Alcuni giorni fa è girata, tramite passaparola e articoli di giornale,
la notizia dell’omicidio di una ragazza di 34 anni di Bergamo, Viviana.
L’ennesimo atto di violenza patriarcale: picchiata brutalmente a calci e
pugni dal suo convivente per motivi di gelosia, Viviana è morta dopo sei
giorni di coma in seguito ai traumi riportati. In questo periodo in cui
lo Stato ci impone di stare rinchiusx in casa, pretendendo perfino di
decidere quali dovrebbero essere i nostri affetti principali (al cui
vertice stanno ovviamente la famiglia di sangue e la coppia stabile), i
casi di violenza di genere sono ancora più numerosi del solito. Coppia e
famiglia sono i pilastri dell’ordine sociale eteronormativo funzionale
allo Stato. Nella retorica degli ordini imposti da papà-Stato, del
#restiamo a casa e delle bandiere tricolori vengono rilanciati valori
familistici e patriottici dal marcio odore fascista. Molte donne e
persone LGBT si trovano in questo momento in situazioni di difficoltà in
quanto costrette a una convivenza forzata in relazioni oppressive o con
una famiglia che non le accetta, impossibilitate ad andarsene e private
della possibilità di raggiungere le proprie reti di supporto, composte
soprattutto dai legami di amicizia.
Alcunx di noi hanno conosciuto Viviana in uno squat o in un concerto
punk, o l’hanno magari incrociata a una manifestazione. Da diversi anni
ci si era persx di vista, ma chi l’ha conosciuta la ricorda come una
ragazza dolce, solare, amabile, che non meritava certo una fine così
orribile.
Non dimenticheremo niente e non perdoneremo niente. Perché non si dica
mai più che il patriarcato non esiste o è acqua passata. Perché le
nostre relazioni siano finalmente liberi scambi tra individui e non
gabbie di possessività. Perché questa civilizzazione assassina crolli
con tutte le sue fondamenta, comprese quelle cementate dentro di noi.
Ciao Vivi