«Mai visto in vent’anni», ha dichiarato lo scorso mercoledì 6 maggio un alto dirigente di una delle principali compagnie telefoniche francesi. A cosa si riferiva? Al panico nazionale scatenato in questo periodo di pandemia, al profitto che la propria azienda ricaverà grazie al confinamento che da settimane costringe milioni di utenti a stare incollati ai dispositivi elettronici, al crollo del livello di inquinamento dell’aria dovuto alla quarantena…? No, si riferiva a tutt’altro: al sabotaggio avvenuto il giorno precedente nell’Île-de-France, la regione in cui si trova la capitale del paese con i suoi ministeri politici e le sue sedi centrali finanziarie ed economiche. Un sabotaggio definito «intenzionale e su larga scala», avvenuto per di più solo 48 ore dopo che un giornale parigino aveva lanciato il pubblico allarme sulla «ripresa dell’azione diretta» in tutto l’esagono contro le (infra)strutture del dominio.
La misura del confinamento, proclamata lo scorso 17 marzo dal governo francese per arginare la pandemia, non è infatti servita a fermare l’offensiva — di logoramento, si potrebbe dire — che da anni è in corso su tutto il territorio contro il potere. Da nord a sud, da est ad ovest, sono centinaia e centinaia gli attacchi avvenuti nel recente passato non solo contro caserme, banche ed imprese, ma anche e soprattutto contro i mezzi tecnici che permettono il normale funzionamento di questo mondo: tralicci, ripetitori, parchi eolici, antenne, centrali elettriche e centraline di ogni tipo… Azioni semplici, alla portata di tutti gli arrabbiati, realizzate con i mezzi più disparati, e proprio per questo tenute lontano dalla ribalta nazionale al fine di neutralizzarne il cattivo esempio, relegandole a fatti di irrilevante cronaca locale. Così, mentre chiunque udiva (tremante o festoso) il tonfo delle vetrine infrante che cadevano nei centri cittadini nel corso delle grandi manifestazioni periodiche, quasi nessuno sentiva crescere giorno dopo giorno la selva oscura della rivolta anonima. Snobbate dagli aspiranti strateghi di movimenti sociali bisognosi di consenso, le azioni dirette sono state sostenute ed amplificate solo da chi non fa investimenti sulla rabbia.
Ebbene, se l’emergenza sanitaria è riuscita a svuotare rondò e piazze di Francia dai contestatori in giallo che settimanalmente le affollavano, nulla ha potuto contro la determinazione e la fantasia dei singoli sabotatori — con enorme fastidio di funzionari di Stato e dirigenti di impresa (nonché di qualche teorico rrrivoluzionario). Secondo i dati ufficiali, nel mese di aprile è stato compiuto quasi un sabotaggio al giorno, il cui fruscio è paradossalmente rimbombato nel silenzio dei cori di protesta. Talmente fragoroso da attirare l’attenzione generale? La scorsa domenica, 3 maggio, il quotidiano Le Parisien ha dato risalto all’ondata di sabotaggi avvenuti un po’ dovunque, sul cui conto sarebbero in corso una decina di indagini giudiziarie. Mai rivendicati da nessuno, questi sabotaggi vengono «attribuiti all’ultrasinistra», qui intesa come sinonimo di mouvance sovversiva (laddove nell’ambito specifico che potrebbe riconoscersi in quella definizione c’è chi li rimanda invece a «eco-nichilisti» o a «nostalgici dello Stato Islamico», senza dimenticare che alcuni «“anarchici” possono essere, teoricamente e socialmente, più vicini a Julius Evola che a Errico Malatesta» [sic!]). I lettori del Parisien vengono inoltre informati dell’esistenza di un paio di siti anarchici che esultano nel riportare la notizia di queste azioni dirette, che per altro si stanno diffondendo anche altrove in Europa (vengono nominati Italia e Paesi Bassi).
Sarà il caso, sarà una coincidenza, sarà un’irresistibile ispirazione, fatto sta che due giorni dopo quel grido d’allarme l’epidemia di sabotaggio arriva alle porte di Parigi. Durante la giornata di martedì 5 maggio le fibre ottiche di alcuni gestori telefonici vengono tagliate in più punti della periferia a sud-est (a Valenton, Fontenay, Créteil, Ivry, Vitry), provocando un gigantesco black-out telematico sia nella Val-de-Marne sia in alcune zone della capitale stessa. All’inizio si sospetta che sia stato un solo individuo, armato di smerigliatrice, ad aver agito in un paio di tombini di una zona industriale. Ma poi, col passare delle ore e l’arrivo di ulteriori segnalazioni di guasti, si comincia a pensare che si sia trattato di un attacco coordinato e perfettamente organizzato, i cui danni pare ammontino ad un milione di euro. Chi si è introdotto nelle cabine sotterranee delle compagnie telefoniche non ha rubato nulla, si è limitato a tranciare di netto i cavi di fibra ottica colpendo così «la rete nevralgica della rete internet francese, dove si trovano anche nodi di comunicazione internazionale». Ci vorranno ancora parecchi giorni per ripristinare del tutto il servizio, con gran disagio per decine e decine di migliaia di utenti. Niente chiamate ad amici e parenti? Già, ma soprattutto niente scambi commerciali, niente telelavoro, niente segnalazioni ai gendarmi, niente commissariati connessi, niente videosorveglianza, niente alienazione tecnologica.
«Sabotaggi a ripetizione» tuoneranno il giorno dopo gli organi d’informazione transalpini, sorpresi della facilità con cui possano essere disturbati gli affari pubblici. E nel lanciarsi tutti dietro alla pista sovversiva anticipata dai loro colleghi del Parisien, ieri (giovedì 7 maggio) c’è stato persino chi ha tenuto a precisare che sono tre, non due, i siti anarchici che festeggiano i sabotaggi; oltre a quelli già indicati (Sans Attendre Demain e Attaque), ce n’è un altro di cui non si riporta il nome ma che ha il cattivo gusto di pubblicare la traduzione di un testo italiano (ampiamente citato nell’articolo in questione) che saluta il pensiero stupendo avuto da chi in piena pandemia continua ad attaccare, invece di iniziare a tremare. Evidentemente fra i professionisti della propaganda poliziesca c’è chi ambisce ad infittire la trama a dismisura, spingendosi al di là delle Alpi…
Ancora uno sforzo, sbirri e giornalisti, se volete fermare l’epidemia di sabotaggi! Indicare i pochi che sostengono ad alta voce queste azioni, per poi eventualmente metterli a tacere, potrà forse soddisfare la brama di facile rappresaglia, ma di certo non fermerà la rabbia che trova sempre più motivazioni per dilagare, in Francia come altrove. Se già nella notte fra il 5 e il 6 maggio un ripetitore è stato incendiato a Oriol-en-Royans, ad oltre 600 km a sud-est di Parigi, mentre la sera successiva la stessa sorte è toccata ad un ripetitore a Languenan, a 400 km ad ovest della capitale, non è certo per permettere a tre siti anarchici di aggiornare le loro pagine. Se antenne e impianti elettrici si infiammano ovunque nel mondo, dall’Italia (l’ultima volta il 29 aprile a Roma, o forse il 6 maggio a Pozzuoli, dove è esploso un trasformatore in una centrale elettrica) al Canada (nell’area di Montréal, l’ultima volta il 4 maggio), dai Paesi Bassi (una ventina i sabotaggi realizzati a partire dai primi di aprile, l’ultimo dei quali a L’Aja, il 4 maggio, contro una antenna usata da polizia ed esercito) agli Stati Uniti (l’ultima volta a Philadelphia, all’inizio di maggio), senza dimenticare la Gran Bretagna o la Germania, non è perché esista un complotto internazionale anarchico contro le compagnie energetiche e telefoniche, ma perché ovunque si sta diffondendo una medesima consapevolezza: la normalità è la catastrofe che produce tutte le catastrofi. Non si tratta di invocare il suo urgente ritorno o la sua educata revisione a chi sta in alto. Si tratta, per chi sta in basso, di ostacolarne il ritorno sia teoricamente che praticamente.
[8/5/20]