Madrid – Quarantena city – nuova pubblicazione

Esce il primo numero di una nuova pubblicazione anarchica a Madrid, in tempi di Stato di Emergenza, per dell’estensione della guerra sociale.

qui il pdf della pubblicazione

Contenuto:

-In acque inesplorate
-Che tornino gli scioperi. Che prolifichino le occupazioni. Che arrivino i saccheggi
-A proposito dell’attacco ai nostri legami
-Cronaca di rivolte, evasioni ed accadimenti nelle carceri e CIE a causa della crisi del coronavirus
-Tornare dove? Tornare a cosa?

In acque inesplorate

Siamo in stato di emergenza da più di una settimana. La capacità distruttiva del virus non è più in discussione. Ma vorremmo fare alcune annotazioni sulle sue conseguenze non cliniche e sulle sue origini.
Che la COVID-19 sia nata a causa di un pipistrello o di un tentativo americano, che è sfuggito di mano, per disabilitare l’economia cinese, ci sembra ora poco rilevante. Questo virus, come altri prima di esso nella storia che hanno massacrato intere popolazioni dell’Amazzonia, in Mesoamerica, Africa e Oceania, è un fenomeno biologico. Ma il contesto in cui è nato, il modo in cui si diffonde e come viene gestito sono questioni sociali.
Questo virus è il risultato di un sistema che mercantilizza ogni processo, oggetto, relazione o essere vivente sulla terra.
Esteso rapidamente a causa della macro-concentrazione di manodopera e del corpo consumista delle città, che si nutre di agroindustria e di allevamento intensivo. Un flusso
di risorse umane (5 miliardi di persone volano annualmente in tutto il pianeta) a velocità frenetiche, riflesse in 200 caratteri e 5000 like.
E’ proprio questo sforzo nell’artificializzare tutto, persino le nostre emozioni, basando tutto sul profitto, vedendo il mondo attraverso uno schermo, lasciando che la nostra mente sia colonizzata dall’”efficacia”, quello che ci ha portato ad una graduale perdita dell’”umano”, di ciò che è “vivo”.
Questo agevolando il fatto che misure così estreme, per cui ci sono solo due motivi per uscire di casa (lavorare e consumare) si sono imposte in un modo non esageratamente traumatico. Allo stesso tempo, questa ci viene proposta come via di fuga dalle stesse dinamiche tecnofile che ci hanno portato al disastro. Se a tutto ciò aggiungiamo la paura, il governo della paura,
finiamo per perdere la bussola e reinterpretare concetti come quelli di responsabilità o solidarietà.
Sarai marchiatx da irresponsabile, ad esempio, se non ti sottometti all’arresto domiciliare volontario. Che perversione di significato, che non è altro, infatti, che l’abbraccio tra il cuore e la testa, tra
analisi, decisione e azione. Con quel grido di “incoscente”, come minimo, che riceverai dalla finestra se andrai, per esempio, mano nella mano con x tux compagnx per strada, ti urlano contro, in realtà, “obbedisci alla norma!” Lo stesso vale per le chiamate alla solidarietà
che si traducono in servitù volontaria collettiva quando si convertono in acritico #iorestoacasa.
Che dire delle centinaia di persone che si ammassano ad Atocha e Chamartin tra le 6.30 e le 8.30 del mattino? Perché non si sono fermate la costruzione di edifici in una città che ha un eccesso esorbitante di appartamenti?
Le persone ammassate all’IFEMA [Fiera di Madrid, NdT] non sono persone?
È assurdo stare chiusi per una settimana? E passare rinchiusi 5, 10, 15, 30 anni e ora non è possibile ricevere una visita, nemmeno un colloquio e in molti casi le chiamate e la posta sono totalmente limitati? Per citare solo alcuni esempi dolorosi.
Per le persone senzatetto non è più possibile una sopravvivenza anonima, non possono più passare inosservate quando la giungla di vetro si è tramutata in un deserto di cemento. Sono, ancora di più di prima, persone proibite. Che nel migliore dei casi saranno portate a pascolare in ovili come l’IFEMA.
Si è anche scatenata la, già di per sé esacerbata, impunità della polizia contro gli/le altrx proibitx, quelle persone che non possono dimostrare attraverso scritti burocratici che sono persone con “pieni diritti”, o i cui tratti o colore della pelle inducono i torturatori in uniforme a pensare che non lo siano. (La stampa di maggioranza registra numerosi casi di aggressione da parte della polizia a Lavapiés, Centro e in altre città). Perché una pandemia continua ad essere una questione di classe, di privilegio, di morti non tanto casuali.
Non ci è stato dato il potere dei presagi come a Cassandra, ma abbiamo, in cambio, la maledizione di Apollo. Sarebbe a dire, non abbiamo la certezza che questi pronostici si compiranno (anche se vi sono prove inequivocabili di dove punta il potere e prove, già inconfutabili, di questo tipo di misure), tuttavia, temiamo di non essere ascoltatx.
Crediamo che tutte queste misure di controllo diventeranno permanenti, come è già successo con le leggi antiterrorismo dopo l’11 settembre, o con quelle ricorrenti; che non c’è da stupirsi che in futuro saremo nuovamente chiamatx al confinamento in circostanze come tempeste, uragani e ogni tipo di crisi climatiche, che sicuramente arriveranno, o nuove e vecchie epidemie che torneranno a bussare alla nostra porta.
Tracciamento degli spostamenti attraverso il telefono, controlli biometrici e di temperatura, limitazioni di movimento a seconda di questi parametri… sono già una realtà e sono arrivati per rimanere. A questo va aggiunta la precarizzazione generalizzata della vita che arriverà in mezzo a tutto ciò, la socializzazione della povertà…

A questo punto vorremmo condividere l’idea che il mondo presente, o piuttosto passato come lo conosciamo: basato sul il dominio, con le sue strutture che perpetuano la miseria, la sua ortodossia, il suo affanno liberticida… non è abbastanza per noi. E in nessun modo vogliamo tornarci.

Cominciamo a provare. Considerando che ci sono persone che non ci piacerebbe infettare, rompiamo l’isolamento. Agiamo, se necessario, a livello individuale. In questa realtà anche colpendo alla cieca è molto facile centrare il bersaglio. Comunichiamo, parliamo, diffondiamo informazioni e siamo criticx, forziamo il coprifuoco, mappiamo il controllo (dove e quando si pattuglia, quali spazi sono stati banditi, dove trovare le forniture…). Fomentiamo gli scioperi e le chiusure delle aziende. Non vogliamo una gestione della crisi. Vogliamo sperimentare, scontrarci, lottare, confliggere…
Sforziamoci di incidere sul presente anche se quando alziamo lo sguardo non vediamo l’orizzonte. Forse è proprio qui che si trova la chiave, lasciamoci alle spalle verità, convinzioni e sicurezze, navighiamo con la passione per l’avventura in acque inesplorate, verso aurore di libertà e rivolta.

Sull’attacco ai nostri legami

“Io dipendente dal mio e tu dal tuo, ascolta il tuo orologio, il suo ticchettio è un mormorio”.

Il confinamento ha conseguenze disastrose per uno dei pilastri più importanti della nostra vita: le relazioni personali. Queste sono costrette a prendere le distanze, a rompersi, a sostituire il contatto della carne con l’isolamento dei bit e degli schermi. Non è come quando qualcuno che ami parte attraverso situazioni di vita verso qualche luogo remoto, quando hai la certezza che il legame sarà sicuramente polveroso ma intatto al ritorno, o che vivrà nella memoria; ma si mantiene il sostegno di tutte le altre relazioni su cui contiamo nella nostra vita quotidiana. Questa situazione di quarantena ha interrotto con la forza il corso delle nostre interazioni sociali dalla sera alla mattina, confinando le nostre vite nel modulo di isolamento.
C’è chi è ha fortuna e almeno (almeno perché non colma il vuoto lasciato da legami estranei) può passare la prigionia con persone che ama e con le quali si può sostenere a vicenda, ma che dire delle persone che vivono da sole? Chi ascolterà le loro grida di aiuto quando il suicidio dovuto all’ansia busserà alla loro porta? E le donne che hanno il loro carceriere in casa? Si dice che la polizia sarà attenta alle chiamate per violenza di genere, ma non possiamo aspettarci che la polizia risolva questi problemi, ancor meno quando sappiamo che il più delle volte contribuiscono all’umiliazione e alla vessazione della donna maltrattata. Inoltre, sarai davvero in grado di alzare il telefono stando rinchiusa con qualcuno che ti domina? Sarai in grado di uscire? Le cifre dei femminicidi ci dimostreranno di no. E chi non ha un posto dove vivere? Quelli che i militari “aiuteranno” e “trasferiranno”. Non dovremmo fidarci per nulla di quello che l’Esercito dice che farà in momenti in cui non staremo guardando perché siamo chiusi in casa.
E per aggiungere un’altra pietra allo zaino, il panico sociale non solo ha fatto sì che i singoli individui rompessero i loro legami, ma che cercassero di spezzare quelli che cercavano di resistere. Dai balconi si rimprovera chi cammina insieme per strada, chi si stringe la mano, chi si abbraccia, chi si bacia… Ansia collettiva sulla base del “Io mi sto chiudendo in casa e tu la prendi come uno scherzo”. Ma parlare via whatsapp, skype, social network e altre alternative fornite dalla tecnologia non è neanche lontanamente valido per uscire dalla palude di ansia e follia in cui ci hanno affondato. C’è bisogno di contatto, di camminare con qualcuno senza pensare che un’auto di pattuglia ti darà una supermulta per aver mantenuto i legami e non essere caduto nell’isteria.
Cosa succederà quando potremo tornare per strada e non sapremo rapportarci in gruppo, faccia a faccia in piazza? Quando l’ansia sociale sarà generalizzata e dovremo unirci e lottare contro il mondo di merda in cui viviamo?
Non lasciamo che il panico sociale e il controllo statale distruggano la cosa più preziosa che abbiamo, rafforziamo i nostri legami per essere catene indistruttibili che spazzino il dominio.

Che tornino gli scioperi. Che prolifichino le occupazioni. Che arrivino i saccheggi

La crisi di Covid-19 ha evidenziato ancora una volta che questo mondo appartiene a loro perché ce lo strappano. I ricchi e i potenti ne usciranno più forti, sostenuti dallo Stato. E noi, più poveri di quanto eravamo prima. E se lo eravamo, è perché c’erano ricchi. La crisi non fa che intensificare questi processi.

Ci portano via tutto perché c’è la proprietà privata, la proprietà della terra, della casa, dello spazio… E in base a questo diritto di proprietà, regolato dallo Stato, ci costringono a pagare le cose più elementari: (cibo, alloggio…) e ci costringono a lavorare per loro se vogliamo denaro per sopravvivere. Cosa fanno se no milioni di lavoratori che vanno a lavorare in pieno confinamento?

La crisi di Covid-19 ha evidenziato ancora una volta che questo mondo appartiene a loro perché ce lo strappano. I ricchi e i potenti ne usciranno più forti, sostenuti dallo Stato. E noi, più poveri di quanto eravamo prima. E se lo eravamo, è perché c’erano ricchi. La crisi non fa che intensificare questi processi.

Ci portano via tutto perché c’è la proprietà privata, la proprietà della terra, della casa, dello spazio… E in base a questo diritto di proprietà, regolato dallo Stato, ci costringono a pagare le cose più elementari: (cibo, alloggio…) e ci costringono a lavorare per loro se vogliamo denaro per sopravvivere. Cosa fanno se no milioni di lavoratori che vanno a lavorare in pieno confinamento? E intanto, si fanno compromessi, si ascoltano politici e giornalisti parlare di moderazione, unità e responsabilità con un orizzonte di sfratti, licenziamenti e incertezze, perché la crisi sanitaria passerà, ma le condizioni di sfruttamento e di miseria a cui siamo sottoposti prevarranno e aumenteranno in modo esponenziale. Una crisi sanitaria che lascia un’altra domanda: qualcuno crede che Amancio Ortega o Esperanza Aguirre si vedranno negare un letto in terapia intensiva se prenderanno il virus? Questo è quanto.
Non possiamo tornare alla normalità, non ci sarà più la normalità. Il Potere si sta preparando per ciò che verrà dopo. Facciamolo noi: scioperi degli affitti, scioperi nei luoghi di lavoro e nei centri di studio, scioperi selvaggi, al di fuori dei partiti, dei sindacati e delle strutture stagnanti. E prendiamo, non aspettiamo, occupiamo le proprietà vuote che sono il terreno di pascolo della speculazione capitalistica delle società immobiliari, delle banche e dei fondi di investimento. Tessiamo reti di solidarietà e di sostegno reciproco.

Non possiamo tornare alla normalità, non ci sarà più la normalità. Il Potere si sta preparando per ciò che verrà dopo. Facciamolo noi: scioperi degli affitti, scioperi nei luoghi di lavoro e nei centri di studio, scioperi selvaggi, al di fuori dei partiti, dei sindacati e delle strutture stagnanti. E prendiamo, non aspettiamo, occupiamo le proprietà vuote che sono il terreno di pascolo della speculazione capitalistica delle società immobiliari, delle banche e dei fondi di investimento. Tessiamo reti di solidarietà e di sostegno reciproco.

E facciamolo sapendo che lo Stato è già preparato con migliaia di militari, polizia, telecamere e droni per proteggere l’ordine, per proteggere la proprietà e il lavoro, perché l’autorità è un garante per gli sfruttatori per continuare a sottomettere gli sfruttati. Ci prenderemo le strade, non dimentichiamo, non perdoniamo, non ci sarà nessun governo, urna, elezione, militare, polizia, giornalista o giudice capace di contenere l’epidemia di rabbia e di rivolta. Dipende da noi il fatto di restituirgli il colpo.
Saccheggia i ricchi.

Un manifesto attacchinato a Madrid inserito nella pubblicazione:

 

“La catastrofe è il capitalismo”

Più pericolosi di un virus ci sono i militari che controllano le strade

perché sono il braccio armato del potere, perché invadono, assassinano e saccheggiano per gli interessi capitalisti nelle guerre.

Perché proteggono i ricchi dalle rappresaglie dei poveri.

Non proteggono te.

NON SONO SALVATORI, SONO ASSASSINI

 

https://roundrobin.info/2020/04/madrid-quarantenacity-nuova-pubblicazione/

Alessandria – Notte di protesta in carcere

La calma è durata poco nelle carceri alessandrine.  Ieri sera, verso mezzanotte, e per almeno un’ora, in piazza don Soria ad Alessandria si sono sentite urla e rumori che arrivavano dall’interno del carcere. I detenuti hanno ricominciato a protestare, picchiando qualunque oggetto avessero a disposizione contro le inferiate.

Quel che è certo, è che è la seconda volta in un mese che all’interno della casa circondariale la Polizia Penitenziaria deve fronteggiare un inizio di rivolta.

Alcune settimane fa, la stessa protesta aveva interessato anche il carcere di San Michele, dove i detenuti avevano letteralmente distrutto due sezioni.

 

https://alessandrianews.ilpiccolo.net/generic/2020/04/07/news/carcere-a-mezzanotte-scatta-la-protesta-112114/

Monaco (Germania) – Rubare ai ricchi…

Rubare alla Chiesa è stato raramente così semplice. Ora che le funzioni religiose sono proibite e moltissime chiese sono chiuse, non è più possibile farsi cogliere in flagrante mentre si rubano le offerte di un-a fervente cristiano-a, che desidera recitare ancora una o due preghiere per il suo Dio.

È probabilmente a questo che hanno pensato una o più persone che hanno scassinato e si sono intrufolate in una chiesa del centro storico di Monaco, nella notte di giovedì 2 aprile 2020, per appropriarsi degli spiccioli di un totale di 9 cassette per l’elemosina. Sicuramente si troveranno in mani migliori di quelle dentro la vecchia chiesa!

[Tradotto qui dal francese, a sua volta dal tedesco, dal foglio anarchico settimanale ‘Zündlumpen’ Nr 60 – , 06. April 2020]

Bollettino “Ruggiti (n. 0) – Cronache di epidemie”

È uscito “Ruggiti n. 0” – Bollettino “Ruggiti-Cronache di Epidemie”.

L’intento del bollettino è quello di stimolare analisi e portare spunti di riflessione sull’attuale instaurazione dello stato d’emergenza. All’interno c’è una sezione dedicata alle rivolte e resistenze che si stanno diffondendo all’interno di carceri e centri di detenzione per persone migranti di tutto il mondo, contro l’ulteriore repressione imposta dalla situazione d’emergenza legata al coronavirus. Solidali con le persone recluse rivoltose, questa rubrica cerca di dare un minimo di voce a tutto ciò che sta succedendo, con la possibilità anche di creare contatti tra l’interno e l’esterno delle mura.

Il bollettino è stato realizzato in versione cartacea, distribuita per strada e nelle bucalettere, cosi come in versione digitale. È possibile richiedere delle copie presso l’indirizzo e-mail: ruggiti@riseup.net e trovarlo in versione digitale sul blog https://frecciaspezzata.noblogs.org/

Qui il link al pdf

Le carceri sono un focolaio di contagio

Da inizio marzo sono state numerose le proteste portate avanti dalle persone detenute, e ci siamo uniti e unite a chi ha lottato davanti le carceri al fianco dei propri affetti. Anche noi abbiamo i nostri affetti in carcere, non solo a Roma, e siamo disposti a lottare al fianco di chi neanche conosciamo. Il nostro cuore e la nostra testa sono anche con chi sta lottando nei Centri di espulsione per immigrati, da cui escono pochissime notizie perché lo Stato gioca sulla difficoltà di avere contatti con l’esterno.

Il governo non ha mosso un dito per tutelare l’incolumità delle persone detenute e dichiara l’intenzione di attivarsi, con un mese di ritardo, con misure insignificanti. Domani, lunedì 6 aprile, il Senato voterà gli emendamenti al Cura Italia rispetto la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare: per come si prospetta, non sarà risolutiva né del sovraffollamento né tantomeno della crisi sanitaria nelle carceri.
Ovviamente gioiamo per ogni singola persona detenuta che riuscirà a mettersi in salvo dal contagio ma è necessario guardare alle altre decine di migliaia in pericolo.

Lo Stato ha parlato delle rivolte descrivendo i detenuti come burattini nelle mani di “regie esterne”. E quindi ci sarebbero regie esterne in tutto il mondo, visto che le rivolte e le proteste sono esplose ovunque?
Durante le rivolte sono state uccise 14 persone e ci è molto chiara la responsabilità di queste morti,nonostante le dichiarazioni ufficiali ci raccontino di morti per overdose. Sono state sminuite se non addirittura ignorate le preoccupazioni di parenti e amici facendo circolare false informazioni, concedendo la parola solo a sindacati dei secondini e burocrati, utilizzando i media per creare un clima rassicurante nel tentativo di soffocare la giusta rabbia delle persone detenute.

Quando la paura di chi è oppresso diventa forza collettiva per alzare la testa, il copione degli Stati è sempre lo stesso.

Oggi più che mai le persone detenute hanno indicato con coraggio l’unica soluzione per mettersi in salvo: liberarsi dalle galere, tornare tutte e tutti a casa.
Che lo Stato costringa a morire in carcere, tra negligenza medica, sovraffollamento, abusi e pestaggi, non è una novità. Ignorare totalmente il pericolo del contagio è una scelta, non è assolutamente una svista.

I dati sui contagi in carcere non sono assolutamente credibili, ogni dichiarazione parla solo dei contagi tra guardie e personale medico, pochissimo esce sulla condizione delle persone detenute. A quanto pare in carcere si diventa immuni al virus!
Anche le parole del Garante dei detenuti sono vuote, non si basano su alcuna informazione concreta. I giornalisti, invece di prendere informazioni da fonti dirette come i parenti dei detenuti, preferiscono come al solito essere uno strumento di contenimento per conto del governo.
Due giorni fa è morto il primo (chissà se è davvero il primo) detenuto per COVID-19 in ospedale a Bologna.
Era uno dei detenuti trasferiti nel carcere di Bologna dopo le rivolte a Modena.
Solo guardando alla regione Lazio, venerdì hanno iniziato a parlare di 5 contagi nel carcere di Rieti, dove sono già morti 4 detenuti a seguito delle rivolte, e di 60 persone in quarantena perché venute a contatto con sanitari positivi nella sezione femminile di Rebibbia. Sempre venerdì, a Rebibbia è morto un detenuto. Lo chiamano suicidio ma per noi è stato ucciso dal carcere.

A Roma sono presenti diverse carceri e tutto quello che sappiamo è frutto delle relazioni tra i familiari e amici delle persone detenute. Sappiamo che questo è l’unico modo per conoscere la situazione reale nelle carceri.

In questo momento è necessario un colpo di reni, una presa in carico collettiva.
Aspettare è la peggior cosa che possiamo fare.

Chiediamo a tutte e tutti di restare attenti a quello che accadrà nelle carceri in questi giorni. Attiviamoci concretamente per abbattere la “distanza sociale” imposta da quelle mura perché tutte e tutti possano mettersi in salvo a casa.

Rete Evasioni, 5 Aprile 2020

Le carceri sono un focolaio di contagio

Svizzera – Rivolte a Champ-Dollon carcere di Ginevra

https://renverse.co/Revoltes-a-Champ-Dollon-2522

Venerdì 3 aprile, circa 40 detenuti della prigione di Champ-Dollon si sono rifiutati di tornare in cella dopo la passeggiata. Molti giornali hanno ristampato il comunicato dell’Ufficio cantonale di detenzione (OCD) pubblicato la sera. Ci sembra che molte delle informazioni essenziali per la comprensione di questa mobilitazione non siano state comunicate.

Eravamo lì tra le 19:00 e le 22:30, e quello che non appare da nessuna parte sulla stampa è che nonostante fossimo tenuti a grande distanza dai posti di blocco della polizia, le grida, le voci e le richieste dei detenuti ci hanno raggiunto perfettamente. Come può tutto questo venire ignorato da tutta la stampa di Ginevra?

Per ore e ore i detenuti hanno protestato e gridato le loro richieste. Credeteci, non erano solo le voci di 40 persone a risuonare, ma anche quelle degli altri, probabilmente dalle loro celle. Inoltre, non sorprende che il sostegno per coloro che si trovano nel cortile sia stato fatto dalle celle, al contrario … Ciò che sorprende è che l’OCD, ampiamente seguito dai media, sostiene che questo incidente ha coinvolto solo una quarantina di persone.

Le loro voci erano potenti. Queste voci isolate, queste voci chiuse, queste voci che cercano di portare via tutta l’umanità, risuonavano in tutta la campagna circostante. E niente è più forte e potente che sentire tante persone urlare contemporaneamente, tante persone che chiedono “libertà” nel contesto della crisi sanitaria che stiamo vivendo.

Il portavoce dell’OCD si vanta anche del fatto che le visite non sono state annullate. Non annullare i colloqui è semplicemente una questione di logica. Umanità o paura della ribellione? Solo le autorità penali lo sanno, noi, con quello che sappiamo sulle politiche criminali a Ginevra, abbiamo i nostri dubbi. Ma in ogni caso, le visite sono un elemento essenziale per la dignità e la vita del detenuto (e dei suoi parenti). Sono stati mantenuti nel rispetto delle necessarie condizioni sanitarie, e per questo non abbiamo nulla di cui lamentarci. Ciononostante, i detenuti sono limitati in altri diritti in nome di questo covid-19, e nulla viene messo in atto per facilitare il contatto con il mondo esterno in un momento in cui le persone sono preoccupate per i loro cari. Nel suo comunicato, l’OCD continua a minimizzare le affermazioni dei detenuti sostenendo che il principale è il divieto di giocare a calcio. Ma quello che abbiamo sentito dalla maggioranza era molto più vitale …

Libertà!

Qui l’articolo dalla stampa ufficiale

https://www.tvsvizzera.it/tvs/coronavirus–detenuti-champ-dollon-protestano/45667090

Svizzera: Rivolte a Champ-Dollon carcere di Ginevra

Dietro l’angolo Pt.1 – Qualche ipotesi su COVID19 e sul mondo in cui vivremo

La retorica di un crescente benessere che il capitalismo avrebbe pian piano assicurato un po’ a tutti, è ormai morta e sepolta da tempo.
L’immagine con cui le autorità hanno tentato di rappresentare il mondo riservato alla gran parte degli uomini e delle donne, è diventata più simile a una scala a pioli, cui bisogna tentar di restare aggrappati con le unghie e coi denti, per evitare di cadere giù ai tanti scossoni che le vengono dati.
Una scala cui continuano a togliere punti d’appoggio, mentre aumenta il numero di uomini e donne in cerca di un appiglio. La prepotente entrata in scena del Covid19 minaccia di renderla ancor più carica e traballante.
Tenteremo di approfondire la questione in un testo che uscirà a puntate, una a settimana, in cui se ne affronteranno di volta in volta alcuni specifici aspetti. Un testo redatto a più mani, da alcuni compagni che partecipano alla redazione di questo blog e da altri che invece non ne fanno parte. I singoli capitoletti potranno quindi avere uno stile e magari dei punti di vista diversi o contenere delle ripetizioni.
Del resto le possibilità di confrontarsi collettivamente in questi giorni sono notevolmente ridotte e discutere attraverso piattaforme online non è certo la stessa cosa che farlo vis a vis.

 

Tra salti e accelerazioni. A mo’ d’introduzione.

«È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo».

Un affermazione che ha riscosso un certo successo negli ultimi tempi, quelli pre-Covid19 tanto per intenderci, a causa della crescente attenzione sviluppatasi attorno ai cambiamenti climatici e alla devastazione ambientale e alla contemporanea debolezza delle ipotesi rivoluzionarie. Un affermazione che risulterebbe probabilmente ancor più convincente oggi, in seguito al diffondersi di un contagio di cui è difficile intravedere, per l’appunto, la fine, o perlomeno comprendere quali scenari possa evocare questa parola.

Al di là del suo carattere suggestivo, è un affermazione che però non ci convince granché, ancorata come ci sembra sia a una certa fantascienza da giorno X, in cui da un momento all’altro un fenomeno apocalittico farà la sua comparsa avviando il definitivo conto alla rovescia.

Se proprio dobbiamo pensare a una fine o comunque a una china discendente, ci sembra molto più appropriata, e cupa, l’idea di una discesa graduale e costante, con picchi e momenti topici com’è quello che stiamo vivendo, verso una sempre più diffusa impossibilità di far fronte anche solo alle basilari necessità di vita.

Le riflessioni che seguiranno tenteranno di muoversi lungo questo solco, provando a non lasciarsi schiacciare dal carattere epocale della situazione che stiamo vivendo. Cercheremo quindi di mettere in luce alcune dinamiche che non sono state certo prodotte dal diffondersi di questa epidemia o dalla sua gestione, ma sono in atto già da tempo e con ogni probabilità potranno nei prossimi tempi subire una drastica accelerazione. Proveremo poi a cogliere alcune tra le peculiarità che l’epidemia in corso sta facendo emergere e che sembrano invece suggerire scenari diversi, o che almeno possono apparire tali.

Per la complessità e contemporaneità della situazione, e per i limiti che ci sono propri, pensiamo a queste riflessioni come una sorta di bozza, con uno sguardo rivolto principalmente a questo pezzo di mondo, da precisare e magari rimettere in discussione nei prossimi tempi. Oltre che come un contributo per un dibattito a più voci, che possa aiutare a precisare i contorni del mondo in cui ci troveremo a vivere e lottare.

Nel tentare di fornire una lettura del presente, specie in alcuni periodi, può certamente essere utile guardare al passato per sottolineare i corsi e ricorsi storici. In più di un’occasione, ad esempio, è stato fatto emergere il filo che lega le recenti misure sul decoro urbano e la più generale colpevolizzazione dei poveri alle leggi contro il vagabondaggio, che nel XVII secolo portarono poi alla Grande reclusione: dover gestire masse crescenti di uomini espropriati della possibilità di aver di che vivere.

Altrettanto prezioso sarebbe però, oltre a rintracciare gli elementi di continuità, tentar di far emergere le rottura con il passato, ciò che traccia una netta discontinuità tra l’oggi e l’altroieri.

Rimanendo sull’esempio precedente, quali analogie si possono intravedere tra le condizioni economiche, sociali e ambientali di allora e quelle attuali? Di quanta forza lavoro ha attualmente bisogno il capitalismo, e di quanta ne avrà bisogno domani? Quali dimensioni è destinata a raggiungere la schiera degli inutili al mondo? La necessità di serrare le vite di tanti uomini e donne alle catene del lavoro salariato con la prigione, il marchio a fuoco e con la forca, quali corrispondenze conserva con l’oggi? E ancora, quali porzioni di territorio restano da colonizzare per dar sfogo, isolare e valorizzare, come in passato, chi è di troppo?

Le differenze che emergono, tra passato e presente, nel tentar di rispondere a queste domande sono qualitative.

Il capitalismo ha oramai raggiunto ogni angolo del pianeta, nell’organizzare la natura in base alle proprie esigenze ha devastato l’ambiente e consumato le sue risorse con un’intensità tale da rendere sempre più territori inabitabili, a partire proprio da quelli che, attraverso il colonialismo, hanno conosciuto politiche di sfruttamento più feroci. Paesi che se un tempo hanno assorbito una buona fetta dell’umanità in eccesso, mandata lì per esigenze militari, economiche o anche solo punitive, ora producono invece una parte considerevole degli inutili al mondo cui non resta che migrare, senza per di più grandi possibilità di tornare prima o poi indietro, come avveniva in passato.L’inabitabilità delle loro terre ben difficilmente, a voler essere ottimisti, risulterà reversibile.

Fattori ambientali cui si intrecciano quelli più strettamente economici. Senza volersi addentrare in un’analisi complessiva dell’attuale fase economica, sia per l’obiettivo più circoscritto di questo testo che per la nostra inadeguatezza a farlo, ci sembra di poter dire che uno dei punti su cui un po’ tutte le analisi concordino è la tendenziale riduzione del numero di lavoratori necessari su scala globale. Una tendenza che, nonostante le profonde differenze da paese a paese, è resa irreversibile dal crescente livello d’automazione che si sta diffondendo in un ampio ventaglio di attività lavorative. Un processo tecnologico da cui derivano delle conseguenze che non tarderanno a manifestarsi. Tra queste le più evidenti e prossime saranno lo smantellamento di determinati comparti produttivi e attività commerciali, e la crescente concentrazione di ricchezza e capacità produttive nelle mani di pochi.

Mezzi di sostentamento che vengono dunque a mancare per un numero sempre maggiore di esseri umani, man mano che porzioni sempre più estese del pianeta diventano letteralmente invivibili e che al contempo vengono meno le modalità attraverso cui, negli ultimi decenni, era in qualche modo organizzato il soddisfacimento di determinati bisogni. Masse crescenti di persone ammassate attorno a pezzi di città, più o meno ampi, in cui si riuscirà a mantenere un certo livello di sopravvivenza – perchè riusciranno a rimanere ancorati al lavoro salariato o ad alcune tra le molteplici forme di sostegno al reddito che verranno istituite, – quando non un notevole benessere, grazie anche a una sempre più intensa artificializzazione dello spazio fisico e della vita, di cui potranno godere, se così si può dire, sempre meno persone.

Un’esclusione che sembra profilarsi quindi come permanente e verso cui sarà ancor più difficile che in passato trovare delle alternative in qualche “fuori”, almeno per porzioni così cospicue di popolazione, vista l’intensità con cui il capitalismo si è costantemente prodigato a cancellare qualsiasi forma di autonomia.

É il carattere permanente che sembra gravare sull’attuale condizione di escluso a renderla qualitativamente differente dal passato.

Una fine, se si vuole continuare a utilizzare questo termine per descrivere questo processo, che evidentemente è già iniziata.

Si sarebbe conclusa all’incirca così questa sorta d’introduzione, se l’avessimo scritta alcune settimane fa.

Ora non si può non provare ad interrogarsi su cosa ci suggerisce l’epidemia in corso, e la gestione di essa, riguardo le dinamiche di selezione ed espulsione legate a fattori sociali e, diciamo così, ambientali abbozzate finora.

Ritorniamo per un momento alla repressione del vagabondaggio. Le strutture ospedaliere vennero allora utilizzate con funzioni prevalentemente di contenimento, per rinchiudere un buon numero di poveri e ridurre così la crescente insalubrità delle città, che minacciava non solo gli ultimi ma anche i primi gradini della scala sociale.

Che peso ha oggi avuto, assieme a valutazioni di altro tipo, la natura contagiosa di quest’emergenza, nel costringere le autorità nostrane a doversi in qualche modo occupare di un po’ tutta la popolazione, anche di quella parte cui normalmente non sono destinate così tante risorse sanitarie – visto che, almeno su grandi numeri, non sarebbe stato possibile adottare misure di isolamento efficaci, da un punto di vista epidemiologico, per tutti gli altri -?

E sarà possibile sostenere questo sforzo per molto tempo, se quest’epidemia come tutto lascia prevedere durerà, magari a fasi alterne, ancora a lungo? Un’ipotesi in forte contrasto con le politiche sanitarie recenti e che potrebbe sembrare in linea con la decisione del Parlamento europeo di ridefinire la Sanità, «non più come un servizio ma come un’infrastruttura», strategica perchè essenziale per poter continuare o ritornare a produrre.

O si possono intravedere altre strade che, attraverso misure di selezione e separazione, permetteranno alle autorità di poter decidere di non farsi carico di determinati pezzi di popolazione? Come consentono almeno in parte di intravedere, tra le altre, alcune dichiarazioni su possibili passaporti d’immunità da rilasciare a chi abbia anticorpi “validi” nel sangue.

Soluzioni che non si escludono certo a vicenda e che dipenderanno e al contempo influenzeranno anche la gestione dell’ambiente urbano: quanto smart diverranno le città, o dei pezzi di queste, e che possibilità di gestire e delimitare la mobilità ci saranno, tanto a livello tecnologico e militare, quanto economico e politico? Una questione che non nasce certo oggi – pensiamo tra i tanti all’introduzione dei daspo urbani o alla banalizzazione delle zone rosse – ma che potrebbe diventare quanto mai stringente, legata com’è alle modalità e tempistiche con cui si sta progettando la fantomatica fase 2.

Soluzioni che poi, assieme alle dinamiche finora accennate, contribuiranno a dar forma e intensità a quegli scenari di guerra civile che promettono di diventare una costante di quest’epoca e su cui varrà quindi la pena tentar di affinare dei ragionamenti.

Sarà infatti su questo sfondo di conflitti, che tracimano l’alveo dello scontro tra sfruttati e sfruttatori o tra oppressi ed oppressori che dir si voglia, che dovrà muoversi chi continua testardamente a pensare che non ci sia altra strada da percorrere, se non quella della guerra sociale.

Resterà infine da tentare di intravedere come si snoderà e di cosa sarà lastricata questa strada, dopo quella che è forse la prima esperienza in grado di sconvolgere contemporaneamente la normalità di tutti gli abitanti di questo pianeta, a partire dalla seconda guerra mondiale.

Cosa resterà di questo sconvolgimento davanti a problemi che si presenteranno sempre più assillanti e feroci? In che misura questa frattura potrà stimolare la crescita e l’intensificarsi di queste lotte, anche nella capacità di squarciare il velo d’inesorabilità dietro cui il capitalismo si ripara? E quale spazio potrebbe aprirsi per l’irragionevolezza di ipotesi rivoluzionarie?

Sentimenti e riflessioni che ci sorgono – gruppo di supporto ax prigionierx di Lleida

Poche settimane dopo l’attuazione dei protocolli di “prevenzione e protezione” del COVID-19 nelle carceri, sentiamo il bisogno di esprimerci. Esprimerci sulla base dei nostri sentimenti, della nostra rabbia, della nostra preoccupazione, dell’impotenza e dell’indignazione per come la situazione viene gestita, per come i/le compagnx detenutx sono statx isolatx e imprigionatx ancora di più, per le notizie di abusi, maltrattamenti, percosse che ci arrivano con difficoltà, per come si abusa più che mai del potere e dell’impunità, e per come sebra si considerino “positive” certe misure che hanno cominciato ad essere adottate dalle Istituzioni Penitenziarie, che a nostro avviso sono solo un pulirsi la faccia.

Sembra certo che, almeno in alcune comunità, si stanno prendendo misure incipienti per calmare gli spiriti dex prigionerx e contrastare gli effetti delle restrizioni per prevenire il coronavirus in carcere. Va ricordato che le misure adottate si sono basate su un maggiore isolamento, solitudine e punizione. Nessun permesso di uscita, nessuna comunicazione ai colloqui, nessun vis a vis, sospensione delle attività, ecc. Ci siamo rassegnatx a pensare che questa fosse l’unica soluzione. Siamo sicure che ci deve essere un modo per continuare ad avere contatti con x prigionierx, almeno attraverso un vetro. Questo implicherebbe più lentezza, più lavoro, cambiamento delle strutture, delle regole e delle operazioni. Investire in più misure di igiene e disinfezione. Ma crediamo che questo sarebbe stato possibile, se davvero alle autorità e alla società importasse minimamente della popolazione carceraria. Con il pretesto di intervenire in relazione all’espansione di COVID-19, i diritti di queste persone sono stati violati in modo ancora più brutale.

È tutta un’insensatezza che ci genera rabbia. Vengono distribuiti documenti assurdi e le istruzioni per lavarsi le mani quando non gli viene fornito il gel disinfettante o a malapena lo shampoo. Ricordiamo la precarietà dei kit per l’igiene, e che x detenutx sono obbligatx ad acquistare – chi può farlo- carta igienica, sapone e altri materiali sanitari di base. Si proibisce ingiuriosamente il contatto con il loro ambiente, quando i carcerieri entrano ed escono ogni giorno seguendo controlli e protocolli minimi, tornano a casa e ritornano in prigione, e sono loro il principale focolaio di infezione. Quando ci sono stati possibili casi di contagio, hanno messo x prigionierx in celle di punizione, per “isolarlx”. Vengono vietate le visite dall’esterno quando la struttura stessa del carcere è una macchina di morte che rende impossibile qualsiasi tipo di misura di sicurezza contro il virus. Ad esempio, come possono mantenere una distanza di sicurezza quando mangiano insieme, quando molte volte sono costretti a condividere celle di 2 x 3 metri?

Come sempre, quando si cerca di contattare le carceri, si diventa vecchi ad aspettare che rispondano al telefono, e quando lo fanno, di solito non sono in grado di rispondere alle domande. Nella maggior parte dei casi ti dicono che non possono darti le informazioni che chiedi, che non sanno quali misure vengono prese, quali protocolli vengono seguiti. O si applicano regole diverse in ogni luogo, oppure la persona che risponde al telefono ti dice la prima cosa che le viene in mente. Non abbiamo nemmeno potuto capire se la posta funziona, se x prigionierx possono inviare lettere e se ricevono lettere dall’esterno. Come è possibile che non sappiano o possano dare queste informazioni? A volte ti dicono che funziona, ma questo non è coerente con il fatto che non riceviamo lettere da nessunx da settimane, né con le informazioni che ci vengono date dai loro parenti.

Come dicevamo, dopo diverse settimane, sembra che il governo cominci ad adottare alcune misure. Misure che ci sembrano ancora tardive e insufficienti. E non dimentichiamo che, se vengono portate avanti, o se si pensa di farlo, è, in gran parte, grazie alla pressione che molte persone private della libertà stanno facendo in decine di carceri della Catalogna e dello Stato. Rivolte in alcuni moduli, scontri con le guardie, scioperi dell’aria, azioni coordinate, incendi di oggetti… Sono principalmente loro che hanno ottenuto queste conquiste, loro quellx che sono riuscitx a fare pressione affinché gli diano “qualcosa”, affrontando ancora una volta la repressione e la punizione per essersi rivelati. Non è per la buona volontà delle istituzioni né perché si preoccupano dex prigionierx e dei loro diritti, poiché i loro diritti sono sistematicamente violati già in uno scenario “normale”, e hanno continuato ad essere atrocemente violati con la comparsa del COVID-19.

Si diceva che avrebbero dato più telefonate ax detenutx. Queste chiamate si pagano, come sempre, a prezzi esorbitanti. In altre parole, le compagnie telefoniche continueranno a trarre profitto dalla disperazione di quellx dentro. E dalla disperazione delle famiglie, che hanno più bisogno che mai di dare soldi ax loro carx. Tirandoli fuori da qualsiasi cosa, in modo che possano chiamare, visto che ora non possono nemmeno vederli, e perché sono preoccupate per quello che succede dentro. Ora dicono che, almeno in Catalogna, daranno chiamate “gratis” ax prigionerx senza soldi. “Grazie, che atto di buona volontà!” Perché non danno 20 chiamate gratis a tuttx? Perché continuano a far pagare le chiamate quando in questo momento è l’unico contatto con l’esterno? Perché la prigione è ancora un business, anche in “stato di emergenza”. E chi è considerato un detenuto senza risorse? Per quanto ne sappiamo, sono considerate persone indigenti solo quex detenutx che non hanno nessun tipo di ingresso di denaro. Cioè che non hanno alcun tipo di reddito. Questo significa che tuttx coloro che prendono 30, 40 euro al mese, che basta appena per 4 caffè, qualcosa dallo spaccio e un paio di telefonate, non possono avere accesso a queste telefonate gratuite, perché si ritiene che “hanno già delle risorse”, o in altre parole “non sono abbastanza poveri”. Per quanto ne sappiamo, non è che si stiano dando le, ma che si danno 3 o 5 euro a settimana, a seconda del carcere in cui ci si trova, per poter chiamare. Questo basta per fare una chiamata e mezza a settimana (una chiamata dura 8 minuti). Per tutte queste persone, cioè la maggior parte di loro, sia quelle a cui la famiglia dà 40 euro al mese, sia coloro che devono ringraziare l’istituzione per avergli regalato 3 euro di merda, non serve a nulla che abbiano aumentato il numero di chiamate che si possono fare a settimana. Perché potranno continuare a farne solo poche, praticamente le stesse che facevano prima di questa situazione di doppia reclusione.

Si dice anche che sarà possibile “cambiare” i colloqui vis a vis con delle videoconferenza. Come se si potesse comparare uno sguardo negli occhi con uno attraverso uno schermo. Ovviamente è meglio di niente, ma è una piccola cosa. E che succede alle comunicazioni attraverso un vetro? Ci sono moltissimx prigionierx che non fanno colloqui vis a vis. Che succede con loro? Anche le comunicazioni attraverso il vetro si potranno convertire in videoconferenze? E se la persona fuori non ha Internet, risorse o tecnologia per fare queste videoconferenze?

La Generalitat de Catalunya ha ordinato di iniziare il 24 marzo, a Quatre Camins, l’applicazione di videoconferenze di 1 ora in sale con computer. Hanno detto che al più presto l’avrebbero applicata alle altre carceri. Cosa ne sappiamo? Ebbene, secondo i parenti delle persone detenute a Quatre Camins, non è vero. Quello che si sta realizzando sono 10 minuti di videochiamate tramite Whatssap in piccole stanze, attraverso dei cellulari. Si sta applicando anche al Mas d’Enric e da giovedì 2 aprile inizierà a Brians. A Wad-Ras e Lledoners non è ancora stato applicato e a Ponent dicono che lo stanno gestendo. È molto complicato ottenere informazioni.

Innumerevoli misure di restrizione sono applicate in relazione al contatto con il mondo esterno, con il pretesto di prevenire il Coronavirus, ma lì le persone continuano ad essere ammassate, in condizioni di mancanza di igiene, spesso senza acqua calda, con permanente trascuratezza sanitaria, condividendo minuscole celle e numerosi spazi comuni. Usando la stessa cabina telefonica per decine di persone, il che genera code, ansia e tensione. Ma x carcerierx vanno e vengono, vanno in diversi spazi del carcere, a volte senza misure di protezione. E x prigionerx non hanno nemmeno la possibilità di lavarsi le mani frequentemente, di indossare una mascherina o di mantenere una distanza di sicurezza. Gli anziani, le persone con problemi respiratori, con malattie croniche, continuano ad essere rinchiuse in un’infermeria o in una cella di punizione.

Questo si può vedere nelle diverse esperienze deelle persone detenute e delle loro famiglie. Per esempio: non molto tempo fa, nel carcere di Lledoners, nel modulo 8, mentre mangiavano, il capo del servizio camminava come fosse a casa sua, fumando una sigaretta e non senza indossare la mascherina. Un altro esempio: nella prigione di Ponent, è stato chiesto se c’era bisogno di mascherine per le prigioniere siccome si poteva parlare con le reti che sono state create per fare le mascherine, qui a Lleida. Ma quello che hanno risposto è che non ce n’era bisogno. Che hanno già abbastanza materiale e che le persone imprigionate non possono indossare maschere. Negano la produzione e l’ingresso delle mascherine per le prigioniere. Lo vediamo riflesso nelle notizie uscite il 25 marzo sul quotidiano “el Segre”, possiamo leggere il titolo “Isolano un prigioniero accusato di aver spinto gli altri a ribellarsi nel bel mezzo di una crisi” e il sottotitolo è: “I parenti affermano che è stato accusato di indossare una mascherina”.

Siamo anche un po’ stufe del fatto che le istituzioni catalane diffondano il discorso che lo Stato spagnolo è quello cattivo per rafforzare l’idea che le loro carceri siano migliori, che si prendano cura dex prigionierx e che pensino a loro. Sì, possiamo vedere che ci sono piccole cose diverse, e potremmo dire positive, nelle prigioni catalane, ma questo non significa che nelle prigioni catalane si salvino dal trattamento denigratorio che molte persone continuano a ricevere nella loro vita quotidiana, e ancora di più, dalla falsità che le istituzioni catalane hanno, con il loro volto gentile, visto che vediamo che rispetto a quello che dicono fanno ancora meno. Fingono sempre di essere “progressisti e avanzati”, ma poi vediamo che la metà di quello che dicono non è reale, oppure lo applicano in modo meschino e carente, come si può vedere rispetto al tema delle videoconferenze che abbiamo spiegato prima.

La situazione e quindi l’informazione sta cambiando di giorno in giorno, quindi essere consapevoli di ciò che sta accadendo è molto importante affinché le persone dentro non siano sole e isolate in questa situazione di vulnerabilità e di doppia punizione.

Non ci dimentichiamo dex nostrx compagnx prigionerx. Tanta forza per tuttx, e tutto il nostro sostegno alle forme di lotta che si stanno portando avanti dentro le carceri.
Ora siamo qui, e qui saremo quando tutto questo sarà passato.

Morte al carcere e viva la libertà.

fonte: supportpresxslleida.noblogs.org

https://roundrobin.info/2020/04/sentimenti-e-riflessioni-che-ci-sorgono-gruppo-di-supporto-ax-prigionierx-di-lleida/

Lipsia – Passeggiata presso il penitenziario

Abbiamo voluto rompere l’isolamento per un breve momento e mostrare a* prigionier* del carcere di Lipsia che non l* abbiamo dimenticat* e non l* dimenticheremo. Il 22.03.2020, un giorno prima dell’inizio del coprifuoco, abbiamo marciato davanti alle recinzioni con fuochi d’artificio e cori solidali. Ci hanno accolto con applausi e urla. Ovviamente la stampa ha diffamato il gesto definendolo un “attacco” alla casa circondariale.

Come tutti e tutte sappiamo, la pandemia del C19 aumenta drasticamente l’isolamento de* prigionier*. I divieti di visita sono stati imposti in tutto il paese e gli|le avvocat* in Sassonia sono autorizzat* a visitare * loro “clienti” solo con un’eccezione giustificata. Le attività del tempo libero sono state completamente abolite e anche il lavoro forzato è stato interrotto. Nel frattempo il personale del carcere entra ed esce dalla prigione e rischia di contagiare le persone all’interno. Nel carcere di Chemnitz le detenute sono tenute a cucire mascherine per la Croce Rossa tedesca, il personale e i poliziotti. Ma i|le prigionier* stess* possono solo sognare di ottenerne qualcuna.

“Onestamente, non so cosa pensare, altrimenti qui saremo trattati come spazzatura, ma siamo abbastanza bravi per questo”. E ha ragione con questa affermazione. Chi in questa società pensa a noi, in questo momento? Chi pensa alla nostra protezione?
[…] La società e lo Stato non pensano a noi, sembra che non esistiamo. Almeno finché non potremo servirli”. [1]

Questo dimostra ancora una volta come le|i detenut* siano stigmatizzat* come criminali e poi trattati come persone di seconda classe. Possono servire la società, ma quando muoiono non importa a nessuno.

Anche se questa azione è avvenuta poco prima del coprifuoco, è importante non isolarsi e continuare a resistere. Le condizioni oggettive sono nuove e dobbiamo adattare ad esse la nostra analisi e le nostre azioni. Le persone più invisibili della società staranno peggio in questi tempi. Il nostro compito potrebbe essere quello di rendere queste persone più visibili, di lottare per condizioni migliori e di creare possibilità reali di aiuto, lontano dalle istituzioni statali e dalle istituzioni dipendenti dallo Stato. Sia per detenut*, senzatetto, disoccupat*, fuggitiv* o le donne vittime di violenza domestica.

Organizzare la resistenza, nonostante il Corona!

 

https://roundrobin.info/2020/04/passeggiata-presso-il-penitenziario-di-lipsia/