Coronavirus: in Sardegna non si fermano le industrie della guerra

Qui di seguito, una breve diretta di Radio Onda Rossa sulla mancata chiusura delle industrie di guerra nel quadro del ridimensionamento delle attività produttive non essenziali, con un commento del collettivo A Foras rispetto al caso della Sardegna.

Coronavirus: in Sardegna non si fermano le industrie della guerra

 

Coronavirus: in Sardegna non si fermano le industrie della guerra

Emergenza Coronavirus nella base Usa che ha ospitato i piloti dell’Aeronautica italiana

Salgono a quattro i militari delle forze armate Usa che nelle ultime ore sono risultati positivi al Coronavirus (COVID-19) nella base aerea di Nellis (Nevada) dove si è appena conclusa l’esercitazione Red Flag a cui hanno partecipato migliaia di uomini di Stati Uniti, Germania, Spagna e Italia.

“Tutti i membri in servizio sono stati sottoposti a controlli sanitari e posti in isolamento”, riferisce il Comando di US Air Force.  “Uno di essi appartiene ad un’unità geograficamente seprata del 57° Wing di stanza nella base aerea di Fairchild, Washington. Il Comando dell’Aeronautica militare di Nellis lavora in stretto contatto con le autorità sanitarie federali, statali e locali per assicurare il coordinamento nella prevenzione e nelle necessarie risposte da dare. Si monitorerà costantemente la situazione e si forniranno ulteriori informazioni appena possibile”.

L’allarme nella grande base aerea del Nevada era scattato giovedì 19 quando i test avevano accertato il contagio da coronavirus di “uno dei militari Nato” partecipanti a Red Flag 20-02. “Le operazioni aeree dell’esercitazione si sono appena concluse e il personale partecipante sta per rientrare nelle rispettive basi di appartenenza”, aveva dichiarato il portavoce di US Air Force”. Tra essi ci sono anche i piloti e i tecnici dell’Aeronautica italiana provenienti dalle basi di Pisa, Grosseto, Gioia dl Colle, Amendola, Pratica di Mare e Trapani-Birgi. “Il nostro deployment operativo e logistico in Nevada è stato portato avanti come pianificato, nonostante i concomitanti sforzi organizzativi in campo nazionale nell’ambito delle attuali azioni di contrasto e gestione dell’emergenza COVID-19”, aveva irresponsabilmente dichiarato lo Stato maggiore alla vigilia delle esercitazioni negli Usa.

“Gli assetti italiani, nelle due settimane di esercitazione, hanno realizzato circa 200 ore di volo in un environment addestrativo unico al mondo, implementando l’attività di integrazione di assetti eterogenei dell’Aeronautica Militare in scenari non replicabili su territorio nazionale”, riporta invece la nota di stamani della Difesa che non fa riferimento alcuno all’epidemia scoppiata nella base di Nellis. “Per l’Aeronautica Militare ha rappresentato il più importante evento addestrativo del 2020, per la prima volta in assoluto con tre tipologie di velivoli: gli F-35 del 32° Stormo, gli Eurofighter del 4°, 36° e del 37° Stormo ed il CAEW del 14° Stormo di Pratica di Mare”. L’Aeronautica non ha comunicato eventuali provvedimenti di quarantena per i reparti che rientrano in Italia da Red Flag. Al contrario sono state resi noti nei particolari tutti gli interventi che vedono protagonista la forza armata nella campagna nazionale di contenimento anti-coronavirus. “Sono undici ad oggi le missioni di trasporto effettuate per trasferire in sicurezza pazienti da un ospedale all’altro” scrive lo Stato Maggiore. “Per fronteggiare l’emergenza è stato creato un hub temporaneo presso la base aerea di Cervia, dove sono sempre pronti al decollo elicotteri HH-101 ed equipaggi del 9° e del 15° Stormo, nonché team di medici ed infermieri della Forza Armata specializzati in trasporti in alto bio-contenimento. Sono sei i trasporti effettuati dai velivoli C-130J della 46^ Brigata Aerea per il trasporto di pazienti di Bergamo. In ognuno degli interventi, il velivolo, in stato di allerta sulla base di Pisa, ha prelevato sull’aeroporto di Cervia il team di bio-contenimento, per poi dirigersi verso l’aeroporto di Orio al Serio per l’imbarco dei pazienti.  Nelle ultime due settimane, inoltre, sono stati effettuati altri cinque trasporti di questo genere con gli elicotteri HH-101 del 15° Stormo, con il supporto anche di equipaggi del 9° Stormo di Grazzanise”. Il 19 marzo sono pure atterrati nell’aeroporto di Pratica di Mare il velivolo KC-767 del 14° Stormo ed un C-130J della 46^ Brigata Aerea di Pisa, partiti entrambi all’alba da Colonia, in Germania, con un carico di circa sette tonnellate di attrezzature per l’assistenza respiratoria ed altri apparati di supporto e materiale sanitario.

 

Emergenza Coronavirus nella base Usa che ha ospitato i piloti dell’Aeronautica italiana

Non tutto può essere militarizzato

“Basta spioni sui balconi – abbiamo già abbastanza polizia”

Non serve più raccontare territorio per territorio l’arrivo dei militari.
Sui media locali si può leggere come ogni governatore regionale utilizzi pretesti più o meno ufficiali, decreti legge, DPCM, appigli legislativi di ogni tipo per far sì che le proprie decisioni non cozzino con la famosa Costituzione – e che nessuno metta in dubbio l’utilità di ogni singola decisione che superi a destra i provvedimenti del Governo! I più accaniti sono i governatori leghisti, che non vedevano l’ora di poter utilizzare a piene mani i loro “piccoli” poteri locali per ottenere un territorio come lo hanno sempre sognato.

Da più parti d’Italia compagni e compagne segnalano l’evolversi della situazione con il passar dei giorni, l’utilizzo da parte del potere di espedienti più o meno nuovi. Quel servizio creato da radio come Radio Blackout a Torino, dove da anni gli ascoltatori segnalano quotidianamente i posti di blocco o i controllori sui tram in città, risulta oggi ancora più importante nel momento in cui tutti siamo sottoposti a controllo: ci troviamo a cogliere l’ utilità (in senso stretto) di uno strumento come una radio. Di fronte a veri e propri check-point di militari armati di mitra che non chiedono documenti e basta, ma puntano le pile in faccia, tutta la popolazione diviene criminale appena si trova fuori casa senza un motivo che rientri nelle ordinanze.
Ma accanto ai controlli dei militari sulle strade, o ai droni che sorvolano città e spiagge, lo Stato sta utilizzando anche vecchi metodi per controllare ogni anfratto del territorio; ecco allora che si spolverano i vecchi anfibi di ex carabinieri e gli scarponi della Forestale per controllare i sentieri dove le persone, di solito, si sgranchiscono le gambe. Luoghi in cui, fino a qualche giorno fa, in molti disobbedivano agli ordini allungando magari la strada nell’andare a fare la spesa ed evitando così incontri non voluti con mimetiche o divise di ogni ordine e grado.

Ci stiamo trovando in un territorio militarizzato da Nord a Sud, ma siamo convinti che non tutto può essere tenuto sotto controllo. Chi è abituato a non volersi far notare troverà altri e nuovi accorgimenti nella corsa ad ostacoli per andare a trovare la propria amata o il proprio amato. Escogiterà il modo per non sentirsi il fiato sul collo nelle città programmate al controllo totale tramite non solo le telecamere pubbliche o private, ma anche attraverso tutti quegli aggeggi che conteggiano il passaggio dei pedoni, i lampioni “intelligenti”, i sensori. E troverà il modo di aggirare anche gli sguardi che vengono da balconi e finestre, dai volti di coloro che purtroppo, in questo momento, si trasformano in spioni. Volti di individui che non capiscono che questo stato di cose sarà la normalità e che presto, magari, non avranno più un soldo in tasca perché banche e governi decideranno che saranno ancora una volta gli sfruttati a pagare il terremoto finanziario in atto.
Forse, in quel momento, si ricorderanno che il proprio comportamento era dannoso alla propria e altrui libertà. Comprenderanno che esiste un reale scarto tra padrone e lavoratore, fra l’etica degli uomini e donne liberi e quelli di Stato, e che non saranno solo i cosiddetti sovversivi o untori ad aver bisogno di trovare qualche porta aperta quando ci sarà dà agire in modo illegale per portar a casa la pagnotta.

Legalità e illegalità: questo è un annoso problema su cui forse in un futuro non lontano in tanti si interrogheranno, e che ora è molto difficile da far penetrare nel dibattito pubblico o anche in una semplice discussione al supermercato. Se non rispetti le regole imposte sei prima di tutto un’irresponsabile e meriti una punizione, anche qualora tu riduca i rischi di contagio al minimo e agisca secondo principi di precauzione e responsabilità, fermamente decisa a non barattare in blocco la tua libertà in cambio di una sicurezza immaginaria.
E saranno sempre loro, gli uomini e le donne in uniforme, a stringerci il braccio per portarci nei luoghi dove ora si contano i lividi e le bare, in quei luoghi su cui, nel mondo dei social e sulla carta dei pennivendoli, un sacco di saliva è stata sputata con le parole più indegne. Le carceri si affolleranno ulteriormente con l’ingrossarsi della schiera degli esclusi e con il dilatarsi della presenza militare.

Ciononostante, oggi c’è chi trasgredisce a questo mondo di controllo, e non perché se ne freghi degli altri o dell’influenza Covid-19, bensì perché intravede già che l’oggi sarà il futuro che ci aspetta come norma, e perché essere privati della libertà venendo rinchiusi in una casa-galera non è cosa per tutti. Non è una questione di irresponsabilità.
Non c’è anfibio, drone, telecamera che fermerà chi vede nella mimetica il proprio oppressore e si sa che in questo paese gli sfruttati e le sfruttate hanno sempre trovato modi nuovi, con sorprendenti astuzie, per illudere il controllore di turno.

Non tutto può essere militarizzato

Pisa – #ar-restiamo a casa

Nella città di Pisa è stato diffuso nelle cassette della posta di diversi quartieri il seguente testo.
Non essendoci più molte persone per le strade a cui distribuire volantini, si possono comunque trovare altre vie per continuare a diffondere le proprie idee, tanto più in questo momento.

#Ar-restiamo a casa

Ormai da giorni nei canali televisivi, nel web e nella stampa viene annunciata la crescita continua del numero dei contagiati, dei ricoverati, dei morti. Di pari passo crescono anche la paranoia, l’angoscia e la paura…una paura istintiva, atavica, legata alla sopravvivenza, al timore di morire.
La percezione del pericolo deriva da ciò che ci dicono i media, gli esperti di turno, gli altoparlanti della polizia, che ci intimano in continuazione di RESTARE A CASA, per la sicurezza nostra e degli altri; perché, se non ce ne fossimo ancora accorti, il PERICOLO è potenzialmente presente in ogni vicino di casa o nostro caro, in noi stessi, in ogni fiato che si leva, INVISIBILE agli occhi.
Invisibile, come invisibili ai nostri occhi sono i morti in paesi più o meno lontani o al largo delle nostre coste a causa di GUERRE, CARESTIE, POVERTA’; persone che muoiono a migliaia ogni giorno, sacrificate per mantenere il buon funzionamento di un sistema che effettua vere e proprie invasioni di terre e massacri di popolazioni, giustificandosi con parole d’ordine come “Pace e Democrazia”. Parole usate per nascondere i reali obiettivi: interessi politici ed economici. Invisibile, come invisibili sono coloro che muoiono quotidianamente di tumore causato da fabbriche inquinanti e veleni
che tutti assumono spensieratamente attraverso il cibo, l’acqua e l’aria; o come chi muore ogni giorno sul posto di lavoro … vittime in tutti i casi sacrificate sull’altare della produttività e del progresso.
In questi casi dov’è tutta quell’attenzione alla vita umana?
I responsabili di tutto questo sono coloro che oggi richiamano alla responsabilità tutti noi e che hanno sempre agito e legiferato per proteggere gli interessi di pochi a scapito della popolazione intera. Agli occhi dei più in questo momento gli irresponsabili non sono loro, ma tutti coloro che escono senza un giustificato motivo per strada e nei parchi. Così i trasgressori sono accusati di essere degli untori e poco
importa se invece tanti ancora sono costretti ad uscire di casa ogni giorno per andare a lavorare in catena di montaggio, dove il rischio di contagio è sicuramente
maggiore rispetto a chi passeggia all’aria aperta. Perchè tutto si può fermare, ma mai la corsa dei padroni verso il profitto. Ubbidire passivamente a degli ordini per paura,
non ha mai avuto niente a che vedere con la responsabilità, che piuttosto significa riflettere con la propria testa e prendere decisioni in autonomia. Lo Stato e la Scienza ci ordinano in questo momento cosa fare, fino al punto di non poter uscire di casa, danneggiando la nostra già compromessa libertà e dignità. I calcoli che stanno dietro a tutto questo non sono certo riferibili all’interesse per la nostra salute, ma necessari
ad affermare la loro capacità di gestire senza intoppi la popolazione, applicando misure che vanno al di là delle motivazioni del momento. Se noi rispettiamo oggi queste restrizioni sarà chiaro per chi ci controlla che saremo disposti a rimanere zitti e buoni un domani, quando l’ennesima ordinaria emergenza si ripresenterà nell’interesse dello Stato, del Capitalismo e del Sistema tecno-scientifico. La stretta sulle nostre vite, sulla nostra LIBERTA’ è davvero il giusto prezzo da pagare per non rischiare di essere contagiati o nel caso più remoto di morire? Il vero pericolo è smettere di vivere liberi, non per due, tre settimane o mesi, ma per sempre. Questo è il prezzo che paghiamo e pagheremo se continuiamo a guardare dalla finestra di casa il mondo che va avanti in questo modo, non di certo perché lo abbiamo deciso noi, ma per scelte prese da governanti, tecnici e industriali. Loro sono i veri padroni di questo mondo, perché
padroni delle nostre vite: con il solo schioccare delle dita, Covid o non Covid, possono accorciare il guinzaglio quanto vogliono fino a non farci più respirare, ricordandoci però al tempo stesso che “andrà tutto bene” e che “siamo tutti sulla stessa barca”. E’ necessario ora più che mai spezzare le catene, senza sottomettersi alla prepotenza dello Stato, come i detenuti in rivolta, che con il loro coraggio mostrano a tutti un esempio di dignità.

Australia – ‘Some old things to live by, some new things to live by…’ – Anti-authoritarian ideas to hold onto in these times of virus and crisis

We’re all living quite a situation here. Before the virus had got near most of us, we were thrown into this necessary mode of life called social-distancing. Our lack of knowledge and the speed it has covered the globe and is transmitting within the locations we live has produced feelings of shock, confusion and fear. While these feelings make sense, we should also recognise and counter the tendency that they produce towards individualism and isolation.

Fear. Individualism. Isolation. Currently the circulation of these sentiments is exponentially bolstering the power of the state. As Crimethinc have said, “social distancing must not mean total isolation. We won’t be safer if our society is reduced to a bunch atomised of individuals”. Such an atomised society is the path to least resistance. Even as the virus spreads we must not become too isolated and disconnected from each other to be able to resist state control and the implementation of measures that fuck most of us over in a desperate attempt to save the economy.

We’ve never organised in a situation like this before. We’ve never organised where the idea that to be responsible to each other requires us to stay away from each other is common sense. And yet, we’re still finding ways to set up networks of mutual aid and support, to get supplies to people who need them. As things progress – as what is a medical- scientific issue expands further and further into the terrain of the social – we’ll find ourselves returning to the things we always knew, that we’d learnt in all our experiences of struggle and resistance.

Consider this a simple reminder of some of those things, to keep them in mind now, before fear and isolation means we’ve ceded too much ground to an increasingly authoritarian state.

Disclaimer: These suggestions are not meant to cover the entirety of things to consider in these times. Additionally, this was written from within the territory of so-called Australia with some specific references to the context here. Hopefully it might also have broad relevance for anarchists in other places.

Stick with your crew, look to your neighbours, connect with broader networks of mutual aid and solidarity.

As our concerns move between those closest to us to all of the most marginalised people trying to survive, we can begin to enact mutual aid by building from the relationships of affinity, care and support we already have in our lives. Even if there are people more in need – who we hope to be able to extend support to – skipping steps without being able to look after and organise with your closest crew will result in grand intentions with little capacity to follow through.

So stay in touch with the people around you. Check in on what mental, emotional and physical needs they have. Find ways to support them. And then find ways to organise. But also know that some of the best spontaneous examples of mutual aid arise from relationships you hadn’t considered to be your closest. Reach out to your neighbours and keep an eye on what broader networks of solidarity are starting to form and how you can participate. Or, if you (and your crew) feel good enough and have your shit together, start building towards those networks. If we allow the power we have and our connections to be decimated, when the virus is finally contained the transformed world we step back into will be a terrifying place. Have each others’ backs.

Fuck borders and racist paranoia.

The state-enforced response to the spread of the contagion has resulted in ever more borders proliferating throughout our lives, cordoning off homes, neighbourhoods, cities, regions and countries. These are considered necessary measures for containment – even by ‘radicals’ – so that a sentiment that has white nationalists nodding along in agreement is treated as common sense. But every wall that goes up, no matter how necessary, involves a fear of the dangerous other who lurks outside. In colonial, racist countries such as this, that fear of the unknowable, not-white outsider bringing disease and crime has upheld white nationalism for centuries. The beginnings of the coronavirus outbreak saw the latest wave of anti-Chinese hysteria – an Aussie tradition that goes back to at least the 1850’s.

This is a simple reminder: fuck borders and racist paranoia. We can accept the responsibility of social-distancing without mobilising the sort of sentiments upon which detention centres and the violent militarisation of borders are built. The state’s capacity to shutdown the borders so easily now is a precedent that will be used to ensure an even greater control of people’s movement in future. This containment will prioritise balancing capital’s demands for cheap labour and the paranoia of a racist population. The economy of this country has been built on the labour of precarious migrant labour and international students, yet it always measures them as outsiders against the interests of white society and makes them expendable and scapegoats in times of crisis. Should the state’s stimulus packages exclude these people, our struggles must fight to extend support to them. We must ensure that our solidarity is anti-racist, anti-nationalist and directed to those who have no status or without full (resident/ citizen) status.

Dismantle all capitalist relations.

Every measure that the state proposes in this time is as concerned with the maintenance of the economy as it is with public health. Even now, as governments implement packages that might bring a bit of relief to some of us, the main purpose is to keep the economy ticking over and the property market viable – that is, to ensure that we can keep paying rent. Capitalism has enshrined social relations built on the extraction of maximum value from all and any possible terrain, leading to: the extortion that is the rental market; the degradation of the environment while dispossessing First Nations people of their land; the inequities of access to medical care (even in this country that retains more public health services than many); and of course, the exploitation of our very bodies as a source of labour.

While a return to ‘normality’ will at times seem preferable to the existence we face now, we need to be prepared to resist a return that prioritises the reinstatement of these modes of social relations. We’ve seen how crucial casual and precarious labour is to all sectors of society and how the mass of us who work under these conditions are the first ones to wear the fallout of economic decline. When the peak of virus transmission passes and recovery becomes the objective, government and business will apply all social, moral and material pressure for us to ‘pitch-in’ as workers in their efforts to restore profit-making capacity. There will be sweeteners given to entice us, and these may be hard to turn down in our material circumstances. But we must reject a return to conditions that thrive on alienation and exploitation. Instead, we can build on the collective structures of mutual aid and support – the ones currently getting resources to people in need or pushing towards a rent strike – to assert different forms of social relations in defiance of capital.

Learn about boundaries, ask questions.

This is a time where we need to be able to talk about our needs and boundaries clearly. In our usual day-to-day lives, we’re all implicated in crossing each others boundaries: the negotiations of life and survival within conflicting oppressive systems mean we’re infringed upon and we infringe. We do our best to respect each other, acknowledge and learn from mistakes and build our resilience. But this virus is a stark reminder that how we respect boundaries can have major consequences. Recognise the boundaries people are setting and try to understand the conditions – material, physical health, psychological – that result in the necessity of certain boundaries.

The nature of the contagion has disrupted norms about how affectionate we can be with each other. There’s awkwardness and discomfort as friendships incubated in warm hugs become stand-offish, or as doling out daps all over town becomes frowned upon. Ask questions instead of assuming is common advice in terms of consent around sex and intimacy. Do it now. Here’s a chance to extend our understanding of consent. But also take stock how the boundaries that you set aren’t simply related to what you feel are your individual capacities, but reflect a responsibility to keep those around you healthy and safe. There is no pure individual cocoon, everything is interconnected.

No snitching, ftp forever.

The fear is compelling and true, but we must resist everywhere that it produces reactionary responses. As sentiments of paranoia, self-isolation, righteousness and shaming culture spread, they are opening the door for snitching. In the face of this, we need to build social solidarity and resist authoritarianism, not partake in leaders’ calls to ‘dob in a mate’. Snitching is never ok. Some people are not in the material, social or psychological situation to cordon themselves off in a comfortable home with a fully-stocked pantry. Instead of being boot-lickers, create the structures of support and care that provide an alternative example.

The threat of the virus has become a fear that seeks out the comfortable embrace of the state. Wherever people are demanding more of it, the state responds by doing what it knows best – rolling police out onto the streets and increasing surveillance. As always, it will be marginalised people and communities who have the most to fear, as well as anyone attempting to enact mutual aid and solidarity outside of state control. We should understand well the advice of Plan C that “if we demand security from the state, we disempower ourselves and our communities”. We should realise that if we cede too much ground now, we are allowing the state to set the terms of the post- virus recovery.

So FtP forever and cough on every cop you encounter (not really, there’s better things to do than getting nicked for nothing).

Do your illegal shit as a way to extend resources and support.

What is legal or illegal is most directly about protecting wealth and property from being taken by those who need it most. These divisions of legality and illegality are inextricable from the circulation of capitalist social relations that promote individualism and a profit-driven mindset over forms of collectivity and communalism. Owning multiple houses and charging rent on them is not illegal. Buying every last roll of toilet paper in a supermarket is not illegal. We know that what is legal or not has little relation to our capacity to live with, and provide for, each other.

In opposition to all that, many of us have developed skills and abilities that allow us to survive at the edges of the system. From simply being able to gather food for free or to opening abandoned buildings, to whatever else you feel capable of and have experience in. Use these skills now and build upon them to extend our capacity to provide resources and support to the people around us and to help sustain the larger networks of solidarity that are forming. But be extra careful and prepared. Understand that the conditions of surveillance and policing are changing, amping up as the state has seized this moment to assert its authority. Be brave, be clever, stay strong.

Fuck landlords and hoarders, scam and loot for your people.

Other Readings:

Surviving the Virus: An Anarchist Guide’ from Crimethinc.com

No Security in Times of Crisis’ from weareplanc.org

https://325.nostate.net/2020/03/27/some-old-things-to-live-by-some-new-things-to-live-by-anti-authoritarian-ideas-to-hold-onto-in-these-times-of-virus-and-crisis-autralia/#more-26654

Covid-19 e Stato totale: prospettive da sud

Questo testo è stato redatto nell’arco di qualche giorno; pertanto alcune considerazioni, attuali al momento della loro stesura, potrebbero nel frattempo aver perso pregnanza. Ce ne scusiamo e ci auguriamo che possa comunque offrire spunti utili.

Sono già numerosi gli scritti che offrono un’analisi di ciò che sta accadendo con e intorno la “pandemia” da corona virus e siamo convinti che, seppure con difficoltà, il confronto sull’abisso di domande sollevate dalla gestione dell’emergenza, ci debba impegnare proprio per la radicalità che esso richiede, in termini di pensiero e proposte pratiche.

Mai come ora, o forse, come sempre quando i piani si confondono e si moltiplicano con spaventosa voracità, mettendoci sull’orlo dell’abisso di cui sopra, si vacilla, si sospende il passo. Ma, il dubbio, se opportunamente coltivato, ci suggerisce di diffidare persino (soprattutto?) delle nostre emozioni (partecipi dell’angoscia collettiva che una epidemia, straordinariamente amplificata dai media, provoca, senza per questo dissimulare o ridurre ad accidente il dolore e la paura che ci riguardano o circondano) e affidare, invece, allo spirito critico la nostra bussola.

Le rivolte che hanno incendiato le galere di tutta Italia (i cui echi risuonano, adesso, in quelle di mezzo mondo) ci auguriamo abbiano avuto anche l’effetto secondario di fare a brandelli la retorica che, spesso, indossiamo con tanta solerzia, tradendo pochissima persuasione. Quella parte di umanità rinchiusa che, con l’istinto di chi sa ancora prima che le cose accadano, si è rivoltata, facendo della rivolta l’unica possibilità d’affermazione della vita, ci ha parlato e continua a farlo, a noi che in questo fuori sempre più ristretto, abbiamo comunque il privilegio della scelta. La veggenza degli oppressi non passa dal linguaggio, non costruisce discorsi, ma è richiamo ininterrotto e senza misura. Dedichiamo questo scritto ai rivoltosi e ai quindici morti nelle rivolte di Modena, Alessandria e Rieti, sapendo che di quella stessa ferocia sarà armata la mano del potere nel ridisegnare una nuova geografia di “sommersi” e “salvati”: dove ci troveremo, da quale parte del confine e se in lotta per sovvertirlo, dipenderà da come avremo armato la nostra volontà e dai complici che saremo riusciti a incontrare.

Dunque, tentiamo di essere all’altezza.

Ci sembra di fondamentale importanza dare alcune indicazioni circa la costruzione del nostro sguardo: il punto di vista che informa lo scritto è situato a sud, in Sicilia, e comprende alcune considerazioni sul contesto sociale ed economico che pensiamo essere premessa dell’evolversi del processo di reazione a questo “stato d’eccezione” (in che direzione dipenderà anche da noi). Lo scenario è, quindi, per ragioni d’ordine materiale anzitutto, altro rispetto a quello osservabile in nord Italia. Inoltre, a dispetto di misure fortemente restrittive, non siamo coinvolti, qui, dalla quantità di contagi e di morti cui si assiste in nord Italia -più precisamente, c’è ad oggi, un solo caso accertato di COVID-19 nel territorio che abitiamo; cambiano quindi le domande da porci e le risposte da cercare. Se a nord, soprattutto nelle aree più colpite, è il rischio del contagio il maggiore deterrente a rifiutare misure che in assenza di “pandemia” non avremmo difficoltà alcuna a definire inaccettabili, qui, è, di pari passo a quello, il controllo di polizia (più o meno reale).

La disomogeneità nella diffusione dell’epidemia, corrisponde ad una omogeneità delle misure. Questo punto ci pare essere un ottimo trampolino per fare un salto al di fuori del cerchio.

I materiali ai quali abbiamo attinto sono molteplici (tanti ci sono stati suggeriti in queste settimane di quotidiana corrispondenza con alcuni compagni e compagne a nord e da conoscenti della nostra cerchia di relazioni locale) e vanno da interviste al giurista e allo scienziato “non allineati”, piuttosto che articoli di intellettuali contemporanei, fino a scritti d’area che ci vengono in aiuto dal passato, a sottolineare quanto l’impasse creata dal portato emotivo della possibilità del contagio si sia insediata nel vuoto lasciato da una riflessione radicale sulla salute e più in generale da una ecologia di pensiero che ci permettesse un’organicità dei discorsi e delle pratiche, tutti più o meno coscienti, che altrimenti “avendo perso il senso del ciclo, avendo sovrapposto alla prima natura la seconda (il Capitale), è al Capitale stesso che si richiedono delle ipotetiche soluzioni1. Per riallacciare il filo del discorso, dobbiamo fare un salto indietro di trent’anni, fino agli scritti della Critica Radicale appunto, che, nella loro attualità, ci suggeriscono l’urgenza di riaprire la questione, nonostante il peso degli eventi ci costringa a un passo claudicante e la loro velocità lasci quasi senza fiato.

Col senno di poi, e il conseguente sapore che lascia in testa, la modificazione del decreto legge in materia di vaccinazioni obbligatorie del 2017, oltre a rappresentare un’occasione d’intervento mancata e sottolineare una presenza mancante (la “nostra”?) rivela, adesso, il suo carattere di antefatto.

Un’ultima osservazione andrebbe fatta sulla percezione, sempre più plausibile, della fine di un mondo: che questi giorni non siano più fatti di una materia che conosciamo, che il tempo, fondamento di un accordo tra esseri mortali, cessa d’essere nel momento in cui non è più fisicamente condiviso. La conversione di un tempo insieme, che passa dai corpi, a un tempo virtuale in assenza di corporeità ma con la morte onnipresente, a fare da sfondo, stride con la sua rimozione, con ciò che fino a “ieri”, è stato presupposto filosofico basilare di questa società. Quanto succederà d’ora in avanti, non si reggerà più sulle premesse che conoscevamo: decade, una volta per tutte, il tabù della divisione tra pubblico e privato, si illumina ciò che dovrebbe stare in ombra, le intimità dei corpi, la loro morte, lo stesso sentimento del lutto, impossibile da declinare nelle forme culturali cui eravamo abituati e delle quali siamo espropriati nel momento in cui la morte non ci appartiene, né come individui né come comunità, ma ci riguarda come riflesso di uno sguardo dall’alto.

sulla responsabilità

La responsabilità pare essere più del semplice peso del rapporto causa-effetto,

quasi una scelta di vita, una presa di consapevolezza

di ogni situazione particolare cui segue (..) limpida, sicura, una risposta d’azione accorta

– risposta che sola è il vero potere dell’uomo”.

Sappiamo quanto la responsabilità abbia a che fare con la libertà. Ma è forse necessario ri-frequentare il concetto dopo averlo emancipato dal significato che in queste settimane gli si è sovrapposto.

Il panico morale si è diffuso a partire da una riduzione del concetto di responsabilità a quello di ubbidienza, che in questo caso è coinciso con l’auto-reclusione, accompagnata dal ricorso massiccio alla delazione. Ma sappiamo anche quanto nessun agire responsabile sia possibile in assenza di confronto, nessuna libertà è agibile nell’isolamento. Perciò, è nostro dovere decostruire, per poi rifiutarlo, un concetto di responsabilità che non solo provenga da un’autorità (e come tale diviene legge) ma che sposti il fuoco dell’attenzione da una reale presa in carico della situazione nella sua complessità.

E lo sposti fuori da noi. In un fuori che è in alto. Sopra di noi.

Come mantenere intatte le nostre relazioni, curarle, nonostante l’epidemia, e per farvi fronte? Com’è pensabile la lotta senza i corpi? Ci siamo posti queste domande all’avanzare dei decreti. Abbiamo letto e riletto dati, statistiche sulla diffusione del virus, la sua origine e l’eziologia. Ma perché il virus non prevalga come “reductio ad unum”, oscurando i molti altri livelli e le contraddizioni che la gestione dell’epidemia inevitabilmente lascia emergere, ci siamo sforzati di allargare lo spettro della ricerca e dotarci di quanti più strumenti d’analisi possibile. Nel tentativo di dare fin da subito una risposta pratica di rifiuto all’imposta reclusione, ci è sembrato che insistere sul concetto di responsabilità potesse riportarci da un piano che alla sua origine è (e deve rimanere) individuale, ad uno collettivo, e da lì a una risposta quotidiana all’emergenza; esistono delle misure di sicurezza, preventive del contagio, che implicano una certa distanza e nessun contatto con l’altro. Il principio di cautela, suggerisce di rispettarle perché siano rispettate in ognuno, la paura, piuttosto che la fragilità fisica. Sarà nostra cura interrogare chi abbiamo davanti e trovare o meno un accordo di compresenza e condivisione di uno spazio in comune.

Che la costruzione della pandemia globale possa d’ora in poi affermarsi come precedente, e quindi riproporsi ogni volta con simili conseguenze, ci pone comunque di fronte alla domanda: “possiamo rinunciare al contatto al variare di curve di mortalità o addirittura, rinunciarvi indefinitamente?”

Consapevoli che non può esistere un’unica soluzione che rimane invariata al cambiare dei contesti, dei momenti e dell’evolversi degli eventi, abbiamo continuato a incontrarci insieme a chi, con noi, ha scelto di non rispettare le misure restrittive, cercando di immaginare e concretizzare pratiche che aprano nuovi percorsi di resistenza.

Il punto di vista del nemico: della coercizione come risorsa immediata e di prospettiva

La coercizione generalizzata in atto è chiaramente per lo Stato già un bene in sé, un momento altamente produttivo da diversi punti di vista: sebbene si sospenda eccezionalmente il criterio del profitto2 come l’unico da perseguire nel governo della vita sociale, sembrano centrali altri elementi che l’apparato di potere sta mobilitando: due movimenti convergenti, se vogliamo di teoria e prassi statuale e di governo economico: l’esperimento sociale e la ristrutturazione.

Il primo, riscontrabile soprattutto durante i primi giorni di restrizione generalizzata, durante i quali il comportamento di forze dell’ordine e Protezione Civile è apparso come più orientato all’osservazione e alla raccolta di informazioni sui profili sociali di chi era per strada, molti i giovani, senza interventi repressivi degni di nota3. Informazioni, si può intuire, incrociate ed arricchite con quelle raccolte via internet attraverso il download delle imprescindibili autocertificazioni, con tutto il portato di cookies e dati che ogni nostra connessione trasmette, ma in questo caso quasi esclusivamente verso siti di Stato. Aumentare la pressione sociale quasi al limite della sopportabilità è per lor signori certamente un rischio, e per noi una possibilità, ma vedere come a fronte della contraddittorietà delle misure la maggior parte delle persone si stia accodando sarà una conferma che la ricetta usata è quella giusta.

Ma quali sono gli ingredienti di questa ricetta?

Non sono certamente nuovi, ma, questa volta, utilizzati con un grado di intensità inaudito. Così, sebbene la critica anti-tecnologica dei social network abbia saputo cogliere negli anni passati, tra le altre cose, la loro natura repressiva dietro la facciata friendly, mai come in questi momenti facebook et similia stanno agendo come complementi dei corpi di Polizia. Chi continua, nonostante tutto, ad uscire può toccare con mano la dissociazione di sguardo tra la realtà on-line e quella off-line: mentre i rimasti fuori, ancora numerosi nei primi giorni, notano come non ci siano truppe in numero tale da dare consistenza agli ordini del governo, gli auto-reclusi non fanno altro che ripetere come fuori sia tutto un posto di blocco continuo.

Fonte? Facebook… perché la psico- polizia non sostituisce la Polizia reale ma la integra, ne diventa alias virtuale. Sul piano micro-sociale, una nuova divisione si introduce potentemente, solcando le cerchie di amici/che e avendo conseguenze sulle possibilità della solidarietà presente e futura: la linea di divisione della Paura. Se ogni salto in avanti della storia, sia in senso rivoluzionario che reazionario, è il risultato dell’accumulo precedente di (non) esperienze, è chiaro che la paura anche solo di incontrare gli sbirri è il rovescio della mancanza di lotte degli ultimi anni: decomposizione vitale che crea ulteriore decomposizione.

l’efficacia miserabile e fine a sé stessa di tutte le macchine,

da cui è stata espunta la presenza umana,

realizza col minimo sforzo e ai minimi prezzi di costo l’abolizione dell’uomo”

Giorgio Cesarano – note ’71-‘74

In atto è però anche un processo che trascende quello più prettamente sperimentale ma che pure è immanente ad esso, lo direziona e lo informa: la ristrutturazione capitalistica. Immanente, perché il processo sopra descritto ci dice di una società ampiamente cibernetizzata, in cui per molti la sostituzione tra dato sensibile e algoritmo è già avvenuta nell’approccio conoscitivo anche della realtà immediatamente circostante e perché, in direzione contraria, la raccolta di informazioni di natura psico-sociale serve ad orientare ed ordinare ex ante i futuri sviluppi del controllo totale.

Lo trascende perché, anche se su una linea di sviluppo già data, ossia il tempo automatizzato e invariabilmente in divenire della mega-macchina, il balzo in avanti tecnologicamente equipaggiato verso una vita comunemente imprigionata non si lega più ad una traiettoria storica e ideologica di “progresso”, quanto, piuttosto, ad una prospettiva di contrazione economica pilotata dall’alto. Questa discontinuità ci sembra centrale e ci porta già nell’ “al di là” di un contesto sociale ridisegnato, che influirà sul nostro affacciarci nella tempesta sociale a venire con proposte di liberazione radicale tutte da costruire. Dopo decenni di lavoro ideologico del sistema politico e sindacale volto a far accettare agli sfruttati d’occidente i sacrifici richiesti in vista di una fantasmagorica ripresa e dunque di benefici futuri, oggi nessuno fa più questa promessa. Tutti gli idioti che abboccano all’amo dell’“andrà tutto bene” contribuiscono, in questa cieca fiducia verso l’alto, a preparare il terreno per il peggio. Nessuno dal campo politico promette nulla in cambio della passività di oggi, perché con i movimenti sono scomparse anche le domande della trasformazione (sia riformista che radicale): di nuovo, l’evaporazione (a colpi di repressione e bastonate) di qualsiasi significativa autonomia proletaria o di qualsivoglia raggruppamento di resistenza o di lotta, sono stati i presupposti di questa evoluzione. Si potrebbe sintetizzare così: mentre la maggior parte del campo degli sfruttati dorme ancora sogni indotti di social-democrazia, il campo delle classi dominanti è già, con la testa, in uno scenario di amministrazione del dopo massacro. Sta a noi, ai pochi che restano con gli occhi saldi sulla catastrofe, trasformare la transizione in un campo di battaglia che diventi un incubo per gli ultimi e un’estasi vissuta insieme per i primi. O per chi ci sta.

In altri scritti è stata colta la posta in gioco che il potere vuole conquistare grazie all’emergenza: il 5G, l’ulteriore digitalizzazione della produzione e della distruzione (vedi il suo uso militare/civile). Ci sono validissime ragioni per pensare che il passaggio allo smart working e alla scuola digitale verrà confermato anche dopo la fine dell’emergenza.

Quindi concordiamo anche noi, come sul punto che ci siano mille ragioni che ci spingono a lottare contro questo ennesimo progresso verso l’abisso.

Eppure non possiamo non notare come ci siano già le premesse perché la maggior parte dei lavoratori protetti di oggi e domani accetti di buon grado. È probabile che dopo aver accolto come tecniche e neutrali le misure del governo sull’emergenza, tra cui reclusione, smart working per le élite del lavoro e scuola digitale, ampliare la banda sarà solo lo sbocco normale per moltissime di queste persone. Il tutto condito da una idea di vita bella come un ospedale, che profumi di amuchina.

Quello che rimane in ombra, nei discorsi dei politici come nelle sensibilità assopite, è che già la cosiddetta crisi è un ottimo pretesto per fare sentire agli umani in eccedenza, ai marginali, e ai non valorizzabili- ad es. i disabili che nella scuola digitale si ritrovano già senza sostegno- che sono sacrificabili.

Eppure non tutti i sacrificabili saranno ben lieti di salire sul patibolo della storia di Stato e Capitale, questo ci ricorda che abbiamo delle possibilità da giocarci.

Da qui, è ora?

Abbiamo già scritto che, a nostro parere, il momento richiede un impegno forse inedito per degli spiriti che rifiutano le forzose e arbitrarie barriere imposte dagli Stati: fare mente locale. A fronte della complessità, tanto nella gestione autonoma dei rischi legati all’epidemia quanto nell’affrontare le possibili nostre prospettive di attacco, le limitate capacità di visione e di azione ci spingono a ridurre la misura del nostro orizzonte verso unità geografiche e sociali più elementari. Ovviamente continuando a comunicare e ad arricchire il bagaglio di esperienze del campo di cui siamo parte, quello degli oppressi, nella consapevolezza che il nemico è lo stesso ovunque, contemporaneamente compatto e modulare.

Pensiamo la nostra analisi possa essere applicata, per ragioni di storia comune e simili contesti sociali, culturali ed economici, al sud Italia. Da Sud quindi, le misure draconiane applicate dal Governo, pur nella loro eccezionale novità, possono essere lette con la lente storica di una continuità strutturale: quella della colonizzazione. In situazioni di “normalità” essa si traduce nel predisporre, da parte di Stato e consorterie mafiose e massoniche, questi territori per qualsiasi scorribanda di speculatori legali e illegali che si aggiunge allo sfruttamento militare, alle mille terre dei fuochi e alle altre schifezze su qui questa società si basa; e, inoltre, utilizzo delle popolazioni come bacino di lavoratori da fare emigrare e di sbirri e soldati da reclutare. Quello che rimane per chi resta è l’inquinamento delle discariche, delle divise che presidiano tutto e della mentalità che questo produce: la fatale accettazione delle condizioni date, non incompatibile con una collera individuale buttata giù che raramente diventa rivolta sociale esplicita e diffusa. Nei decenni passati questo modello ha tenuto per dei meccanismi tipici dell’economia extralegale che permettevano alle “borghesie mafiose” di tenere sotto controllo, in cambio della distribuzione delle briciole e infimi lavoretti, quello che è stato definito proletariato fluttuante: un settore sociale molto ampio a cavallo tra proletariato e sottoproletariato, che si barcamena tra lavori extralegali e lavori precari ugualmente squalificanti. Questa struttura sociale che assorbiva in maniera intelligente e versatile diverse funzioni di potere- repressione delle spinte ribelli, accaparramento di voti clientelari per tutti i partiti istituzionali, messa a valore dei territori e ipersfruttamento dei lavoratori- ci sembra, per ragioni che non possiamo qui approfondire, si sia negli ultimi anni sfaldato. Non si è però disgregata la legislazione penale di emergenza contro la mafia, vero fiore all’occhiello dello Stato Italiano, né l’ideologia sociale che la sostiene. Risultato: gruppi, spesso di giovanissimi, che provengono dai quartieri popolari e che rimasti orfani della struttura economica di protezione precedente, tentano effimeri esperimenti di auto-organizzazione criminale, finendo però facilmente arrestati con accuse di associazione mafiosa. Con l’immancabile contributo della mostrificazione mediatica che alimenta, dall’alto verso il basso, meccanismi di razzistizzazione delle classi subalterne e oscuramento delle cause sociali strutturali del c.d. crimine.

Processi che sono alla base del dato su chi abita le carceri: la metà vengono da Sicilia, Campania, Puglia e Calabria4. E che spiegano, fuori dalle mura delle patrie galere, a quale domanda politica e sociale risponda l’erogazione del Reddito di Cittadinanza: il controllo delle masse del proletariato fluttuante meridionale, eterna classe pericolosa. Repressione penale, prevenzione e controllo da parte dello stato sociale (di polizia), due lati della stessa medaglia: lo Stato Italiano, lo stesso dalla legge Pica, passando per Dalla Chiesa, fino a Bonafede.

Ma torniamo alla cosiddetta emergenza. Già ad uno sguardo “laico” appaiono delle stranezze sul contenuto e l’effetto dei decreti: non bisogna infatti essere anti-statalisti per cogliere l’incongruenza di misure restrittive omogenee a livello nazionale per contrastare una situazione drasticamente eterogenea sul piano della diffusione del contagio. Se però abbandoniamo uno sguardo nudo per sceglierne un altro, il nostro, meglio preparato agli eventi in corso, ci si accorge subito di come la situazione attuale corrisponda a quella prefigurata dal rapporto Nato Urban Operation 2020, su cui da circa 15 anni è presente nelle distribuzioni di movimento un ottimo scritto di analisi5. Sebbene i think tank dell’apparato militare americani dessero la conflittualità sociale degli spossessati come antefatto e il loro intervento militare come risposta posteriore- forse, nel 1999, neanche loro potevano immaginare simili risultati di rincoglionimento di massa da parte di internet e social media- i problemi emergenti dello sviluppo di capitale in questi due decenni avranno convinto eserciti, stati e classi dominanti, a indirizzare verso nuovi obiettivi l’esperienza e gli armamentari accumulati: siamo troppi, il pianeta non ce la può fare, qualcuno (molti) devono morire fin dentro la fortezza Europa. Questo abominio indicibile è in realtà detto, anche con una certa onestà, pure da esponenti della morente e impotente intellettualità, sarebbe imperdonabile che rivoluzionari, o come vogliamo chiamare le nostre sensibilità ucroniche e utopiche, sorvolassero sulla cosa6. Leggendo i contributi di movimento scritti da che si è spaccata la storia sotto i nostri piedi, ci siamo imbattuti molte volte nella descrizione dei possibili scenari, del dopo- ristrutturazione, e dei margini di conflitto e attacco “una volta che tutto questo sarà finito”; o ancora nella generosa (ma anche un po’ retorica, no?) autocertificazione di un’etica inscalfibile di ostilità presente e futura verso questo mondo. La storia e la tradizione degli oppressi ci insegnano però che i momenti concitati della stessa ristrutturazione capitalistica sono terreni fertili di conflitto e di semina di ideali rivoluzionari e utopici, nell’ambito dell’auto-organizzazione e della solidarietà tra ribelli. Si tratta di tentare di capire con un apprezzabile anticipo sugli eventi, quando, come e dove questi avranno luogo, che ruolo potremo avervi, per non lasciare al nemico, tutto intero, quello spazio che si approssima che chiamiamo futuro. È quindi più interessante, perché necessario e utile, analizzare le specifiche condizioni, materiali e morali, dello scontro futuribile.

Il potere gettò la maschera, gli oppressi dettero di muso in sciabole fucili e gas

il mondo si spaccò visibilmente in due non crederò mai abbastanza in quello che si vede

la fame reale o metaforica che sia può restare fame mille anni covare fame e figliare fame

ma la collera la rabbia è un virus di fuoco che può in ogni momento

non si deve dimenticare che può in ogni momento rovesciare l’asse del mondo”

G. Cesarano – Le notti delle barricate

La storia dello sviluppo di capitale è costellata da crisi, ristrutturazioni e conflitti; quella i cui effetti si stanno mostrando visibili è, per capacità di trasformazione, paragonabile alla prima ristrutturazione capitalistica su vasta scala della storia, quella dell’enclosures. Nel passaggio da un assetto sociale di produzione e riproduzione ad un altro, come nel caso dei commons privatizzati, Stato e classi dominanti hanno dovuto governare contraddizioni di ordine demografico e sociale che sorgevano nel processo. Il primo macchinismo industriale nell’Inghilterra del ‘700 rendeva infatti superflui, ai fini della produzione, gran parte dei salariati disponibili, il clima di malcontento e generale ribellione li rendeva pericolosi. È probabile che anche oggi le classi dominanti si trovino ad un tale bivio. L’automazione ulteriore, la robotizzazione, le tecnologie convergenti, i mezzi senza pilota, di cui il 5G è presupposto infrastrutturale, disegnano un (tecno)mondo basato su una espulsione di buona parte degli umani attualmente al lavoro con conseguenti problemi di gestione demografica e di ordine pubblico. È probabile che i nostri nemici lo sappiano bene e stiano cercando di prevenire questo problema, utilizzando la gestione dell’epidemia in quest’ottica: è solo una coincidenza che il governo abbia approvato il decreto di reclusione per tutta la popolazione proprio il giorno dopo le rivolte nelle carceri di tutta Italia?

L’Inghilterra di inizio ‘700 aveva optato per una deportazione di massa degli indesiderati inglesi e irlandesi verso le colonie di oltre mare, un continente che la mentalità razzista della corona inglese vedeva come vuoto. Ma oggi non c’è un altrove verso cui deportare gli umani indesiderati, né è pensabile che il dominio reale e totalitario del capitale tolleri delle “isole” in cui sperimentare forme di vita altra. È per questo che lo scenario più probabile ci sembra quello di uno scontro diretto e senza mediazioni. Da questo punto di vista, la situazione attuale è tatticamente e strategicamente ideale per sgherri ed esercito che cominciano a far volare i droni su tutte le città, anche quelle con un basso impatto del virus7.

D’altronde è probabile che l’esplosione arrivi prima dal lato sociale. L’abbiamo già detto, le carceri disseminate per lo stivale sono le succursali degli slums d’Italia, soprattutto del Sud. Il fatto che queste siano esplose una decina di giorni fa è già un segno che anche da questa parte delle mura, tra i dannati dell’italico suolo, la rabbia stia covando e l’innesco di nuove esplosioni potrebbe essere il prolungamento delle misure di limitazione della libertà. In questo caso, con il peggioramento delle condizioni materiali, con i soldi che finiscono per cibo e beni di prima necessità, la paura del contagio e dei controlli di polizia potrebbero non bastare a trattenere in casa molte persone.

Sarà allora che dovremo esserci, col nostro bagaglio di esperienze e di contatti maturati nel frattempo. Non dobbiamo però fare l’errore di pensare che ci sarà una “ora X” in cui tutte le contraddizioni del mega-dispositivo emergenziale saltino in sincrono, è più probabile, semmai, il presentarsi puntuale di momenti di tensione. In realtà, a ben guardare, quello che stiamo qui descrivendo è già iniziato8.

Per queste ragioni, chi fin dall’inizio di questa emergenza si è mosso, tentando di coagulare un gruppo di affinità o di resistenza, e mantenendo gli occhi aperti e ben direzionati sugli eventi, sarà sicuramente avvantaggiato dal punto di vista della raccolta di informazioni, capacità di circolare nei territori ecc. Col passare dei giorni anche altre persone potranno rendersi disponibili all’incontro e ad una prospettiva nuova di confronto e azione insieme. Sapere quello che succede in giro, specie in città, è veramente difficile se si è in casa o anche se gli incontri avvengono sempre al chiuso, arriverà quindi il momento in cui si dovrà decidere se, quando e in quale modalità violare le imposizioni in maniera pubblica. Questo avrà il risultato di far sapere a chi è in casa, con sempre più frustrazione, che fuori torna la vita, che la diserzione è possibile, che non si è soli. Mettersi insieme contro lo Stato, prendersi cura gli uni degli altri, farà rinascere reti di vicinato e solidarietà impensate solo fino all’altro ieri, ma è bene che fin da subito si cominci a pensare progettualmente ai luoghi e ai tempi della lotta e della vita nuova. Ampliare la rete fino a coprire il più ampio spettro possibile delle fasce sociali di oppressi, dev’essere la stella polare di questi raggruppamenti. La sfida del momento è molto ambiziosa, richiede capacità di lettura della realtà che negli ultimi anni, è inutile negarlo, si sono perse nelle routine anarchiche da circolo o occupazione e nelle polemiche, non sempre interessanti, di area.

Le prigioni in fiamme delle settimane scorse ci dicono anche dell’intelligenza istintuale, di una capacità di leggere la propria situazione che sono tutt’uno con una condizione corporea e sociale che produce rabbia. Una capacità che fuori quasi tutti abbiamo perso, forse anche tra le nostre fila. Siamo però sicuri che le scosse di quella stessa collera, una simile intelligenza istintuale, martelli i cuori e le teste di chi per condizione sociale di nascita vive in quartieri che sembrano collegati da porte girevoli alle carceri delle città. Una connessione, non via cavo, che fa sentire sulla propria pelle l’ingiustizia per i morti delle carceri, i propri morti.

Dovremmo coltivare anche noi una simile condizione.

Non è un caso che, in un momento in cui la civiltà capitalistica sembra coronare un sogno millenario di abolizione del corpo (e dei corpi oppressi), sia proprio questo una possibile fonte di conoscenza altra, come se fosse lo scrigno di tutte le esperienze negate della Storia; come se un’altra memoria vi fosse iscritta, quella dei tormenti di un’umanità altrimenti giocosa. È la rivolta forse- tra le altre cose- la chiave per aprire questo scrigno?

Le possibilità sono, fino a un certo punto, indipendenti da noi, la volontà è la forza che dà consistenza e vita a quel “noi”. Senza di essa saremmo dei contenitori di bisogni corporei, già cose, quindi, amministrabili. Prima delle battaglie da combattere alla luce, con i nostri simili, c’è questa, singolare, che ognuno deve combattere con le ombre interiorizzate del Capitale.

Solo dopo, potremo davvero e finalmente uscire.

1 Riccardo D’Este, “A.I.D.S. -La malattia come espressione della fasi della civiltà”, maggio-giugno 1994
2 La produzione, quindi il profitto, continua ad essere garantito per la maggior parte delle multinazionali presenti sul territorio nazionale, industrie militari in testa. Continuano a lavorare gli stabilimenti Philipp Morris: fatto curioso, e indicativo della schizofrenia di questa società, in un momento di pandemia che attacca i polmoni.
3 Abbiamo raccolto queste informazioni, oltre che con l’osservazione diretta sul nostro territorio, anche grazie alla corrispondenza telefonica con compagn* del Nord Ovest e Nord Est d’Italia.

Ein Spaziergang am Rand… ein Sprung ins Nichts

Die Geißeln sind in der Tat eine gewöhnliche Sache, aber man glaubt kaum an Geißeln, wenn sie auf den Kopf fallen. In der Welt hat es zu gleichen Teilen Seuchen und Kriege gegeben; und doch erwischen Seuchen und Kriege die Menschen immer unvorbereitet.
(Albert Camus, Die Pest)

Chaos… oder nicht?

Die Ankunft der Epidemie in Italien ist der Ausgangspunkt einer noch nicht bekannten Umwälzung. Die Wirtschaft bricht zusammen. Hunderte von Milliarden Euro sind verschwunden. Die Geschäfte werden geschlossen. Öffentliche Ämter, Schulen, Sporthallen… alles ist blockiert. Nur Supermärkte und Geschäfte für den grundlegenden Bedarf bleiben geöffnet und werden täglich geleert. Die Menschen gehen meist aus dem Haus nur zum Einkaufen. Aus Angst sprechen sie nicht miteinander, jeder versucht, so schnell wie möglich es alles zu erledigen. Es scheint als wäre ein vor-apokalyptisches Szenario zu sein, manche könnten denken, dass dies das Vorzeichen zu einer Periode des Chaos ist. Doch die heutige Situation scheint ganz anders als chaotisch: Millionen von Menschen geben es auf, ihren Haus im Namen einer kollektiven Verantwortung voller Patriotismus zu verlassen, der Staat befehlt und die Bürger gehorchen; einige aus Angst, andere, um Vergeltungsmaßnahmen zu vermeiden. Beziehungen werden meist durch Computermedien vermittelt, und der menschliche Kontakt ist Verstoß der kollektiven Gesundheit geworden. Die Wirtschaft orientiert sich an webbasierten Plattformen, große multinationale Unternehmen verwalten den gesamten Warenverkehr und Supermarktketten werden zum Hauptbezugspunkt, um die Bedürfnisse zu befriedigen. Der Unterricht erfolgt über eine Fernverbindung, sicherlich werden die Klassenzimmer jetzt ruhig sein… Was wäre bei all dem chaotisch?
Natürlich ist die Lage in den Krankenhäusern alles andere als unter Kontrolle, aber warum sollte es so überraschend sein, hat sich der Staat jemals um die Gesundheit der Menschen gekümmert? Krankheit ist mehr als eine Bedrohung sondern es ist eine Gelegenheit zu Profit oder Kontrolle.

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Doch wir wissen auch, dass sich in ihrer Ordnung, direkt unter der Oberfläche, Unordnung, Rebellion, das Gefühl des verleugneten Lebens, mehr oder weniger erreichbar und verständlich für das individuelle Gewissen, verbirgt. Es gibt ein unausgesprochenes Potential in Bezug auf den Wunsch. Je mehr dieses Potenzial verbannt und verleugnet wird, desto gefährlicher wird es, denn es könnte jeden Moment in Brand geraten. Oder vielleicht auch nicht, vielleicht ist schon alles verloren, nur wir (wer ist wir?) empfinden noch Leidenschaften und Wünsche?
Doch wenn keine der beiden Möglichkeiten die individuelle Entscheidung ändert, den Angriff auf die Macht fortzusetzen, ändert dies die Art und Weise, wie wir die Idee der unausweichlichen ewigen Reproduktion des gegenwärtigen Zustands der Dinge ablehnen können. Geben wir Kraft, indem wir versuchen die erstickte Spannung wahrzunehmen, der Idee dass eine andere Welt möglich ist bzw. dass dies nicht die beste, die einzige mögliche Welt ist.

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Alternative oder Mitverwaltung?

Wie es jedoch in vielen historischen Momenten geschieht, in denen die Autorität des herrschenden Gesellschaftssystems nicht an der Wurzel untergraben wird, gelingt es der Alternative kaum, die Wege der Andersartigkeit zu beschreiten, um sich häufiger im Elend der Mitbestimmung zu verfangen.
Was bedeutet es heute, bei der Verteilung von Masken zu helfen? Es würde bedeuten, dass man entweder mit dem Zivilschutz und der Stadtverwaltung verabredet und koordiniert handelt oder dass die militärische und polizeiliche Repression vor der Tür steht, weil Gesetze und Erlasse, die das Verlassen des Hauses verbieten, verletzt werden.
Dieses Sozialsystem hat eine Welt geschaffen, in der 7-8-9 Milliarden Menschen leben. Wie Huxley in seinem prophetischen Roman “Die neue Welt” sagte:

Stabilität. Es gibt keine Zivilisation ohne soziale Stabilität. Es gibt keine soziale Stabilität ohne individuelle Stabilität.
Die Maschine dreht sich, sie dreht sich, und sie muss sich immer weiter drehen. Fall sie aufhört, es ist der Tod. Eine Milliarde Menschen kribbelte auf der Erde. Die Räder begannen sich zu drehen. In einhundertfünfzig Jahren gab es zwei Milliarden Menschen.
Halten Sie alle Räder an. In hundert-fünfzig Wochen gab es nur noch eine Milliarde; tausend von tausende von tausende Männer und Frauen verhungerten. Die Räder müssen sich regelmäßig drehen, aber sie können sich nicht drehen, wenn man um sie sich nicht kümmert. Es muss Männer geben, die um sie sich kümmert, Männer, die so beständig sind wie die Räder an ihren Achsen, zurechnungsfähige Männer, gehorsame Männer, stabil in ihrer Zufriedenheit. Sie schreien: ‘Mein Kind, meine Mutter, meine einzige, meine einzige Liebe’; sie stöhnen: ‘Meine Sünde, mein schrecklicher Gott’; sie schreien vor Schmerzen, zittern vor Fieber, sie jammern ums Alter und Armut, wie können sie die Räder pflegen? Und wenn sie die Räder nicht pflegen können… Es wäre schwierig, die Leichen von tausend von tausende von tausende Männern und Frauen zu begraben oder zu verbrennen.

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Was sind unsere Probleme und wessen des Dominion?
Müssen wir das Problem der Umweltverschmutzung lösen? Wir haben uns nicht an Biologie inskribiert, sondern wie reißen um eine Fabrik stillzulegen einen Hochspannungsmast ab.
Müssen wir das Problem der Armut lösen? Wir finanzieren keine ethische Bank, wir rauben sie aus und versuchen, die Welt des Handels und auch die der “Fair-Trade”-Fälschungen zu zerstören.
Müssen wir das Problem der Krankheiten lösen? Wir studieren nicht Medizin, wir versuchen, dieses soziale System aufzubrechen. Denn revolutionäre Aktionen strukturieren das Gefängnis nicht um, sie verbessern es nicht. Sie reißen es nieder, um Leeres zu schaffen, um eine Chance dem Leben aufblühen zu geben.
Tatsächlich kann Andersartigkeit nur dort entstehen, wo die Macht des Staates nicht existiert, und sie erstickt, wenn diese Räume, in denen sie zu keimen versucht, sich nicht ausdehnt, sondern auf kleine kontrollierte Taschen beschränkt bleibt.
Leider werden die Toten durch diese Welt, durch unsere kollektive Lebensweise – ja sogar des Überlebens – verursacht. Nicht durch unsere individuelle Wahl des Kampfes. Und eine Revolution ist mit Blut und Tod gepflastert, denn das ist die Bedingung, in die dieses Gesellschaftssystem die Menschheit versetzt hat: ohne sie geleugnet die Existenz. Wie könnte die Menschheit ohne die Wissenschaft der Kernenergie existieren, von dem Moment an, in dem das erste Kraftwerk eingeschaltet wurde und der erste Abfall produziert wurde? Der Preis für die Entscheidungen derer, die vor uns gelebt haben, wird noch viele Jahre auf die Zukunft fallen, aber wenn wir nicht jetzt damit beginnen, die Schuld des Leidens zu bezahlen, wird das ins gesamte Leiden nur noch größer.

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Die Notbremse ist eine Gefahr.
Wenn wir es jedoch nicht anpacken, wird die Bevormundung unser Leben weiter vertiefen, verändern und uns materiell beherrschen. Eine Mitverwaltung ist aus diesem Grund nicht möglich zu akzeptieren oder den Konflikt, der eigentlich dauerhaft sein sollte, aufzuschieben: denn die Katastrophe gehört ihnen und sie müssen dafür bezahlen. Und es muss damit aufhören.
Diejenigen, die eine Welt der Freiheit wollen, sind nicht für die Massaker der herrschende Klasse verantwortlich, auch nicht für die, die morgen oder nach dem Zusammenbruch der Herrschaft stattfinden werden. Natürlich dürfen wir die Konsequenz zwischen Mittel und Zweck nicht aus den Augen verlieren, aber wir müssen auch in der Lage zu sein die Welt mit einer gewissen Distanz betrachten zu können.

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Allerdings ist es auch wahr, dass das Tempo dieser Tage besessen ist und das Bewusstsein für die Katastrophe den meisten Menschen immer deutlicher wird. Was wird geschehen, wenn die Angst das Feld dem Wunsch nach Hoffnung oder der Hoffnung des Begehrens verlässt?
Eine unerwartete Welt
Und dann? Eine solche Situation erwischt einen unvorbereitet.
Als Liebhaberin der Freiheit streben wir danach, dass die Komplotte dieses Notstandsregimes an einer unkontrollierbaren Brutstätte der Leidenschaften zerbrechen. Wir fragen uns aber auch, wie sich die Interventionsmöglichkeiten ändern, wenn eine ganze Reihe von Garantien, insbesondere die materiellen, verweigert werden oder einfach nicht mehr durch das Sozialsystem und seine Funktionsweise garantiert sind. Wie können wir weiterhin Beziehungen unterhalten und uns organisieren, wenn wir in großen Entfernungen leben? Wie ist es möglich, Ideen zu verbreiten, ohne sie im virtuellen Raum der Meinung zu zerstreuen, wenn es schwierig ist, außerhalb eines Bildschirms zu kommunizieren?
Außerdem, wenn die Kommunikation und das Gedächtnis ausschließlich den sozialen Netzwerken anvertraut werden, die die Macht haben, alles plötzlich zu eliminieren und zu zensieren, wie können wir dann die Erinnerung an das Geschehen bewahren, das durch die Nachrichten der ewigen Gegenwart bombardiert wird? Mit welchen Mitteln kann man dies autonom tun, wenn Druckereien und Druckereien per Verordnung geschlossen werden? Und welche Risiken birgt der Versuch, dieses makaber Schweigen zu brechen?

Rückblickend

Ein Blick in die Vergangenheit könnte in dieser Zeit ein guter Ausgangspunkt sein, um zu versuchen, sich an den zu treffenden Entscheidungen zu orientieren. Aber ohne den Geist, die uns eine neue und einzigartige Perspektive bietet, von der Gegenwart abzulenken.
Die Erfahrungen von Einzelpersonen und anarchistischen Gruppen in der Vergangenheit könnten uns darüber aufklären, wie wichtig es ist, über verschiedene Fähigkeiten, Kenntnisse und Mittel zu verfügen, die es ermöglicht haben, dem Staat und seinen Repressionsmitteln das Leben schwer zu machen.
Selbst in Zeiten des Krieges oder der Militärdiktatur, als die Bedingungen der Prekarität viel radikaler waren als heute, gibt es diejenigen, die es geschafft haben, weiter zu kämpfen, Ideen der Revolte zu verbreiten und sie in die Tat umzusetzen. Aber was sind diese Phantom-Mittel und Fähigkeiten, von denen wir vorhin gesprochen haben? Ein Beispiel, das so trivial wie offensichtlich erscheinen mag, ist die Möglichkeit, Papiermaterial in großen Mengen und in kurzer Zeit selbstständig zu drucken, um es schnell verteilen zu können.
Im zwanzigsten Jahrhundert war es üblich, dass diejenigen, die eine Zeitung schrieben, auch über das Wissen und die materiellen Mittel verfügten, um die zu verteilenden Exemplare drucken zu können. In vielen Städten gab es geheime Druckereien, in denen Gefährten ihre Flugblätter, Plakate, Broschüren, Bücher und so weiter drucken konnten. So war es zum Beispiel in vielen Städten Russlands zur Zeit der zaristischen und bolschewistischen Herrschaft oder in Argentinien unter der Diktatur Uriburu, wo ein Severino di Giovanni – als Untergetauchter – in kurzer Zeit vom Bankraub zum Druck von Büchern und Flugblättern übergehen konnte.
Andere Möglichkeiten hängen mit der gründlichen Kenntnis des Territoriums in dem man lebt, zusammen und mit dem Wissen, wie man sich darin unbemerkt bewegen kann. Mann denkt an ein Caracremada, der es jahrzehntelang gelang, in Begleitung oder allein auf französischem Gebiet Sabotageakte durchzuführte und jedes Mal die Pyrenäen überquerte, um nur wenige Wochen später nach Frankreich zurückzukehren. Während Formen der Kontrolle in der Geschichte sicherlich unterschiedliche Gestalt annehmen, könnte das Nachdenken über die Bedingungen derer, die sich ihnen in der Vergangenheit entzogen haben, eine Vorbereitung auf die Entwicklung von Fluchtformen in der Gegenwart zu sein. Wie verbindet man die Kenntnis des Territoriums mit der zeitgenössischen Neigung zum Nomadenleben und zur ständigen Bewegung im Weltraum? Was wäre, wenn die derzeit verhängten Beschränkungen ein Anreiz wären, zu lernen, sich klug durch ein Gebiet zu bewegen und dabei irgendwie es zu vermeiden, aufgehalten zu werden?
Doch das ist nur mit der Zeit und nicht sofort möglich. Und welche Szenarien sehen wir nun vor uns?

Ein Blick auf morgen

Zur Vereinfachung, vielleicht bis zum Exzess, gibt es nur zwei Alternativen. Natürlich können wir mit unserem Handeln eingreifen, wir sind nicht von den Ereignissen überholt worden oder wie warten nichr darauf, dass die Geschichte ihren Lauf nimmt. Unser Wille hat ein Gewicht und spielt eine Rolle bei dem, was geschieht, sowohl in der Nähe als auch in der Ferne. Die erste Möglichkeit besteht darin, dass es dem Dominion gelingt, seine eigene neue Stabilität zu finden, die Situation zu normalisieren und seine Welt und die von ihr produzierten Beziehungen weiterhin zu reproduzieren. Die andere ist, dass dieses Dominion beginnt, Teile zu verlieren, sich in immer größere Instabilität zu schrauben, unaufhaltsam zusammenzubrechen.
Die Zeiten könnten sich für ein oder anderen Szenario echt schnell als unerwartet offenbar.

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Im ersten Fall wäre es notwendig zu verstehen, was es bedeutet, in einem solchen Ausnahmezustand zu leben und einen Weg zu finden, um in Zukunft nicht durch solche äußeren Beschränkungen blockiert zu werden. Es gibt immer ein nächstes Mal.
Lassen wir uns überlegen, was passieren würde, wenn bestimmte Webseiten in Zukunft verdunkelt und ausgefiltert würden. Oder wenn unsere Handy-SIM-Karten deaktiviert wurden. Wir wären dumm. Heute mehr denn je, da wir nicht einmal eine Möglichkeit zum Drucken haben, weil wir von Druckereien und Kopierläden abhängig sind und vielleicht nicht einmal mehr die Adressen der Menschen haben, mit denen wir kommunizieren möchten. Wir denken auch über all jene Elemente von Wissen und Fähigkeiten nach, die wir im Laufe der Zeit und nicht in einem Notfall entwickeln müssen. Heute haben wir, was wir haben, unsere Grenzen und unsere Unwissenheit. Oder vielleicht fühlen sich stattdessen andere Personen bereit? Und wie wollen wir uns morgen fühlen? Und was wollen wir tun können?

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Im ersten Fall wäre es notwendig zu verstehen, was es bedeutet, in einem solchen Ausnahmezustand zu leben und einen Weg zu finden, um in Zukunft unseren Handeln nicht durch solche äußeren Beschränkungen blockiert zu werden. Es gibt immer ein nächstes Mal.
Denken wir darüber nach, was passieren würde, wenn bestimmte Webseiten in Zukunft verdunkelt und gefiltert würden. Oder wenn unsere Handy-SIM-Karten deaktiviert werden. Wir wären stumm. Heute mehr denn je, da wir nicht einmal eine Möglichkeit zum Drucken haben, weil wir von Druckereien und Kopierläden abhängig sind. Und vielleicht nimmer die Adressen der Menschen, mit denen wir kommunizieren möchten, haben. Wir denken auch über all jene Elemente von Wissen und Fähigkeiten nach, die wir im Laufe der Zeit, und nicht nur  im Notfall, entwickeln sollten. Heute haben wir, was wir haben: unsere Grenzen und unsere Unwissenheit. Oder vielleicht fühlen sich stattdessen Anderen bereit? Und wie wollen wir uns morgen fühlen? Und was möchten wir wissen?

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Im zweiten Fall sollten wir in der Lage sein, erstens zu überleben und zweitens dafür zu sorgen, dass das Dominion nicht in anderer Gestalt wieder auftaucht. Die Stadt ist leicht isoliert und nicht fähig, sich selbst zu versorgen: Sie braucht Vorräte, die von außen eingebracht werden, um weiter existieren zu können.
Die Stadt ist im Grunde ein Ort, der sich plötzlich als unwirtlich erweisen könnte, weil er nach dem Bild und der Ähnlichkeit der Mächte, die ihn geprägt haben, gebaut wurde und daher nur für diese funktional ist. Die Beziehungsnetze könnten schnell zerstört werden, wenn man an Orte flieht, wo ein Auskommen noch möglich ist, wo es nicht nur Beton gibt. Wenn Benzin unmöglich zu bekommen ist und vielleicht auch gar telefonieren oder E-Mails schreiben, wird ein Zusammenleben notwendig, um gut zu leben und gemeinsam zu verschwören. Man aussucht die Menschen, mit denen man zusammen sein wollen, denn die Zukunft kann ungewiss sein. Wenn wir hoffen, dass die Antennen verbrannt werden und die Infrastruktur zusammenbricht, müssen wir herausfinden, wie und wo wir unser Leben neu erfinden können. Und vielleicht sollten wir anfangen, uns diese Fragen zu stellen, auch wenn wir immer gedacht haben, dass das Problem der Zerstörung so allmächtig wäre, dass wir uns in unserem Leben nie andere Fragen stellen müssten. Und anfangen, etwas zu besäen, denn es ist nicht unbedingt so, dass es bei einer Just-in-Time-Produktion immer noch Nudel-Lagerhäuser gibt, die man angreifen kann, oder Lagerhäuser, die man in der Nähe unseres Wohnortes plündern kann(1). Die Nahrung könnte ausgehen, noch bevor die Blumen blühen.
Vielleicht hätte die Pariser Kommune länger Bestand gehabt, wenn sich Gruppen von Revolutionären vom Land erhobten und die Rückseite der republikanischen Armee in verstreuter Form angegriffen und ihre Umzingelung durchbrochen hätten.

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Welches dieser beiden Szenarien halten wir für plausibler? Je nach Standort und Empfindlichkeit könnten die Antworten unterschiedlich ausfallen.
Keine Rezepte, sondern klaren Vorstellungen
Lassen wir die Illusion hinter uns, dass der Zusammenbruch des Staates und des Dominion ein einheitlicher Prozess sein kann. Überall auf der Welt werden die Dynamik und das Timing anders sein, wie die Flecken von ein Leoparden, was die Situation in kurzer Zeit noch chaotischer und verwirrender machen kann.
Vielleicht hätten wir nie daran gedacht, sie wirklich zu schreiben, da wir uns mit der unausweichlichen Realität unserer Welt abgefunden hatten. Aber vielleicht können wir tatsächlich die Geburt anderer Lebensformen sehen. Es wird schwierig sein, die verschiedenen Situationen aus der Ferne zu beurteilen, wie wir es früher getan haben. 30 km könnten verschiedene Erfahrungen und Lebensweisen voneinander trennen, getrennt durch einen militärischen und polizeilichen Sicherheitskordon.
Kein Rezept kann heute weniger als gestern gegeben werden. Man braucht Intelligenz, Großzügigkeit, Schamlosigkeit und Intuition, um zu verstehen, was man wo und wie und zu welcher Zeit tun soll. Welche sind die Zeiten der Zerstörung und des Aufbaus, das ist keine einheitliche Angelegenheit für alle Sensibilitäten. Eines wird allerdings nötig um die Erfahrungen übersetzbar und die Intuitionen vermittelbar zu machen: Klarheit der Absicht. Und dass in dieser Zeit des Wandels, der Wille alle Formen der Macht aus der Welt, in der wir innerhalb und außerhalb von uns leben, sehr stark bleibt zu zerstören.

Für den Angriff, hier und jetzt.
Für das Leben, hier und jetzt.
Brie ffreunde

(1) Wir erwähnen diesen alten Beitrag von A.M. Bonanno über die aufständischen Perspektiven und über einige seiner Überlegungen zu den organisatorischen, mentalen und physischen Fähigkeiten, die man entwickeln sollte (siehe zum Beispiel S. 21): https://collafenice.files.wordpress.com/2013/09/trascizione-incontro-23-giugno.pdf

Il colera avanza…

La stampa ha aperto una nuova rubrica. Accanto a quelle degli Incendi, degli Assassinii, dello Sport e dei Teatri, sorge terrificante: Il Colera.

La tragica avanzata dell’epidemia è seguita passo passo e i cadaveri che essa semina sulla sua strada sono ansiosamente contati. La paura ne fa moltiplicare il numero in modo fantasmagorico, allorché la prudenza ne fa nascondere il quantitativo, con un calcolo ridicolo.

Tutti i giorni, vi sono centinaia di morti.

Da Manila a Pietroburgo, attraverso l’Asia intera, la Cina e la Siberia, il flagello entra nel cuore dell’Europa. Traverserà le acque del Pacifico, guadagnando quelle dell’Atlantico, disdegnando di percorrere lo stretto sentiero di Panama per prendere la grande strada delle terre, allo scopo di ammucchiare cadaveri su cadaveri? Nessuno lo sa.

Tutti i giorni vi sono centinaia di morti. Cos’è questo se non l’olocausto pagato al mostro per soddisfare la sua fame di morte, la sua sete di vendetta? Ma questo lavoro di necrofilo non interromperà la sua marcia. Esso va, va…

Il colera avanza.

Allora, coloro che sono felici, coloro che per assicurarsi la loro felicità giocano con la vita degli altri, coloro per cui la sofferenza degli altri, i mali degli altri non contano, costoro sono presi dalla paura.

Davanti ai soliti disastri, l’epidemia ordinaria, il ricco fugge lasciando la città attaccata in preda al flagello. Ma il colera avanza, avanza sempre e, se va lentamente, procede sicuro. Fuggire davanti ad esso, non è che ritardare l’istante in cui vi prenderà allo stomaco, per portarvi alla morte.

E dove scappare, d’altronde? Se esso è dietro di noi, verso Pietroburgo, non è anche davanti a noi, verso Manila? E se non gli costa niente attraversare gli immensi deserti di terra del Gobi e della Siberia, che gli costerà superare gli immensi deserti di mare del Pacifico?

Il colera avanza… bisogna dunque arrestarlo.

Uno strano desiderio di solidarietà nasce da questa paura e da questo bisogno. Gli uomini sentono infine che sono uomini, e che non vi è ricco e povero di fronte a questo nemico del genere umano, di fronte al colera.

L’indifferenza del ricco si fonde, davanti alla prova comune, con la debolezza del povero.

I fortunati si accorgono d’un tratto che vi sono dei disgraziati che vivono dei resti della loro tavola, delle briciole della loro felicità. Si accorgono che accanto ai loro palazzi, alle loro ville, alle loro confortevoli dimore, vi sono dei tuguri, delle capanne, delle caserme, in cui si intasa il resto dell’umanità. Si accorgono che il loro lusso è pagato dalla miseria altrui.

Essi hanno paura… e capiscono, di colpo, che una solidarietà li lega agli altri uomini, che sono qualcosa solo per essi, e che lo stesso male che uccide il povero ucciderà anche loro senza pietà…

E il ricco preoccupato sente il suo cuore aprirsi alla pietà, sanguinare alla vista del dolore del povero.

I giornali ci dicono che a San Pietroburgo “è stata aperta una sottoscrizione nazionale, e i crediti che permetterà di realizzare saranno impiegati per dare ai poveri della città un nutrimento più sano e dell’acqua bollita”.

Amara ironia… Il ricco che non ha saputo consacrare qualche istante della sua vita per preservarsi, si sente minacciato nella sua stessa vita se non partecipa alla difesa contro il male che prende tutti.

La solidarietà lega gli uomini attraverso le frontiere della fortuna, le demarcazioni delle patrie, gli odi delle razze. E quel patriota che ride della fame in Indocina, quel cattolico romano che gioisce delle persecuzioni che si abbattono sulle razze semitiche, quel ricco indifferente al male della fame e del freddo che distrugge il suo vicino, tutti sono obbligati a riconoscersi solidali con coloro il cui dolore non li interessava.

La fame ha portato gli Indiani a gettarsi su innominabili rifiuti e il colera li ha presi; i Semiti, scacciati dalla persecuzione, hanno trasportato il male e i Poveri, al di fuori di tutte le leggi dell’igiene, sono stati, rapidamente, il terreno di coltura che ha permesso al male di espandersi in pieno nelle città civilizzate.

Questa solidarietà mostra tutta la debolezza, tutta la menzogna dell’attuale società; di questa organizzazione in cui si pensa di potersi occupare solamente del benessere di una minoranza, senza pensare che anche al di fuori dei processi rivoluzionari, le leggi di affinità rendono comuni, un giorno o l’altro, i mali che colpiscono la maggioranza.

E tuttavia, trovo che il tributo pagato dall’umanità sia stato abbastanza leggero. Vorrei che vi fossero più morti e che il mostro fosse più insaziabile di vite umane.

Il colera avanza…

E tuttavia, trovo che va molto lentamente, troppo lentamente, e, costi quello che costi, vorrei vederlo passare attraverso quella Germania militarista e questa Francia coccardiera che gioiscono anche adesso dei recenti successi delle differenti manovre.

Sì, vorrei che la lezione fosse più crudele ancora e che, davanti al male terrificante, gli uomini apprendessero infine che devono utilizzare tutte le loro forze, tutte le loro possibilità per lottare in comune associazione contro la natura per il più grande benessere di tutti.

Sì, vorrei che gli uomini comprendessero che non è possibile disinteressarsi del male di alcuno e che un’organizzazione sociale in cui qualcuno è dimenticato porta in sé la fessura che scuoterà tutto l’edificio.

Governanti, economisti e politici, finanzieri e legislatori, voi avete scatenato il colera sull’umanità: sono le vostre cattive leggi, è la vostra avidità di guadagno, il vostro desiderio di godimento mai sazio che fanno sì che milioni di uomini siano la preda designata dell’epidemia.

Sfruttati economicamente, pecoroni polizieschi, operai ed elettori, voi avete scatenato il colera sull’umanità: è la vostra tacita accettazione, la vostra passività di fronte allo sfruttamento, la vostra rassegnazione davanti alla sofferenza, davanti alla miseria, il vostro consenso all’abiezione e alla sporcizia che fanno di voi tutti il campo in cui scorazzeranno presto i corvi della morte.

Il colera avanza…

E che, è dunque così temibile, questo bacillo, che gli uomini tremano di paura quando lo si evoca?

Sì, è temibile e sarà temibile fintanto che le forze umane si consacreranno a togliersi l’un l’altro il pane necessario, a disputarsi la loro parte di felicità e di vita.

Sarà temibile fintanto che gli uomini saranno divisi da forze contraddittorie che lottano fra esse: fintanto che vi saranno Tedeschi e Francesi, Russi e Giapponesi; fintanto che vi saranno padroni ed operai, ricchi e poveri.

Sarà temibile fintanto che gli uomini useranno la loro vita per costruire fucili, sciabole e cannoni per lottare contro altri uomini; fintanto che le donne sapranno da altre persone delle minaccie di guerra o dei corsi delle borse finanziarie. Allorché questi uomini potranno lottare contro il male aumentando la ricchezza di tutti; allorché queste donne potranno dedicarsi ai fanciulli per farne uomini sani e robusti; gli uni e le altre potranno conoscere ed applicare le leggi dell’igiene che li preserveranno dagli attacchi del male.

Perché questa lezione sia proficua, per dimostrare a chiare lettere a tutti l’atrocità delle leggi sociali ed economiche, l’assurdità criminale della proprietà e del salario, la menzogna del patriottismo e delle religioni, non sono sufficienti le molte migliaia di cadaveri sparsi nei campi di battaglia e durante gli scioperi; non sono sufficienti le tante vittime delle rivoluzioni e del grisù; non sono sufficienti nemmeno le migliaia e migliaia di esseri umani uccisi sotto i continui e atroci attacchi della miseria…

… Tutto questo non basta, oh povero, per vincere la tua passività, la tua rassegnazione; oh ricco, per vincere la tua arroganza, la tua lussuria e i tuoi appetiti…

… Ebbene sia,… che il colera avanzi…

Che avanzi presto attraverso l’Europa corrotta dal lusso e dalla miseria, che si apra varchi attraverso l’umanità; che svuoti i palazzi e le capanne sotto i suoi terribili attacchi …

… Allora, può essere, gli uomini si ricorderanno che sono uomini e agiranno come uomini; allora solamente, consacrando tutto il loro spirito, tutte le loro forze contro il comune nemico, scacceranno il male e potranno conoscere la felicità.

Il colera avanza…

24 settembre 1908

 

Tratto da.

Il culto della carogna 

di Albert Libertad

 

Il colera avanza…