L’abbecedario nell’epoca del contagio

Anestesia. Qualcosa che rende inermi. Non pensare. Te lo dicono loro. Non uscire. Ti proteggono loro. Tu sei l’untore. Sei il rischio. Il rischio non fa parte di un mondo programmato. Il programma sta nella realizzazione del dominio. E buonanotte ai suonatori.

Balconi. Se ti dicessero buttati giù. Tu lo faresti? Ormai loro detengono il verbo. Tutto è neutrale. Il virus colpisce tutti. Il tutto diviene il totalitarismo. C’è chi lotta dai balconi. E chi un balcone non ce l’ha? Ecco la perdita dell’immaginario. La morte della creatività. Se il balcone diviene la prigionia. Non sarebbe meglio evaderlo? Buttandosi. Non per morire. Ma per provare a vivere.

Carcere. Morti nelle carceri. Omicidi di Stato. Lo stesso panegirico senza morfina. Rivolta nelle gabbie. Chi sta peggio. Punta al meglio. La libertà. Un momento di sprigionamento. Con i suoi ribelli. Al di fuori. Avere la fierezza di affermare se stessi. Per andare contro se stessi. Il ruolo imposto. Fuori dalle scuole. Fuori dalle parrocchie. Che ciascuno cammini per il proprio piacere. Non abbiamo il tempo di stare al chiuso. Nella gabbia. La vita è breve.

Delatore. Droni nei cieli. Telecamere accese. Sbirri nelle strade. Sempre di più. Sempre più violenti. Spie dalle finestre. Il controllo è il cittadinismo. Oggi con in mano il telefono. Alla ricerca dell’applicazione giusta. Domani con un fucile. Alla ricerca dell’infame bossolo.

Effrazione. Scassare. Scassinare. Sabotaggi. Il virus non ferma chi si vuole riprendere quello che gli è stato tolto. Il silenzio dell’informazione. Non ne sappiamo un granché. Il tasto del giornalista. Come il manganello della guardia. Il coronadigos dilaga. Immunizzare questo morbo. Difficile ma possibile. Con la fine della sicurezza. La dimora dell’identico. Dell’ordinario. E l’inizio della libertà. La casa senza porte dell’imprevisto. Dello straordinario. La fine della merce.

Filo. Ricamare oppressione. Richiede sfruttamento. Tagliare i fili. I collegamenti. Non ricucire. Ormai c’è chi si vede solo in pixel. Se non lo si potrebbe fare. Usciremmo. Relazioni robotiche nell’era della tecnica. Relazioni faccia a faccia nell’era della passione. Si andrà a faccia a faccia con il nemico. Per trovare chi siamo. Intanto. Stacchiamo la spina.

Guanti. Socialmente senza contatto. Forte odore di artificialità. Non sappiamo più toccare le questioni. Un guanto è per sempre. Ma i guanti possono servire anche a proteggersi. Non da un’epidemia. Ma da un mondo di indizi. Buoni per i soliti repressori. Repressione e civiltà. Con i guanti.

Ho. Avere. Possedere. Detenere. E il divenire? Meglio essere. Esserci. Nel tempo. Contarsi. E via di Martin Heidegger senza rendersene conto. Quanti siamo. Si può fare. Siamo pochi. Non si può agire. Essere in pochi. Un altro modo di interpretare la vita. Essere in tanti. Accomodamento. Sentirsi un io perché si è noi. Ed ecco la disciplina. Le secchiate in faccia di realismo. La bruttura del bisogno. Dove il sacrilegio? E l’inimmaginabile? La dissonanza? Andare fuori ritmo. Per non stare al passo del potere. Preferendo l’inesprimibile. Meglio le vertigini. Grazie Arthur Rimbaud.

Invisibile. Qualcosa che non si può vedere. Impercettibile. Ti prende. Ne sei adulato. Certe volte ti spaventa. Mette in quarantena. Il corpo. Diventi un oggetto intoccabile. Come un soggetto. Sotto l’oggetto. Il ruolo. L’untore. La fandonia. Prima e ancora le radiazioni. Il mostro dell’annichilimento. Per fare la guerra al mondo. In una pace fra chi sfrutta. E chi è sfruttato. La sedizione. Oltrepassamento. Non se ne può più del genocidio. Ci avevano detto invisibilità. Ci hanno dato mitopoiesi. Contro tutti i nemici della libertà. Inimicizia cospiratrice. Che pugnali la politica. La sovversione è visibile.

Latente. Rimane nel circostante. Non riesce ad andarsene. Lo strumento. Per non trasformare. Qualcosa che dura da troppo tempo. Ci hanno provato. Dei ribelli. Le sovversive. Hanno attaccato. Altro che difesa. Altro che resistere. Ogni limite è da distruggere. La forza del potere è l’esistenza della sottomissione. Volontaria. Partecipata. Come un valore. In mezzo ad un mondo rinnovabile. Verde come il progresso. Rosso come il sangue delle sue conseguenze. Spazzare via Il virus. Che fa rima con servitù. Non sentite?

Morsa. Da una parte lo Stato ci schiaccia. Dall’altra il virus ci immobilizza. E allora ritorna Bazarov. Un pensiero. Il nulla. Crea. E allora Max Stirner. Partiamo dall’io. Per poi attraversare. Un viaggio. Nelle nostre passioni sfrenate. La catastrofe procede a balzi. Come la storia.

Nascosto. Alla ricerca dell’oro del tempo. Una vita in lotta per fare a cazzotti con le nostre certezze. Una congiura. Anche verso quello che lasciamo di noi. Al Dominio. Inesorabile. Come questo mondo. Omologante. Similare. Dove tutto. Convive con tutto. Altro. Per andare. Dove nessuno è mai passato. Per evocare. Quello che nessuno osa pronunciare.

Onniscienza. Hanno ragione. Il periodo dei Lumi. Con la scienza. Come con la religione. Gli individui sono polvere. E torneranno alla polvere. Basta ragioni. Incatenati all’empirismo. Alle provette. Il mondo. Il laboratorio di sperimentazione del controllo scientifico. Sterile. Come il più insensibile. Darsi all’irragionevolezza della rivolta. Esistenziale. Il salto. Si trova l’onestà. Di guardarsi allo specchio al mattino. Per non vedere il falso. Ma chi nel dolore. Provoca le sue ragioni. Perse nell’ignoto dei sensi. Che ancora si sentono.

Punire. Il sogno di vivere liberi. Minaccia chi? Il potere. L’autorità. Chi è guardia della legge. Qualcosa che sembra immutabile. Scolpita nel tempo. A loro il dovere di reprimere. Il loro vaccino. Sempre quello. Agli amanti della libertà. Il piacere di portare il caos. Scombussolare i piani del nemico. Portare il disordine fra le sue fila. Una scommessa. Niente certezze. Che queste le si lascino ai preti.

Qualità. Dati. Modalità d’uso. Istruzioni. Una sopravvivenza all’insegna dei tecnicismi. Dove la poesia diviene incomprensibile. Facilitazione nel già dato. Fidatevi. Ormai è tutta tecnica. Abbiamo tanti mezzi. Solo mezzi. Ricerchiamo mezzi. E per quale fine? C’è ancora un fine? Questione sconosciuta. Meglio essere replicanti. Funzioni su funzioni. La vita che assomiglia ad una cosa. Profonda materialità. Devastazione dei sensi. Apoteosi dell’oggettivazione. Incubando la fine. Senza un fine. Il gregge. Anche se il lupo inizia a belare. Sempre il gregge. Rinchiuso in confini. Le manette dentro le menti.

Respirare. Gas tossici. Devastazione rinnovabile. Effetti da contagio. I chiavistelli imposti. Le serrature. L’incubo dentro una stanza. Le porte chiuse. I confini si ergono. Fuori è buio pesto. Affannati nell’incredulità. La peste avanza. Eppure la catastrofe è già qui. Le possibilità? O Il possibilismo? Differenza. Abissale. I riverberi. Il ticchettio degli orologi. Da naufraghi ad ammutinati. Per sentire a pieno i polmoni. Per assaporare la vendetta della carne umana. Contro la macchina. E chi la fa funzionare.

SS. Un richiamo. Rimando storico. Nel contemporaneo. Niente di cui preoccuparsi. Ci sarà un ritorno. Alla normalità. All’abitudine. Il ritorno al lager. Il ritorno all’eugenetica. Il ritorno alla difesa dei privilegi. Il ritorno al manganello. Il ritorno al presente che non se n’è mai andato con i suoi lager della democrazia. Con i suoi privilegi dei ricchi. Con la sua eugenetica del dominio tecno-scientifico. Non preoccupatevi. Ieri Schutzstaffel. Oggi Sorveglianza Sanitaria.

Tecnologia. Legati agli schermi. Impantanati alle informazioni. Imbambolati a colpi di touch. O di click. Streaming. La festa della separazione. Il contatto è stato escluso. L’emozione elusa. Senza corpi. Senza pensieri. Pensare? Macché. Ripetere. Meccanicismo. Lo scientismo come unica ancora di salvezza. Sommersi dagli avanzi tecnologici quotidiani. Banalità che si susseguono. Dove c’è banalità si nasconde l’orrore. Il problema non è la tecnica. Ma il suo cattivo uso. Ecco la menzogna contemporanea. La tecnica ingloba l’esistenza. La fa avanzare. Inesorabile. Fetore di carogna. Senza un barlume di critica. Collegati e connessi. Vivi, mai!

Utopia. L’amore dell’imprevidibilità. Le avventure. Qualcosa di inaudito. Ostile a questo mondo. Gli orizzonti illimitati. Nessun risultato previsto. Eresia. Non approva. Non aderisce. Non reclama il consenso. Vive di critica. Non vuole mantenere. Meglio aprire nuovi sentieri. Lontano da strade già battute. Dove finisce la certezza. Si allunga l’ombra del dubbio. Biglietti dall’inferno per poter cogliere le stelle. Come evocò Charles Baudelaire. L’azione è sorella del sogno.

Vaccino. Si nutre di menzogne. Adattarsi alla norma. Contro l’obbedienza. La singolarità. Purtroppo schedati. Marchiati. Limitare i movimenti. Dissuadere l’autonomia. Rendersi sopportabili. La democratica tolleranza. Prima ci volevano spezzare. Oggi ci vogliono curare. Fra controllo e cura. Dove sta la differenza? Come disse Ivan Illich. L’aumento della cura aumenta il numero delle medicine. Sarà contento Big Pharma. Prima e ancora il mondo in uno sputo. Attraverso l’ispezione del DNA. Adesso. Dopo aver incatenato i corpi. Colonizzato le menti. Lo Stato vorrebbe scorrerci nelle vene.

Zattera. Complesso passionale l’individuo. Regresso tumorale il cittadino. Un mondo senza Dominio è impossibile da prevedere. Ogni volta che si riduce a programmare. Un rito. Per esorcizzare la paura dell’ignoto. La gioia è l’avventura del viaggio. Cantare il piacere della rivolta. Contro i pastori della felice novella. Ricercatrici dell’oltre. Sobillatori di idee. L’irriverenza che lancia sfide. Piuttosto che ristagnare. Dove le rovine stanno per seppellirci. Apprestarsi alla demolizione dell’edificio sociale. Evadere dalla realtà. Per aprirsi. Alla deriva.

L’abbecedario nell’epoca del contagio