Bentruxu / 7 Marzo – 14 Aprile

Tratto da: Bentruxu

 

7 Marzo
Vite tecnologiche
Nei giorni scorsi dopo varie titubanze tutte le scuole e tutte le università sono state chiuse. Da nord a sud, senza vie di mezzo: biblioteche, aule e segreterie sprangate, esami sospesi, lauree rinviate e sui diplomi aleggia una nube di dubbio.
La ministra all’istruzione Azzolina senza pensarci due volte ha immediatamente dichiarato che lo Stato si sarebbe adoperato al più presto per poter offrire a scolari e universitari il servizio di lezioni online da casa. Ovviamente la ministra non ha considerato il fatto che non tutti sono nelle condizioni di poter seguire le lezioni da casa, le motivazioni possono essere le più varie (da chi non possiede un pc o un tablet adeguato, chi non ha la rete internet, chi non ha una casa che lo permetta e via dicendo), mostrando come quest’epidemia sia in parte interclassista per quanto riguarda il contagio ma non lo sia assolutamente per quanto riguarda le contromisure.
Inoltre è veramente grave vedere la semplicità con cui le scuole e le università sono state paragonate al mondo del lavoro (ma non è una novità).
Quando qualche giorno fa hanno iniziato a chiudere aziende e attività varie, lo Stato ha caldeggiato la diffusione dello smart working per evitare il collasso dell’economia ed evitare futuri moti di rabbia sociale derivante dal mancato arrivo degli stipendi o dal consumo delle ferie per l’epidemia.
Se già questo ci pare grave, ma più scontato e con più margine di interpretazione da parte dei lavoratori, la proiezione della stessa soluzione sul mondo della scuola (pensando anche alle condizioni in cui versa) ci fa paura, anche perché ci chiediamo ad esempio come stiano facendo i carcerati iscritti ai corsi di studio all’interno dei penitenziari.
Inoltre a livello più generale è preoccupante quello che questi mesi di emergenza sanitaria potrebbero creare come esperienza a livello sociale. Intendiamo dire che se già la tecnologia è parte integrante e indiscutibile delle nostre vite, dei nostri rapporti, della socialità, dei sentimenti eccetera, per adesso faticava ad avere il sopravvento su alcuni ambiti educativi e lavorativi, ci chiediamo se questa esperienza non segnerà un avanzamento dal quale non si tornerà più indietro.
Quanti datori di lavoro preferiranno investire in strumentazione tecnologica piuttosto che in un affitto dei locali di lavoro? Avendo così il vantaggio di ottenere che i loro dipendenti non si vedano più e quindi non possano più organizzarsi per protestare per eventuali ingiustizie, ma anche ottenendo una reperibilità h24 sugli stessi?
E se anche le scuole e le università decidessero di fare lo stesso? Magari vendendo a speculatori edilizi o turistici l’incredibile patrimonio immobiliare che ancora possiedono in cambio di software avanzati per l’istruzione via cavo?
Pensiamo al valore che ha avuto nelle nostre vite la frequentazione della scuola e dell’università (per chi l’ha fatta), pensiamo a quante persone abbiamo conosciuto, quante storie d’amore si sono consumate e quante lotte sono nate.

Senza essere catastrofisti, proviamo ad essere realisti e tremendamente concreti. Non vogliamo dire che ci sia un complotto dietro quanto sta accadendo o che da settembre al posto delle università ci saranno alberghi e gli studenti saranno a casa lobotomizzati.
Vogliamo però stimolare chi fa parte di questi mondi o chi tiene ad essi, a stare attenti quando magari a maggio, magari a giugno, l’emergenza finirà e università e scuole riapriranno. Sarà quello il momento in cui fare qualcosa in più rispetto a quello cui siamo abituati per ricordarci collettivamente di quanto sia importante condividere gli spazi, guardarsi negli occhi, toccarsi, discutere, conoscersi e stare insieme.
Speriamo quindi in un proliferare di iniziative che ci facciamo capire quanto questi posti siano da difendere, quanto sia importante che il lavoro abbia una sua sede, diversa dal salotto di casa propria, perché altrimenti rischiamo che le nostre vite assomiglino sempre di più al caro vecchio adagio PRODUCI-CONSUMA-CREPA, senza neanche uscire di casa, con Amazon che ci porta le scarpe e Foodora la pizza.

Chiudiamo questa riflessione con una citazione di Giorgio Agamben, che non ha fatto mancare il suo contributo su quanto stia accadendo:
“è difficile non pensare che la situazione che esse (le disposizioni governative) creano è esattamente quella che chi ci governa ha più volte cercato di realizzare: che si chiudano una buona volta le università e le scuole e si facciano lezioni solo on line, che si smetta di riunirsi e di parlare per ragioni politiche o culturali e ci si scambino soltanto messaggi digitali, che ovunque è possibile le macchine sostituiscano ogni contatto – ogni contagio – fra gli esseri umani. “

8 marzo
Zona rossa e fuga dal nord
E’ ufficiale, il presidente Conte definisce le nuove misure per contenere l’epidemia del Coronavirus in Italia e istituisce la zona rossa per la regione Lombardia e altre 14 province.
Divieti di aggregazione e di spostamento dai comuni interessati, mentre scuole, cinema, teatri e grandi eventi sono chiusi in tutto il territorio italiano.
In Sardegna già da due settimane si sta registrando un fenomeno particolare, che pare stia raggiungendo l’apice in questi giorni.
Con l’aumentare dei contagi al nord pare che le strutture turistiche isolane stiano ricevendo prenotazioni per uno o più mesi da vacanzieri insoliti.
Inoltre diversi sindaci dei paesi costieri denunciano che le località turistiche si stanno, giorno dopo giorno, affollando sempre di più di continentali. A Carloforte pare di essere ad agosto, e la conferma arriva dall’ammontare degli incassi.
Le immagini dalla stazione di Milano colma di gente dopo la dichiarazione di Conte chiariscono un po’ questo strano enigma: la gente, presa dal panico, scappa dalle zone dove i contagi sono ormai incontrollati e va dove non ci sono ancora focolai importanti.
Solinas insiste per chiudere porti e aeroporti della Sardegna, da Roma frenano.
Cosa ha portato le persone a spostarsi? Paura del contagio? Insofferenza alle restrizioni della zona rossa? Nostalgia di casa? Che rischi comporta questa migrazione?

9 marzo
L’esodo continua
Lo Stato non riesce a prendere posizione e misure, l’esodo da nord a sud non si ferma, in migliaia arrivano nel meridione e nelle isole, l’irresponsabilità di alcuni genera paura e preoccupazione.
Si diffonde una comprensibile diffidenza verso i transumanti-vacanzieri che per l’ennesima volta trattano la Sardegna come terra usa&getta.
Porti e aeroporti continuano a rimanere aperti. Lo Stato non prende posizione sulla mobilità.
La regione emette un ordinanza dove si consiglia vivamente ai cittadini sardi di evitare i contatti con i nuovi arrivati, e si obbligano le persone che sono arrivate in Sardegna dalle zone rosse dal 24 febbraio a oggi, ad autoisolarsi e autodenunciarsi mettendosi in quarantena, rendendosi reperibili ai controlli.

Saluti
Nella serata di ieri in diverse carceri della penisola italiana sono scoppiate violente rivolte, in particolar modo a Modena dove i detenuti si sono impossessati dell’intera struttura.
Le motivazioni della protesta sono legate alla sospensione dei colloqui per via delle misure di prevenzione per il Covid-19 ma è abbastanza evidente che sia solo una goccia che fa traboccare il vaso. Con il problema del sovraffollamento (circa 10.000 detenuti in più rispetto ai posti disponibili su scala generale) le notizie che giungono da fuori riguardo l’epidemia fanno paura e tanti dei prigionieri che si rivoltano hanno le idee chiare: amnistia, indulto, o almeno forme di detenzione alternative.
In serata un gruppo di solidali si è avvicinato alle mura del carcere di Uta per salutare i reclusi e per capire cosa stesse succedendo all’interno. Dopo un lungo silenzio qualcuno da dentro urla che il giorno prima è “sutzerriu unu casinu” ma non si riesce a capire di più.
Momentaneamente la situazione sembra essere tranquilla.
Fino ad oggi i colloqui ad Uta si sono svolti tranquillamente, ovviamente solo se muniti di mascherina e rispettando le norme sulla distanza.

Senza parole
Non sappiamo cosa pensare della proposta di un albergatore di Arbatax che di fronte al diffondersi dell’epidemia ha pensato come unica cosa al profitto, e cioè a formulare un’offerta di “fuga dal Covid-19” proponendo prezzi ribassati per l’affitto delle camere.
Non vogliamo fare la morale a questo signore di cui non conosciamo nome né storia, vogliamo però rilevare che un certo tipo di economie e mentalità invece che offrire solidarietà e mutuo appoggio pensano al guadagno anche in tempo di epidemia e morte.
Per fortuna arrivano anche notizie di azioni di solidarietà, non solo quella delle strisciate delle carte di credito, ma di quella pratica de s’aggiudu torrau che nonostante l’egoismo capitalista continua a resistere, in barba a regole, decreti e controlli.
Ci riferiamo ad esempio ai casi di chi, non potendo spostarsi dal proprio comune di residenza, ha potuto contare sulle sue reti di relazioni per il mantenimento di campi, terreni o animali in zone lontane da casa.

10 marzo
Invasione fuori stagione: colonia-virus?
Conte impone il decreto “#iorestoacasa” che estende la zona rossa a tutto lo Stato, con l’imposizione a bar e ristoranti di rimanere aperti fino alle 18. I cittadini sono invitati a evitare di uscire di casa se non per motivi di salute, lavoro o necessità.
Ciò significa poca gente in strada e controllo delle forze dell’ordine, che cercano all’uscita dei paesi e delle città sarde i “furbetti” che non rispettano il decreto. Sebbene non in forze e senza essere troppo rigidi, i posti di blocco e le ronde delle varie forze dell’ordine iniziano a denunciare le prime persone per la violazione del decreto che prevede 206 euro di ammenda e una pena da 1 a 3 mesi di reclusione. C’è un aspetto che salta all’occhio in questi giorni di cui stanno parlando giornali,
istituzioni ma anche molte persone. Il già menzionato esodo delle 13.000 persone (quelle autodenunciate, la stima è intorno alle 20.000) dalle zone rosse alle seconde case qui in Sardegna.
Se d’estate sono il sole e il mare a portare migliaia di persone in Sardegna, quest’inverno è stata l’epidemia. Un nuovo tipo di turismo? E’ strano quello che si prova a vivere in una terra che viene utilizzata da una parte di mondo sempre e solo per qualcosa che non considera né include coloro che vi abitano e le questioni che devono affrontare.
Un rapporto squilibrato, tenuto in vita dal denaro e dai privilegi che i forestieri possiedono, e che nella costante condizione di subalternità che da “sempre” subisce la Sardegna viene vissuto dalle genti locali come un ricatto dal quale non si può sfuggire.
L’eventuale “fuga” o distacco dal turismo non può avvenire per questioni puramente materiali, appunto perchè i dieci o ventimila che sono sbarcati qui hanno quasi tutti una casa di proprietà (in realtà sono molte di più le case di proprietà forestiera, solo che non tutti sono potuti/voluti venire a svernare qui), a questo si aggiunge l’indotto complessivo del turismo che in questo momento è una risorsa alla quale l’economia sarda non può rinunciare.
Questo di fatto comporta un corto circuito.
Il turismo impone un’economia di sfruttamento umano e devastazione ecologica, essendo però l’unica, o quasi, economia che funziona in Sardegna, nessuno osa metterla in discussione, ma in questo modo non ce ne libereremo mai, perché questa stessa ennesima economia imposta (dopo miniere e industrie) non permette che altri tipi di attività possano diffondersi.
Un esempio su tutti di come questo fenomeno si concretizza: in tutta la zona costiera è ormai quasi impossibile per i giovani sardi comprare casa o terra per progetti di vita o di lavoro, i costi non sono a portata di operaio (sardo o non) ma di borghesia (sarda e non). Questo determina un imposto allontanamento o una vita precaria predisposta allo sfruttamento stagionale.
A conclusione di questo piccolo ragionamento c’è la perplessità su come si possa vivere e convivere in modo rispettoso e pacifico con chi vede nella terra in cui abitiamo un’oasi di consumo e soddisfazione delle necessità (dalle più incombenti sanitarie alle più ludiche vacanziere), imponendo di fatto un tipo di economia e dei rapporti che non permettono ai residenti di autodeterminare la propria vita.

11 Marzo
Muri e sbarre
Anche nel carcere di Uta vengono proibiti i colloqui, che saranno sostituiti dalle videochiamate e dall’incremento del numero di telefonate. Dentro la situazione sembra essere tranquilla, anche se gira voce che qualche detenuto del carcere di Modena verrà trasferito a Sassari e Cagliari.
Anche davanti al pericolo del virus lo Stato sembra essere irremovibile riguardo alla possibilità di concedere ai detenuti, o alcuni di loro, misure detentive alternative (domiciliari, braccialetto elettronico).
È l’ennesima contraddizione di tutta questa vicenda.
In una struttura come quella carceraria con un elevato numero di detenuti ammassati (ad Uta 598 reclusi a fronte di 561 posti) il pericolo del contagio è altissimo se ci dovesse essere un caso.
I secondini continuano a uscire e rientrare, chi assicura ai detenuti che loro rispetteranno le misure di sicurezza?
Così come le vicende legate alle fabbriche mettono in risalto quanto il profitto padronale sia intoccabile, allo stesso modo la vicenda carceraria evidenzia quanto lo Stato non può mettere in discussione la sua funzione autoritaria. E allo stesso tempo la dice lunga su quanto vale per la legge la vita di un detenuto. Anziché prevenire si innalza un ulteriore muro attorno a chi è recluso, ampliando la distanza con l’esterno e rendendo ancora più difficile capire cosa accade dentro.
Fuori dal carcere di Uta è molto difficile avvicinarsi. La penitenziaria blocca la strada di accesso e controlla uno per uno chi si avvicina per spedire un pacco o per trasmettere dei soldi. Il controllo poliziesco fa la sua parte e rende molto difficoltoso qualsiasi gesto di solidarietà in prossimità del carcere. Casi come questo evidenziano quanto la scelta di trasferire i detenuti in carceri lontane dal centro cittadino abbia il suo effetto per quanto riguarda l’isolamento.
Intanto sui giornali si parla del carcere di Massama (Oristano) nel quale circa 50 detenuti si sono rifiutati di rientrare in cella dopo l’ora d’aria, preoccupati per la mancata prevenzione sanitaria nei confronti del virus.
In Sardegna sono circa 2300 i reclusi nelle varie prigioni e a Cagliari, Sassari, Alghero e Oristano si vivono situazioni di sovraffollamento.
Per molti prigionieri, deportati nell’isola per scontare la pena, si vive una situazione di isolamento ancora maggiore. Non dimentichiamoci infatti che lo Stato italiano utilizza la Sardegna per confinare i detenuti “speciali”, avendo creato qui un circuito di sezioni di alta e massima sicurezza che conta circa 900 posti.

12 Marzo
Esercizio essenziale? Il profitto
Il presidente Conte, tramite D.P.C.M dell’11 marzo 2020, estende a tutt’Italia, Sardegna inclusa, la misura di chiusura totale di tutti gli esercizi ed attività commerciali, fatto salvo per quelli considerati essenziali.
Ci sorprende come l’emergenzialità di quest’epidemia cambi a seconda di ciò di cui si parla.
Porti e aeroporti dell’isola sono chiusi, ed è consentito l’ingresso soltanto a merci e trasportatori. L’aeroporto di Elmas è l’unico che rimane aperto per i viaggiatori aventi comprovati motivi.
È fatto divieto di stare per le strade salvo per le necessità, come la spesa. All’interno dei supermercati si evidenzia una forza respingente tra le persone che tendono a stare ben lontane le une dalle altre, sia sotto consiglio degli addetti alla vendita, sia per il terrore di cui ormai si è pregni.
D’altra parte, è consentito il proseguo di attività dove i lavoratori sono esposti a rischi, poco tutelati e il contagio è probabile, come ad esempio call center, aziende e fabbriche stracolme di operai.
Un emblematico esempio è l’RWM di Domusnovas, la quale non interrompe la produzione e consente ai 190 operai assunti di lavorare fianco a fianco. Pare che la costruzione e vendita di bombe sia considerata tra le attività essenziali anche con il dilagarsi di una pandemia (è bene ricordare che a Domusnovas si producono le bombe Mk utilizzate recentemente dall’Arabia Saudita nel conflitto in Yemen).
Altro esempio è la Saras, la più grande raffineria del Mediterraneo. Nei suoi impianti vi lavorano circa 2000 operai, che probabilmente rispettano le dovute precauzioni da decreto, ma basteranno a evitare i contagi? Possiamo solo immaginare cosa accadrebbe se il virus entrasse in una rete di persone tanto estesa.
Tuttavia, il pericolo epidemico non è sufficiente ad interrompere una produzione così strategica, i rischi sanitari per gli operai vengono posti in secondo piano rispetto agli interessi di profitto.
L’azienda dei Moratti compie a breve 60 anni. Ha avuto tutto il tempo, i permessi, i soldi e i finanziamenti pubblici per diventare un’industria senza pari nello scacchiere economico del Mediterraneo. Fattura più di 10 miliardi all’anno grazie alla lavorazione di 300.000 barili di greggio e alla produzione e vendita di energia elettrica.
Ha anche sottratto 800 ettari di litorale alla comunità di Sarroch, imponendosi negli anni come unica economia del territorio. Non da meno sono i danni ambientali irreversibili e i gravi problemi di salute conseguenti (nel comune di Sarroch i casi di leucemia sono tre volte superiori al normale così come una diffusa alterazione del dna nei bambini) impedendo di fatto qualsiasi altra attività nel territorio circostante.
Ancora, sul groppone ha 5 operai morti negli ultimi 13 anni.
L’azienda usa il suo potere economico per lavarsi la faccia sporca di fumo nero delle ciminiere, e in risposta all’emergenza Covid-19 dona all’ospedale Brotzu di Cagliari 200.000 euro per comprare attrezzature mediche.
Inoltre, viene messo a disposizione della prefettura di Cagliari il rifornimento di carburante necessario per i servizi di emergenza. Dalle ambulanze ai servizi di pattuglia della polizia: buoni samaritani o un buon modo per assicurarsi di non subire una fermata degli impianti?

Deresponsabilizzazione
L’istituzione della zona rossa, entrata in vigore due giorni fa, è stata accompagnata da una vastissima e ininterrotta campagna mediatica ad opera di tutte le testate giornalistiche e anche da una massiccia mobilitazione sui social network a suon di #iorestoacasa, #celafaremo e #andràtuttobene.
In brevissimo tempo si è arrivati alla zona rossa integrale, a prescindere dalla specificità di ogni territorio, creando un clima di angoscia senza precedenti. I consigli delle istituzioni sono divenuti decreti, attuati però a macchia di leopardo, validi per alcuni e non per altri, come se certi operai fossero immuni al virus. Per evitare caos e confusione lo Stato ha deciso di mostrare muscoli e divise cercando di fare passare il messaggio che è nostro dovere obbedire, aver paura e diffidare di tutti, prendersela con chi mette piede fuori casa.
E per confermare tale stato di eccezionalità riempie le strade di posti di blocco, aumenta le pene probabilmente con il fine di dimostrarsi “complice” dei cittadini nella lotta al contagio.
Ma a che scopo?
Le istituzioni non sono palesemente all’altezza di far fronte all’espansione del contagio.
La sanità nel meridione è letteralmente con le pezze al culo, in Sardegna stessa storia.
A fronte di decine di anni di menefreghismo e speculazione nel comparto sanitario, a chi ci governa non resta che cercare di alleggerire il danno e le responsabilità, provando ad evitare l’espansione del contagio, con misure nevrotiche ma che comunque riescano a preservare il profitto padronale.
Quale miglior mossa se non quella di scaricare un po’ di responsabilità sui cittadini, al fine di far dimenticare le manovre che hanno portato a questa situazione dell’apparato sanitario?
E se le persone diffidano l’una dell’altra e iniziano ad odiarsi? Ancora meglio, hanno qualcosa a cui pensare.
Dobbiamo stare attenti, non farci fregare. Stanno cercando di farci credere che siamo tutti nella stessa barca, che lo “tutti siamo lo Stato”. Ma i tagli della sanità non li abbiamo decisi tutti, non lo abbiamo deciso tutti di chiudere i reparti a Ghilarza, Lanusei e La Maddalena e aprire una maxi struttura di lusso ad Olbia. Non lo abbiamo deciso noi di non investire in misure sanitarie di prevenzione negli ospedali.
E anche quando sarà passata l’epidemia non dobbiamo dimenticarci di queste responsabilità.
Con la scusa dell’unità nazionale (che qui in Sardegna dovrebbe darci il voltastomaco per come lo Stato ci tratta) ci chiedono di “stringerci attorno alle istituzioni”, di tenere duro e rispettare la legge, così quando l’epidemia sarà passata torneremo alle nostre bellissime vite, torneremo alla libertà.

13 Marzo
Mario Nieddu vergognati!
L’assessore alla sanità, il leghista Mario Nieddu per nascondere gli evidenti problemi gravanti sul sistema ospedaliero sardo, minaccia di provvedimenti disciplinari il personale che parlerà coi giornalisti o racconterà sui social cosa sta accadendo dentro e intorno agli ospedali senza aver avuto in precedenza l’autorizzazione. Ovviamente l’impavido Nieddu è ben spalleggiato dal suo degno governatore Solinas che già dal 6 marzo aveva tentato di imporre che fosse solo la Regione a poter gestire la comunicazione verso la popolazione in merito all’emergenza Covid-19.
Cosa si nasconde dietro questa imposizione? Non è difficile scoprirlo, una pessima gestione della sanità pubblica che dal Ministero per passare all’assessorato fino ad arrivare in corsia ha portato allo sbando le strutture ospedaliere, privandole di attrezzature e norme di sicurezza, ma anche riducendo il personale al minimo.
Il paradigma che ha segnato il declino dell’istruzione pubblica è lo stesso che è stato usato per la sanità. In tutto lo Stato italiano sono decine i presidi ospedalieri chiusi negli ultimi due decenni, sostituiti solo parzialmente da strutture private (l’esempio locale più clamoroso è il Mater Olbia) che però ovviamente hanno dei costi non accessibili da tutte le fasce di popolazione, e dal volontariato.
Nello specifico quello che sta provando in modo vergognoso a nasconderci l’assessore Nieddu, sono le condizioni in cui il personale ospedaliero è costretto a lavorare, privi delle adeguate mascherine, delle necessarie condizioni di sicurezza per evitare i contagi. A questo si aggiunge l’atavica carenza di personale che impone i doppi turni a medici e infermieri, che giustamente in questa situazione emergenziale si sono ribellati, e visto che non possono scioperare hanno scelto di rendere pubbliche le loro storie, ed ecco giunta la censura leghista.
Come hanno detto bene alcuni infermieri scioccati dal provvedimento preso nei loro confronti dalla Regione: “abbiamo chiesto mascherine, ci hanno messo il bavaglio”.
Se l’attuale Regione a guida sardista-leghista mostra con più sfacciataggine il vero volto delle istituzioni, è ovvio che i problemi vanno distribuiti equamente fra tutte le amministrazioni regionali e statali che si sono susseguite negli ultimi decenni, imponendo un sistema sempre più classista e improntato sul guadagno e non sul servizio.
E non si può nemmeno dire che non vi siano state delle proteste durante questo periodo, ricordiamo solo due fra i casi che in Sardegna hanno avuto più rilevanza, cioè quello di Ghilarza e quello di Lanusei dove la popolazione ha fatto ampiamente capire la sua contrarietà e preoccupazione nei confronti delle scelte di chiudere i locali presidi ospedalieri. Ma tali scelte erano già state prese a monte, nel piano generale di trasformazione della Sardegna in un enorme industria turistica, infatti le strutture sanitarie chiuse sono quasi tutte in zone dell’interno, le poche aperte sulla costa. Perché? Perché altrimenti i turisti non vengono fin quaggiù a spendere i loro bei soldi. Delle zone del entroterra sardo? Chissenefrega.

14 marzo
Bandidoris e elicotteri
Il numero delle denunce continua ad aumentare e i controlli nelle strade diventano più intensi, in città, nei paesi, in campagna e al mare. Nelle strade delle città e dei paesi passano le volanti della polizia o della protezione civile a smegafonare, invitando caldamente a non uscire di casa e di rispettare le regole con un riconoscibile tono di minaccia, da lontano li si può confondere con gli storici “bandidoris”.
Ormai il decreto è dogma, perciò se una persona vuole farsi una passeggiata in montagna, una nuotata al mare o un giro in canoa, non può farlo perché viola la legge, indipendentemente dal grado di responsabilità con cui lo fa: un’infantilizzazione della società assai preoccupante.
Solinas decide di mettere in campo 1300 agenti del Corpo Forestale e l’intero corpo dei barracelli, un po’ per controllare che i vacanzieri dell’esodo dalle zone rosse stiano rispettando la quarantena, un po’ per controllare chi prova a prendersi una boccata d’aria da questa vita malsana in cui ci ritroviamo costretti.
Si vuole arrivare alla capillare militarizzazione del territorio sardo, una fitta rete dalla quale non si scappa, per obbligare tutti a seguire le norme, volenti o nolenti.
Sulla nostra testa sentiamo gli elicotteri della polizia che sorvolano spiagge e campagne in cerca di qualche refrattario alle regole.
In Sardegna purtroppo, il suono delle eliche degli elicotteri a bassa quota, alla ricerca di chi non vuole sottostare alle regole è cosa ben nota. Ricordi più o meno lontani di “epiche” campagne militari a caccia di latitanti o ribelli fanno parte della memoria collettiva e animano ancora quel che rimane del carattere resistenziale, ostile a questo tipo di imposizioni dello Stato.
Viverci i territori, assumendoci le nostre responsabilità nel rispetto dell’ambiente, non può essere una cosa da delegare alle leggi dello Stato, con o senza emergenze.

15 Marzo
Kontus de Kasteddu II
Chi è abituato a passeggiare per Cagliari la domenica mattina conoscerà di sicuro uno dei vari mercati settimanali che caratterizzano la città, luoghi in cui comprare cianfrusaglie di ogni tipo. Questa mattina però non c’è nessun venditore a preparare nessuna bancarella. Piazza Trento e le vie limitrofe sono colme di poliziotti, dall’antisommossa alla municipale, a presidiare la zona per evitare che nessuno provi a esporre la merce. Stesso vale per via Po e via Simeto, dove due camionette di carabinieri in antisommossa stazionano dalle prime ore dell’alba.
Truzzu lo aveva detto e diciamo che ha fatto di tutto per farsi capire bene.
Due giorni fa si è verificato un avvenimento riconducibile a questo. Alcuni venditori abusivi di frutta e verdura vengono denunciati in piazza San Michele per la trasgressione delle norme anti-contagio. Poco importa se quei venditori sono li ogni giorno nel mercato di quartiere e se quello è il lavoro che gli serve per campare. Poco importa anche se vendono frutta e verdura che, finché decreto non lo dimostra, rimangono beni di prima necessità. E allora dove sta il problema?
Per quale motivo dovrebbe essere permesso utilizzare i mercati civici e i supermercati ma viene vietata la vendita di generi alimentari per strada? Il problema è quindi la licenza o il coronavirus?
Semplice, dietro ai supermercati e al flusso di merci c’è la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) che vuol dire solo una cosa: profitto.
Quest’ultimo, come detto in precedenza, è intoccabile, anche se per preservarlo si sorvola sulle norme di sicurezza sanitaria. Chi vende per strada, scegliendo di non pagare tasse o di conformarsi a norme assurde, rappresenta un qualcosa di fastidioso, anche se effettivamente svolge un servizio per chi abita la zona.
In questo periodo di persecuzione generale è meglio liberarsene, fregandosene del fatto che per tanti venditori ambulanti o saltuari questo periodo di stallo è una vera e propria mazzata.
C’è da chiedersi una cosa: tornerà tutto come prima?
Torneremo a passeggiare la domenica tra le bancarelle di Piazza Trento o tra le cianfrusaglie di via Po? Potremo scendere sotto casa a comprare la frutta in piazza o saremo costretti ad andare al supermarket? Sarà la volta buona che il Comune riesce a liberarsi di un pezzo di quella città che ancora resiste fuori dai binari della legalità?

16 Marzo
Il ritorno degli animali
A volte sono stati i film, a volte i libri, a volte solo la nostra mente, a farci immaginare un mondo in cui la natura per varie vicissitudini si riprende il terreno sottratto dall’avidità umana.
Grattacieli ricoperti di rampicanti, macchine trasformate in tane, nidi sulle antenne e così via.
La natura sembra soccombere impotente sotto i continui attacchi dell’uomo, ma per fortuna non è così, o almeno non sempre, ma specialmente la natura ha una capacità di ripresa infinita e inaspettata.
Basti pensare ai filmati su quanto sia ormai quasi irriconoscibile il Titanic nelle profondità oceaniche, ma senza andare a scomodare celebrità, basta farsi delle belle passeggiate tra le miniere abbandonate del Sulcis per vedere come ormai quella che era una fiorente industria sembra quasi far parte del paesaggio. La natura si è così tanto ripresa tutto, che casermoni, laverie e depositi non rovinano più l’orizzonte, anzi lo arricchiscono rendendolo unico.
Lo stesso vale per gli inquinanti, l’uomo sfida continuamente la natura, contaminando il pianeta in modo esagerato, quasi come se con la natura dovessimo competere e non convivere, e nonostante questo la natura reagisce, smaltendo e rigermogliando. C’è chi dice che la natura ogni tanto si prende la sua vendetta sull’uomo, troppi animali estinti, troppe foreste bruciate, troppo cemento e troppo asfalto, la vendetta sarebbero gli uragani, le inondazioni, le valanghe e così via. La narrazione tra lo scientifico e il fantastico di una natura che maltrattata dall’uomo, si lascia andare mietendo le sue vittime.
C’è chi sostiene questa teoria anche per questa epidemia.
Poco ci interessa qui stabilire se alcune “favole” siano supportate scientificamente, ci piace però scrivere di una cosa che sta accadendo e che se forse potevamo aspettarci mai avremmo pensato di poter vedere coi nostri occhi.
Non immaginavano neanche cosa ci sarebbe voluto per tenerci tutti fermi per delle settimane.
L’Occidente è fermo, le macchine quasi non circolano, le persone sono chiuse in casa, i rumori sono ridotti, le strade extraurbane quasi deserte, le notti silenziosissime. Bastano pochi giorni di questa novità assoluta che gli animali selvatici si avventurano a scoprire territori per loro sconosciuti, porzioni di mondo perennemente vissute dall’uomo.
E’ incredibile la velocità con cui questo fenomeno si sta verificando, nella mia ignoranza pensavo che sarebbe servito forse un anno, invece no.
Le lepri vanno al parco, i cinghiali nelle aiuole, i daini nei campi da golf, i delfini nei porti, i pesci nei canali e ci sarebbero tanti altri casi.
La natura è intorno a noi ma spesso non la vediamo, non la ascoltiamo.
Quando riprenderemo le nostre abitudini ricacceremo indietro i selvatici, forse qualcuno troppo fiducioso finirà anche in un freezer o sulla graticola, ma dovremmo almeno ricordarci che esistono e avere più rispetto per loro e per l’ambiente dove vivono e viviamo.

17 Marzo
L’antivirus
La Regione Sardegna annuncia l’approvazione del pacchetto “Antivirus per il sistema Sardegna” che prevede lo stanziamento di 110,5 milioni di euro per contenere gli effetti della crisi. Una parte significativa del fondo gestito dalla Sfirs pari a 20 milioni, sarà dedicata al settore turistico, mentre altri 25 milioni saranno impiegati per le altre imprese.
Questa divisione ci fa venire in mente la differenza di trattamento con un altro importante settore economico sardo, quello agro-pastorale, per cui furono stanziati dopo ben nove mesi dall’inizio delle proteste del febbraio scorso, circa 14 milioni di euro che servirono ad acquistare le scorte di pecorino romano rimaste invendute. Soldi che, in poche parole, sono finiti nelle tasche degli industriali, gli stessi contro cui i pastori hanno lottato l’anno scorso.
E’ come se i con i soldi stanziati per il turismo la regione affittasse stanze negli alberghi di lusso per far finta che siano piene di turisti.
Con questo paragone vogliamo evidenziare come in Sardegna venga incentivata in modo sempre più chiaro l’economia turistica, in particolare quella di massa, che altro non è che l’ennesima economia di dipendenza e lenta devastazione ecologica e culturale.

18 Marzo
Il Picco non arriva, e la pala?
Tra le varie angosce di questi giorni c’è il fantomatico picco dei contagi, che proprio oggi avrebbe dovuto bussare alla porta di Montecitorio.
Ci sembra che le istituzioni stiano usando questo giochino psicologico per tenerci attaccati ai siti dei quotidiani, in attesa di buone notizie che ovviamente non arrivano, anzi i politici – specialmente quelli locali – continuano con uno stillicidio di minacce e misure che non si capisce bene che risultato dovrebbero portare.
Anche dal punto di vista scientifico pare essere una buffonata quest’attesa spasmodica del picco, nel senso che si unifica forzatamente l’Italia, anche per questo. Non tenere conto che misure e contagi hanno avuto diffusione in tempi sensibilmente diversi ci pare appunto una buffonata, buona per concedere a Borrelli&Co una conferenza stampa al giorno per tenere ben saldo lo scettro dell’informazione.
In questi giorni stiamo leggendo veramente tanti articoli e tante notizie, sulla rete si trovano teorie di tutti i tipi dal complottismo komunista, ai rettiliani, ma specialmente ci sono tantissimi numeri buttati li senza spiegazione, senza fonti, senza riferimenti temporali, meno che mai scientifici.
Per questo ci sentiamo di diffidare di queste fonti “ufficiali”, le stesse che non si sa secondo quali calcoli impongono 14 giorni di quarantena ai rientrati in Italia dall’estero, per poi non verificare se siano positivi o meno al tampone, misteri al tempo del Covid-19.

19 marzo
Note esplicative e bubboni pronti a esplodere
Tramite un comunicato stampa del comune di Sarroch si viene a sapere che in un hotel sono ospitati 19 lavoratori trasfertisti assunti per la fermata degli impianti Saras. Due di questi presentano sintomi riconducibili al Covid-19 e così scattano le misure cautelative. In attesa dell’esito dei tamponi personale e clientela staranno in quarantena. Il clima in paese è teso, sebbene il lavoro tra gli impianti continui.
Ma cosa succede nell’industria dei Moratti?
La società, dall’inizio del 2020 ha avviato una serie di interventi straordinari. Tra i più importanti ci sono la fermata quinquennale del Fcc (un insieme di impianti atti a trasformare gli idrocarburi e renderli più pregiati e a produrre energia attraverso il loro flusso), programmata per i primi tre mesi dell’anno, che richiede l’intervento di due gru giganti provenienti da Russia e Stati Uniti per sostituire alcuni parti dell’impianto. Un investimento quadriennale da 830 milioni di euro.
Più di 40 imprese sono state coinvolte per un totale di 3000 lavoratori provenienti dalla penisola: dal 20 febbraio è iniziato l’esodo verso la Sardegna, i trasfertisti sono stati sistemati tra seconde case, residenze e hotel sparsi in tutto il territorio adiacente a Sarroch (Capoterra, Villa San Pietro, Pula). Gli arrivi si sono protratti fino a tutta la prima settimana di marzo.
Quanti strani esodi viviamo nella nostra terra in queste settimane.
Il 10 marzo, la nota esplicativa del presidente della Regione Sardegna all’ordinanza n.5 del 09.03.2020, specificava tra le altre che le limitazioni e gli obblighi di quarantena non si applicano ai seguenti casi: spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative.
Ciò significa che in un momento come questo qualsiasi tecnico proveniente dalle zone dei focolai può essere chiamato qui a lavorare senza doversi sottoporre alla quarantena. Ancora, lo Stato si esprime tramite i decreti che impone: non c’è tempo per la salute se si tratta di profitto.

20 Marzo
Obbedienza e delazione
Qualche giorno fa (12 Marzo) scrivevamo le nostre impressioni riguardo la responsabilizzazione forzata e l’enfatizzazione dell’odio nei confronti di chi continua a mantenere acceso il lumino della socialità.
Una notizia apparsa oggi sull’Unione Sarda ci fa tornare su quei ragionamenti.
Stando a quel che dice il quotidiano ieri a Sassari una quindicina di giovani studenti sono stati denunciati dalla Polizia locale perché festeggiavano un compleanno in una terrazza in città. I poliziotti, allertati da alcuni vicini, sono intervenuti mediante l’utilizzo di un drone che ha permesso di localizzare e identificare gli studenti.
Il fenomeno della delazione non è certamente nuovo nella nostra società ma in questo momento, in cui si riconduce la violazione ad un ambito sanitario, i fenomeni stanno aumentando.
Questa nuova sovrapposizione tra legge e norma sanitaria sta causando un fenomeno strano, fatto di cieca obbedienza e legalismo nevrotico. Sembra che nessuno si chieda più se ciò che passa per decreto sia sensato o meno.
Crediamo che ragionandoci un attimo ci si renda facilmente conto che certe privazioni, sopratutto quelle legate allo sport, sono allucinanti e inutili.
È in corso una infantilizzazione sociale in cui le istituzioni tentano di privarci del nostro buonsenso, costringendoci tra le mura domestiche che non sono impenetrabili al contagio. E in questo contesto che sta prendendo piede lo spirito delatorio, incarnato da chi crede di salvarsi la vita denunciando il vicino runner.
Sinceramente ci sentiamo più vicini a coloro che si sono improvvisamente sentiti runner da tre settimane a questa parte e non andavano al parco dal ‘92.

21 Marzo
Sciopero in corsia?
L’assessore Nieddu forse sapeva, e sperava (con le minacce del 13 marzo) di tenere nascoste le penose carenze di materiali presenti nei depositi degli ospedali, ma non solo, anche le insufficienti precauzioni prese per i dipendenti, onde evitare di contrarre il virus e diventare poi a loro volta fonte di contagio.
Ma non è andata così, e a farne le spese è in modo preoccupante il personale sanitario.
Sono spaventose le cifre pubblicate dai quotidiani in merito alle percentuali di contagio del personale al lavoro nelle strutture sarde.
Il 50% di tutti i contagiati del territorio sardo fanno parte del personale ospedaliero, con un picco del 90% nei casi del sassarese. Queste cifre basterebbero da sole a spiegare la gravità di questa situazione e le condizioni assurde in cui il personale viene costretto a lavorare. Ma per renderci meglio conto mettiamo queste cifre a confronto con quelle del continente e della Cina.
In Italia il personale ospedaliero contagiato è l’8%, in Cina il 4%.
Oltre a quanto già detto va segnalato che l’inadeguatezza delle strutture che ha portato a questa situazione è resa ancora più grave dal fatto che in Sardegna, per ora non si registra alcun focolaio autoctono, ma gli ospedali invece lo stanno diventando, trasformandosi così loro malgrado da luoghi di cura a luoghi di contagio.
La sanità sarda cade proprio a pezzi, negli ultimi anni con la già citata chiusura di tante strutture ospedaliere quasi tutti i paesi e paesini sardi si sono arrangiati con la creazione di servizi di ambulanza. Questo è stato possibile grazie a delle donazioni private, alla disponibilità dei volontari e allo sforzo delle piccole amministrazioni locali che si sono trovate costrette dalle scelte regionali a sostenere questi investimenti.
In questi giorni di emergenza proprio da questi presidi sanitari arriva l’ennesima vergognosa notizia, la Regione chiede massima disponibilità e collaborazione ma non fornisce gli equipaggi delle ambulanze delle necessarie misure di tutela per lavorare, nemmeno le mascherine.
La situazione è talmente tragica che le varie associazioni di volontari stanno minacciando uno sciopero, chissà cosa farà l’assessore Nieddu? Proverà a zittire anche loro?

22 Marzo
Fastidi
I giornali locali parlano di un uomo di Berchidda che, fermato senza “validi motivi”, se l’è presa con i carabinieri ed è stato portato in caserma e poi sanzionato.
All’uscita dalla caserma, evidentemente infastidito per l’indesiderato incontro, ha tentato di incendiare l’auto di uno dei militari.
L’ipnotismo sociale a cui stiamo assistendo non funziona con tutti, ma questo già lo sapevamo e ora lo sanno anche i giustini di Berchidda.
Fatti come questo segnano alcune contraddizioni che a livello sociale ci portiamo dietro da sempre, gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine sono quotidiani, la paura che esse incutono in questi giorni alle persone è probabilmente una delle più forti mai viste.
Molti scelgono quindi di non uscire per evitare brutti incontri e scambi di vedute con gli uomini in divisa, che porterebbero inesorabilmente alla sanzione e forse anche a qualche denuncia non legata alle prescrizioni sanitarie.
Intelligenza e determinazione ci sembrano i due ingredienti giusti per uscire indenni da questo momento senza per forza essere costretti sul divano.

Disastro scongiurato
I tamponi fatti ai lavoratori ospitati nell’hotel di Sarroch, in Sardegna per la manutenzione degli impianti Saras, risultano negativi. Sembra che per ora il disastro sia scongiurato. Nel frattempo Moratti dichiara pubblicamente che la sua società donerà un milione di euro alla regione Lombardia per l’emergenza Covid-19. I suoi operai invece, vivono nell’incertezza di contrarre il virus lavorando a migliaia nei suoi impianti.

23 marzo
Quando si scopre che le armi non servono contro i virus
Con un certo ritardo la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas decide di fermarsi per 3 settimane.
Dopo 11 giorni dalla chiusura totale degli esercizi essenziali, a Ghedi (sede direttiva dell’RWM) devono essersi accorti che le bombe non sono fondamentali nella lotta contro il Covid-19 e che hanno troppi effetti collaterali se usate per sanificare le strade.
Fabio Sgarzi, amministratore delegato dell’azienda, fa sapere che da oggi le attività di produzione saranno ferme, ma rimarranno operativi 50 operai per permettere il pronto riavvio del lavoro e per assicurare la tutela degli investimenti strategici.
Questo ipocrita semifermo ci fa pensare alla spiacevole metafora utilizzata da vari esponenti politici, che vedono la lotta contro il virus come una guerra contro un nemico comune, i cui soldati al fronte sono medici e personale sanitario, o forze dell’ordine che si aggirano per le strade.
Sarà il paradosso di questa costante metafora che attribuisce la licenza alla RWM di non interrompere il suo operato?
Operato che, peraltro, genera un numero più consistente di vittime ogni anno che passa ma non genera alcuno stupore, panico, preoccupazione o interesse comune.
Le vittime non sono mai tutte uguali.

Beni primari
“Questi sono i beni primari che Conte dice, una televisione Philiphs 43 pollici”, queste le parole di un operaio sardo nel settore della logistica che, nella fase di carico del camion, scaglia violentemente una scatola all’interno del mezzo.
Il giorno prima infatti il premier Giuseppe Conte ha dichiarato un’ulteriore chiusura per le fabbriche non strategiche, salvaguardando solo le attività adibite alla circolazione dei beni primari.
Ma nel mondo in cui viviamo il concetto di “bene primario” assume un significato tutto suo, dal momento che anche le capacità umane sono state rimodellate in base a ciò che gli è stato caldamente suggerito. Oltre al cibo, l’acqua, i farmaci e qualcos’altro ormai non possiamo vivere senza smartphone, computer, internet, automobile e così via.
Ha proprio ragione l’operaio, il televisore non è proprio un bene primario se si considerano le necessità umane, ma come si fa a rimanere connessi senza la TV?
L’inclusione sociale è oramai inscindibilmente connessa ai dispositivi tecnologici di cui non riusciamo più a fare a meno.
E in questo momento di isolamento domestico questo processo sta subendo un’accelerazione notevole: smart-working, scuola online e aperitivi su Skype ne sono un esempio.

24 Marzo
Appunti di classe sul Covid-19
In altre pagine del diario abbiamo accennato al fatto che l’epidemia nel complesso è classista, quanto la società che l’ha prodotta e che la sta subendo.
Se questo poteva essere abbastanza scontato, non era per forza detto che queste settimane ampliassero il divario tra le classi. Come?
Pensate a quest’esempio, un dipendente di un’azienda di informatica e un cameriere: il primo ha solo cambiato ufficio, è passato dalla sede della sua azienda al salotto di casa sua, non si brucia le ferie, si riorganizza il lavoro e l’assurdo di questa situazione, tendenzialmente metterà da parte dei soldi. Non solo, non si vedrà sconvolta la vita da ansia e preoccupazioni qualora dovesse avere sul groppone le rate di un mutuo o un affitto, non negherà nulla ai suoi figli e potrà godere i frutti di questo momento lavorativo quando tutto finirà, potendo apprezzare una meritata vacanza.
Il barista invece non avrà avuto tutto questo, appena riapriranno le attività dovrà cercare di recuperare il tempo e i soldi perduti, ma specialmente avrà un approccio diverso alla vita, segnando in modo evidente la differenza di classe.
Questo è riscontrabile già ora nella differente preoccupazione tra chi ad esempio è un dipendente statale ed è a casa, stipendiato e sereno, e chi invece magari piccolo imprenditore di se stesso non vede un quattrino da tre settimane e sta iniziando a non dormire la notte.
Non parliamo di chi lavora in nero (e ricordiamoci sempre quanti di noi hanno lavorato per periodi più o meno lunghi senza garanzie, e che quindi c’è molto anche di fortuna e sfortuna sul momento della vita che stavamo attraversando prima dell’arrivo dell’epidemia).
Infine, un ultimo pensiero su almeno una differenza che queste situazioni creano: la predisposizione o meno a piccole forme di illegalità (che in questi giorni rasentano il tutto, cioè uscire di casa) e accettazione di condizioni lavorative da fame.
Chi sarà con le celeberrime pezze al culo più facilmente violerà prescrizioni varie andando incontro a conseguenze, o accetterà lavori in nero, chi avrà il culo coperto tendenzialmente non correrà rischi.
Ed ecco in forma omeopatica come si creano le differenze di classe, tra chi ha molto e chi non ha quasi nulla e con un po’ di sfiga si ritrova pure davanti a un giudice.
La prima domanda che mi viene in mente è: si tratta di fortuna, abilità o altro?

Kontus de Kasteddu III
Insetti fastidiosi
A quanto pare Comune e Polizia Locale sono pronti ad utilizzare un drone “anti-furbetti” che girerà per le strade di Cagliari in cerca di pericolosi assembramenti.
Questo aggeggio, sperimentato con l’aiuto di Italdron Academy Base Sardegna, permetterà di sorvolare le zone dall’alto, di giorno e di notte, e di raggiungere le quote più basse, al fine di permettere il riconoscimento facciale.
L’apparato del controllo, oltre che a farsi sempre più pressante, si fa sempre più tecnologico e anche sfuggirne sarà più complicato. Gli sbirri, dal canto loro, si assicurano sempre meno lavoro, riservandosi di intervenire solo dopo che il piccolo insetto digitale avrà fatto le sue ricerche.
Così sarà più complicato accorgersi della loro presenza. Non è un caso che il drone sia stato studiato e perfezionato all’interno del campo militare. Ma a parte questo c’è da sottolineare come in questo periodo, con la scusa dell’epidemia, lo stato d’eccezione stia permettendo di introdurre numerosi dispositivi straordinari che in un modo o nell’altro modificano le nostre abitudini.
E se tutto questo rimarrà?

25 Marzo
Kontus de Kasteddu IV
“Ritengo ancora oggi che sia la cosa più giusta da fare”
Con queste parole si è giustificato il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, dopo il polverone di critiche che si è levato in seguito ai manifesti che ha fatto affiggere per le vie di Cagliari (“quando hanno portato mia madre in ospedale, ho capito che dovevo rinunciare alla corsa” e simili). Oramai è un affezionato alle prime pagine dei giornali per i suoi provvedimenti inutili, questo è il secondo dopo la chiusura dei parchi pubblici.
Il primo cittadino, oltre che non rispettare i morti, cerca di terrorizzare la gente. Da una parte cerca di aizzarci gli uni coltro gli altri e dall’altra cerca di colpevolizzare chi non vuole rinunciare ad una boccata d’aria. Ma perché se mi faccio una corsetta dovrei sentirmi colpevole di mia mamma che è stata portata in ospedale? Che senso ha?
Al massimo sono le istituzioni a doversi sentire colpevoli se mia mamma muore al Santissima Trinità perché non ci sono abbastanza posti in terapia intensiva o perché non ci sono gli strumenti adatti. Ma né Truzzu, né Solinas, né Nieddu&Co si sentiranno in colpa.
Così come non si sentiranno in colpa per l’immobilismo che li sta contraddistinguendo: chi di loro sta facendo concretamente qualcosa per prevenire le conseguenze dell’espansione del contagio?
È facile pulirsi la coscienza facendo appiccicare qualche manifesto in città, ma poi cosa rimane a chi si ammala? Perché nessuno si adopera per costruire un ospedale da campo o per ampliare le strutture già presenti?
Intanto però ci chiedono di stare a casa e avere paura. Sanno bene che finché la gente avrà paura e sarà occupata a controllare il suo vicino di casa nessuno gli chiederà il conto.
P.S.: dai social si è sollevata una vibrante protesta, sono decine le rivisitazioni delle frasi nei manifesti. A parte l’ironia, alcune sono delle precise indicazioni sulla crescente insoddisfazione che sta maturando nel sociale.

26 Marzo
I “virus” nel virus
Solinas aggiunge nuove restrizioni al decreto #iorestoacasa, approfittando delle libertà concesse ai governatori delle regioni e ai sindaci. Le assurde misure potenziano la confusa concezione che i contagi avvengono appena fuori dal portone di casa. In questo contesto vediamo crescere altri tipi di virus: quello del cittadino-guardia e quello dell’ ansioso. Il primo è la protesi dello Stato e dei suoi organi di controllo, il secondo, soffrendo il comportamento del primo, della mediatizzazione e dell’ autoreclusione, sale agli onor di cronaca per i sempre più frequenti suicidi, TSO e problematiche psicologiche.
Le limitazioni vanno dal non poter usare la bicicletta al far uscire gli animali domestici entro soli 200 metri da casa. La più assurda è l’obbligo di potersi recare ad orti e vigneti uno per famiglia solo una volta al giorno esclusivamente per interventi irrimandabili.
Infatti tra le campagne sarde da oggi saranno impiegati più di 5000 agenti facenti parte di 160 comandi delle compagnie barracellari. Affiancheranno la protezione civile e le altre forze dell’ordine sul territorio sardo per far rispettare le nuove disposizioni della Regione.
Nati quasi 500 anni fa i barracelli sono la polizia più antica d’ Europa, che culo!
Da sempre il loro compito principale è fare la guardia ai beni dei grandi proprietari terrieri, fungendo come una specie di compagnia assicurativa, e vigilare contro l’abigeato e la criminalità.
Oggi fanno parte della polizia locale e hanno circa gli stessi doveri di un tempo.
Per il loro fondamentale ruolo nella lotta contro la propagazione del virus, in questi giorni chiedono alle autorità di essere considerati come le altre forze messe in campo.
Così la proprietà privata è al sicuro e i “furbetti” nelle campagne hanno le ore contate.
Ma come si può dire alla gente come e quando deve curare i propri terreni, tutt’altro che affollati e nei quali ci si autoproduce il cibo? Preferiscono che stiamo tutti a casa perché nelle campagne siamo meno controllabili?

27 marzo
Per quanto rimarremo chiusi in casa?
Ci siamo, non è ancora ufficiale, ma è come se lo fosse.
Il 3 aprile non sarà la fine di questo brutto momento.
Le istituzioni lo stanno anticipando sottovoce, ma d’altronde è stato fatto un tale terrorismo psicologico da parte di scienziati, politici, giornalisti e vicini di casa che il buon Giuseppe Conte coadiuvato dal codazzo di governatori regionali (dei veri estremisti sulla chiusura totale!) non potrà fare altro.
L’unica soluzione pare essere la quarantena, peccato che però stando ai numeri che leggiamo sui quotidiani non è che stia funzionando molto, e meglio non pensare alle conseguenze se i numeri della Lombardia dovessero scivolare verso il meridione.
Ci sembra che l’unica quarantena che sta portando risultati sia quella sociale, in quattro e quattr’otto ci siamo isolati nelle nostre casette senza parlare, senza confrontarci, obbedendo passivamente ai proclami di figuri che fino al 7 marzo ritenevamo degli idioti.
Vi rendete conto che hanno richiamato Bertolaso? Ci manca solo Briatore e siamo apposto…ma vabbé.
Per quanto riguarda Cagliari, siamo passati dall’uscire senza pensieri e preoccupazioni, fiduciosi che il Tirreno ci avrebbe salvato, a chiuderci in casa quando i contagi in tutta la Sardegna erano 35, un numero che ora ci farebbe uscire e abbracciare il primo che passa.
Qui non si vuole fare uno strano mix tra epidemiologia e statistica, visto che non ci capiamo nulla né dell’una né dell’altra, però vorremmo provare condividere dei ragionamenti che ci stanno preoccupando, e che in particolare riguardano il futuro.
Siamo sicuramente in una situazione veramente difficile e forse per scelta, forse per esperienza, ci sembra pericoloso affidarci completamente alle istituzioni, specialmente quando queste sono impersonate ad esempio da un Truzzu qualsiasi e i suoi miseri cartelloni.
Siamo in mano a questa gente, che ci spiega continuamente come fare a compilare l’ennesima nuova autocertificazione, ma non ci dice cosa devono fare tutti quelli a cui è stata imposta la quarantena obbligatoria per 14 giorni quando la finiranno. Il 15° giorno potranno andare sereni a fare la spesa?
E chi si è autoimposto la quarantena? Per quanto deve stringere i denti? Le nostre case sono tendenzialmente strette, e i film su Netflix dopo un po’ finiscono.
Di preoccupazioni legate alla sopravvivenza ve ne sono anche altre, e sono quelle legate alle categorie che stanno venendo massacrate dal punto di vista economico da questa situazione.
Sinceramente non ci sembra che le contromisure economiche che da Roma stanno provando a prendere arriveranno a tutti, anzi, ci sembra che la storia ci dica tutt’altro, gli emarginati ci sono sempre e sono tanti, e questa volta saranno ancora di più.
Quelli che hanno perso il lavoro o erano in nero o hanno interrotto l’attività, tra un po’ come faranno? Chi pagherà gli affitti dei locali? Quanti camerieri o impiegati verranno licenziati?
Ognuno di noi quanti amici ha coinvolti in questa situazione?
Non solo lo Stato non si preoccupa di queste categorie, non ci permette nemmeno a noi di farlo, perché il divieto totale di incontro, di movimento fra comuni, toglie qualsiasi possibilità a chi si vorrebbe organizzare per cercare una soluzione o a chi ha qualche idea per arrangiarsi e salvarsi.
Questo noi è vago, è vero, ma ognuno ha il suo noi, sono gli amici, i parenti, i compagni con cui condivide la vita sempre, nel bene e nel male, e magari include qualcuno che ora o più avanti non se la passerà bene.
Crediamo che sia ora di iniziare a pensare anche a queste cose, non sappiamo quanto tutto questo durerà, e sinceramente non crediamo che tutti si possano permettere di stare a casa fermi per settimane o mesi.
Che fare? Nessuno ha ricette pronte, però la base dell’autogestione e della solidarietà affonda sempre le radici nel confronto, da cui nascono le idee, emergono le risorse.
Ci proibiscono di incontrarci, ragioniamo anche su questo. Se questo divieto durerà, sarà veramente solo una questione sanitaria o subentrerà una questione di controllo sociale?
E se continuerà, come potremo organizzarci ugualmente per fare gruppo ed evitare che qualcuno di noi finisca nella merda?

28 Marzo
Ma allora esiste ancora?
“Ma la rabbia di ieri dov’è? Quella rabbia di ieri dov’è?”
P. Marras

Di chi stiamo parlando? Della rabbia sociale, uno spettro ormai, che si aggira per lo stivale italico in cerca di corpi in cui incarnarsi.
Dopo le violentissime rivolte delle carceri di inizio mese, il binomio pacificazione-paura ha preso il sopravvento nelle nostre città e campagne. Gli atti di insubordinazione sono divenuti solitari e isolati.
Ovviamente, non bisogna dimenticarsi che il recinto in cui ci stanno costringendo a vivere, prevede che una sfuggente chiacchierata in quattro persone in un parco per i cani, sia una grave violazione delle leggi vigenti, effettivamente partendo da un punto così arretrato l’immaginario di rabbia sociale fatto di masse di sfruttati che bloccano strade e quartieri con le barricate, è più lontano che mai. Però…
Però ovviamente è sempre presente nei nostri cuori, anche se fatichiamo a parlarne.
Da ieri invece è tornata sulle prime pagine dei giornali.
Uno dei primi, è stato Salvini, che si è lasciato andare a un “che si utilizzino anche 100 miliardi, o sarà la rivolta”, seguito poi dal Ministro del Mezzogiorno che ha parlato del meridione come di una polveriera o qualcosa di simile, passando agli 007 che si dicono preoccupati per possibili moti di rabbia improvvisi, fino a concludere con le parole del governatore della Sicilia Orlando, preoccupato che “specialisti della sobillazione” possano insinuarsi tra le maglie della povertà e provocare il caos.
Insomma non mancano le ipotesi, alcune strampalate, alcune meno.
Per ora, stando alle informazioni che abbiamo potuto raccogliere, l’unico momento interessante si è verificato a un supermercato LIDL a Palermo, dove una ventina di famiglie hanno provato a fare la spesa senza pagare, non riuscendoci per l’intervento delle forze dell’ordine.
Dal giorno dopo i principali supermercati del capoluogo siculo erano presidiati dalla celere.
Alimentari e sanità, ci sembrano i due settori che potrebbero scatenare per primi quella rabbia che cova sotto strati di paura e disabitudine, ma che giorno dopo giorno si assottigliano, anche se gli ultimi decenni li hanno resi talmente spessi che non sappiamo quanto tempo e quante privazioni ancora ci vorranno per farli emergere.
Qui in Sardegna la situazione è potenzialmente esplosiva, dalle città più grandi ai paesini la povertà è un realtà nota. Decine di migliaia di sardi vivono di varie forme di sussidi statali, efficaci per una pacificazione sociale, ma assolutamente inutili per la risoluzione del problema, perché nonostante questi aiuti, in moltissimi faticano tremendamente ad arrivare a fine mese e ad avere una tenore di vita degno.
Reddito di cittadinanza, cassa integrazione, assegni familiari e via dicendo mettono piccole toppe a una falla gigantesca.
Purtroppo nella nostra isola manca da troppo tempo una predisposizione alla ribellione diffusa e partecipata, sono molto più frequenti gli atti di insofferenza e insubordinazione individuali.
Non è un caso che la Sardegna è la regione dello Stato italiano con il più alto numero di attacchi ai rappresentanti delle istituzioni, o che anche in situazioni di lotta di massa come la lotta dei pastori dello scorso anno non vi siano stati momenti di scontro campale ma una serie lunghissima di attacchi, anche molto efficaci, agli industriali del latte. Ricordiamo le decine di autocisterne bloccate e altri atti di sabotaggio alle strutture dell’industria casearia.
Ritornando a oggi, è difficilissimo stabilire se questa situazione, di indubbia difficoltà sociale, possa far maturare le condizioni per delle esplosioni di rabbia. I comprensibili e condivisi timori per la questione sanitaria, sono un indubbio freno e ostacolo.
Il fatto che in questo momento, sia impossibile sotto ogni aspetto organizzarsi in assemblee pubbliche per capire cosa fare, ad esempio potrebbe risultare un ostacolo insormontabile.
Ci sembra però altrettanto vero, è molto interessante, come questa situazione ci stia offrendo – in sole quattro settimane – spunti per le lotte dei prossimi anni. L’emersione evidentissima delle carenze delle strutture statali, la divisone sempre più marcata delle classi, come delle varie regioni geografiche che compongono lo Stato italiano, potrebbero essere domani le cause scatenanti di quella rabbia sociale che oggi annusiamo ma che non riesce a coagularsi.
Un ultimo pensiero è rivolto a come l’epidemia avendo colpito tutte le parti della società lascerà ovunque la possibilità di trovare complici pronti a ribellarsi, starà quindi a ognuno di noi, dai professori agli studenti, dagli operai ai camerieri, dai disoccupati ai pensionati, trovare il modo di sobillare chi ci sta vicino, perché la merda da spalare sarà sempre di più, e una volta tanto sarebbe bello che la spalassimo insieme contro chi ci sfrutta e non uno sull’altro a protezione del solito nostro giardinetto privato.

29 Marzo
riceviamo e pubblichiamo un contributo:
Pandemia
Per quanto i giorni che stiamo vivendo siano tragicamente segnati dalle morti, il pensiero non può che andare a cosa accadrà all’indomani di questa ecatombe. Forse per il buon vecchio ottimismo della volontà mi sembra che dall’esperienza di questo mese di pandemia si possano evidenziare alcuni fatti interessanti.
1. Nonostante la gravità di una epidemia che è arrivata a fare 1000 morti al giorno ed il terrorismo pressante delle istituzioni, la scarsa obbedienza delle persone alle prescrizioni è il sintomo di una diffusissima abitudine ad aggirare le regole quando si mettono di traverso alle proprie attività, Questa attitudine davvero italianissima risiede nel profondo della testa delle persone spesso in modo inconsapevole e contraddittorio, per cui anche chi razionalmente capisce e condivide le misure di “distanziamento sociale” si trova a mettere in atto sotterfugi per sottrarvisi quando gli serve. Perfino con la militarizzazione delle strade in atto. Dunque se di esperimento sociale si è trattato direi che non è riuscito tanto bene. Altro che “YouPol”
2. Le carceri italiane hanno improvvisamente dimostrato una capacità di mobilitazione di cui si dubitava anche nei nostri ambienti. Mai come in questa circostanza si è avuta la percezione di come lo Stato consideri i carcerati “spazzatura sociale”, e la rivolta non poteva che essere violenta e cruenta, con 15 morti sui quali non si farà mai chiarezza, visto che le versioni fornite non sembrano granché credibili. Ma lo Stato si è già assolto.
3. Per quanto lo Stato si proponga come il grande buon padre che si prende cura dei suoi figli sono ben chiari tre fatti, evidenti a tutti:
• c’è poco da dire che nessuno perderà il lavoro. A parte che tanti il “lavoro” contrattualmente normato non l’avevano neanche prima, ma è cupamente chiaro che gli interventi di sostegno attuali lasciano scoperte moltissime categorie e che la crisi che si è innescata farà strame di impieghi precari, parasubordinati, ma anche autonomi e stabili, trainati dal crollo della disponibilità di spesa;
• il principale responsabile dell’impatto devastante dell’epidemia è proprio quello Stato che spreca ogni anno 70 milioni di euro in spese militari; quello Stato che con ogni km di TAV potrebbe pagare 1000 ore di terapia intensiva. Invece da anni taglia le spese sanitarie, chiude i piccoli ospedali, riduce il numero di medici e quelli che ci sono li descrive come eroi finché si ammalano e muoiono in silenzio, visto che non viene riconosciuto l’infortunio per non dover pagare indennizzi;
• il governo è stato pesantemente influenzato da quei “mercati” che prima chiedevano di essere rassicurati con la propaganda criminale che minimizzava lo tsunami che ci stava piombando addosso, e poi hanno chiesto di essere tranquillizzati mostrando l’atteggiamento autoritario e paternalista di chi ha in pugno la gestione della crisi. In un caso e nell’altro un comportamento scellerato di una classe politica prona al capitale.
Mi sembra che questi tre fatti ci permettano di parlare di questa pandemia come di una ennesima “Strage di Stato” e che sullo Stato dobbiamo puntare il dito. Credo che in un clima socio culturale in cui la voglia di “uomo forte” si stava facendo strada pesantemente, i fatti che stiamo vivendo mettano in crisi il ruolo dello Stato garante di alcunché, e la fiducia in istituzioni confuse, mediocri e corrotte.
4. Le attuali condizioni di compressione economica e sociale non possono reggere ancora molto. Non voglio esprimere giudizi sul mancato esproprio proletario di Palermo perché non conosco il contesto, ma è comprensibile e prevedibile che tra poco molti si troveranno a scegliere tra la certezza di fare la fame e la probabilità di ammalarsi. Senza ingenuità ne’ false aspettative per una volta è forse legittimo “tifare rivolta”, ma dobbiamo anche essere pronti a controbattere la propaganda che cercherà di indirizzare il malessere sociale verso la guerra tra poveri e le fortune politiche di questo o quel caudillo.
Ma lo sappiamo: la rivoluzione non è un pranzo di gala.

30 Marzo
Si salvi chi può, pensieri e riflessioni personali su un presunto buonsenso a Cagliari e provincia.
Nei quasi venti giorni di restrizioni una delle parole che più ha rimbalzato sui miei canali comunicativi è stata “buonsenso”, dandomi modo di riflettere sul significato con la quale essa veniva utilizzata.
Andando a cercare questa parola nel dizionario mi sono ritrovato a leggere: “Capacità naturale dell’individuo di valutare e distinguere il logico dall’illogico, l’opportuno dall’inopportuno, e di comportarsi in modo giusto, saggio ed equilibrato, in funzione dei risultati pratici da conseguire”.
È così fra i tanti pensieri di queste giornate di reclusione, più o meno volontaria, mi sono trovato a riflettere proprio su alcuni concetti relativi a questo vocabolo, a partire appunto dalla naturalità.
Mi sbaglierò, ma ciò che ho potuto constatare dall’esplosione delle misure di contenimento del virus, a partire dall’undici di Marzo, è stata una quasi totale assenza di naturalità nel comportamento delle persone, frutto di settimane di terrorismo mediatico e di un’imposizione dall’alto che prevede, fra i tanti, il distanziamento sociale quale strumento principale nella lotta alla pandemia. Ora il quesito che mi è sovvenuto in queste riflessioni è: quanti di noi hanno ragionato sul concetto di tale distanziamento, di come questo possa essere applicato al fine dei suddetti risultati pratici da conseguire, e quanti invece si sono limitati all’applicazione dei dettami imposti da un gruppo di persone che poco hanno da spartire con le nostre esigenze più stringenti?
Tralasciando i ragionamenti, assolutamente legittimi e necessari, su come la reazione dello Stato abbia volto più a una responsabilizzazione dei cosiddetti cittadini, piuttosto che al riconoscimento delle proprie responsabilità nella gestione decennale della sanità pubblica, siamo sicuri che il superamento di un’emergenza possa passare per l’autoisolamento a tratti scriteriato e, per esempio, non attraverso un confronto quotidiano (più che mai urgente a mio parere) e pratiche di solidarietà materiale e umana? Magari portandola non attraverso un bonifico o una videochiamata e addirittura rispolverando, dopo 20 giorni di clausura, gli effetti dirompenti di un caloroso abbraccio fuorilegge?
Ecco, la mia conclusione è che forse più che al buonsenso siamo davanti ad una grande manifestazione di senso comune, anch’esso annoverabile fra le caratteristiche naturali degli esseri umani, ma spesso e volentieri portatore di grossolani errori.
Un lettore più ammurvonato del solito.
p.s. Ad oggi 30 marzo, i contagiati nella provincia di Cagliari sono in totale 102, su una popolazione totale di circa 560.000 mila abitanti distribuiti in 71 comuni. In tutta la Sardegna quasi la metà dei casi di contagio è avvenuta in ambito ospedaliero.

31 Marzo
Antidoti velenosi
Tra il 1946 e il 1950, per combattere la malaria, vennero somministrati 5 milioni di litri di DDT a circa 1/4 della superficie del territorio sardo, in particolare nelle zone umide.
Fu l’ERLAAS ( Ente Regionale per la Lotta Anti Anofelica in Sardegna) a mettere in pratica il “Sardinia Project”, finanziato dallo Stato e ideato dalla Rockfeller Foundation. L’isola venne scelta più come collaudo dell’insetticida che per una reale necessità. Ne fu prova l’impiego di una quantità 3 – 4 volte superiore alle dosi utili ad eliminare le larve della zanzara anophele.
Con la scusa che il secondo conflitto mondiale aveva rallentato le operazioni di prevenzione, controllo e cura della malattia (che già nei decenni precedenti stava dando buoni risultati) si preferì procedere con l’eradicazione del vettore (in quel caso la zanzara).
Questa scelta permise di ottenere buoni risultati in tempi stretti ma da subito mostrò anche delle notevoli controindicazioni: già nei primi giorni di utilizzo si verificarono morie di animali selvatici e da allevamento, che continuarono per anni.
Ai tempi non vennero mai effettuati studi sui danni ambientali di questo intervento in quanto le conseguenze dell’utilizzo del DDT sono sempre state sottovalutate, ma il fatto che tra gli anni 60 e 80 l’insetticida venne messo al bando dalla maggior parte delle nazioni del mondo per la sua pericolosità tossica, ci può far avere un idea del disastro compiuto.
I danni sono ancora riscontrabili oggi, specialmente in alcune zone umide del sud Sardegna, dove attraverso le analisi delle acque che vengono fatte per verificare la presenza o meno di questo e altri inquinanti, si trovano ancora tracce riconducibili al DDT.
In questi giorni iniziano le sanificazioni nelle strade e nelle piazze di paesi e città sardi, come ulteriore mossa a protezione collettiva dal contagio del Coronavirus.
Non è dunque strano imbattersi in Vigili del fuoco completamente bardati che spruzzano litrate di ipoclorito di sodio, meglio detta candeggina, intenti a disinfettare le strade dal microrganismo che sta mettendo in ginocchio mezzo mondo.
Siamo un po’ preoccupati di questa scelta, visto che di questi interventi non è mai stata dimostrata l’utilità in campo scientifico e che la probabilità di contagio per strada è molto bassa.
Inoltre ci chiediamo, ipotizzando che sia utile spargere varechina nei punti strategici dei centri abitati, quante di queste operazioni servirebbero per fare in modo che del virus non ci sia più traccia, visto che nonostante il lockdown tutte le strade e i servizi vengono utilizzate da ipotetici “untori” ogni giorno?
Persino dal Ministero dell’Ambiente si sono dichiarati preoccupati per questi metodi di “pulizia di prevenzione”, ma sembra che la pande-paranoia di questi tempi faccia riflettere poco chi detta le disposizioni. Nel frattempo la Regione Piemonte ne vieta l’ utilizzo.
Ancora una volta si permette l’impiego incosciente di certi prodotti sottovalutando il rischio che possono avere per il territorio, per l’uomo, gli animali e la flora tramite l’avvelenamento delle falde acquifere sotterranee e superficiali, o del mare, in cui in un modo o in un altro le acque confluiscono.
I due esempi (Malaria e Coronavirus) possono sembrare in parte forzati, essendo differenti tra loro per cause e conseguenze, ma certe similitudini nei meccanismi di attuazione ci hanno fatto riflettere.
In particolare l’urgenza da parte dello Stato di mettere in campo continue misure di contrasto al diffondersi dell’epidemia, come a dimostrare efficienza e presenza sul territorio.
Il tutto non supportato da necessari studi scientifici e approfittando della paura generale che si è diffusa, che in questo momento permette che anche un provvedimento così passi senza alcuna contestazione o perlomeno verifica.
Le istituzioni si stanno dimostrando proprio per quello che sono: alcuni paesi sardi sono letteralmente dimenticati dai vari governanti che si fanno vivi ora per riempire le strade di candeggina, chiudere i parchi, impedire alla gente di andare in vigna e via dicendo.
Che non si stupiscano se presto o tardi qualcuno inizierà a ribellarsi.

1 Aprile
Peggio di così non può andare? Potrebbe iniziare a piovere.
Si stanno diffondendo ogni giorno di più gli interrogativi sul futuro di questa situazione, le paure di contagio stanno venendo velocemente sopraggiunte da altre di tutt’altra natura.
Le istituzioni invece che dare risposte offrono solo altre fonti di angoscia, mettendo in una difficoltà crescente sempre più persone, noncuranti della complessità e varietà delle situazioni esistenti.
Ci riferiamo ad esempio all’assurda regolamentazione di cui abbiamo già parlato riguardante il mantenimento delle colture e dei piccoli allevamenti. Solo per stare in questo campo, in Sardegna troviamo migliaia di persone che hanno piccole produzioni autonome, che non sottostanno a leggi e permessi, ma che sono fondamentali per coloro che le curano, chi perché ne ricava sostentamento alimentare, chi economico.
Oggi vogliamo dedicare questa pagina di diario a tutti coloro che da soli e contro i divieti affrontano questa situazione ogni giorno, provando a autorganizzarsi anche in mezzo ai controlli e le restrizioni, chi con le consegne a domicilio chi con i sentieri poco battuti per arrivare alla vigna.
Senza mezzi termini ci schieriamo dalla loro parte, scartati e perseguitati dalle leggi dello Stato.
Pubblichiamo un contributo di un produttore indipendente del Parteolla:
“Pensavo che per questo mese le cose brutte fossero finite. Mi sbagliavo. Impossibilitato allo spostamento dal comune di residenza equivale a non poter lavorare. La lontananza dalla persona che vorresti accanto, la repressione vissuta sulla propria pelle e tanti piccoli fattori stanno avendo i primi effetti.
Ora, per rincarare la dose, ecco gli effetti della gelata della settimana scorsa. Il raccolto 2020 si stima già con una perdita del 40% anche 50%.
Ogni volta che, anche finita questa emergenza, andrete a far la spesa, pensate agli agricoltori, pensate ai piccoli produttori di frutta e verdura. Magari fermatevi quando vedete i piccoli mercatini, chiedete agli amici di iscriversi a Gruppi Acquisto Solidale, fermatevi vicino ai semafori o lungo strada quando li vedete fermi là tutto il giorno che rischiano probabilmente una multa perché non hanno la possibilità di mettersi in regola.
Solidarietà vera, non solo a parole.”
Fabio libero agricoltore

2 aprile
Pubblichiamo un interessante contributo elaborato da alcuni compagni siciliani.
Da Sud.
Nonostante sia più lungo di qualsiasi pagina del diario pubblicata fino ad ora, e nonostante dia per scontate alcune visioni del mondo che scontate non sono, ne consigliamo caldamente la lettura.
La visione d’insieme che propone, gli spunti e gli interrogativi offerti, sono uno stimolo notevole, sul quale si può anche essere critici ma difficilmente vi lascerà indifferenti.
È inoltre un buono spunto per connettere ciò che succede qui in Sardegna con il contesto siciliano e più in generale del meridione, dal momento che alcuni tratti di colonizzazione sono simili e ricorrenti.
Continuiamo a caldeggiare un confronto su quanto sta accadendo e su quanto stiamo pubblicando. Scriveteci!

Covid-19 e Stato totale: prospettive da Sud

3 aprile
E’ ora di reagire?
Due giorni fa è arrivata la proroga delle prescrizioni valida su tutto lo Stato.
Non arretra di un solo passo il bombardamento istituzionale sul tema del iorestoacasa, anzi, ci si mettono tutti in coro: Conte, Borrelli, Fontana, Truzzu e chi più ne ha più ne metta. I media ovviamente non parlano d’altro, mettendo in risalto continuo il numero dei controlli e dei denunciati, figli dell’ottimo lavoro svolto dalle forze dell’ordine sempre più presenti sul territorio.
In Baronia sono stati schierati anche i Cacciatori di Sardegna, effettivamente se ne sentiva proprio l’esigenza…
Sembrerebbe difficile capire perché nonostante un’obbedienza molto più alta di quella che ci si poteva aspettare, lo Stato continui in questo martellamento angosciante e nella militarizzazione di tutto lo stivale e delle isole. Sinceramente non convincono i numeri da soli, così come anche il famigerato arrivo del picco o chissà quale altra diavoleria mediatica, questa strategia puzza tremendamente di diversivo.
I giornali lodano la velocità con la quale sono stati creati migliaia di nuovi posti letto nei reparti di terapia intensiva, tardi, troppo tardi. Ci sono 14000 morti.
Borrelli ogni giorno alle 18 usa tutti i condizionali disponibili per poi concludere che dobbiamo dare altre quattro mandate alla serratura di casa.
Nessuno però parla dei disastri sociali che queste misure d’emergenza stanno creando. Com’era ovvio anche nelle prigioni ci sono stati i primi morti, almeno Salvini avrebbe avuto la faccia tosta di dire che alla fine se lo erano meritato, Bonafede invece sta cercando la soluzione nella settimana enigmistica, e ovviamente andare fuori da un carcere a fare un saluto è diventato un reato.
I lavoratori in nero stanno facendo nuovi buchi nella cinghia, chissà quando si stancheranno.
700 aziende del sud Sardegna chiedono la riapertura, il governo non sa cosa rispondere, probabilmente gli chiederà se raffinano petrolio o producono bombe.
Almeno l’INPS offre lavoro, cerca un programmatore per il suo sito, che è letteralmente esploso durante gli accessi per ottenere il bonus di 600 €.
Certo che non si può dire che il governo Conte non conosca “l’Italia e gli Italiani”, un mese a casa viene rimborsato con 600€, la cifra media dello stipendio di milioni di lavoratori precari, e se questa storia va avanti un altro mese? Lascia o raddoppia?
Nei quartieri periferici le piccole attività non ritenute strategiche sono sull’orlo del collasso, dal bar sotto casa, all’ambulante, passando per il negozio di articoli da pesca e concludendo con il calzolaio.
Questi parolai che si succedono nelle continue conferenze stampa parlano di date che per moltissima gente significano la fame, tipo il 16 maggio. Una a caso, tanto sono dette tutte e caso, ma sono tutte lontane, troppo lontane. Chi lavora nei mercati o nei locali notturni cosa farà?
Ovviamente noi non abbiamo risposte, abbiamo però delle domande: quando diremo basta? Stanno fermando tutto ciò che c’è di indipendente, ci vogliono forse tutti ricattabili dai sussidi?
Sembra quasi che lo Stato stia giocando a un gioco molto pericoloso per noi, prima ci mette tutti a casa con misure straordinarie per un’emergenza da contagio, poi quando da questa germoglia quella sociale farà lo stesso? E noi continueremo a guardare? Riusciremo a capire quando il contenimento da sanitario diventerà sociale?

4 Aprile
Dio ci salverà
Tra teorie paranormali, complottismi, fobie varie e ipotesi ai limiti del fantascientifico stiamo sentendo boiate di tutti i colori. I media intanto danno enorme risalto alla polemica innescata da qualche farabutto riguardo la fede in Dio, al quale si appella per accelerare perché la scienza a detta sua non basta.
Truzzu, e poi Solinas, invocano Sant’Efisio in protezione dei cagliaritani e di tutti i sardi; il papa si scopre essere un esperto virologo e propone la preghiera come antidoto di tutti i mali; Salvini non sa più cosa tirare fuori dal cilindro e si mette a recitare l’eterno riposo a canale 5 con Barbara d’Urso, dichiarando poi che “non basta la scienza a sconfiggere il virus, dobbiamo affidarci al buon Dio”.
A mettere una pezza arriva una nota del ministero dell’Interno che precisa che per dare “dignità” alla settimana santa, nei prossimi giorni sarà permesso a preti, diaconi, organisti e chierichetti praticare le celebrazioni liturgiche. Le chiese saranno quindi aperte ai fedeli che possono recarvisi di passaggio rispettando le distanze di sicurezza. Quindi mentre un prete, barrando la casella della comprovata esigenza lavorativa, può celebrare la sua funzione, un artigiano non può svolgere il suo lavoro perché non rientra tra i beni di prima necessità.
Che strana etica del lavoro.
A Cagliari, dove i contagi sono circa 150, la linea del sindaco si può riassumere in quattro parole “Parchi chiusi, chiese aperte”.
L’insensatezza delle misure è ormai palese, come se il loro contenuto non fosse importante. Altro che runner, qua sembra che si voglia testare la “ginnastica d’obbedienza” della popolazione.

5 Aprile
“A dogna mali su remediu suu”
I detti sardi non sempre sono precisi, in questo caso contro il male che abbiamo davanti, di rimedi né vediamo più di uno.
Mentre le difficoltà economiche prendono piede e tantissime attività rischiano presto di trovarsi sul lastrico, i controlli per le strade sono sempre più numerosi e il numero dei denunciati più alto.
Fra questi vi sono molti che sono stati multati mentre andavano in campagna a lavorare per il proprio autosostentamento, che però non essendo certificabile a norma di legge è stato considerato insufficiente come autocertificazione.
In più in questo clima di esaltazione del controllo si sentono ben tutelate nelle loro azioni, e come si vede in alcuni video che girano in rete non fanno fatica a mostrare prepotenza e manganelli.
Sarà per qualcosa di simile che stanotte è stata bruciata la macchina del comandante dei Barracelli di Pula? Qualcuno starà iniziando a stancarsi del fiato sul collo delle guardie?
Come abbiamo già scritto il controllo e le limitazioni adottate per le campagne sono fra le più assurde. Vi sono restrizioni possibili per tutti i tipi di attività, le nuove imposizioni provano ad essere più forti delle regole naturali e delle scelte di chi quei terreni li cura da sempre, provando a imporre cosa sia importante e urgente. Non considerando chi si autoproduce il cibo o deve prendersi cura dei propri terreni. Non parliamo poi per chi produce e vende senza licenze, per scelta o per necessità, e non ha quindi alcun riconoscimento.
Persino gli agricoltori totalmente in regola hanno dei problemi nel recarsi a lavoro, dovuti alle zelanti interpretazioni di sbirri che soffrono di protagoismo.
C’è però chi prova a resistere, e grazie a reti di solidarietà e ad una buona dose di determinazione, trova altre soluzioni rispetto a quelle imposte.
Pubblichiamo di seguito un testo scritto dalla Rete delle Economie Complici e Solidali del Sud Sardegna:

L’AUTO PRODUZIONE NON E’ UN HOBBY
Un piccolo antidoto alla paura
In queste settimane di piena emergenza sanitaria, lo stato italiano sta inserendo, tra le molte misure
adottate per arginare la diffusione dell’epidemia, dei provvedimenti che hanno più il sapore del controllo sociale fine a se stesso che quello di contenere l’avanzata di questa pandemia.
Una di queste misure irragionevoli è la limitazione dell’uscita dalle proprie abitazioni per la cura e la coltivazione di piccoli appezzamenti di terra per coloro che portano avanti il lavoro in maniera autonoma e non imprenditoriale, rendendo così difficile portare avanti una pratica da cui traggono, totalmente o in parte, il loro sostentamento e rendendo legalmente impossibile lo scambio ed il commercio dei prodotti contadini e lo scambio di piccole prestazioni lavorative, come avviene nella pratica de”s’agiudu torrau”. Queste misure oltretutto si accompagnano a politiche che favoriscono e incentivano la grande distribuzione, rappresentata da supermercati e discount vari.
Noi pensiamo che questo modo di operare si traduca in un vero e proprio attacco
all’autodeterminazione alimentare delle comunità ed alla loro naturale resilienza; proprio in un periodo dove l’autoproduzione dovrebbe essere il punto di partenza della risposta a qualsiasi tipo di crisi, compresa quella sanitaria.
Il solo fatto di definire queste pratiche “hobbismo” è un insulto irricevibile ad una dinamica socio economica che storicamente, in Sardegna in modo particolare, ha permesso la sopravvivenza di una larga fetta di popolazione, esclusa dalle dinamiche del mercato capitalista.
Ci sembra evidente che i supermercati e la grande distribuzione siano, e non solo in questo periodo di emergenza, luoghi patogeni e non più solo a causa della bassa salubrità dei cibi prodotti industrialmente, ma anche per il rischio di contagio del covid 19 che deriva da assembramenti di clienti, dal passaggio di merci di mano in mano e dalla delocalizzazione della produzione, che comporta trasporto su ruote, navi ed aerei da ogni parte del globo.
Far passare una persona che vuole coltivare il proprio cibo nel proprio orto, come se fosse un irresponsabile alla ricerca di svago, è una visione miope e distorta, se non inquadrata all’interno di un progetto repressivo piuttosto che di contenimento dell’emergenza sanitaria.
Perciò pensiamo che tutte le esperienze e pratiche concrete, quali mercati contadini, gruppi d’acquisto solidale, coltivazione e vendita diretta da parte dei contadini e delle contadine appartenenti ai propri territori, siano i veri anticorpi contro la crisi sanitaria che stiamo attraversando ed alla depressione economica che inevitabilmente ne deriverà.
Coscienti che la soluzione non arriverà dal sistema che ha creato i presupposti di questa
pandemia, siamo certi che le pratiche contadine saranno sempre la prima e l’ultima risorsa sociale per affrontare qualsiasi tipo di crisi. Vogliamo esprimere la nostra solidarietà e complicità a tutti i contadini e le contadine che in questo difficile periodo continuano a portare avanti le loro pratiche di sempre, costretti/e ad aggirare norme e decreti e a sfuggire agli occhi inquisitori di uomini in divisa o in pigiama, per portare in tavola del cibo sano ed a rischio zero.
MISCHINU E MISERU EST S’ANGIONI CHI CICCA LATTI A SU MREXIANI
(Sfortunato e misero è l’agnello che cerca latte alla volpe)
R.E.C.S. SUD SARDEGNA
(Rete delle Economie Complici e Solidali)

6 Aprile
This is Sardinia
Pastorizia, agricoltura, pesca, turismo, ristorazione, chi più chi meno, sono tutti settori che stanno vivendo un momento di grande difficoltà, alcuni di crisi vera, altri ancora di chiusura totale, cioè fermo di qualsiasi operazione.
Il mantra ripetutoci fino alla noia è che serve uno sforzo di tutti e tutte per fermare il contagio, per arginare il virus e poi poter ripartire.
Ci siamo già soffermati sul fatto che da questo maremoto le uniche attività che potranno uscirne indenni saranno quelle ritenute strategiche, a cui quindi è stato concesso di non interrompere, modificare o ridurre le loro attività. Deroghe, permessi, ordinanze, ma anche occhi e orecchie chiusi per non vedere rischi di vere e proprie pandemie.
Ma questo mondo non può fare a meno di alcuni pilastri.
Ieri abbiamo avuto conferma – se mai ce ne fosse stato bisogno – che nel panorama sardo le attività militari godono dello status di intoccabilità strategica, al pari quindi ad esempio della Saras.
Dal 6 Aprile al 9 Giugno verrà riservato un corridoio aereo che permetterà agli aerei militari di volare dal Poligono di Quirra alla base di Capo Frasca, ovviamente questo includerà anche il sempre verde aeroporto di Decimomannu, che offrirà le sue piste per decolli e atterraggi.
Avremo quindi anche questa primavera i cieli del Campidano violentati dai Caccia e la penisola del promontorio di Capo Frasca distrutta dai test missilistici.
Gli unici contenti possiamo immaginare che saranno i pescatori dell’oristanese che dovrebbero essere indennizzati per le giornate di pesca perse, come al solito la Difesa si tutela comprando ogni forma di possibile malcontento.
Dell’inquinamento di mare e aria non frega nulla a nessuno.
I militari si stanno guadagnando solo un altro motivo per essere mandati via a calci in culo, quando questo accadrà non lo sappiamo, ma sapere che i super top gun del cavolo sfrecciano nei cieli e bombardano a tutto spiano, mentre a noi non è concesso neanche andare a prendere due asparagi fa piuttosto incazzare.
Ma anche sentire le istituzioni che tutte in coro fanno di tutto per colpevolizzarci per una passeggiata con il cane, una corsa al parco o una spesa “in più”, e poi obbediscono zitti all’economia di guerra.
Questa è la Sardegna, se mai ne avessimo avuto il dubbio, un terra in cui industriali del petrolio e generali fanno il buono e il cattivo tempo, vivendo al di sopra di qualsiasi legge imposta che dicono di voler addirittura difendere e rispettare.
Senza alcun rispetto per la gente che qui ci vive e muore, anche per colpa dei danni delle loro attività.
Mettiamo anche questo nel conto da fargli pagare.

7 Aprile
Abitudini
È passato un mese preciso da quel 7 Marzo in cui ci “chiedevano” di stare chiusi in casa. Oggi ci siamo chiesti in questo mese quanto le nostre abitudini siano cambiate.
E’ normale calcolare un’ora per fare la spesa al supermercato, uscire con portafogli, telefono chiavi e…mascherina.
Non stiamo vedendo i nonni e i parenti più anzianotti.
Ci mancano gli amici residenti nei paesi diversi dal nostro.
Sono spariti abbracci e strette di mano.
La notte non è più un’amica, non la frequentiamo più. E’ diventata una consigliera silenziosa per buone letture o bei film, comodamente stesi nei divani di casa.
Se già prima al vedere gli sbirri un po’ speravamo che fermassero quello prima di noi, ora è quasi una preghiera, e da dieci minuti prima di uscire iniziamo a pensare a quale scusa possa essere più adatta a seconda dell’orario e del posto in cui andiamo.
Gli amici li vediamo…dagli schermi dei nostri computer. La webcam si è sostituita agli abbracci.
Ci ritroviamo da soli a fare il giro dell’isolato di casa 100 volte piuttosto che correre al parco in compagnia.
Quando accendiamo la macchina per non far scaricare la batteria il cuore ha un fremito di nostalgia, stereo a manetta e braccio fuori dal finestrino sembrano lontanissimi.
C’è anche qualcosa di bello però, più cura di se stessi nell’alimentazione, negli esercizi, nella cura della casa o nel fare quei lavori che ci aspettavano da anni.
Qualcuno dice che questo mese porterà con se moltissime gravidanze, per quanto ci riguarda ci sembra prematuro…ma di sicuro concordiamo sul fatto che il sesso sia forse il miglior modo di occupare le nostre serate.
Ci sentiamo un po’ come Fantozzi, non sappiamo più se oggi è lunedì o venerdì.
Quanti hanno ceduto a infinite telefonate piuttosto che concedersi alla sfida dell’incontro?
Per quanto tempo avremo paura di abbracciarci anche a emergenza superata? Ci sentiremo a nostro agio in un locale affollato, o al primo colpo di tosse del nostro vicino andremo via?
L’esercizio a cui ci stiamo sottoponendo potrebbe lasciare cicatrici nelle abitudini di ognuno di noi, iniziare a interrogarci su quali esperienze vorremo portarci dietro e cosa invece vorremmo lasciare andare via insieme al virus, ci sembra un’attività piacevole da condividere.
Probabilmente non siamo mai stati collettivamente così mansueti e obbedienti, e c’è da scommettere che qualcuno farebbe carte false per mantenere il più a lungo possibile questa situazione. Noi ci stiamo chiedendo cosa ne pensiamo?

8 aprile
Diamo i numeri
I numeri in questi mesi hanno assunto un peso notevole nelle nostre vite, e anche in base ad essi che ci hanno imposto restrizioni pesantissime, mai sperimentate prima a livello collettivo.
A pensarci bene è un continuo bombardamento numerico.
La fanno da padrone le cifre su morti e contagi, ma non mancano stime di perdita e guadagno, multe e sanzioni.
Ovviamente non c’è da stupirsi, lo svuotamento di contenuti nella società che ha portato al dominio dei dati sulle idee non è cosa nuova, e al mondo dei numeri quindi eravamo già abituati.
Mancava nelle nostre esperienze recenti un conteggio giornaliero come quello che ci offre ogni giorno la protezione civile alle 18, dati che si rincorrono in statistiche di cui non sappiamo i parametri di riferimento.
Non ci stupirebbe che a oggi siano più numerosi i confusi rispetto a quelli che veramente hanno un’idea chiara – sempre secondo le fonti di governo – su quale sia la situazione, e c’è da temere che nelle stanze dei bottoni siano ben contenti che non si capisca molto di cosa sta accadendo.
Torniamo a dire che non vogliamo negare i morti o la gravità di questa situazione, ma ci sembra evidente l’uso intimidatorio che i media e le istituzioni politiche fanno dei numeri.
Un po’ di esempi:
tutti possiamo sapere facilmente il numero di morti e dei contagiati in ogni stato occidentale ma non sappiamo quasi mai che percentuale rappresenta.
vengono fatti paragoni tra stati che rappresentano un continente o quasi, e stati molto molto più piccoli, pensiamo a quante volte abbiamo visto il paragone tra Cina e Italia, ma anche tra Stati Uniti e Italia, e quasi nessuno fa notare che il paragone più azzeccato con gli Stati Uniti sarebbe l’Unione Europea.
sono rari i paragoni tra il tasso di mortalità del covid-19 e altre cause di morte specifiche che decimano il pianeta.
nella gestione del lockdown viene considerata l’Italia in modo uniforme, trattamento che non viene usato mai o quasi…
A titolo puramente informativo e un po’ provocatorio diamo anche noi dei numeri, provando a rispolverare l’estinta abitudine di citare i dati scelti per ricavarli.
percentuali dei contagiati in Sardegna: numero contagi 1005, popolazione 1.640.000 percentuale coinvolta 0,06 %
percentuale dei contagiati in Italia: numero contagi 147.577, popolazione 60.360.000 percentuale coinvolta 0,24 %
percentuale contagi area metropolitana di Cagliari: numero contagi 179, popolazione 420.677 percentuale coinvolta 0,04%
Stati Uniti: abitanti 328.000.000 superficie kmq 9.834.00 contagi 501.560
Unione Europea: abitanti 513.000.000 superficie kmq 4.436.000 contagi 779.401 (il dato facendo ricerche in italiano non si trova, bisogna utilizzare l’inglese)
Brasile: 209.000.000 abitanti 8.511.00 kmq 19.638 contagi
Inoltre non bisogna avere la laurea in statistica per capire che le istituzioni avendo il monopolio esclusivo dell’uso dei tamponi possiedono anche il controllo delle statistiche. Se lo Stato per esigenze economiche volesse far crollare la curva dei contagi basterebbe che ordinasse di fare 10.000 tamponi in un giorno nel meridione, così come se volesse un’impennata basterebbe concentrare i tamponi nelle zone più colpite. I dati che noi freneticamente controlliamo non hanno alcun riferimento complessivo e neanche affidabilità.
Ecco cosa si trova a proposito dei tamponi su internet (al 6 aprile): tamponi fatti in Italia 691.461 che percentualmente sull’intera popolazione vuol dire 11.436 ogni milione d’abitanti. Tamponi fatti in Sardegna 9.444.
Ovviamente il giochino dello Stato italiano di dare i numeri a suo uso, consumo e necessità viene fatto da tutti gli stati più coinvolti. Trump si vanta di essere quello che fa più tamponi (1.700.000) e si guadagna le prime pagine dei giornali e forse la rielezione alla Casa Bianca, invece la classifica delle percentuali sulla popolazione lo colloca lontanissimo dalle prime posizioni con 5379 tamponi per ogni milione di abitanti, facendo fare bella figura all’Italia che ne ha il doppio.
La conclusione la lasciamo a tutti coloro che avranno voglia di leggere e approfondire queste ricerche. A noi sembra evidente che la statistica sia sempre più uno strumento utilissimo a chi comanda* per raccontare in modo sedicentemente scientifico le sue verità, nascondendone altre, quelle che ci viviamo sulla nostra pelle.
*il riferimento ad esempio è su come vengano redatte le percentuali di occupati e disoccupati, per risultare nella percentuali degli occupati basta aver avuto un contratto di 5 giorni in un anno intero.

Ponti
2 Aprile – Gonnesa, crolla il ponte che conduce alla spiaggia di Fontanamare durante il passaggio di un compattatore dei rifiuti, nessun ferito
8 Aprile – Crolla un ponte tra Massa Carrara e La Spezia, due trasportatori feriti.
Perché parlare di questi avvenimenti in un diario di cronache e riflessioni sull’epidemia?
Perché probabilmente, se non fossimo nella situazione in cui siamo, questi due fatti avrebbero potuto causare dei danni molto più gravi e anche i giornali gli avrebbero dato un risalto molto diverso. Invece sulla stampa vengono relegati a trafiletti, dopo il bombardamento sull’epidemia.
E se sul ponte di Gonnesa ci fossero state delle macchine dirette verso la spiaggia?
E se sul ponte di Massa ci fossero stati, anziché due, decine di mezzi?
Sicuramente queste costruzioni, specialmente quello di Gonnesa che è molto piccolo, non sono paragonabili, per importanza e viabilità, al ponte Morandi di Genova, crollato nell’agosto del 2018, ma qualcosa unisce questi avvenimenti.
Li unisce il fatto che sono crollati sotto il peso di gente comune che lavorava, crollati per l’incuria di uno Stato che costruisce infrastrutture e poi spende i soldi della manutenzione in armamenti, per poi spargere lacrime di coccodrillo quando succedono le stragi e invocare l’unità nazionale nel lutto.
Cosa è cambiato dal crollo del ponte Morandi?
Nulla: lo scorso novembre i tecnici dell’Anas avevano dichiarato che il ponte di Massa non presentava “condizioni di pericolosità” nonostante una crepa formatasi in seguito ad un ondata di maltempo.
E il ponte di Gonnesa è stato mai controllato?
La sanità va a pezzi, i medici muoiono in corsia per assenza di mascherine, i ponti crollano, gli incendi devastano le campagne, l’inquinamento uccide le persone e compromette i territori. Lo Stato in tutto questo è assente o in colpevole ritardo e non accetta neanche che autonomamente ci si sostituisca. L’autogestione è criminalizzata, ricordiamoci i divieti di assemblea nelle tendopoli degli sfollati dopo il terremoto de L’Aquila, a cui era impedito organizzarsi per fare qualsiasi cosa.
La soluzione a nostro modo di vedere non è certo quella di pretendere uno Stato più efficiente e presente, ma quella di diffondere pratiche di autodeterminazione.

9 Aprile
Parole
Avete notato come vengono utilizzate alcune parole dagli uomini di Stato e dalle testate giornalistiche?
Ormai sembra assodato che quella contro il virus è una vera e propria guerra, con le suet trincee ed i suoi eroi, e spesso veniamo invitati ad essere dei buoni soldati, a chiuderci nelle nostre dimore e controllare che i nostri vicini non facciano i furbetti.
Mattarella ha persino detto che dovremo unirci come accadde nel dopoguerra. Chissà se intende dire che prima sarà necessaria una lotta di liberazione come quella partigiana!
Pensiamo a quante volte abbiamo sentito il termine autocertificazione, probabilmente talmente tante da essere convinti che fuori di casa ci siano molti più controlli rispetto a quelli effettivi. A dimostrazione che spesso la paura del controllo sia essa stessa la prima limitazione che esercitiamo su noi stessi.
In questi ultimi giorni il termine più ricorrente è lockdown, ma cosa sarà mai? La traduzione letterale dall’inglese è confinamento ma più in generale si può utilizzare per indicare la chiusura totale, l’isolamento. Infatti viene utilizzato in ambito carcerario, il che dovrebbe già di per sé farci riflettere.
Ma perché utilizzare una parola straniera per indicare la situazione in cui siamo costretti? Non sarà forse un modo per confondere le idee utilizzando un termine non presente nella cultura collettiva? Forse sentir dire confinamento o isolamento è troppo duro?
Giammai, poi magari qualcuno pensa di essere sotto dittatura!
Allo stesso modo c’è un incessante propaganda sul distanziamento sociale, con tutte le sue teorie sul metro di distanza e sul centimetro in più o centimetro in meno. Da qui la proposta di alcuni governatori (compreso Solinas) di adottare un’applicazione per lo smartphone per controllare gli spostamenti dei sottoposti a quarantena e prevenire i contatti con i contagiati. Questo modello è stato sperimentato a Wuhan, non si capisce però come verranno diffuse le app, se saranno imposte per legge o solo consigliate. Di sicuro sembra un capitolo di orwelliana fantasia.
Sarà forse che le parole di oggi stiano preparando il terreno per il mondo di domani?

10 Aprile
Kontus de Kasteddu V
Pubblichiamo un contributo ricevuto dal quartiere di San Benedetto:
La giornata è silenziosa a tutte le ore, le vie, normalmente attraversate da persone intente a fare shopping, ora vedono solo le file di fronte ai supermercati e alle farmacie, accompagnate da sguardi
paranoici. Controllano quanto si è vicini, se si ha la mascherina, si starnutisce o si ha un colpo di tosse. I pochi passeggiatori possono essere considerati superstiti, dell’ansia, della frustrazione e dei rimproveri che, sfortunatamente, non sono rari.
Si passa dalle urla a chi passeggia in due, alla vicina che sgrida perchè non si porta la mascherina, ma le va bene anche un foulard, tanto protegge lo stesso, no?
San Benedetto è sempre stato un quartiere di anziani, eppure son proprio loro i più rilassati, prendono timidamente una boccata d’aria e forse, per loro pace, non conoscono l’hashtag #iorestoacasa. In poco tempo ci si è rivelati spioni e non bastano le volanti che si vedono girare a tutte le ore, in particolare in viale Europa, pare sia proibito pure un bel panorama e un po’ di aria fresca. Le pattuglie raramente si fermano a controllare, basta la loro presenza per tenere tutti chiusi in casa, come topi, in attesa di chissà quale grazia. Negli ultimi giorni si è aggiunto un ronzio fastidioso, oltre il puntualissimo inno nazionale alle 18, un elicottero attraversa in lungo e largo la città a caccia di furbetti. Impertinente incalza una domanda: quando ci stancheremo di tutto questo?
Invitiamo tutti e tutte quelle che hanno voglia a mandarci dei contirbuti dai loro quartieri o paesi, in modo da costruire un mosaico delle varie situazioni ed esperienze che stiamo vivendo in Sardegna in questi tempi dell’epidemia.

11 Aprile
Nuovo giro nuova corsa
È cominciato tutto poco più di un mese fa quando le prime restrizioni ci hanno imposto di restare a casa, e adesso la fine continua a sfuggire.
Il premier Conte ha prorogato la chiusura totale, il_ lockdown_ come dice lui, fino al 4 Maggio. Sembra quasi una barzelletta, ogni volta che ci avviciniamo alla fine delle restrizioni qualcuno da lassù le rinvia.
Questa volta però sembra che ci siano dei miglioramenti, qualche azienda può riaprire e anche le librerie e le cartolerie, a discrezione regionale. La Spagna, nonostante un numero di casi più elevato dell’Italia, riapre parte delle attività produttive, anche di quelle non essenziali.
A dimostrazione che la gestione dell’emergenza sia un fatto molto più politico che sanitario.
E infatti più che un dibattito tra politici su come risolvere questa situazione di emergenza stiamo assistendo ad un battibecco tra opposte fazioni, come se fossimo in campagna elettorale.
Dal lontano Brasile, precisamente dalle favelas di San Paolo, arriva un esempio molto interessante, nelle periferie disastrate della capitale carioca, ricche di popolazione ma povere di risorse, hanno deciso di autorganizzarsi, consapevoli che lo Stato non si sarebbe preoccupato di loro. Autoproduzioni di mascherine e disinfettante, distribuzione di cibo da parte di volontari e un tentativo di gestione comunitaria della sanità sono tra le iniziative intraprese.
Intanto sul web spopolano strani fenomeni, alcuni molto interessanti. Anche qui in Sardegna circola la voce, da noi non verificata, che con la scusa dell’epidemia stiano iniziando a montare le antenne 5G. Sui social è un gran fracasso di opinioni, tra chi dice che le antenne facilitano il contagio e chi consiglia di incendiarle, come hanno fatto in Inghilterra, Olanda, Spagna, Stati Uniti e nella vicina Liguria.
Come abbiamo già scritto, non sarebbe poi strano che con la scusa dell’emergenza sanitaria e dello_ stato d’eccezione_ ne approfittino per imporci delle novità permanenti, alcune anche non percepibili da subito come pericolo sanitario o sociale.
Se così fosse, non vediamo miglior rimedio che stare fuori da casa, ricominciare a parlare e scambiarci le idee, capire come siamo messi e come affrontare questa crisi.
E poi chissà, da cosa nasce cosa.

12 Aprile
Bona pasca a bosatrus e familia, chi in familia nci podeis andai!
L’aria che tira in questi giorni di festività nell’isola, viene rappresentata fedelmente dalle pagine dei quotidiani e dalle dichiarazioni di sindaci e prefetti.
Gli stessi che da tempo preparano un controllo esteso e organizzato per le giornate di pasqua e pasquetta, mettendo in campo più forze, strumenti e severità di quanto fatto fino ad ora.
Alcuni comuni come Villasimius sono stati letteralmente sigillati da posti di blocco, droni e controllo delle targhe, nessuno entra e nessuno esce.
Questo accade per il timore che la stessa vocazione turistica che manda avanti i paesi gli si ritorca contro attirando masse di vacanzieri pasquali nelle spiagge e nelle seconde case, aumentando la possibilità di assembramenti e quindi di contagi. Questo a detta del sindaco di Villasimius che invita a rispettare le ordinanze, altro che “pronti a ripartire! con la stagione”.
Senza andare chissà dove, pare che queste “minacce” abbiano avuto il loro effetto un po’ ovunque. Persino nel quartiere di Is Mirrionis, in genere popolato nelle strade e nelle piazze, stamani era tutto deserto.
La minaccia di controlli a tappeto – a nostra parziale percezione – è stata più potente dell’effettiva presenza delle forze dell’ordine, che non avrebbero comunque avuto molto da fare visto che la città era desolantemente deserta.
Questi giorni però, andrebbero ricordati per le ulteriori proteste all’interno delle strutture sanitarie sarde conseguenti alle condizioni particolari che stanno vivendo.
A Oristano infatti svariati sindacati si lamentano dell’arretratezza nella prevenzione e cura nel reparto dedicato al Covid-19.
Al pronto soccorso di Sassari gli operatori sanitari non ci stanno più e accusano il direttore dell’ospedale per lo stato di instabilità e disorganizzazione della struttura.
Tanti infermieri e medici si ribellano alla visione che danno giornali e politici proclamando pubblicamente “In trincea senza protezioni. Noi soldati-eroi? La colpa è dei generali”.
Addirittura, da martedì 8 aprile, alcuni reparti rischiano la chiusura momentanea per la grave mancanza di materiale fondamentale per rispondere all’emergenza.
Dopo giorni di incuria, ecco che arrivano 1000 tute protettive dal Friuli e altre 3000 fornite dalla Croce Rossa regionale.
La domanda è sempre la stessa: quanto spendiamo per il controllo dei territori e quanto per l’emergenza sanitaria? Quanto costa quel maledetto elicottero che svolazza per le città e le coste cercando i furbetti del momento? Perché a Pasqua si investe tutto sul controllo invece che sulla sanità? Forse anche il buon Dio appena risorto non sarebbe d’accordo con il governo?
E chi era isolato, rimarrà a pranzo solo, nei corridoi dei reparti, con la paura di essere l unico a lamentarsi dell’ennesima noncuranza dello Stato per questa terra.

13 Aprile
“incumintzia sa patzientzia de su populu a mankare”
La notte di Pasqua tra preghiere solitarie e processioni deserte ha portato con se diverse scritte sui muri di Is Mirrionis, di cui una dal significato inconfondibile, vergata sulla caserma della polizia di fronte al Santissima Trinità, ignoti hanno scritto “ci avete scassato la minchia”, diligenti digossini hanno addirittura già avviato le indagini, instancabili servitori hanno invece pulito il muro.
Sabato la polizia ha arrestato con una sospettosa puntualità un ragazzo di Pirri che attraverso i social sobillava le persone, arrivando addirittura a convocare un corteo per mercoledì 15, per protestare contro la presunta incostituzionalità dei provvedimenti contenitivi del governo.
Senza entrare nel merito delle analisi che spingevano questo ragazzo a incitare la ribellione e ai motivi del suo arresto (slegati all’attività di propaganda), ci sembra quantomeno particolare che l’unica voce che si è pubblicamente levata (non solo via internet, più volte questo ragazzo ha protestato per strada contro presunti abusi delle fdo a carico suo o altrui) contro le misure e chi si preoccupa di farle rispettare, sia stata zittita in modo così efficace.
Lentamente quindi, forse l’aria sta cambiando, l’insofferenza sta piano piano prendendo il posto dell’obbedienza, i motivi perché ciò avvenga sono milioni, almeno quanti milioni siamo noi abitanti di uno Stato che ci chiude in casa. Basta concedersi una passeggiatina un po’ più lunga e larga di quanto concesso, per sentire tante voci e storie diverse che in un modo o nell’altro potrebbero giungere alla disobbedienza.
Tra chi è senza lavoro, chi vive costretto in convivenze spiacevoli, chi non ne può più e basta.
Quanto resisteremo ancora a elicotteri usati come dissuasori e a migliaia di controlli quotidiani?
Un’ultima pillola statistica, ieri nella zona intorno Roma sono stati effettuati 30.000 controlli, a Milano città 10.000, a Palermo 4.000, non si trovano dati su quelli effettuati in Sardegna, forse la situazione sta un po’ sfuggendo di mano? Per il 25 Aprile metteranno l’esercito? E il 1° Maggio?

14 Aprile
Pubblichiamo un piccolo racconto inviatoci dalle case del Poetto, nel lungomare cagliaritano. Proprio oggi il presidente Christian Solinas ha dichiarato che nell’isola non ci sarà un allentamento delle limitazioni, non apriranno librerie e cartolerie e ha addirittura interdetto l’accesso a tutte le spiagge, oltre che ai parchi e giardini pubblici. In alcuni paesi erano già stati sbarrati gli ingressi alle zone balneari (Nora ad esempio). Intanto sui giornali compaiono proposte molto simili a barzellette, come quella che prevede dei muri di plexiglass attorno ad ogni ombrellone, per assicurarci un estate al riparo di ogni contagio.

Kontus de Kasteddu VI – Dal poetto
Il Poetto da sempre offre ai cagliaritani la possibilità di evadere dallo stress del lavoro e godersi una bella giornata di sole andando al mare o allenandosi in compagnia, ma dal 10 marzo tutti i momenti di svago sono stati limitati alle mura domestiche, si può uscire solo per situazioni di comprovata necessità e di emergenza.
Da quel giorno le cose sono cambiate drasticamente, e il lungomare, come il centro cittadino, è passato da luogo di ritrovo a luogo immagine dell’obbedienza nel rispettare il decreto.
Per ottenere questo scopo però è fondamentale che sia e rimanga vuoto, e disincentivare le persone anche solo dal provare a venire sino a qui diventa chiave. Per cui via alle forze dell’ordine con ogni mezzo possibile, dall’elicottero che quotidianamente sorvola le nostre case a bassa quota, alla polizia locale con le bici, la polizia di stato con la moto (che pubblicano sui social video del Poetto orgogliosamente deserto) sino ad arrivare a fare i primi test dei droni davanti agli stabilimenti balneari.
Tutto questo apparato messo all’opera è talmente puntato su tale obbiettivo che anche se sei residente e sei a meno di 200 metri da casa tua ti consigliano caldamente di rientrare a casa, non importa cosa stia facendo o quanto lontano, in ogni caso il lungomare deve rimanere vuoto.
Sembra che la linea che separa cosa sia logico fare per contrastare un virus da cosa sia permesso fare dal decreto sia talmente sottile da essere sparita, e così anche un uomo che abita a pochi passi dalla spiaggia, che in totale solitudine mette la sua canoa in mare, è un pericolo per la salute di tutti quanti e va fatto rientrare immediatamente nonostante sia scritto in ogni decreto che l’attività sportiva non sia vietata se fatta individualmente e nei pressi della propria abitazione.
Non so se siano state fatte denunce, non credo, quello che è cambiato è proprio l’aria e il clima che si respira ma quello penso dappertutto purtroppo, rimane solo da chiedersi cosa succederà quando il tipico caldo cagliaritano busserà alle nostre porte.