«Nonostante le apparenze, l’ecofascismo ha un futuro davanti a sé e sotto la pressione della necessità potrebbe essere il risultato di un regime totalitario sia di sinistra che di destra. In effetti i governi saranno sempre più costretti ad agire per gestire risorse e spazio via via più rarefatti… La preservazione del livello di ossigeno necessario per la vita potrà essere garantita solo sacrificando un altro fluido vitale: la libertà. Ma, come accade in tempo di guerra, la difesa del bene comune, della terra, varrà il sacrificio. L’azione degli ambientalisti ha già iniziato a tessere una rete di regolamenti fatta di ammende e di carcere al fine di proteggere la natura dal suo sfruttamento incontrollato. Cos’altro fare? Ciò che ci aspetta, come nell’ultima guerra totale, è probabilmente una miscela di organizzazione tecnocratica e ritorno all’età della pietra»
(Bernard Charbonneau)
Sono trascorsi quarant’anni da quando uno dei primi critici della civiltà tecno-industriale pubblicava tali osservazioni, impregnate di una certa mestizia dovuta all’indifferenza generalizzata nei confronti delle devastazioni attuate dal progresso. Ce le ha fatte venire in mente quanto sta accadendo in questi giorni qui in Italia, dove a cominciare da Lombardia e Veneto è in via di sperimentazione un test d’irreggimentazione di massa in nome del bene pubblico. Non essendoci alcun nemico visibile all’orizzonte in grado di giustificare uno stato di emergenza, è stato dato grande risalto alla minaccia costituita da un nemico invisibile. Così, per impedire la diffusione di una forma influenzale appena più virulenta di quelle con cui si ha a che fare ogni anno, si è giunti ad istituire zone rosse, posti di blocco, divieti di movimento, sospensione della vita pubblica. Misure eccezionali che potrebbero presto venire estese al resto del paese e che stanno già provocando una sorta di psicosi di massa, con tanto di assalti ai supermercati per accaparrarsi beni di prima necessità e non solo, esaurimento di dispositivi medici di protezione quali mascherine e disinfettanti, aggressioni agli untori con gli occhi a mandorla.
Di primo acchito verrebbe da chiedersi come mai l’Italia risulti essere il terzo paese al mondo (dopo Cina e Corea del Sud) per numero di contagiati dal cosiddetto coronavirus. Si tratta di efficienza del sistema sanitario nazionale, in grado di attuare fin da subito (a differenza degli altri paesi occidentali più negligenti) quei controlli a tappeto che hanno fatto scoprire l’epidemia in corso, o di deficienza della popolazione nazionale, giacché in nessun altro luogo avrebbe potuto attecchire un tale allarmismo? Interrogativo che potrebbe anche essere riformulato in altri termini: l’italica importazione di un timore asiatico è il frutto della dabbenaggine mediatica, a cui la notizia sensazionalistica è scappata dagli indici di ascolto, o è opera dell’arguzia istituzionale intenzionata a sondare la rinuncia volontaria alla minima libertà da parte dei suoi cittadini?
Che un’influenza possa uccidere, non è certo una novità. In un rapporto diffuso la scorsa estate dal Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, riportante i dati relativi all’influenza che ha colpito il paese nella stagione 2018-19, si ricorda che «le infezioni respiratorie acute causate dai virus influenzali possono essere lievi, gravi e possono persino causare la morte nei soggetti a rischio come anziani e bambini». Ciò non significa affatto che febbre e raffreddore siano sintomi letali, giacché «il ricovero e la morte si verificano principalmente tra i soggetti ad alto rischio, che includono donne in gravidanza e chiunque abbia patologie sottostanti come diabete, obesità, malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolari».
Si tratta di una vera e propria banalità: l’influenza in sé non è affatto pericolosa, ma potrebbe diventarlo qualora colpisse chi versa già in condizioni di salute compromesse. Secondo lo stesso rapporto, «nell’intera stagione influenzale, il 13,6% della popolazione italiana ha avuto una sindrome simil-influenzale, per un totale di circa 8.072.000 casi» ed «anche l’impatto di questa stagione, in termini di numero di forme gravi e complicate di influenza confermata, è stato elevato e paragonabile a quello della precedente stagione influenzale. In particolare, nella stagione 2018-19, sono stati segnalati 812 casi gravi di influenza confermata in soggetti con diagnosi di gravi infezioni respiratorie acute e/o sindromi da distress respiratorio acuto ricoverati in terapia intensiva, 205 dei quali sono deceduti. Il 63,2% dei casi gravi è di sesso maschile e l’età mediana è pari a 63 anni. Nell’83,4% dei casi gravi e nell’89,7% dei deceduti era presente almeno una condizione di rischio preesistente (diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità, ecc.)».
Fino ad ora il coronavirus non si discosta affatto dalle suddette caratteristiche, mietendo le sue vittime fra anziani già malati o pazienti debilitati. Che senso ha allora tutto questo allarmismo? Soprattutto se aggiungiamo che le sole infezioni ospedaliere provocano ogni anno qui in Italia circa 8.000 morti (più di venti al giorno!), per non parlare delle 80.000 morti all’anno (più di duecento al giorno!) che le statistiche indicano causate dal tabagismo. Realtà ufficiali che non hanno mai portato a quarantene né a chiusure di strutture sanitarie o a serrate di tabaccai.
Ordunque, se in questo momento l’esercito si trova a pattugliare le strade del lodigiano non è certo per bloccare una pandemia di influenza, quanto per estendere la pandemia di servitù volontaria. Unità nazionale ed obbedienza alle leggi, davanti al pericolo! Fine del dissenso e delle critiche al governo, davanti al rischio! Largo ad esperti e specialisti, davanti alla minaccia! In effetti, al di fuori di paesi asiatici soggiogati da grandi e piccole tirannie, quale altra popolazione poteva andare nel panico per una semplice influenza non essendosi mai curata della quasi totale assenza di piacere nella vita? Quale, se non quella a cui in un passato recente era stato spiegato che un manifestante era stato ucciso da un proiettile (sparato da un agente dell’ordine, ma) deviato dal sasso scagliato da un altro manifestante; quella a cui era stato raccontato che il suo premier si preoccupava delle nipoti minorenni di capi di Stato esteri ora defunti; quella già sottoposta, in occasione di terremoti, a misure che limitano la libertà individuale; quella che da lunghi decenni non conosce più rivolte, ma solo pacifiche e civili proteste vogliose di legittimità istituzionale?
Nel frattempo, dalla Cina giunge anche la notizia che la sospensione di quasi ogni attività lavorativa ha avuto come conseguenza l’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica. Nel giro di poche settimane, la rottura con la normalità quotidiana avrebbe ridotto l’inquinamento di circa un quarto. Grazie alla drastica diminuzione del consumo energetico, i cieli della Cina sono tornati ad essere azzurri.
Ora — al di là del fatto che un eventuale virus che alleggerisca davvero il pianeta da quella fauna parassitaria conosciuta come umanità sarebbe per certi versi una panacea — ciò significa forse che solo una pandemia ci salverà?