L’appello dei sindacati a interrompere la produzione. «Misure che non terranno a casa 300 mila persone. Gli ammortizzatori sociali ci sono e vanno utilizzati»
Scioperi per arrivare là dove non arrivano le misure governative. Da giorni i sindacati lombardi (e non solo) avevano messo in preventivo azioni «dal basso» per fermare l’attività in molti luoghi di lavoro dove l’inevitabile vicinanza tra i lavoratori perpetua i rischi di contagio. E ieri, all’indomani del nuovo decreto del presidente del consiglio e, anche, della più restrittiva ordinanza regionale, Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di passare all’azione: appelli all’iniziativa delle rappresentanze aziendali, proclamazione di scioperi di settore e, in qualche fabbrica, stop immediato della produzione.
I tre leader regionali dei sindacati confederali — Elena Lattuada, Ugo Duci, Danilo Margaritella — hanno sollecitato «una forte iniziativa delle Rsu e delle strutture categoriali territoriali affinché vi sia la chiusura delle attività aziendali non essenziali in questa fase di emergenza». Perché secondo i sindacati il nuovo decreto di Palazzo Chigi considera essenziali «attività di vario genere che di essenziale, strategico e necessario in questa emergenza non hanno nulla». Con la conseguenza di «ridurre ai minimi termini» il numero dei lavoratori che possono rimanere a casa. «Così non si può — scrivono i segretari di Cgil, Cisl e Uil —. Il valore della vita e della salute non ha prezzo e non può essere barattato con nessuna ragione economica, lo stesso protocollo sottoscritto una settimana fa a difesa della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non è stato ovunque applicato».
Come spesso succede, tra le categorie più reattive alla chiamata allo sciopero ci sono le tute blu. I sindacati dei metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm hanno già proclamato per domani l’astensione dal lavoro di otto ore «in tutte le aziende che non hanno produzioni essenziali e di pubblica utilità per le necessità del Paese e in tutti quei luoghi di lavoro dove non ricorrano le condizioni di sicurezza». Questione di minuti ed è arrivata l’analoga proclamazione da parte di Filctem, Femca e Uiltec, cioè le organizzazioni confederali che rappresentano i circa 80-100 mila lavoratori dei settori chimici, tessile, dell’energia e della manifattura lombarda: «L’aver inserito nelle imprese da considerare essenziali una serie di attività di vario genere depotenzia il decreto e crea l’effetto di ridurre ai minimi termini il numero delle lavoratrici e dei lavoratori che potranno rimanere a casa — spiega una nota unitaria —. Chiediamo alle associazioni datoriali e alle aziende di avere senso di responsabilità e di non determinare ulteriori tensioni ed esasperazioni tra i lavoratori». Con la richiesta di «utilizzo degli ammortizzatori sociali per consentire la fermata dei lavoratori». E mentre i sindacati del pubblico impiego hanno fatto partire le diffide per esigere l’applicazione di forme di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche lombarde, alla Siae Microelettronica di Cologno Monzese è scattato lo sciopero immediato.
Ma quanti sono i lavoratori chiamati alla produzione e quanti quelli che debbono stare a casa, secondo le nuove norme? «Possiamo stimare che sono circa 554 mila i lavoratori espressamente autorizzati a svolgere la propria attività — spiega Antonio Verona, che studia i numeri del mercato del lavoro per la Cgil milanese — e non è detto che i restanti 912 mila, sul totale di 1.466.003 occupati nella Città metropolitana di Milano, siano totalmente esclusi dalle attività lavorative a causa della contraddittorietà delle norme». Insomma, secondo Verona, «le conseguenze che il nuovo decreto del presidente del Consiglio produce sulle attività milanesi sono alquanto modeste, soprattutto se confrontate con la situazione che si era consolidata per effetto delle disposizioni precedenti». E l’ordinanza regionale, aggiunge, «non ha fatto che complicare le cose, con il risultato che i circa 300 mila addetti ad attività non essenziali continueranno probabilmente a essere in giro per il territorio metropolitano». Ma nel frattempo molte attività produttive potrebbero essere fermate da uno sciopero generale a livello nazionale.
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