DAL MICROSCOPIO ALLE TELECAMERE:
lente sul laboratorio repressivo in atto
Da settimane ormai le news che scatenano il panico di un’epidemia mortale, dell’economia al collasso e della sanità che non regge e le immagini sui giornali di piazze vuote, mascherine e posti di blocco dilagano aumentando la tensione e la paura di un nemico sconosciuto. In questo clima emergenziale sorge spontanea la voglia di provare a fornire degli spunti di riflessione sul tenore di controllo attuato, e, partendo dalla realtà attuale, tentare di far luce sulle possibilità che il sistema neoliberale capitalista potrebbe cavalcare per rafforzarsi, proprio nel momento in cui le sue contraddizioni emergono più forti che mai.
Crediamo sia importante condividere riflessioni, analisi e ricerche in questo momento storico, per cercare di comprendere come muoversi.
Il contesto chiamato “pandemia” apre di fronte a noi scenari del tutto nuovi: da un lato il sistema stato e l’economia capitalista dimostrano di avere un’ossatura più fragile di quanto sembri; dall’altro un contesto come questo può portare ad una maggiore legittimazione di legislazioni speciali e repressione, e le restrizioni imposte possono portare ad uno sgretolamento dei rapporti umani, favorendo l’isolamento e rendendo ancora più difficoltosa la presenza nelle strade.
Non è intenzione di questo scritto concentrarsi sulla questione prettamente sanitaria, quanto più riflettere sulle dinamiche di “contenimento”, che di fatto si traducono in misure di controllo, più fitte e diffuse, ancora più evolute e sulle conseguenze che potrebbero avere.
LA MACCHINA DEL CONTROLLO SI EVOLVE: COME L’EPIDEMIA DIVENTA POSSIBILITA’ DI CRESCITA PER L’INDUSTRIA DELLA SORVEGLIANZA
Innanzitutto è interessante provare ad osservare cosa è accaduto e sta continuando ad accadere in altri paesi per quanto riguarda il controllo attuato durante l’emergenza coronavirus, che sempre di più si concretizza in sorveglianza tecnologica, e chi sta guadagnando dalla situazione attuale.
Da alcuni siti di controinformazione (vedi lundi.am e hurriya.noblogs) giungono testimonianze interessanti circa il contesto repressivo in Cina, dove ora il governo sta avviando una campagna di propaganda per riacquisire credibilità dopo che le prime misure, nonostante la censura, sono state ampiamente criticate su internet. Dietro l’immagine di uno stato forte che ha saputo contenere l’epidemia, citata e ripresa da politicanti nostrani, si celano le morti degli infermieri che non avevano mezzi per proteggersi dal contagio, si celano i suicidi di persone che per paura di contagiare i propri cari, consapevoli del fatto che in ospedale i rimedi non sarebbero stati sufficienti per tutti, si sono tolte la vita. Si cela la paura nelle strade, dove la polizia minaccia con le armi chi non porta la mascherina. Il paese ha nascosto la notizia della diffusione del coronavirus, che il medico Lin Wenliang aveva già provato a diffondere a fine dicembre. Il medico è morto. Di coronavirus, ovviamente.
In sostegno agli stati in materia di controllo di fronte a “nuove catasrofi”, appare l’ industria della sorveglianza.
Proprio in Cina, paese leader nella sperimentazione di nuove tecnologie, dove negli ultimi anni si sono sviluppate forme di controllo sociale basate sul riconoscimento facciale, funzionali a stabilire il profilo morale di una persona e constatandone la propria “affidabilità” in quanto cittadino,
l’industria della sorveglianza e delle intelligenze artificiali applicate al “contenimento del virus” hanno trovato terreno fertile.
Tra i metodi più usati per contenere l’epidemia vige il monitoraggio dei gps dei telefoni cellulari tra i contatti di chi è stato infettato, ma non solo; ad ogni triage allestito i medici sono tenuti a consultare gli smartphone di chi si reca anche solo per farsi misurare la temperatura per controllare gli ultimi spostamenti. Oltre a camionette e blindati della polizia droni e robot sono stati utilizzati per controllare le interazioni sociali e per limitarle, per controllare che le norme venissero rispettate. I robot sono stati utilizzati (oltre che a un ingente dispiegamento di polizia) anche per pattugliare le strade.
Il monitoraggio dei telefoni cellulari (non in forma anonima ma risalendo ai proprietari) è stato ampiamente utilizzato anche in Corea del Sud e in Taiwan. I movimenti dei pazienti, i loro contatti e le loro condizioni di salute sono in mano alla polizia. Un’applicazione assegna alle persone il colore verde, giallo o rosso, a seconda che siano autorizzate ad entrare negli spazi pubblici o che debbano entrare in quarantena in casa loro.
In Corea del sud, inoltre, sono state attentamente attenzionate le farmacie, i cui archivi sono stati consultati dagli sbirri, così come i movimenti delle carte di credito.
La tecnica di controllo della popolazione tramite i big-data per il contenimento del coronavirus è stata messa in atto anche da Israele. Un interessante articolo di Wu-ming riporta che sul sito dell’expo (iHLS InnoTech Expo) in materia di sorveglianza e intelligenze artificiali che si terrà a Tel Aviv a novembre 2020 , appare un articolo che recita: “ In una mossa senza precedenti, in Israele sarà implementato il monitoraggio cellulare dei potenziali pazienti affetti da coronavirus, per assicurare che non stiano infrangendo le condizioni di quarantena e per scoprire con chi erano in contatto. Per la prima volta, Israele applicherà un’ampia localizzazione cellulare di cittadini che non rientrano nel contesto di un’indagine terroristica. La mossa riflette le misure adottate da Taiwan, che è riuscita a far fronte alla diffusione del virus.” Inoltre gli organizzatori dell’expo sfruttano l’occasione per invitare caldamente alla partecipazione tutti gli organi interessati ad approfondire le conoscenze in materia di intelligenze artificiali volte a contrastare “disastrosi scenari”…
Il 18 marzo sono apparsi i primi articoli sulle testate giornalistiche italiane circa l’utilizzo dei dati gps per verificare quanto le misure imposte sulla circolazione vengano rispettate. Il 17 marzo la regione Lombardia ha dichiarato di aver monitorato gli spostamenti dei cellulari da cella a cella, quindi di aver registrato quanti telefoni si sono collegati ad una determinata antenna “senza essere risaliti ai proprietari”, ma che se sarà necessario verrà applicato il modello della Corea del Sud, ovviamente “garantendo il trattamento dei dati esclusivamente a fini medici”…
(https://www.corriere.it/tecnologia/20_marzo_18/coronavirus-controlli-celle-telefoniche-tracciamento-privacy-223ea2c8-6920-11ea-913c-55c2df06d574.shtml)
Sempre per monitorare le destinazioni delle persone, otto operatori telefonici (tra cui Telecom e Vodafone) il 23 marzo hanno firmato un accordo con la Commissione Europea per condividere i dati relativi alla localizzazione degli utenti. Per difendersi di fronte ad accuse di violazione della privacy, dal Parlamento Europeo hanno affermato che “i dati saranno resi anonimi prima della trasmissione e saranno cancellati una volta finita l’emergenza”…
https://www.punto-informatico.it/covid-19-operatori-tracciano-movimenti/
Sempre il 23 marzo è uscito un articolo su Repubblica che annuncia che le polizie di alcuni comuni hanno usato droni per controllare i movimenti e che ora l’Enac (ente nazionale per l’aviazione civile), ha concesso un’autorizzazione ai comandi di polizia locale fino al 3 aprile per l’utilizzo di droni in questo senso. (https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/23/news/coronavirus_l_enac_da_il_via_libera_all_uso_dei_droni_per_i_controlli-252086528/)
Ma l’industria della sorveglianza non si esaurisce in droni e big data: essa si arricchisce anche attraverso le videocamere smart, le macchine biometriche da usare nei checkpoint e nei termoscan che si sono installati anche negli aereoporti e nelle stazioni italiani.
Insomma, cosa meglio di un’emergenza sanitaria, perfetto pretesto che legittima l’attuazione di un maggiore controllo, può creare grandi opportunità per i nuovi padroni di veder crescere l’ammontare del proprio capitale, proprio in un momento storico in cui l’industria delle intelligenze artificiali muove grandi passi in avanti? Sempre di più l’industria della sorveglianza si evolve e diventerà funzionale alla repressione; essa è già preziosa alleata dei governi, per esempio, nell’ambito del controllo frontaliero, dove macchinari per la raccolta dei dati biometrici saranno sempre più diffusi per lo schedaggio della popolazione.
E così, se da un lato il contesto creatosi con il Coronavirus mette in luce la crisi del sistema capitalista, dall’altro offre nuovi spunti e possibilità allo stesso di riconfigurarsi e ripensarsi.
Sempre di più ci imbatteremo in strade in cui la tecnologia sarà preponderante.
SULLO STATO D’EMERGENZA e il bisogno di securitarismo
Il 31 gennaio il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per motivi sanitari per sei mesi. Il potere centrale acquisice ancora più forza; alcune funzioni prima gestite da enti locali ora possono essere gestite direttamente dal governo centrale.
Lo stato dispiega ora maggiormente la sua forza militare in nome del’esigenza di contenere il contagio.
Sebbene finora c’è stato chi ancora ha deciso di uscire a piedi, per passeggiare, correre, fare sport, per le strade la presenza dello stato si fa ogni giorno più imponente, e nuove ordinanze sono state emanate per limitare le attività all’aperto.
Le rivolte nelle carceri diffuse e simultanee hanno fatto impallidire i ranghi del potere, che si prepara a calmare la rabbia sociale. Lo stato ha già annunciato che si sta mettendo in moto per preparare piani volti a fermare gli eventuali disordini che si potranno creare come conseguenza al disastro economico a cui questa crisi sanitaria sta portando e che “è necessario prepararsi in tempo, e cominciare a pensare piani d’azione per le forze dell’ordine e, nel caso, l’esercito”.
Le regioni hanno invocato a gran voce l’intervento dell’esercito per far rispettare le misure, ora i militari pattugliano le strade, insieme a polizia e carabinieri. L’immagine di questi ultimi giorni è uno scenario di guerra.
Lo stato d’emergenza non è una proclamazione dello stato, è una condizione su cui si regge il potere. Quanto sta accadendo non è che il peggioramento di una condizione che è l’essenza dello stato stesso, una condizione di cui ha bisogno per giustificare la sua esistenza, la sua forza, le sue subdole propagande di odio. Diventa però un’occasione per riconfigurare il proprio potere di fronte a quella parte dei cittadini che ancora in esso nutre una speranza; gli sfruttati e le sfruttate, coloro che non hanno i mezzi per potersi curare, o per poter accedere alla sanità privata, visto che quella pubblica è allo sfacelo, potrebbero restare quella parte di popolazione dimenticata, quelli che per primi moriranno di fronte alle nuove epidemie che anche in futuro si potranno verificare e che probabilmente, visto i disastri ecologici di cui il capitalismo è responsabile, sempre più spesso si verificheranno.
La paura è un’arma in pugno a stati e governi, da sempre il potere si nutre del panico collettivo, che sia verso “l’immigrato” o in questo caso la malattia. Cosa di più della paura della morte può essere sfruttata dal potere?
Non è intenzione negare l’epidemia, nè puntare il dito contro chi sceglie di non uscire per timore di contagiare il prossimo; quanto più di porre il dubbio su quanto le misure adottate siano efficienti o siano la soluzione più rapida (e funzionale) per lo stato che si è ritrovato in un caos a cui ora cerca di sopperire. E’ chiaro che per esso sia più importante la propria sopravvivenza che quella delle persone. E provare a dare una spinta per riflettere noi stess* su quali sono i metodi che possono essere funzionali ad evitare il contagio, in autogestione, senza farsi risucchiare dalla paranoia. Il pericolo è che tutti gli spazi di confronto anche su quelli che sono i metodi per evitare di contagiarsi sono negati, perchè la verità è in mano allo stato, che diffonde l’idea che non ci sia altra soluzione che quella della repressione.
Le denunce per inottemperanza alle nuovi disposizioni hanno raggiunto numeri stratosferici;
ora sono state sostituite da ammende che arrivano fino a 3000 euro e non cadono nel pensale ma rimangono amministrative. La giustizia non ce l’avrebbe fatta a reggere il numero imponente di processi; per la cassa, comunque, c’è sempre spazio. Tali misure hanno colpito molto e continuano a colpire i senzatetto e chi non ha una possibilità di rientrare in casa, perchè una casa non ce l’ha.
Ascoltando una diretta su Radio Blackout, per esempio, qualcun* spiegava che per i senzatetto a Torino sono molte le denunce arrivate e che in particolare le misure hanno colpito chi è stato trovato in uno stato “alterato”.
Sui giornali si parla ad esempio di quanto nel centro delle città le persone rispettino le misure mentre nelle periferie gli assembramenti sono più problematici. Certo, nelle periferie dove magari non tutti hanno la possibilita di chiudersi in un appartamento. Dove è più possibile che la gente che vive di espedienti e che vive e lavora in strada, per sopravvivere non possa fare a meno di restarci. E anche il contesto dell’epidemia si prefigura come un’occasione per una guerra ai poveri.
Le denunce penali magari mai avranno un seguito, a meno che non verrà scelto di sfruttarle ad hoc, quindi di portare avanti i procendimenti, o aggiungerle come peso giudiziario, per chi ha già precedenti penali, o a chi lotta contro questo sistema.
Lo stato italiano, che si deve ora mantenere forte e mantenere la propria credibilità, dopo aver mostrato le proprie falle per quanto riguarda la gestione del servizio sanitario, ora attua un regime di controllo più serrato, perchè altrimenti non è in grado di contenere un’epidemia. Con la minaccia della pandemia gli stati ora si è guadagnano il consenso di un’intera popolazione di fronte a misure restrittive della libertà, e quando questo finirà la legittimazione al controllo avrà le basi per sussistere.
Le misure speciali adottate nel contesto dell’emergenzialità finiranno una volta contenuta l’epidemia ? Oppure lo stato sfrutterà la situazione di panico diffuso per permettersi di continuare nel tempo ad adottare misure sempre più restrittive, di fronte ad un qualsiasi pericolo minacci la sicurezza nazionale?
Una situazione molto simile a quella creatasi in Francia nel 2015, dove comunque l’agitazione sociale è continuata nel tempo, quando lo stato d’emergenza venne proclamato in seguito agli attentati di Charlie Hebdo e il Bataclan, potrebbe configurarsi; lo stato de’emergenza dura tutt’ora, e anzi, con la nuova legge securitaria del 2017 è diventato “parte integrante dello stato di diritto”, le frontiere sono terreno di inseguimenti da parte di sbirri e militari alla caccia di chi non ha i documenti “ validi”, le stazioni dei treni e le strade sono ipercontrollate, le guardie sempre in caccia dello straniero potenziale terrorista …di fronte a quest’epidemia e a quelle future forse la caccia sarà destinata ai presunti untori e forse, il divieto d’assembramento, che si traduce immediatamente in divieto di manifestare, sarà mantenuto per evidare il diradarsi di ulteriori epidemie, rendendo ancora più semplice per il governo reprimere chi prova a stare in strada, modalità che peraltro negli ultimi anni si sta consolidando sempre di più, coronavirus a parte.
(https://lundi.am/L-art-de-la-repression).
Come al solito, i primi a pagare il prezzo della situazione in cui ci troviamo sono coloro che la società rifiuta. I primi a pagare le conseguenze della gestione dell’epidemia sono i/le detenut*, carne da macello.
La rabbia per le misure adottate è già esplosa in moltissime carceri, dove le persone rimangono stipate nelle celle senza alcuna prevenzione al contagio, dove sbirri e personale girano ed entrano senza mascherina, mentre l’ora d’aria ed i colloqui sono stati vietati.
Una situazione simile è vissuta anche dalle persone riunchiuse dei centri di detenzione.
Dei reclusi nei CPR italiani non si hanno molte notizie, in alcuni centri le comunicazioni con l’esterno sono state interrotte, ma possiamo ben immaginare quali siano le condizioni a cui sottoposti, stipati nelle celle con scarsissime prevenzioni e senza neanche la possibilità di telefonare all’esterno, come accade a Torino. A Roma si apprende che nessun membro di una qualunque associazione entra nel centro, nè avvocati e che alcune detenute si sono chiuse in stanza per timore di essere contagiate, mentre una è stata portata in ospedale dopo aver ingerito della candeggina.
Uno sciopero dello fame invece è in corso al Cpr di Palazzo San Gervasio, dove i detenuti affermano che nessuna protezione contro il coronavirus è adottata dalle guardie, dove non c’è il riscaldamento e nulla viene igienizzato.
Dalla Francia ci giungono le stesse notizie; in molti dei CRA nemmeno il personale di pulizia entra più e le condizioni igieniche si fanno ancora più scarse durante l’epidemia. In molti dei Cra si sono già verificate rivolte e sono in corso scioperi della fame.
(https://hurriya.noblogs.org/post/2020/03/20/la-situazione-in-diversi-cra-in-francia-allepoca-del-coronavirus/)
Proprio dai luoghi di prigionia arriva un barlume di speranza. Le rivolte che si sono verificate mostrano una rabbia che non è relativa solo alla situazione del coronavirus, ma alle condizioni di merda in cui i detenuti si ritrovano a vivere tutti i giorni. Le rivolte mostrano una sete di libertà che è irrefrenabile, mostrano la rabbia verso la gestione di quest’epidemia, che vede ovviamente gli ultimi come prime vittime sacrificali.
LA CRISI COME POSSIBILITA’ D’AZIONE
In questo scenario quasi apocalittico ma tremendamente reale, che sembra cambiar di giorno in giorno spiragli di dissenso andrebbero colti e alimentati.
Quest’epidemia lascerà una crisi economica fortissima e moltissime persone si ritroveranno in condizioni critiche. E forse, chissà che la rabbia che si è manifestata all’interno delle gabbie per un sistema che ci sfrutta e ci uccide, un sistema che è il reale reponsabile delle catasftrofi, riesca ad uscire da quelle mura e scaldare l’aria circostante. Forse le pessime condizioni in cui tant* si ritroveranno chissà se possono portare ad una presa di coscienza più generale del fatto che il problema non è rendere migoliore questo sistema ma che questo sistema non deve più esistere.
Probabilmente la maggior parte delle persone non vede e non vuole vedere le contraddizioni in cui viviamo che emergono ora più forti che mai, anzi, come citato prima, si fa abbindolare dall’azione dello stato che si prefigge come unico dio salvatore, maestro di competenza ed affidabilità.
In tant* ci siamo trovati impreparat* di fronte a questo complesso fenomeno, Non è per nulla semplice fare luce sulle strade che ci si parano davanti e capire quale sia la più opportuna da percorrere, nè quale sia il modo più corretto di comportarsi nella specificità di questa situazione e per questo pensiamo che sia utile sfruttare questo momento per riflettere e cercare di comprendere come portare avanti le lotte, per riflettere su quali sono state le mancanze della passato che ora fanno ‘sì che non riusciamo a reagire prontamente di fronte a quello che ci si para davanti ed uscire da quest’empasse, come lo sono stati la mancanza di riflessioni sulla questione della sanità, su quali metodi alternativi possiamo costruire per delegare totalmente la nostra vita al sistema sanitario e all’industria farmaceutica.
Dobbiamo riflettere, innanzitutto per capire come affrontare questa situazione senza affidare la nostra vita e la nostra salute ad un sistema che cerca di salvare se stesso e prepararci a quello che lascerà quest’epidemia, a come fare fronte ai nuovi contesti repressivi, riflettere su come agire , in uno scenario che si prefigura ostile e sempre di più governato dalla tecnologia.
https://roundrobin.info/2020/03/contributo-su-repressione-e-tecnologia/