Cronache dallo stato d’emergenza (numero 1)

I virus non arrivano da un altro pianeta

Le malattie riflettono sempre il modo di vivere (di produrre, di mangiare, di spostarsi ecc.) di una società. Una medicina che non parta da questo dato di fatto – il che presuppone oggi una chiara messa in discussione della società industriale – può solo tamponare gli effetti delle malattie, senza risalire alle loro cause. Non a caso il primo focolaio di Coronavirus si è sviluppato in una zona della Cina di grande concentrazione urbana e di pesante inquinamento industriale. Non a caso i primi focolai in Italia si sono sviluppati nelle zone più industrializzate e inquinate. Se non si rimuovono le nocività e gli sconvolgimenti ambientali che provocano, le emergenze sanitarie si rinnoveranno.

Sanità

Personale sanitario che si costruisce delle tute di protezione con i sacchi dell’immondizia e usa le lenzuola per farne delle mascherine; l’allarme continuo sulle risorse limitate per le terapie intensive. Come si è arrivati a tutto ciò? Ecco cosa non si dice nelle quotidiane cronache della paura, affinché non si parli delle responsabilità. Dal 1978 in avanti, tra governi di destra e di sinistra, la Sanità è stata sottoposta agli effetti combinati dei tagli e delle privatizzazioni. La progressiva trasformazione della Sanità in un’Azienda ha tagliato strutture, personale, reparti e terapie non remunerativi, falcidiando in particolare tutto ciò che era legato alla medicina di prevenzione. Per questo si sono dimezzati i posti letto negli ospedali e ridotti a meno della metà quelli di emergenza. Mentre le metafore mediche e politiche sono sempre più esplicitamente militari (il virus è l’aggressore, il corpo è sotto assedio, la società è in guerra, il governo schiera l’esercito), scompare il vero nemico della salute individuale e collettiva: la logica del profitto.

Arginare il virus significa liberare tutti

A partire da sabato 7 marzo e per tutta la settimana successiva si levano proteste in una quarantina di carceri in tutta Italia. In almeno una trentina di queste si scatenano vere e proprie rivolte. Oltre seimila detenuti prendono parte alle sommosse, con sezioni distrutte e incendiate, fuoco alle auto della penitenziaria, prigionieri sui tetti, evasioni di massa, secondini presi in ostaggio e il carcere di Modena chiuso “di fatto” grazie ai danneggiamenti. Lo Stato mostra i muscoli: intervengono la celere e i reparti speciali della penitenziaria, i secondini circondano le carceri armi in pugno, in Puglia viene schierato l’esercito per bloccare gli evasi, a Modena i parenti riferiscono di aver sentito distintamente degli spari. E poi pestaggi e trasferimenti di massa. Il bilancio è pesantissimo: 15 detenuti morti. Le loro morti vengono velocemente insabbiate, si parla di decessi causati “per lo più” (e gli altri?) da overdose di psicofarmaci e metadone.

La scintilla che ha appiccato l’incendio è la sospensione dei colloqui come ridicola misura di contenimento del contagio (i parenti sarebbero potenzialmente infetti… le guardie no?) assieme alla consapevolezza di essere come topi in trappola di fronte al rischio di un’epidemia (si sono già verificati casi a Brescia, Milano, Voghera, Pavia, Lecce, Modena e Bologna), ma la polveriera è costituita dalle condizioni di vita inumane: sovraffollamento endemico, violenze delle guardie, impossibilità di accedere a misure alternative. Amnistia e indulto: le richieste dei detenuti sarebbero in questo momento niente di più che un provvedimento di salute pubblica, per limitare i danni della diffusione del contagio in ambienti sovraffollati (fino a 8 detenuti per cella). Se in Iran per arginare il contagio sono stati scarcerati 70000 detenuti con pene sotto i cinque anni, in Italia, dopo proteste, rivolte e una vera e propria strage di Stato, è stata concessa la possibilità di andare ai domiciliari per chi ha pene sotto i sei mesi, e ai domiciliari con il braccialetto elettronico per chi deve scontare pene sotto i diciotto mesi. In realtà si aggrava la situazione anziché migliorarla (la legge in vigore prevede già i domiciliari, previa approvazione del magistrato di sorveglianza, per chi ha pene sotto i tre anni e senza braccialetto elettronico). Senza contare che il 34,5% dei detenuti in Italia sono in attesa di giudizio e non hanno proprio nessuna pena da scontare. Questi deboli provvedimenti non si sarebbero comunque ottenuti senza una decisiva e coraggiosa prova di forza dei detenuti, consapevoli che la realtà non lascia loro scampo: o la prigionia e la morte, o la rivolta e la vita.

Sciopero generale!

Benché si proclami a livello istituzionale che tutte le attività non essenziali si devono fermare, molte fabbriche sono ancora aperte: anche quelle con altissime concentrazioni di operai, a stretto contatto sia durante la produzione sia durante la mensa. (E intanto le forze dell’ordine perlustrano a sirene spiegate ciclabili, parchi e boschi a caccia degli “untori”. E intanto le compagnie della telefonia mobile realizzano schedature di massa per “tracciare” gli spostamenti individuali). Anche in Trentino, come nel resto d’Italia, si sono registrati scioperi in diverse fabbriche (Dana, Pama, Fly, Siemens44, Mariani, Sapes, Tecnoclima, Ebara…), a cui si aggiungono i tanti operai che hanno deciso di stare a casa anche in assenza di sciopero. Non si tratta solo di una comprensibile reazione di paura di fronte al virus, ma di un contributo alla salute di tutti. Questi scioperi vanno sostenuti ed estesi a tutte le produzioni non strettamente necessarie. Se la salute non è compatibile con il profitto, tanto peggio per il profitto.

Tutti sulla stessa barca?

Stiamo assistendo in questi giorni a una massiccia iniezione a reti unificate di retorica nazionalista: “Tutti insieme contro il nemico comune”. In questo racconto tricolore scompaiono per magia le condizioni materiali di vita che non sono affatto uguali per tutti (per restare a casa, una casa devo avercela e potermela mantenere…). Ma guardiamo un po’ più in là. Se è impossibile fare previsioni precise sul dopo, una cosa è sicura. Gli effetti economici di questa “crisi sanitaria” avranno un peso ben differenziato nella società. Per milioni di persone si porrà il problema pratico di avere di che vivere. Gli stessi prestiti da parte della Banca centrale europea non saranno affatto gratis, bensì imporranno nuove misure di austerità che colpiranno soprattutto i più poveri. A spingere la barca sarà chi è già per metà sott’acqua. Ricordiamocelo quando spariranno le note dell’inno di Mameli.

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