, volantinaggi, diffusione di idee ed inviti alla solidarietà attiva con gli individui incarcerati sono ritenuti ormai l’armatura del terrorismo e dell’eversione, complice anche l’esistenza di una norma quale l’articolo 270 sexies – il quale definisce come terroristica qualsiasi condotta che possa intimidire lo Stato o una sua estensione (aziende, organizzazioni ritenute strategiche), portandolo ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto o progetto. La vaghezza di questa formulazione va a braccetto con gli intenti sempre più esplicitamente preventivi dell’apparato giudiziario, come a dire: ‘sono anarchici, prima o poi colpiranno, tanto vale portarsi avanti col lavoro e bloccarli subito’. O, come nel caso dell’operazione Ritrovo, la prevenzione viene sostanziata dalla dimensione contestuale e risponde al timore che in un momento di crisi sempre più acuta (quale quella che viviamo dal principio della pandemia da covid-19) la presenza delle anarchiche e degli anarchici nelle strade, nei luoghi di sfruttamento, sotto le mura delle galere possa costituire un rischio per il mantenimento dell’ordine costituito.

Così arriviamo a ragionare sul quando: quand’è che lo Stato riconfigura l’estensione dei propri mezzi repressivi? In quale momento storico viviamo? Quali sono i rischi per la stabilità delle istituzioni, e quali le possibilità per chi, nelle istituzioni, vede solo il dispiegamento di una violenza schiacciante, insopportabile?

La pandemia ha esacerbato una serie di processi già in atto da tempo, come l’impoverimento e la marginalizzazione ai quali alcuni strati della società erano già soggetti, ed ha reso evidente in modo doloroso chi fossero gli ultimi e le ultime. Molte analisi sono state condivise durante gli ultimi mesi e sappiamo bene ormai in quali punti nodali si sono concentrate le peggiori conseguenze della pandemia e della sua gestione, personificata nello stato d’emergenza sanitario. Non ci sorprende allora che in vari angoli del globo la paura sia diventata insofferenza, e poi rabbia, e poi rivolta. Non ci sembra assolutamente improbabile che negli Stati Uniti, ad esempio, la gestione della pandemia abbia esasperato le profonde disuguaglianze sociali e materiali e ulteriormente minato le condizioni di vita degli afroamericani e in generale di chi non sia bianco, e che questa rabbia sia esplosa assieme a quella causata dalle terribili morti di George Floyd, Maurice Gordon e Rayshard Brook, uccisi dalla violenza poliziesca e razzista. Nei giorni in cui gli Stati Uniti letteralmente bruciano, il presidente Trump inveisce sempre più violentemente contro dimostranti antifa e anarchici, definendoli, tanto per cambiare, terroristi.

In Italia dall’inizio della pandemia, un’ondata di fuoco ha devastato molte carceri, e quattordici persone detenute sono rimaste uccise durante quelle rivolte. E sono proprio i rapporti fra carcerati e individui a piede libero ad essere chiamati in causa dalle ultime operazioni antiterrorismo: a compagne e compagni di Bologna veniva contestata la presenza solidale fuori dalla Dozza e dal carcere di Modena, presenza considerata sobillatrice; le compagne ed i compagni colpiti nell’operazione Bialystock vengono accusati per la solidarietà portata avanti in seguito all’operazione Panico, in particolare verso Paska, ora nuovamente inquisito, per via delle “proteste coordinate dentro e fuori” che avrebbero portato al suo trasferimento dal carcere di La Spezia, dopo i pestaggi là subìti.

Ci troviamo, evidentemente, in un momento storico in cui la solidarietà tra sfruttate, inquisiti, dannati, diseredate sembra essere più pericolosa che mai, perlomeno agli occhi del potere.

Sarà allora un’arma che raccoglieremo volentieri: dentro e fuori dal carcere, ma anche sui luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle scuole, nelle rsa, nelle case in cui ci hanno rinchiuse, spesso intrise di abusi e violenza patriarcale, per le strade… tutto deve cambiare, e questo ci sembra un buon momento.

Solidarietà incondizionata alle compagne ed ai compagni colpiti dall’operazione Bialystock

Fra, Flavia, Nico, Robbi, Claudio, Dani, Paska liberi! Tutti e tutte libere!

Anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

Non se, ma quando

 

Parigi – bruciata macchina del corpo diplomatico

Parigi, notte fra il 25 e il 26 maggio, avenue René Boylesve. Una BMW di lusso, con targa del corpo diplomatico, brucia.

Gli Stati si coordinano fra loro, al di là delle loro controversie, per sfruttarci. Prendono esempio gli uni dagli altri per sorvegliarci sempre più. Collaborano per reprimere i loro nemici, in particolare quelli e quelle che si battono contro ogni potere.
Un esempio di questa collaborazione fra Stati è l’estradizione del nostro compangno Gabriel Pombo Da Silva dal Portogallo alla Spagna.
Gli auguriamo molta forza e gli mandiamo, con queste fiamme, un piccolo segno di complicità.

La nostra solidarietà non conosce frontiere.
Viva l’Internazionale nera, viva l’anarchia !

[Rivendicazione in francese pubblicata in attaque.noblogs.org].

Adesso che avete paura

E’ sempre più chiaro ormai come il modello economico dominante, sacrifichi alla legge del profitto e della competizione esasperata qualsiasi espressione di libertà individuale, uguaglianza e solidarietà sociale.
Di fronte a tutto ciò, numerosi sono gli scenari di rivolta che esplodono e si ramificano in ogni parte del mondo.
Dal confederalismo democratico curdo, ai territori autonomi zapatisti, da Hong Kong al Chile.

In questi ultimi mesi, il modo in cui la pandemia da Covid è stata gestita ha ulteriormente amplificato e reso evidente la disuguaglianza tra chi il sistema lo subisce e chi pretende di controllarlo.
Questo ha reso più estrema la tensione sociale e il suo potenziale esplosivo.

La morte di George Floyd, di per sé un evento non eccezionale nel contesto della brutalità di un sistema che giornalmente uccide e devasta, vissuto nel momento del lock down globale a causa della pandemia, ha scatenato a livello internazionale un’esplosione di rabbia che si è manifestata in molteplici forme: dall’assedio dei distretti di polizia, ai saccheggi di quei beni a cui molt* non hanno più la possibilità di accedere, alle grandi manifestazioni di piazza.

E tra le urla di chi, stanco di subire e servire a testa bassa, pretende adesso e subito di essere ascoltat* recepiamo un chiaro messaggio: pur a fronte di un sistema che ha cercato con tutti i mezzi e le tecnologie a sua disposizione di controllare, organizzare, lobotomizzare e reprimere tutti gli aspetti delle nostre vite, il naturale senso di ribellione e dignità non è stato completamente annientato e riaffiora in tutta la sua potenza e molteplicità. A fronte della disgregazione sociale, molti hanno naturalmente deciso di non abbassare la testa e attivare forme di autorganizzazione della rabbia e del proprio esistente. Esperienze individuali e collettive che rivendicano la loro unicità e differenza, ma che si schierano unite contro un potere che le vuole uniformi per poterle facilmente controllare ed annientare quando non più conformi alle leggi del profitto economico.

Nell’attuale scenario internazionale, l’opposizione a questo sistema di sfruttamento non è rappresentata da un unico fronte di opposizione, bensì da una molteplicità di forme e di esistenze conflittuali, la maggior parte delle quali non mirano a sostituirsi sugli spalti del potere, ma vogliono difendere le proprie esperienze di autogestione.
Questo meraviglioso e caotico incendio cresce, si ramifica e si riproduce come biodiversità immanente, e le forme del potere si trovano impreparate e deboli a muoversi su un piano di realtà che si fa sempre più ampio e scivoloso.
Chi riesce a muoversi con agilità in questo spazio di resistenza multiforme, se non coloro che hanno costruito le loro vite e le loro pratiche di azione sull’abbattimento di ogni forma di autorità, sulla solidarietà, sulla complicità con le diverse lotte?
Anarchic*, combattenti dell’incerto e dell’imprevisto, che si muovono con disinvoltura tra le contraddizioni del reale, sapendo apprezzare il valore di ogni lotta nella sua unicità, diversità e forza nell’essere granello di sabbia tra i meccanismi del potere.

Ed è proprio in questo contesto che si inseriscono le ultime operazioni repressive condotte in italia contro gli anarchici.
Le varie procure di stato e organi polizieschi non fanno più mistero di aver spostato l’obiettivo dell’azione penale dal fatto in sé, alla criminalizzazione delle esistenze conflittuali. L’impianto accusatorio è sempre più focalizzato sull’attività politica e solidale, sull’elaborazione di testi e analisi, sull’indagine minuziosa dei comportamenti quotidiani che non sono conformi agli standard del cittadino silente e obbediente.
Da qui il passo è breve nel rivendicare, come è stato chiaramente fatto per l’Op. Ritrovo, la matrice preventiva dell’operazione repressiva.
Se al centro del processo di criminalizzazione non ci sono più i fatti, ma i comportamenti, le idee e i nostri modi libertari e antiautoritari di interpretare e attraversare la realtà, allora tutto ciò ci porta ad una semplice conclusione: c’avete paura.

Nonostante la potenza dei vostri mezzi repressivi, nonostante continuiate ad incarcerare e torturare nelle caserme e nelle galere, nonostante proviate a dividerci e separare, fiutiamo la vostra paura di poter perdere il controllo su una realtà che non si presenta più ai vostri occhi soggiogata e univoca, ma multiforme, incazzata e potenzialmente dirompente.
Una realtà che per noi anarchici è il contesto naturale in cui noi ci muoviamo, in cui costruiamo relazioni di solidarietà e complicità con la nostra capacità di intercettare relazioni tra le diverse forme di lotta che si esprimono o che potenzialmente potrebbero esplodere.

Se la questione non vi è chiara, proviamo a raccontarvi una semplice storia:
C’è un falò nel fitto bosco attorno al quale si riunisce una piccola comunità. Quel fuoco ne rappresenta i sogni, i desideri, la dignità di un percorso di riconoscimento, autodeterminazione, autogestione e muto appoggio. Il suo calore accomuna gli individui che si riconoscono uniti nella diversità.
Tra le sue fiamme brillanti si specchiano i sogni degli anarchici. Volti incerti e cangianti che si accompagnano sulle cime degli alberi del folto bosco per mostrare a chi da quel falò non si era ancora alzato, che tutt’attorno brillano migliaia di altri fuochi. E per ogni fuoco, una nuova comunità, altri sogni, altre resistenze e vite, altri individui uniti della diversità. E dall’orizzonte, nel lampo di uno sguardo, sale un grande incendio che illumina il nulla che avanza.

Ed è proprio la paura di veder divampare le fiamme di questo grande incendio che spinge, questa volta la procura di Roma, a muovere le solite accuse che ormai conosciamo bene, contro sette compagn*. La montatura di quest’ultima operazione repressiva denominata Op. Bialystok altro non è che l’ennesimo tentativo di spaventarci, dividerci, fermarci e toglierci i/le compagn* dalle strade, dai posti occupati e da tutti quei luoghi che di fatto possono essere terreno fertile per alimentare focolai di rivolta.

Contrariamente a voi, noi non abbiamo paura. Saremo sempre solidali e complici con chi si oppone con ogni mezzo a questo Stato infame e assassino.

Senza fare un passo indietro continueremo a percorrere le nostre strade verso la liberazione insieme a tutt* i/le compagn* rinchius* nelle patrie galere e limitat* della propria libertà, con la certezza che le strade di liberazione che stiamo percorrendo mirano dritte a colpire i meccanismi del potere, a scompigliare i piani dello stato in tutte le sue forme violente e autoritarie.

Non ci avrete mai vittime inermi, bensì inarrestabili ribell*!

Il nostro più sincero disprezzo verso le vostre forme di repressione è pari alla gioia nel sentirvi deboli e impauriti.

Non chiedete perdono all’incendio che vi spazzerà via,
lui non conosce pietà

Anarchich* da Berlino.

Parigi (Francia) – Che crepi il vecchio mondo

Che crepi il vecchio mondo.
Che crepi pure il mondo nuovo che fa capolino.
Così nuovo, con il controllo digitale onnipresente, con il rincoglionimento di massa di fronte a degli schermi, con l’ingenieria genetica che tocca alle basi della vita.
Così vecchio, con l’autorità in tutte le sue forme, brutali o subdole, con la paura della libertà e dell’unicità individuale, con l’abitudine al conformismo.

Abbiamo approfittato del chiaro di luna dietro al cimitero del Père Lachaise per incendiare un furgoncino della Enedis [filiale di Eléctricité de France che si occupa della distribuzione dell’elettricità], in rue des Rondeaux [a Parigi], nella notte fra il 14 e il 15 maggio [2020].

Per rendere qualche colpo a quelli che fanno vivere questo incubo tecnologico.
Per non rassegnarsi.
Per mandare un messaggio di solidarietà al nostro compagno Damien: tieni duro!

Dei banditi mascherati

[Rivendicazione in francese pubblicata in attaque.noblogs.org].

Tolosa (Francia) – Febbre gialla contro questo mondo

La dittatura sanitaria in marcia non è riuscita a debellare il virus della febbre gialla che abita i nostri corpi.

Nella notte fra il 19 e il 20 maggio [2020], abbiamo infranto i vetri della banca LCL, in avenue Jean Rieux, a Tolosa.

Una guerra è in corso, è vero. Ma non si tratta di quella contro un virus, piuttosto di quella dell’alto della società contro il basso. L’attuale crisi economica non è dovuta al Covid-19, ma a una politica liberale che perdura da decenni. E se non vogliamo rivivere le conseguenze della crisi del 2008, quando popoli come quello greco o quello americano si sono trovati dissanguati, bisognerà trovare le capacità di resistere, in questa guerra abominabile.

johnny

NdT: Il riferimento alla «dittatura in marcia» è al nome del partito del presidente, La République en marche, mentre quello alla guerra è al discorso di Macron del 16 febbraio, quando ha decretato il confinamento come misura di «guerra contro l’épidemia», infine in riferimento alla febbre gialla (e forse la firma, che su iaata.info è apparsa come «dei nostalgici di johnny», Johnny Halliday, che è un po’ il Vasco Rossi francese, versione più burina) rimanda, ovviamente, al movimento dei Gilets jaunes, molto forte a Tolosa.

[Rivendicazione in francese pubblicata in attaque.noblogs.org].