Bentruxu / 27 Aprile – 6 Maggio

tratto da: Bentruxu

27 Aprile
Fase 2
Il 4 Maggio giorno tanto sospirato da tutti o quasi si avvicina.
E come ci si poteva aspettare è iniziato il balletto mediatico e politico su cosa accadrà, cosa sarà permesso e cosa ci sarà ancora proibito in questa fantomatica Fase 2.
Un’analisi dettagliata è impossibile da fare, in quanto forse per volontà forse per incapacità i vertici politici non sono precisi, ne tanto meno chiari.
A noi non resta che attendere, cosa alla quale ci siamo ormai abituati, e sperare che le concessioni siano più delle restrizioni.
Pare sicuro che rimarrà in vigore l’obbligatorietà dell’autocertificazione, che non è altro che un modo per mantenere la capillare presenza di sbirri sul territorio e per continuare a farci vivere con l’ansia di essere fermati in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.
Vedremo nei prossimi giorni cosa accadrà, ma sembra che la tanto sospirata e ammirata unità nazionale si stia frantumando sotto le pressioni della Confindustria e delle necessità primarie ormai impossibili da procrastinare. I governatori regionali mordono il freno, Conte ha la fronte sudata, l’estate è alle porte. Sarà un Maggio particolare.

28 Aprile
La conclusione di Aprile si porta con se alcune giornate di memoria storica, ormai completamente assorbite dalle istituzioni e svuotate del carattere conflittuale che hanno contraddistinto i momenti che ricordano. È stato così per il 25 Aprile, cavallo di battaglia persino del PD, e sarà così per il primo Maggio, celebrato da quello stesso Stato che va a braccetto con Confindustria, responsabile delle migliaia di contagi nelle fabbriche del Nord Italia.
Anche oggi, 28 Aprile, è una giornata particolare per chi vive in Sardegna. Nel lontano 1794 a Cagliari, un moto insurrezionale scacciò momentaneamente i piemontesi e il loro viceré, dando dimostrazione della forza del popolo.
Per noi che viviamo nel nuovo millennio, non ci sono più tiranni piemontesi ne viceré, la democrazia, vera protettrice della libertà individuale, ha scalzato il vecchio mondo, facendosi portatrice di un sistema più giusto ed egualitario.
Qui in Sardegna non subiamo più i soprusi dei conquistadores d’oltremare, godiamo addirittura di una specie di autonomia governativa! Ad amministrare l’isola ci pensano dei veri difensori della terra e della cultura locale, possiamo star tranquilli che finché ci sono loro nessuno arriverà a depredare terre e comunità, la Sardegna ha finalmente la dignità che si merita!
La cosa peggiore non è tanto il contenuto di queste menzogne, bensì che la gente ci crede.
La realtà è veramente molto lontana, e ci parla di tutt’altro. Ci parla di un partito che si spaccia come difensore dell’interesse dei sardi ma preferisce allearsi con chi ha sempre denigrato l’isola e le sue genti. Un partito capeggiato da un fantoccio, Solinas, che in questi giorni sta dimostrando quanto poco vale la sua parola e l’autonomia che vanta. Di un partito che continua ad agevolare chi sfrutta la gente e devasta il territorio.
Ma che cerca di redimersi parlando in limba oggi, come se questo bastasse a cancellare la vergognosa condotta italianista e servile con cui si contraddistingue.
Autonomia, dicono. Non ci sembra proprio che questa ci abbia resi liberi di scegliere per noi.
L’esperienza di questi mesi ci ha costretto ad affrontare difficoltà, rinunce, sacrifici e in alcuni casi anche grandi sofferenze. Ha però avuto anche il merito di mostrarci alcuni aspetti che la politica istituzionale tende a nasconderci, come la fragilità e la dipendenza della magra economia di sfruttamento con cui a fatica sopravviviamo. Per noi quindi la vera sfida sarà provare a creare una nostra fase 2 e poi 3 e 4 e così via, cercando e proponendo spiragli di autogestione all’interno dei territori che viviamo, smascherando gli ascari che fanno gli interessi dei padroni e sperimentando nuove forme di convivenza fra noi e la nostra terra, più equilibrate e rispettose dell’ecologia e della libertà.

29 – 30 Aprile
Pubblichiamo una riflessione extraredazionale:
Le relazioni pericolose
Mai quanto questi due lunghi mesi potrebbero rivelarsi un esame collettivo sulla tenuta e sullo spessore delle relazioni che ci scegliamo e di cui ci circondiamo.
Anche i giornali da qualche settimana hanno iniziato a pubblicare articoli di psicologi, sessuologi, terapeuti di coppia, per parlare delle possibili conseguenze che l’arrivo imprevisto di questa forzata clausura potrebbe causare nelle relazioni. Alcuni nei loro articoli si sono sentiti anche di dedicare un paragrafo al che fare, per prevenire malumori o crepe difficili da riparare. Devo dire che leggendoli li ho trovati tristi e noiosi, e non perché non mi ci ritrovassi o perché i suggerimenti fossero inutili o inadatti, ma perché l’approccio era tristemente superficiale e banale.
Ad esempio solo raramente è stata considerata con uguale importanza la possibile crisi di coppia con la crisi del single, che chiuso in casa da mesi sta impazzendo dalla voglia di un contatto fisico intimo, oppure la mancanza di un amico.
Non che io mi voglia sostituire a questi illustri scienziati, ma mi piacerebbe piuttosto provare a raccogliere nelle ultime – speriamo – pagine di questo diario dell’epidemia, delle considerazioni sui vissuti.
Dopo le impressioni e le preoccupazioni dei primi giorni, le analisi della fase centrale credo che sarebbe interessante condividere i pensieri di questa parziale fase finale.
Visto che – come ampiamente prevedibile – le istituzioni si stanno prendendo gioco di noi con numeri e numeretti, fasi e mascherine, tanto vale che parliamo di noi. O almeno ci proviamo. Io ci provo.
Credo che la scelta presa all’inizio di non sottostare all’imposizione domestica si sia rivelata giusta, uscire almeno una volta al giorno mi ha insegnato poco per volta a prendere le giuste precauzioni per stare in giro, provare ad adattare le mie abitudini diurne e notturne al lockdown è stata un’esperienza che mi porterò dietro, molto formativa e stimolante. Frequentare delle persone mi ha messo nella condizione di scoprire i miei limiti, le mie paure, ma anche quelle altrui.
Non è un giudizio verso altri, ma un’impressione raccolta, mi è parso che chi si sia imposto autoquarantene o varie altre misure di sicurezza sanitaria l’abbia fatto più per serenità psicologica che per ricerca di sicurezze scientifiche o reale pericolo di contagio, tant’è che conosco solo due persone o tre che hanno passato le fatidiche due settimane da sole in casa, senza contatti se non con l’unica persona che è necessaria alla sopravvivenza.
Cioè mi sembra che i rischi li abbiamo corsi tutti o quasi, che però si sia diffusa la scelta che per essere più sereni ci si autodichiarava comunque in quarantena, quasi per imbrogliare il virus che viene a suonare il campanello. Ma nella realtà quella campanello è stato negato agli amici in carne e ossa, e si è scelto quindi di affrontare i problemi da soli o quasi.
Scelta che può essere non condivisibile ma che va assolutamente rispettata.
In generale ho percepito una scarsa attenzione verso le necessità altrui, da questo punto di vista mi sembra che purtroppo l’egoismo abbia permeato le nostre vite più di quanto vogliamo ammetterci e di quanto ci rendiamo conto.
Alcuni racconti (di scelte prese in questi mesi) che mi sono arrivati sforano nell’assurdo, assunto acriticamente come se oggi non fosse attaccato a ieri e domani, comportamenti che collocati nelle nostre abitudini ci avrebbero lasciato a bocca aperta e lingua asciutta.
La cosa triste, dal mio punto di vista, di questo egoismo sta nel fatto che non prendersi cura degli altri vuol dire anche non prendersi cura di se stessi, perché reiterare in questo atteggiamento alla lunga porta a creare delle distanze faticose da ricucire e quindi al logoramento dei rapporti.
Penso a chi ha patito in questo periodo sofferenze completamente esterne all’epidemia, per le quali – per abitudine ma anche convenzione sociale – siamo abituati a starci vicini e darci manforte, in alcuni casi forse non è stato neanche possibile condividere l’accaduto, perché con molti amici i rapporti si sono ibernati (come Han Solo), in attesa che Conte li scongelasse.
Ma non solo, anche chi invece ha patito proprio i mali causati da questa situazione, le coppie che sono esplose perché non abituate a convivere h24, chi ha sofferto di solitudine nel vuoto del suo monolocale, chi del sovraffollamento famigliare in una casa di 50mq, chi ha finito i soldi e li ha dovuti chiedere in famiglia, chi ha patito della distanza dalla persona amata rimasta oltremare e via dicendo.
Quanto ci siamo presi cura di questi casi? Quanto ci siamo presi cura anche solo di scoprire se queste cosa avvenivano?
E’ triste, sempre a mio modo di vedere, che quindi abbiamo pensato che di fronte alle imposizioni dello stato fossimo tutti uguali. Ve lo ricordo, non è così.
Una cara amica qualche settimana fa riconosceva la sua fortuna nell’avere una casa grande, accogliente, ben attrezzata tecnologicamente e capiva quanto grande fosse il suo privilegio. Capire questo vuol dire capire meglio chi reagisce in modo diverso.
Come chi lavorava in nero. Ci abbiamo pensato, abbiamo fatto qualcosa per aiutarli?
Come ho scritto all’inizio, quest’esperienza potrebbe essere un’esame – non voluto e non cercato – sulla tenuta delle relazioni di cui ci circondiamo. L’esame andrà avanti a lungo, perché il ritorno alla normalità non sarà veloce, per ora se posso esprimere un parere critico – ma che vorrebbe essere stimolante – direi che siamo rimandati a settembre.
Il mio immaginario idilliaco e sempre fervido come quello di Pumba (per chi sa cogliere la citazione) sogna che in una situazione nuova e grave come questa ci si avvicini – non per forza fisicamente, ma nemmeno solo con le videochiamate – per darsi manforte, per offrire sostegno, ognuno come può. Per quello che ha o sa fare.
Altrimenti le istituzioni – stato e famiglia in primis – prenderanno il sopravvento nelle nostre vite e nella società, come se ce ne fosse bisogno.
Ammettere le proprie difficoltà è tanto difficile quanto dimostrarsi in grado di accogliere quelle degli altri. Però questa è l’amicizia e la complicità.
Vogliono fare App per tutto, per sostituire anche i nostri rapporti di amicizia, sembra un’esagerazione distopica? Esistono già da molto le App per conoscere le persone, per innamorarsi, per tenere il conto dei cicli mestruali, usiamo la tecnologia ma non perdiamo l’umanità.
Appena possiamo usciamo di casa, andiamo a suonare senza preavviso il citofono di un caro amico o una cara amica e godiamo del sorriso che ci farà, e subito dopo azzardiamo un abbraccio forte, che le emozioni fanno bene.
Bentruxu ha ospitato in questi mesi svariate riflessioni personali che non sono per forza condivise integralmente dai redattori, ma che a vario titolo sono state considerate interessanti all’approfondimento e all’allargamento dell’analisi sullo smottamento sociale, economico e intimo causato dall’epidemia. Per questo continuiamo a caldeggiare nuovi contributi, sotto ogni forma, lunghi, corti, audio, anonimi, in prosa o in altre lingue.

1 Maggio
Il futuro è già qui
Come abbiamo scritto nelle pagine precedenti, e come viene confermato dagli avvenimenti, stiamo assistendo ad una ristrutturazione tecnologica delle nostre vite. Avevamo iniziato con la diffusione dello smart-working e la scuola digitale, per arrivare adesso alle proposte di app come Immuni e a tutto ciò che è necessario perché essa possa funzionare.
In Cina vantano di aver sconfitto il contagio proprio con l’aiuto della tecnologia: per circolare è necessario essere dotati di smarthphone e ogni ingresso-uscita dal proprio distretto, così come dai negozi o mezzi pubblici, è vagliato tramite QR code, che ormai è diventato onnipresente nella vita dei cinesi. In parole povere vengono registrati tutti gli utenti che frequentano lo stesso luogo nello stesso momento in modo tale da venire avvisati se si viene in contatto con persone che hanno rischiato il contagio. Il proprio profilo viene riconosciuto tramite un codice: verde se si sta bene, giallo se si presentano sintomi sospetti e rosso se si viene contagiati. Tutto ciò è accompagnato da check-point che misurano la temperatura e si assicurano che i cittadini non stiano in giro più del concesso (inizialmente si aveva il permesso di stare in giro esclusivamente 2 ore al giorno).
In Italia per adesso il dibattito verte sull’utilizzo dell’applicazione Immuni e sulla sua funzionalità e soprattutto sulla questione della volontarietà e della privacy. È come se lo Stato stesse facendo un doppio gioco: da una parte sostiene l’adesione volontaria all’applicazione, come per mostrare il proprio spirito profondamente democratico a differenza dei paesi come la Cina, dall’altra ne promuove massicciamente il suo utilizzo, facendo leva sulla paura del contagio. Se ci dovesse essere un utilizzo ampio dell’applicazione non sarà difficile prevedere come verranno trattati tutti coloro che, per scelta o necessità, non aderiranno.
Ma il problema non è solo questo. Nello stivale non è ancora presente una rete di infrastrutture 5G capillare, anche se le prime antenne sono già state installate, perciò adesso si fa leva su questa fantomatica arretratezza del sistema tecnologico per nascondere l’arretratezza dal punto di vista sanitario.
Giuseppe Pignari, cyber security officer di Huawei Italia (una delle aziende che si occupa di infrastrutture 5G), sostiene che l’Italia è molto più arretrata della Cina perciò avrà una difficoltà maggiore ad affrontare il pericolo del contagio e ciò che ne comporta. Per esempio in Cina molte visite mediche avvengono virtualmente, oppure la consegna del cibo è in molti casi robotizzata, così come la rete 5G è già ampiamente diffusa perciò le applicazioni sulla prevenzione del contagio possono permettersi un circolo di dati molto maggiore.
In poche parole farci sostituire dalle macchine così evitiamo di essere contagiati…
Ma non c’è da sorprendersi, il progresso tecnologico è ormai diventato uno dei capisaldi di ogni Stato, e le telecomunicazioni ne costituiscono la sua ossatura principale, basta vedere da chi è composta la task force per la fase 2 nominata dal governo Conte. A capo troviamo l’ex amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, accompagnato da gente come Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia e responsabile dell’innovazione tecnologica di Leonardo (ex Finmeccanica, la principale produttrice di armi in Italia).
Ancora una volta assistiamo ad un meccanismo già visto e rivisto: facendo leva sulla paura vengono presentate delle soluzioni inevitabili…vogliamo rendercene conto troppo tardi pure questa volta?

2 Maggio
riceviamo e pubblichiamo un contributo:
NON DIMENTICHIAMOCI LE NOTTI
SI SGOMBERANO BALCONI, CUCINE, APPARTAMENTI E SI RIOCCUPANO STRADE, PIAZZE E TETTI
ASTENERSI SANTI ED EROI
Siamo statx buonx per ben 45 lunghi giorni e notti prendendoci la nostra responsabilità di cura per le nostre Sfamiglie, cosa che tra l’altro facevamo già.
Stiamo approfittando di questo DSO (Distanziamento Sociale Obbligatorio) per provare a mettere in pratica ciò che abbiamo imparato dai laboratori su consenso e relazioni.
Ci siamo presx cura soprattutto della paura all’interno di queste Sfamiglie.
Paura alimentata dalla mancanza di un’informazione diretta, chiara e corretta e da limitazioni prima penali e poi pecuniarie, reinterpretabili da sbirro a sbirro, da comune a comune, da provincia a provincia, da condominio a condominio, da manganello a manganello, che criminalizzano la nostra sanissima esigenza di perdere tempo e continuare a stringere quelle relazioni umane che escono dal nostro nucleo e si nutrono di spontaneità.
Chiuderci a chiave in casa e controllarci mirava a prendere due piccioni con una scusa, sappiate invece che siamo tantx e stiamo tubando!!!
Aggiravamo mancanze e obiezioni di coscienza già prima della quarantena e da tempo diffidiamo di chi non è in grado di divulgare corrette informazioni sulle malattie sessualmente trasmissibili, figuriamoci per ciò che riguarda un virus che si trasmette per via aerea!!
Sarà stato questo il motivo di tanta confusione per cui in Sardegna si esercita la contraerea?
Non siamo ancora tuttx veganx ma ci fa ribrezzo l’idea di mandare al macello il personale ospedaliero, la carne da macello non ci piace come concetto di base, a fine mese potremmo però riflettere sul mangiarci i ricchi, quasi quanto riflettiamo sulla voglia di festa che abbiamo.
I giorni e le notti sono concetti relativi, questo scritto vale per oggi, per ieri e per domani, la resistenza è uno stato mentale.
Non ci piacciono le cosiddette feste comandate cosi come le imposizioni.
Non vogliamo più giocare, bruciamo il gioco, il comandante, la frontiera, la prigione, la bandiera e saccheggiamo il supermercato!
Farsi dire dai padroni le modalità con cui dissentire pare quanto meno illogico.
Sgomberiamo il nostro balcone e manifestiamo come più ci piace per il bisogno stesso di manifestare.
Non ci accontentiamo della strada, vogliamo i mari, i boschi e tutta la campagna.
ANTIFASCISTX ANARCOTRANSFEMMINISTX ANTIPATICX
D’OGNI GENERE E DEGENERE E PIUMAGGIO

3 Maggio
Regolarizzare lo sfruttamento
Mentre continua imperterrita l’ossessione dell’“iorestoacasa”, persino in vista della fase 2, c’è chi non può prendere alla lettera i decreti governativi perché deve cercare di sopravvivere.
Non ci si pone il problema che quando si va al supermercato e si comprano prodotti agricoli a basso prezzo, anche perché la crisi da Covid ci ha impoveriti, si sta ingrassando la domanda di lavoratori sfruttati nei campi.
Quando si vedono i mezzi pubblici, le strade delle città e delle campagne piene di migranti ad ogni orario e si pensa “ma come, noi chiusi in casa e questi in giro a fare ciò che vogliono? Vergogna! Se ne tornino a casa loro”, non ci si pone il problema che ci sono interi settori che basano il proprio profitto sulla ricattabilità di queste persone, anche in piena emergenza sanitaria.
In questi giorni è piuttosto vivace il dibattito sulla questione degli immigrati.
Quest’anno, in Italia, si sta vivendo un importante diminuzione di lavoratori che accettano di essere sottopagati per le raccolte e le manutenzioni nei campi, circa 200 mila unità in meno, si ipotizza a causa dell’emergenza Covid, dell’erogazione del reddito di cittadinanza e, chi lo sa, forse pure per la chiusura dei porti.
Prontamente risponde la ministra dell’agricoltura Bellanova, proponendo una sanatoria per la regolarizzazione dei 600 mila migranti senza permesso di soggiorno per 6 mesi (mentre la ministra del lavoro rilancia al ribasso per un mese solo) al termine del quale, possono sperare nel rinnovo se hanno trovato un lavoro (certificato), oppure essere certi di essere rimpatriati o spediti in un Cpr.
Ricapitolando, servono persone da sacrificare per salvare l’industria alimentare italiana, perciò si promettono i permessi di soggiorno in cambio di buone braccia per l’agricoltura. Che cosa ne sarà di questa massa di braccianti quando la crisi sarà finita e il permesso scaduto? Verrà regolarizzato anche il contratto di lavoro o continueranno ad essere pagati 3 euro all’ora (se va bene)?
Attendendo la risposta del governo, non mancano certo i commenti fascisti o populisti delle varie figure istituzionali che condiscono la patetica discussione tipica di uno Stato che campa sulla guerra ai poveri come quello Italiano.
In Sardegna è la solita solfa, gli sbarchi continuano e ci si indigna per chi arriva, non per chi non riesce a sopravvivere al mare. In tanti chiedono a Solinas di fare ciò per cui è stato votato, evitare che “questi arrivino a impoverirci”, “dare dignità agli Italiani” e “mandare via chi non rispetta le nostre regole”.
Lui e lo Stato che rappresenta hanno mantenuto la promessa anche in questo periodo di pandemia: porti chiusi per gli immigrati, ma allo stesso tempo si spera di riaprire il prima possibile per i turisti.
Le strutture per la reclusione e l’espulsione, veri e propri lager, sono in piena funzionalità, difatti il nuovissimo CPR di Macomer in questo periodo è stato riempito, nonostante l’opposizione del governatore a ospitare immigrati nell’isola.
E’ di questi giorni la notizia che ha come protagonista il ventottenne del Benin rinchiuso da 3 mesi nella struttura, prelevato per strada senza motivo, e che alla notizia del terzo respingimento alla sua domanda di rilascio è salito su una ringhiera di 5 metri per protesta e ha cercato di togliersi la vita buttandosi giù (il secondo tentato suicidio dall’apertura della struttura a fine Gennaio). Evidentemente non era abbastanza “produttivo” per lo Stato, faceva il muratore e il giardiniere, lavori occasionali e poco redditizi, costretto prima a lasciare i suoi cari in Africa e poi gli amici che gli hanno dato solidarietà in Sardegna. Dopo il ricovero di pochi giorni all’ospedale di Sassari si ritrova di nuovo in quell’inquietante galera, l’incubo che l’ha portato a non voler più vivere.
Per molti di noi un esistenza all’interno di quelle strutture maledette non è nemmeno immaginabile.
Lo si dica a lui di avere pazienza e di restare a casa, nel lager dove sta ora…

4 Maggio
Fase 2
4 Maggio, Cagliari torna a vivere, improvvisamente in un lunedì di mezza primavera una città sul mare, al centro del mediterraneo, sembra stata svegliata da un incantesimo o forse da un brutto sogno.
L’impressione vedendo le persone e parlando con alcune di esse è proprio quella che qualcosa sia finito, passato. Come un brutto temporale, una tempesta o un rigido inverno.
Ma sappiamo bene, pur non essendo illustri dottori, che con un virus le cose non vanno proprio così… non si debella da un giorno all’altro, e non potendolo vedere non possiamo sapere quanto sia presente intorno e in mezzo a noi.
Possiamo sempre e solo fidarci dei soliti numerini che appaiono negli schermi e sui giornali, e che ci dicono che i contagi sono in calo, ma qualcosa non torna, cosa è cambiato tra domenica e lunedì? Sono cambiate solo le regole del gioco a cui ci stanno facendo giocare, da oggi abbiamo delle carte in più da giocarci per la nostra autocertificazione, ci sono i congiunti, gli sport, i parchi il mare (solo se vai a pescare) e via dicendo.
Le mascherine e i guanti sono ancora sui volti e nelle mani di tutti, ma la paura sembra meno forte, audaci individui azzardano un abbraccio all’amico che non vedono da settimane, altri scorrazzano in due in scooter ben stretti fra loro, nel piazze compaiono sparuti palloni.
Sembra quindi che almeno a Cagliari, si temano più le istituzioni che il contagio.
Ci viene da riproporre quanto detto in pagine precedenti e cioè che il grande senso di unità dell’ #iorestoacasa o dell’ #andràtuttobene fosse tenuto insieme solo dalla più che comprensibile – e condivisa – paura delle multe.
Non siamo profeti perciò non sappiamo se questa lenta ricomparsa dell’assembramento ci porterà ad una nuova fase di contagi e lockdown, quello che ci sembra possibile è il rischio che la società si spacchi in due, tra chi rispetta le norme di prevenzione, per timori e maggiori rischi sanitari, e chi sceglie o è costretto a non farlo.
Una sanità indecente come quella offertaci dallo stato italiano ovviamente non ci mette tutti sullo stesso piano, ci costringe a dividerci. Farsi carico delle esigenze di tutti sarebbe la cosa più bella, ma probabilmente impossibile, perché così come non abbiamo tutti le stesse condizioni di salute non abbiamo tutti le stesse condizioni lavorative ed economiche.
Ma non solo, ci divide anche il fatto che non usciamo tutti allo stesso modo da questi due mesi, per alcuni la conta dei danni è salata, sia essa di natura economica o di salute. Le reazioni saranno scomposte e imprevedibili, di sicuro per molti la paura del virus non può continuare ad essere la priorità nella vita di tutti i giorni, ne vedremo delle belle.
Una prima lezione che abbiamo imparato è che lo spirito di adattamento a decreti, sanzioni, virus e distanziamenti la sta facendo da padrona, dimostrando un’altra volta quanto sia veloce la capacità dell’essere umano di adattarsi alle novità, belle o brutte che siano, imposte o no.

5 Maggio

6 Maggio
Per quanto riguarda il diario e il suo scopo iniziale crediamo che sia venuta meno l’esigenza di scrivere ogni giorno. È ora di stare fuori e guardarsi attorno, di capire quali crepe produrrà questa crisi, forse più economica e sociale che sanitaria, e di viverci le contraddizioni. Per quanto ci sia piaciuto ragionare passo per passo su ciò che è accaduto, crediamo che sia fondamentale ri-trovarsi là fuori, superare l’osservazione e sporcarsi le mani, a partire dalle problematiche delle nostre vite e delle nostre condizioni.
Per questo primo periodo proveremo a scrivere settimanalmente, affinché anche i ragionamenti possano essere più ricchi e interessanti, si spera.
A questo proposito vi invitiamo a condividere con noi i vostri pensieri, mandateci contributi vostri o che ritenete a vario titolo interessanti.

Bentruxu / 19 – 26 Aprile

tratto da Bentruxu

19 Aprile
Riceviamo e pubblichiamo un contributo ricevuto da Sassari:
Ci sono tante cose che velocemente stanno cambiando sotto i nostri occhi: le relazioni, il controllo, il modo di lavorare o semplicemente di guardarci in strada, ma ciò che mi dà più di tutto il voltastomaco è la retorica nazional patriottica del “siamo tutti uguali”. Qualche giorno fa parlavo con una vicina di quartiere: una famiglia con tre bambini, al momento ovviamente tutti senza lavoro; da una vita si arrangiano con lavoretti in campagna o in edilizia, regolarmente tutto in nero, ma ora tutto è fermo. Pagano 400 euro di affitto una piccolissima casa e, viste le difficoltà, hanno chiamato il proprietario e gli hanno chiesto di venirgli incontro per il pagamento dell’affitto. Il proprietario ha risposto:” Se non hai i soldi di Marzo non preoccuparti, ad Aprile mi pagherai Marzo ed Aprile”. Altri due amici sono dovuti andare a vivere dai genitori di lui, poiché gli hanno staccato luce ed acqua. La signora africana menata dalla sbirraglia municipale ieri, nel quartiere di Carbonazzi a Sassari, stava buttando fuori orario la mondezza…un reato di una gravità assoluta che ben valeva i cazzotti al volto e i calci. La stampa, che non poteva ignorare soltanto perché la notizia nel giro di poco ha letteralmente fatto il giro di tutta la città, ha scritto un articolo che supera le veline della Questura per biecaggine e miseria umana. Due giorni fa, i due bimbi di un amico della via sono usciti con una palla mentre ancora il sole occhieggiava tra i palazzi: sono esattamente 33 giorni che non escono di casa…non so come lo sappiano, devono aver iniziato la conta sul diario di scuola. Il silenzio assordante si era riempito delle voci che da sempre animano queste piazze; la madre li aveva fatti uscire perché aveva sentito al TG che il Governo dava la possibilità ai bimbi di stare un’ora fuori. Il giorno dopo mi ha raccontato che gli sbirri erano passati di lì e le avevano intimato di far rientrare i bambini. Il sindaco illuminato di questa città non aveva accolto la direttiva del Governo; i bambini hanno ripreso la conta sulle pagine del diario. Ogni mattina apro la finestra e inesorabilmente sento la musica del vicino: vive in un buco buio, con una sola finestra sul vicolo che non gli dona però la fortuna di ricevere un raggio di sole. Guardo il piccolo mondo che mi circonda e penso: “Eh, no, non siamo tutti uguali”. E non solo non siamo uguali tra noi che viviamo le stesse vie, ma non lo siamo nemmeno dall’altra parte del mondo. Mentre il virus riempie le pagine dei giornali e ogni nostro pensiero, l’Africa è alle prese con il proliferare senza precedenti di cavallette che sta distruggendo i raccolti di milioni di persone. Il Sud America è ritornato a essere il caro giardino degli Stati Uniti, i quali sperano di trovare la loro autonomia energetica nel saccheggio delle risorse di quelle terre. Ma nessuno ne parla, l’Africa è sparita, della Siria non si sa più niente, il Sud America è una terra innominata.
Non solo non siamo tutti uguali, ma spero che almeno non saremo così coglioni da pensarlo

20 Aprile
Kontra is presonis nishunu est solu
Riceviamo e pubblichiamo:
“in questo periodo di emergenza abbiamo pensato di raccogliere un pò di notizie su cosa stia accadendo dentro il carcere di Uta (sarebbe anche interessante negli altri carceri isolani ma non abbiamo contatti diretti) perché istituzioni e media se ne disinteressano o peggio insabbiano tutto.
Attraverso corrispondenze, racconti e i contributi che arrivano sul gruppo WA “Nishunu est solu”, raccoglieremo settimanalmente più informazioni possibili e le pubblicheremo.
Le informazioni verranno spedite in carcere, fatte girare su internet e attaccate in qualche muro della città.
Più gente lo legge e contribuisce più sarà interessante, completo e utile, per questo vi chiediamo una mano nel farlo girare sia per far sapere cosa accade dentro, sia per coinvolgere nuove persone.
Se volete iscrivervi al gruppo nel manifesto trovato il QR Code. Non è molto ma se non vogliamo lasciarli soli non che rimboccarci le maniche e iniziare dalle piccole cose.
“KONTRA IS PRESONIS NISHUNU EST SOLU, FEUS KUMENTE S’ORTIGU.”

21 Aprile
La vergogna del campionato di calcio.

Se ancora ci fossero stati dubbi l’emergenza coronavirus li ha cancellati, il calcio moderno fa schifo, o come piace ad alcuni Skyfo.
Non solo per gli stipendi da capogiro che vengono dati ai vari Ronaldo di turno, ma anche per le vergognose proposte che vengono settimanalmente avanzate per trovare un modo di concludere le stagioni interrotte a causa dell’emergenza sanitaria.
La cosa che più risalta all’occhio è che il tentativo di trovare una soluzione non sia spinto dalla pressione dei milioni di tifosi, ma sia cercato per non venir meno agli accordi commerciali con sponsor e paytv.
In nome di milioni e milioni di euro vengono fatte proposte a dir poco assurde, dove i tifosi -teoricamente vera anima del calcio – non sono minimamente considerati.
Una delle più agghiaccianti – ma anche più probabili – è quella di far disputare tutte le partite mancanti a porte chiuse all’Olimpico di Roma, imponendo alle squadre e agli arbitri di stare in quarantena per sessanta-settanta giorni in strutture varie sparse nel Lazio, in modo da essere disponibili un giorno si e un giorno no per giocare e non rischiare nulla, o quasi, dal punto di vista sanitario.
I presidenti di alcune squadre all’inizio si erano opposti a questo tipo di soluzioni, ritenendo il risultato sportivo falsato da condizioni troppo inconsuete, ma sono tornati indietro sui loro passi e ora sono anche loro d’accordo nel provarci. Ieri in un’assemblea di Lega della serie A è stato deciso all’unanimità di fare di tutto per finire la stagione in corso.
Se ciò accadesse, e lo scenario non si potrà discostare molto dall’ipotesi sopra citata, si creerebbe un situazione mai vista e piena di aspetti schifosi.
Gli stadi vuoti costringerebbero tutti a vedersi le partite sulle paytv, ma parallelamente saranno chiusi anche i locali dove di solito vengono trasmesse le partite, quindi ci sarà un elevatissimo numero di nuovi contratti su Sky e DAZN, che probabilmente si staranno già sfregando le mani.
A essere un po’ malevoli ci viene da pensare che le società prima contrarie siano state convinte a suon di milioni proprio dalle emittenti televisive che non vogliono perdere questa ghiotta occasione (parliamo di più di 120 partite che dovrebbero essere giocate in un solo stadio quindi tutte in orari diversi, una sorta di sogno proibito per Sky e soci).
Immaginiamo che anche le istituzioni politiche non siano contrarie a questo tipo di soluzioni, un po’ perché comunque saranno soldi che si muovono e quindi lamentele in meno, un po’ perché il calcio da sempre è un fattore distraente per le persone (a maggior ragione dopo tre mesi di pausa, si parla di riprendere a giocare a Giugno) un po’ perché sarà un modo elegante per proseguire nel mantra #iorestoacasa.
Questo se ancora ce ne fosse bisogno è la prova che in Europa (e Sud America) il calcio – perlomeno quello professionistico – non è più uno sport, e non è nemmeno uno sport come tutti gli altri. Gli interessi che muove, le persone che coinvolge lo collocano nel mondo dell’industria.
In primis dovrebbero essere i tifosi e gli appassionati a opporsi a questa manovra, ma subito dopo ci dovrebbero essere anche tutti gli altri. Perché far finire la stagione a agosto ha anche un’altra enorme serie di problemi e ricadute sociali, in buona parte da scoprire, come ad esempio le migliaia di assunzioni legate al mondo del calcio non giocato, che non si capisce come potranno svolgere le loro mansioni in condizioni di sicurezza sanitaria e garanzia contrattuale.
Infine ci sono anche i calciatori, tra professionisti e non sono decine di migliaia, non tutti hanno ingaggi a sei zeri, in molti sono già da settimane senza stipendio. La loro voce non conta nulla, schiacciati tra le clausole dei contratti e il ricatto di sapere che nella vita sanno fare solo quello (pensiamo ad esempio a tutti i giocatori giovani delle categorie come l’eccellenza o la promozione).
Apparentemente la soluzione potrebbe essere semplice, basterebbe una grande campagna di boicottaggio delle paytv, e tutto il castello crollerebbe.
Ma questo non accadrà, perché il calcio è un’industria globale, e se anche questo accadesse in Italia non sarebbe sufficiente a ottenere ciò che ci auguriamo.
E allora?
E allora probabilmente ci ritroveremo in milioni davanti agli schermi per tutta l’estate, e l’unica cosa che resta da fare è la scelta individuale. A settembre rinnoveremo il nostro abbonamento allo stadio o con Sky?
Idolatreremo ancora Nainggolan o Joao Pedro?
Scrive un tifoso deluso, amante del calcio come di poche altre cose nella vita, con un piccolo passato da ultras e un amore per la sua squadra che non svanisce nonostante tempeste di ogni tipo.
Il calcio, o meglio il Toro, mi ha portato da Bilbao a Helsinki, da Udine a Catania, ho pianto e gioito, passato migliaia di ore a parlarne con gli amici, davanti alla TV e allo stadio.
Vorrei che il Toro si opponesse a questa assurda ripresa, che attraverso il presidente dicesse che “senza i nostri tifosi noi non scendiamo in campo” che i giocatori e il nostro capitano si rifiutassero di poter far gol ed esultare nel silenzio, di farsi chiudere per 60 giorni in un albergo nelle campagne laziali lontano da famiglie e affetti. Dimostrando di essere anche persone oltre che professionisti.
Ma questo non accade.
E non accade neanche più che i gruppi Ultras e in generale il tifo organizzato riescano a esprimersi e ad agire. Vent’anni fa la ripresa non sarebbe mai stata ammessa, e se lo stato avesse forzato la mano i gruppi ultras lo avrebbero letteralmente impedito.
Ma i tempi sono cambiati, la repressione ha distrutto questo mondo, a favore di un tifo omologato e ubbidiente.
Non so quanto cambierà il mio rapporto con il calcio e con i colori del mio cuore, ma qualcosa cambierà, perché questo schifo è troppo.
Non è facile spiegare cosa si prova e cosa si vuole, un buon riassunto sono le poche parole contenute in alcuni cori cantati nelle curve, che spiegano meglio di mille frasi quello che in tanti vorremmo vedere, e di certo non questa merda.

22 Aprile
Tutti sulla stessa barca?
“Il virus è democratico, la vita non lo è”, con queste parole si è espresso un ragazzo di via Schiavazzi, nel quartiere Sant’Elia, durante un filmato pubblicato dall’Unione Sarda in merito alle difficili condizioni che spesso si vivono nei quartieri popolari di Cagliari, e che la quarantena non può che aver acutizzato.
Parole che ci fanno pensare.
Probabilmente il ragazzo ha ragione, il virus è “democratico” perché colpisce proprio tutti, indipendentemente dalla posizione sociale in cui ci si trova. Si sono ammalati persino Boris Johnson, Carlo d’Inghilterra, Alberto di Monaco, Dybala, Massimo Cellino, Tom Hanks e chi più ne ha più ne metta. Ma siamo sicuri che costoro verranno curati allo stesso modo delle decine di migliaia di ammalati in giro per il mondo? Siamo sicuri che anche loro rischiano di non trovare posto nelle terapie intensive piene fino all’orlo?
Queste parole dovrebbero farci ricordare le profonde disuguaglianze nelle quali la società in cui viviamo affonda le sue radici. Ed è a partire da queste che dovremo valutare gli #“iorestoacasa” o “siamotuttisullastessabarca”.
L’altro giorno passeggiando per il quartiere in cui vivo, uno di quelli filmati dall’Unione, ho sentito una frase che ben riassume la situazione comune a moltissime famiglie: “viviamo in 4 in 40 metri quadri, devo uscire perché se sto a casa mi impicco”.
Sarebbe divertente vedere una discussione tra questo signore e Fedez, uno di quelli che da subito si è fatto promotore della campagna #iorestoacasa, ben comodo nel suo attico di 280 mq con tanto di jacuzi all’aperto e palestra. Un vero e proprio sputo in faccia a tutti quelli che vivono in case anguste, prive di particolari comfort, sottodimensionate rispetto al numero di residenti, in quartieri con alti tassi di disoccupazione e dove quindi ci si arrangia spesso con qualche lavoretto qua e là. Perlopiù mansioni che non rientrano nelle categorie destinatarie di sussidi, e neanche in quelle delle autocertificazioni richieste dagli sbirri.
I dati Istat, dicono che in Sardegna quasi il 27% della popolazione vive in case sovraffollate e il 22% dei sardi vive in case con problemi strutturali o di umidità.
Questa è la realtà quotidiana, dove l’emergenzialità non è una condizione di certo nuova o sconosciuta, e questa nuova forma causata dal virus andrà solo a sommarsi a tutte le precedenti.
E’ nei quartieri dove ritroviamo queste condizioni che è più facile vedere gente in giro in questi giorni, e spesso queste abitudini non allineate, purtroppo, portano con se anche una maggior presenza di forze dell’ordine, che non tollerano volentieri queste piccole forme di disobbedienza.
Abbiamo esempi come Sassari, nel quartiere Carbonazzi, dove dei municipali, ben contenti di non mettere solo multe alle auto, hanno picchiato due signori che uscivano a buttare la spazzatura.
Oppure quanto accaduto a delle famiglie del Pilone di Palermo, che dopo aver indirizzato dei fuochi d’artificio pasquali contro l’elicottero della polizia, che si era “intromesso” nel pranzo sui tetti delle palazzine, hanno subito l’intervento della celere che non solo a multato tutti i residenti, ma ha letteralmente buttato via i tavoli e le sedie delle famiglie. Ultimi in ordine di tempo i fatti avvenuti a Torino, nel quartiere di Aurora, dove alcuni compagni che abitano in quella zona si sono messi in mezzo a un controllo della polizia piuttosto violento, e sono stati arrestati.
Questi fatti sono abbastanza facili da leggere, le condizioni di vita nelle periferie stanno diventando di anno in anno sempre più complicate, le istituzioni – solo in tempo di virus – paragonano la Lombardia alla Basilicata o il Veneto alla Sardegna, paragonano i centri cittadini ai quartieri periferici. Per evitare esplosioni di rabbia usano quindi la forza pubblica (i posti di blocco a San Michele spesso sono composti da 4 volanti, quelli a Villanova?), o l’ipocrita elemosina assistenziale, come l’altro giorno ha fatto Truzzu dichiarando che gli abitanti delle case popolari (solo quelle comunali, non quelle regionali che sono numerose) possono non pagare il canone di locazione. Sembra quasi una barzelletta. Eh si, perché moltissimi assegnatari delle case popolari pagano cifre ridicole di canone di locazione (ci sono canoni da 12 euro al mese) oltre al fatto che se non hanno possibilità non lo pagano e basta. Perché il Comune non interrompe invece il pagamento dei biglietti del CTM?
Ma tanto non c’è da preoccuparsi, lo dicono tutti: andrà tutto bene. Come se prima del virus vivessimo in paradiso…

23 Aprile
In questi giorni di epidemia si sente spesso parlare della crisi che comporterà questa fermata della società, soprattutto per i settori economici legati al terziario e ai servizi.
In piena primavera, e con il sole che inizia a scaldare le giornate, in Sardegna gran parte della preoccupazione deriva dall’instabilità della prossima stagione turistica. Senza voli e senza navi l’industria delle vacanze non può funzionare, e ovviamente neanche senza vacanzieri. Gli strascichi di questa epidemia potrebbero essere molto lunghi, le persone avere paura di spostarsi e di conseguenza gli arrivi estivi calerebbero drasticamente. Le precauzioni e le misure di sicurezza potrebbero non bastare come antidoto alla paura e, in ogni caso, imporranno un tipo di vacanza diversa dal solito. Cosa succederà all’economia sarda? Quali rischi?
Per cercare di darsi degli strumenti di comprensione del fenomeno e delle conseguenze che ne potrebbero scaturire, crediamo sia utile soffermarci su alcuni dati e sulle caratteristiche tipiche del settore turistico in Sardegna, al fine di chiarirsi le idee sul colosso che abbiamo davanti.

In bilico

“Senza turismo la Sardegna crolla”
Gian Mario Pileri, presidente
della Federazione agenzie di viaggio

“Come in tutto il mondo Villasimius
sta vivendo un momento drammatico.
Come è noto, la vita della nostra Comunità è
scandita dal turismo, che seppur con la sua marcata
stagionalità, ne condiziona l’economia e con essa i posti
di lavoro e la vita delle imprese e delle famiglie”
Sindaco di Villasimius

Potremo sostituire “Villasimius” con numerosi altri paesi o piccole città delle zone costiere sarde che il significato non cambierebbe. Sono tanti i luoghi in Sardegna che hanno fatto del turismo la principale fonte di profitto e sussistenza, abbandonando progressivamente altre forme di economia e modificando, spesso irrimediabilmente, l’ambiente locale.
Nei paesi attorno a Cagliari, così come nella zona di Olbia-Santa Teresa di Gallura, ma anche nella zona di Bosa-Alghero, numerose comunità hanno adattato la propria economia all’industria turistica, la quale si è posta (o imposta?) come principale fucina di posti di lavoro e come principale fonte di profitto, motivo per il quale in questo periodo pre-estivo di epidemia la paura che la stagione salti è molto alta.
Gli studiosi continuano a dare i numeri e parlano di perdite molto grosse.
D’altronde il turismo è un pilastro per l’economia sarda, si parla di circa 12 mila aziende solo nel settore ricettivo, capaci di ospitare i circa 3 milioni e mezzo di vacanzieri. Ma non si tratta solo di alberghi e campeggi, l’industria del turismo è molto ampia e l’indotto tocca tante aziende, dalle più grosse compagnie aeree ai piccoli venditori ambulanti di souvenir. Influisce anche su quelle aziende che lavorano durante tutto l’anno ma che d’estate registrano un guadagno ben più alto. Sempre secondo G.M. Pileri infatti “il turismo è un sistema concatenato e se si inceppa un ingranaggio l’effetto domino è devastante”.
Parliamo di circa il 14 % del Pil regionale ma che contando l’indotto complessivo arriva quasi al 50 %, ossia 16 miliardi di euro.
Per quanto riguarda i posti di lavoro si parla di circa 47 mila posti a rischio solo nell’indotto diretto. Secondo uno studio dell’Aspal se si paragonano le assunzioni avvenute tra il 24 Febbraio e il 10 Aprile nel 2019 e nel 2020 nel settore alberghiero-ristoranti si vedrà come le assunzioni sono calate del 68% rispetto all’anno precedente.
Come faranno tutti quei lavoratori stagionali che lavorano per 2-4 mesi e vivono poi con la disoccupazione (Naspi) per il resto dell’anno?
Per molti giovani isolani il lavoro stagionale è la principale fonte di reddito, anche perché non è facile trovare altre occupazioni durante l’anno (il tasso di disoccupazione giovanile nel 2019 si è attestato intorno al 35%, anche se il dato è sottostimato perché non tiene conto di chi non cerca lavoro, di chi non ha mai lavorato o chi ha lavorato pochissimo: per esempio non viene considerato disoccupato chi ha lavorato anche solo un’ora a settimana).
L’alto tasso di disoccupazione favorisce il ricatto lavorativo stagionale: o accetti quel poco che ti viene dato, oppure emigri. E infatti gran parte dei posti di lavoro legati al turismo sono sottopagati o prevedono condizioni sfavorevoli. Moltissimi lavoratori sono costretti a trasferirsi nel vero senso della parola nella struttura che li assume, assicurando quindi al padrone una reperibilità 24 ore su 24.
D’altronde però non rimangono tante altre possibilità per chi vive nelle zone costiere, dal momento che agli altri tipi di economia viene letteralmente tolta la terra da sotto i piedi.
Acquistare un terreno nelle zona costiera è praticamente impossibile, la speculazione edilizia degli ultimi cinquant’anni ha causato un innalzamento dei prezzi notevole, condizionando negativamente lo sviluppo di economie legate all’agricoltura e alla pastorizia. E ovviamente questo fenomeno avviene anche nelle zone costiere non altamente turistificate.
Inoltre la crisi di alcuni settori dell’economia isolana favorisce la svendita delle terre: lasciare che la crisi della pastorizia mieta le sue vittime vuol dire mettere una parte consistente di proprietari o affittuari di grandi porzioni di terra nella condizione di venderle, un po’ perché non hanno più bestiame un po’ perché non hanno più introiti, e non sarà difficile immaginare chi potrebbe comprare quei terreni.
Le crisi di alcuni settori dell’economia non sono mai un fatto naturale, bensì il frutto di imposizioni amministrative e di logica del mercato, si salvano solo i settori più produttivi (per le tasche degli imprenditori). E i finanziamenti che verranno dati al turismo saranno ben diversi da quelli elargiti per altri settori (a tal proposito abbiamo già scritto il 17 Marzo).
Alcuni tipi di economia sono quindi destinati a scomparire o comunque a ridimensionarsi, a favore della crescita di altri settori. In questo momento l’industria turistica si sta definendo come economia traino, anche grazie alla formidabile mobilitazione mediatica e istituzionale per convincerci della naturale vocazione dell’isola. Nel corso del tempo essa finirà per inglobare ancora altre parti di mondo produttivo, e tanta gente dovrà adattarsi all’industria delle vacanze, da cui diventeremo sempre più dipendenti.
Un processo di questo tipo sta già avvenendo, pensiamo per esempio alla riconversione immobiliare che vede molti appartamenti trasformarsi in B&b. Nell’ultimo anno le strutture private registrate erano circa 37 mila, circa il doppio rispetto a due anni prima. Addirittura a San Teodoro poco meno della metà delle abitazioni del paese risulta registrata su Airbnb nei mesi estivi. Arriveremo al punto in cui tutti decideremo di lasciare le nostre case nel periodo estivo per poter affittarle ai vacanzieri?
Che sia per via della riconversione immobiliare, per l’ampliamento dei posti di lavoro nelle strutture o per l’apertura di nuove aziende legate all’indotto turistico una cosa appare certa, ossia da qui in avanti saranno sempre di più le persone che entreranno nell’orbita dell’industria turistica. E proprio come una vera e propria industria non avrà bisogno solo di operai, bensì anche di tecnici, ragionieri e dirigenti. Non è un caso che nell’isola esistano già dei corsi di laurea e di specializzazione in questa nuova scienza del turismo.
Ma torniamo a noi, torniamo al più recente presente che ci vede chiusi in casa e dubbiosi sulla futura possibilità di movimento. Se nei giornali e nei discorsi degli amministratori si percepisce una certa paura rispetto all’instabilità della stagione turistica un motivo c’è. Il motivo è che siamo già troppo dipendenti dall’arrivo dei vacanzieri e che se effettivamente la stagione dovesse saltare, per l’isola potrebbe aprirsi una crisi profonda, che come al solito non coinvolgerà i grandi imprenditori bensì la massa dei dipendenti.
Ma allora cosa fare? Sperare che tutto finisca in fretta e che le orde di turisti approdino presto sull’isola? Oppure rendersi conto di quanto è instabile un’economia così sbilanciata su un unico settore? Rendersi conto che non possiamo dipendere esclusivamente dalla vendita e dall’abuso delle nostre spiagge da parte dei vacanzieri. E se poi i turisti un domani non ci fossero più?
Oggi a causare un calo degli arrivi è l’epidemia, domani potrebbe essere un conflitto, dopodomani l’immagine della Sardegna che viene sostituita dall’offerta di un altro competitor o mille altri motivi.
E sopratutto, senza i turisti che pagano a noi cosa rimane?
Solo crisi, devastazione ambientale e omologazione culturale…

24 Aprile
Università ai tempi del Covid 19
Una premessa
Tra le istituzioni pioniere del lock down totale, l’università è, probabilmente, uno dei contesti che meno ha sofferto l’imposizione della distanza e la chiusura dei suoi spazi. È sicuramente così da un punto di vista dell’“erogazione del servizio”.
Più che altrove, rimodulare le proprie attività in modo che queste continuassero a svolgersi, ma a distanza e mediate da supporti tecnologici, non ha presentato grossi intoppi. È certo che non ne abbia risentito il modello didattico dominante, caratterizzato dalla lezione frontale come unico metodo pedagogico. Se già nelle aule di Scienze Politiche (dove io studio) regnavano quiete e indifferenza, ora che per ascoltare il prof. é sufficiente collegarsi con la web cam, sono cessati anche quei silenzi imbarazzanti, rimpiazzati da reaction virtuali come sui social network o nelle chat più diffuse.
Ciò che registro io – con il limite della mia esperienza parziale basata più su raccolta di sensazioni che su statistiche – è una sostanziale accettazione di queste nuove metodologie, piuttosto acritica, totalmente in linea con le abitudini di tanti studenti contemporanei, che già cedevano alla tecnologia un ruolo primario nella gestione dei rapporti umani. Non andare a studiare in biblioteca è un po’ una noia, ma si può sempre fare pausa pranzo o aperitivo in videochiamata.

L’Esame
Per sostenere l’esame occorrono: un pc (in alternativa tablet o smartphone) con connessione internet, webcam, microfono e altoparlanti – meglio se il mix di questi funziona bene e contemporaneamente. Raccolto l’essenziale, ci si collega in una riunione virtuale nella quale candidati, docente e assistente simulano ciò che tradizionalmente si svolge in aula, non senza che l’effetto sia particolarmente macchinoso.
Un elemento di discontinuità che ho registrato è rappresentato proprio dal non trovarsi in aula. Viene meno la neutralità del luogo nel quale si è abituati ad essere interrogati e si è costretti a far entrare professori e colleghi (a volte degli sconosciuti) nella propria cameretta; se l’ansia dell’orale viene mitigata dalla possibilità di appiccicare qualche post-it con suggerimenti sullo schermo del computer, non si più non notare il distacco tra la bella libreria dietro la poltrona del professore e la mia casetta trasandata, con i piatti sporchi lasciati in bella vista dal coinquilino più disordinato.
Altro aspetto da segnalare, è il fatto che tutto avviene in modo distratto e un po’ farraginoso. Si rischia di stare più tempo a chiedersi se ci si sente bene o se il video funzioni piuttosto che ascoltarsi mentre si descrivono le parti del programma richieste: il mio docente, che non godeva da prima della fama del più attento degli ascoltatori, mentre io ero impegnato nel tentativo di rispondere correttamente, dava l’impressione di utilizzare liberamente il pc piuttosto che starmi a sentire. Più concentrato l’assistente, che sembrava ci tenesse a fare una bella figura.

Piccolo bilancio
In quattro e quattr’otto l’esame è finito. Meno di mezzora, niente traffico per arrivare in facoltà, niente tempo perso a cercare parcheggio, nessuna sudata nella salita di viale Fra Ignazio e nessuna ricerca strenua dell’aula. Ma nemmeno un confronto al volo con un collega prima dell’ interrogazione, o una rassicurazione da chi è stato interrogato prima di me. Niente dritte last minute su “cosa chiede di più”, nessuno sguardo d’intesa o di conforto con i colleghi con cui ho preparato l’esame. Solo una videochiamata, fredda, asettica.
Qualcuno ipotizza sia il modello dell’università del futuro. Sarò conservatore, pure primitivista, ma, con tutte le sue lacune, a me andava di più quella del passato.

25 Aprile
Io esco e protesto?
In mattinata una trentina di persone si sono riunite in piazza Garibaldi, in centro città, con uno striscione che recitava “25 Aprile io esco e protesto”. Sotto gli occhi di una decina di agenti della Digos e di qualche passante incuriosito si è ribadita l’importanza di mettere in discussione i decreti governativi, la necessità di non chiudersi impauriti in casa ma piuttosto di uscire e sperimentare assieme come gestire distanze e precauzioni, oltre che ribadire quali sono i veri responsabili del disastro sanitario. Ci si è anche soffermati sulla vergognosa scelta di proseguire le esercitazioni militari in questo periodo di epidemia, ricordando quanto lo Stato spende in materia di armamenti e equipaggiamento militare, al fronte del menefreghismo per quanto riguarda le strutture sanitarie.
Alcuni dei presenti sono stati identificati dagli agenti di via Amat, e probabilmente arriveranno le famose multe.
Provare ad uscire di casa, provare a prendere posizione, provare a superare la diffusione della virtualizzazione delle opinioni, è fondamentale.
Il mondo attorno a noi sta cambiando e, come dice qualcuno, “niente sarà più come prima”.
La tecnologia sta travolgendo continuamente ogni piccolo aspetto della vita sociale, segnando sempre più il solco tra chi è incluso e chi è escluso. Non aderire ad alcune forme di tecnologizzazione sta diventando sempre più complicato. Lo smartphone si sta confermando come conditio sine qua non per far parte dell’organizzazione sociale: se non lo hai sei strano, hai qualcosa da nascondere. Non c’è da sorprendersi se la gran parte della popolazione aderirà alla nuova applicazione sul tracciamento dei contagi.
Intanto anche gran parte delle organizzazioni “antagoniste” hanno affidato la propaganda e l’organizzazione delle lotte al mondo virtuale. Assemblee online e campagne social sono sempre più frequenti. Sarà solo un palliativo momentaneo o nuove forme di comunicazione che si cementificano?
Le strade intanto iniziano a ripopolarsi ma il controllo poliziesco è ben attento, pronto ad intervenire ogni qual volta ci sarà qualcuno che dirà la sua ad alta voce. Certo, è sempre stato così, non c’è da sorprendersi, ma non si può neanche non ammettere che l’accostamento tra norma sanitaria e giuridica abbia conferito alle forze armate un’ulteriore dose di potere e spavalderia.
C’è poi il problema sanitario, che non scomparirà con i decreti e le restrizioni. Senza dubbio il pericolo di ammalarsi continuerà ad esistere e con questo anche le abitudini e le paure cambieranno. Non sarà facile liberarsi di mascherine e distanze, né dalla paranoia del contagio, e allo stesso tempo ci sembra doveroso rispettare chi, per paura di ammalarsi, ci tiene a tenersi più distante.
Qualsiasi iniziativa in piazza dovrà tenere conto di questo fattore.
Questi tre aspetti, tecnologizzazione delle vite e delle lotte, controllo poliziesco che si fa più pressante e convivenza con il pericolo sanitario ci pongono nella condizione sempre più urgente di una discussione su ciò che accade attorno noi, su ciò che possiamo fare per intervenire e su come autogestire il pericolo sanitario, affinché anche le persone a cui ci rivolgiamo possano sentirsi coinvolte e tutelate.

26 Aprile
La seconda uscita del bollettino di informazione sulle carceri sarde. Per chi volesse contribuire iscrivitevi al gruppo o scriveteci

Delitto e castigo

3. L’uomo per se stesso è nulla

Voi ridete sempre, e molto a sproposito, permettete che ve l’osservi. Non capite nulla! Nella comune di tali funzioni non ce ne sono. La comune è organizzata appunto perché di tali funzioni non ce ne siano. Nella comune questa funzione cambierà completamente il suo carattere attuale e ciò che qui è stupido là diventerà intelligente […]. Tutto dipende dalle condizioni e dall’ambiente in cui si trova l’uomo. Tutto deriva dall’ambiente e l’uomo per se stesso è nulla.

Rinchiusi dalla paura, poco dopo Weimar (ma sembravano passati anni), con le sinapsi blindate dal cortisolo, dal paracetamolo, dal ghiaccio al polo, polizia su polizia, paura su paura: l’ambiente e le condizioni in cui si trovarono le persone erano di fatto legati, a meno di non infrangere la legge, all’uso di un sistema tecnologico sovradeterminante e controllato; inoltre, si consideri il moltiplicarsi delle diagnosi, delle prescrizioni, della medicalizzazione in un mondo desertificato dalla vita e nocente di radiazioni e polveri, disseminato di megalopoli inumane votate al distanziamento sociale – sembra stupido, invece è sano.
Lontane dai precetti di Salute e Verità, più che da quelli di Intelligenza e Stupidità, le attuali comuni veleggiano verso orizzonti di utopie ben più misere di quelli sognati nelle loro antenate, perché oggi è utopia uscire di casa, avere relazioni sociali, esprimere dissenso; così il rifiuto di attaccarsi alla macchina basta a rendere l’uomo effettivamente comunità, ed è sufficiente non delegare all’apparato chimico-farmacologico e all’expertise tecnico-scientifico il totale controllo del proprio corpo e della propria vita per ritrovarsi all’improvviso un pezzo avanti, anche grazie alla paura che ha frattanto innescato la velocissima marcia indietro di tutto il resto.
Exempla ficta. Sapere che la luce non è solo quella dei monitor, dei lampioni o dei fari, delle auto, delle insegne o delle finestre accese; sentire spesso sulla pelle la pioggia il sole il vento, o il contatto di qualcun altro; riempirsi le orecchie e la testa di suoni che non escono da altoparlanti o sono prodotti da un motore; alzarsi tardi la mattina, o tornare a letto a fare l’amore; prendersi il tempo di parlare di cose sbagliate inutili folli o di tacere quanto si vuole.
Insomma dopo Weimar in pochissimi potevano godersi un’intera giornata senza dispositivi elettronici, e quei pochissimi erano quasi tutti nelle comuni. E anche solo per questo pochissimo, per quei pochissimi, le maglie del Reich si allentano, di pochissimo; e quel pochissimo di libertà è preziosissimo, e tutti vogliono goderlo e comunicarlo, ma in primis ovviamente vogliono tutti tutelarlo e proteggerlo, sì, tenerselo stretto e non perderlo.
L’utopia del fortino, più o meno barricadera, nella migliore delle ipotesi si alimenta di gioiose certezze: un certo grado di autonomia, forse di riconoscimento, relazioni e affetti reali, solide motivazioni; si alimenta sempre anche di molte incognite o assunzioni aprioristiche, quali ad esempio (come nell’infuriare di una tempesta, vela al minimo e incrociare le dita) l’idea che il trascorrere del tempo possa dare in qualche modo un vantaggio diverso da quello di condurre a termine la propria vita individuale in un modo o in un altro.
Ma ai tempi del totalitarismo di Verità e Salute è noto che non s’abbisogna del Controllo di Stato per assumere quotidianamente il terrore del conformismo, delle code e delle mascherine, del collasso economico ed ecologico, e non è nemmeno necessario che si sperimenti quotidianamente la realtà appena descritta: in effetti, anche chi godesse e tutelasse un fortino fastoso efficiente affiatato quanto si voglia non saprebbe esimersi dal gelido contatto di quel terrore, di quella paura, altamente contagiosa, che nell’aria stantìa dei dopo-festa al fortino potrebbe diffondersi in modo esponenziale.
E ciò, indubbiamente, sarebbe terribile.

Cremona – Un raccontino esistenziale sul 25 Aprile

Verso il tardo pomeriggio di ieri ritrovo un vecchio amico che non vedevo da tanto tempo. Nell’incrociarci in strada con queste maledette mascherine ci riconosciamo. Un incontro inatteso in epoca di quarantena, violata consapevolmente da alcuni in questa triste città che ormai non fa più differenze fra virtuale e reale. Mi dice subito: «Leggo sempre i manifesti in giro e le parole che scrivono gli anarchici. È incredibile come voi siate rimasti l’unica voce fuori dal coro a Cremona. Apprezzo anche se non condivido tutto quello che scrivete e difendete. Peccato che tutto questo, nel mondo di oggi, vi porterà ad avere solo grane personali e non la libertà di tutti che tanto sperate». Dopo questa battuta, a cui io rimango fra lo sbigottito e un piccolo senso di felicità, ci fermiamo a parlare degli anni passati a scuola insieme e ci lasciamo cordialmente con la promessa di rivederci.

Passando poi per via Manini, dove scorge una lapide che ricorda l’inizio della rivolta contro contro la dittatura fascista (Dall’epigrafe: “Da queste selci scaturì la favilla sanguinosa della riscossa. I cittadini del rione. 24 aprile 1945”. Nel quartiere di Sant’Imerio il giorno 24 aprile 1945, ebbe inizio l’insurrezione armata. Il primo atto fu uno scontro a fuoco in cui rimase ucciso un fascista genovese componente della Milizia, già noto ai partigiani come torturatore, che si stava attrezzando per fuggire dalla città), il cervello rincomincia a frullare riflessioni. Cosa c’è in quel senso di incertezza nel pensare e ripensare a quelle poche parole dette da una vecchia conoscenza con cui si è condiviso un pezzo di adolescenza? Il senso è difficile da trovare ma fin da subito sento un vuoto di estraneità dentro. La domanda che mi pongo è la seguente: «Davvero le anarchiche e gli anarchici sono rimasti l’unica voce fuori dal coro in questa desolante città?» Forse di primo acchito potrebbe sembrare, ma mi rifiuto di pensare che tutti gli oppressi di questa città si siano accomodati agli obblighi del potere. Non è possibile, non possono diventare tutti ciechi. E poi un senso di rifiuto mi pervade, per rigettare l’identità ribellistica che si forgia nella sicura alterità. Ci saranno ancora individui abbastanza determinati per mettersi di traverso al sistema di idiozia da cui questa epoca del contagio trae la sua forza consensuale? Quale liberazione in un mondo del tutto imbruttito?

Intanto arrivo a casa e un messaggio mi avverte che un mio compagno in questo pomeriggio ha fatto un incontro del tutto aspettato. I soliti sbirri gli hanno rotto le gonadi ed è stato denunciato per minacce, oltraggio a pubblico ufficiale e violazione delle norme sul coronavirus. A lui tutta la mia solidarietà e vicinanza. Ai fascisti di ieri (e di oggi) come agli sbirri di oggi (e di ieri) con le loro mani sporche di sangue va tutto il mio disprezzo. E non solo il 25 aprile, ma tutti i giorni. Sono sicuro che questo sentito stia nelle viscere anche delle mie compagne, dei miei compagni e anche di qualche altra persona ostile all’ordine sparsa in città.

Un raccontino esistenziale sul 25 Aprile a Cremona

Mascherine o maschere antigas?

Molte persone, in questi giorni, si stanno preoccupando di come tutelare sé stessi o gli altri nel momento in cui occorrerà scendere nuovamente – o ancora – in strada. Magari per fare la spesa, andare in farmacia o in banca…

Mentre l’OMS ancora oggi (22/04/2020) non inserisce nelle sue linee guida l’utilizzo delle mascherine, esse secondo il governo ed i sindacati dovrebbero invece proteggere dal contagio e permettere l’avvio della fase 2 e la ripartenza del paese.

Per non affidare le nostre vite nelle mani degli esperti, pensiamo che occorra fare di più per la tutela della salute. Questa notizia allarmante di oggi ci dice infatti che anche attraverso gli occhi potrebbe venire trasmessa l’infezione. Soprattutto attraverso le lacrime.

Consigliamo quindi a tutte e a tutti di non uscire di casa senza indossare prima una maschera antigas, dei guanti da saldatore per spegnere i lacrimogeni e soprattutto di non scoprirsi mai il viso.

Ne va della nostra salute!

Bentruxu / 16 – 18 Aprile

tratto da Bentruxu

16 Aprile
Riceviamo e pubblichiamo un contributo:

La fuga verso il tramonto
Da quando abito a Cagliari, quando ho troppi pensieri e la testa è piena di voci che parlano tutte insieme, ho preso l’abitudine di andare a trovare il mare e, quando posso, vado a trovare il mare e il tramonto.
Da cinque settimane ormai (in realtà da quattro, ma questo non diciamolo a Paoletto) il mare non sono più andata a trovarlo, e mi manca, mi manca moltissimo. Allora ho deciso di andare a trovare almeno il tramonto.
Leggins, scarpe da ginnastica, cuffiette e sembro proprio una runner, anche se correre mi fa schifo. Pochi passi in salita e sono sotto le mura di Castello: inizio a scorgere le nuvole rosa, il cuore batte forte per il fiatone, e per l’emozione. Mi accovaccio tra le siepi per il mio appuntamento segreto con la Laguna di Santa Gilla, i monti di Capoterra e il sole che si nasconde veloce dietro. Tempo 20 minuti e il cielo ha dei colori indescrivibili.
Con la musica nelle cuffie (o con l’accompagnamento musicale dei Dj di Sa Domu!) aspetto che piano piano si accendano le luci della città. Mi stendo per terra. Lo sai che si vedono le stelle se ti sdrai per terra? E poi non si vedono le case quindi puoi pensare di essere in mezzo alla natura.
Per un attimo sogno di essere sotto il cielo stellato del Supramonte, quando facciamo campo e stiamo in silenzio col naso all’insù per ore, anche se la sveglia il giorno dopo suona prestissimo. Dai, restiamo ancora un attimo.
Il freddo inizia a farsi sentire, è pur sempre Aprile e il sole è andato a letto da un po’. Mi rialzo, riprendo a camminare, do uno sguardo veloce a Piazza Indipendenza. Ok, passo dal Bastione e torno a casa.
Manco questa volta ce l’avete fatta a beccarmi, stronzi. Villanova è il mio quartiere.

17 Aprile
Riceviamo e pubblichiamo un contributo su esercizi di ginnastica alternativa:

Workout da lockdown! Eh? Poba. In questo tripudio di attività fisiche solitarie e virtuali, in questo brulicare di panificazioni, sfide domestiche alla masterchef e ordini a domicilio, non sono solo i nostri culi a rischiare di ingrossarsi, non sono solo i nostri corpi che stanno iniziando ad arrugginirsi.
A maggior ragione, visti i prolungamenti di queste misure…
è giunto il momento di fare veramente GINNASTICA!
vi suggerisco una scheda base (integrabile e variabile) da praticare quotidianamente che potrebbe aiutarvi ad allenare testa, cuore e paure.
Attenzione: pericolo di alto rilascio di endorfine.
1- scegliere un’attività commerciale autorizzata situata dall’altra parte del vostro comune che giustifichi il vostro lunghissimo spostamento. Recarvi sino a lì ed acquistare uno o più articoli non deperibili che non potete reperire altrove.
Negli allenamenti successivi non sarà necessario ripetere l’acquisto, sarà sufficiente scegliere una zona intermedia dai vostri domiciliar… dal vostro domicilio all’attività prescelta portandosi dietro l’acquisto fatto in precedenza.
2- Tra una videochiamata, una videoconferenza, una chattata, un contatto virtuale e l’altro iniziate a sondare gli umori degli amici. Partite da quelli più vicini in termini di distanza. Alla seconda settimana di allenamento proseguite con gli amici più lontani. In base alla disponibilità proponetegli in sequenza:
a) di fare la spesa insieme
b) di venire a prendersi un caffè a casa (nel caso la vostra casa sia accessibile) / di farvi offire un caffè a casa loro (nel caso casa loro sia accessibile).
Dopo la prima settimana sostituire il caffè con un pranzo.
c) di sedervi ad un metro di distanza su una panchina in una zona che vi lascia tranquilli a chiacchierare dal vivo.
NB: attività da fare 1 a 1. Percarità!
3- infilatevi la canadese più fluo che avete, uscite ed iniziate a correre sforando almeno di due metri i famosi duecento cari a Solinas. Aumentare progressivamente i metri illegali.
4- individuate il punto più panormaico che avete nei dintorni di casa. all’approssimarsi del tramonto recatevi lì e godetevelo.
Autocertificazione: sanità mentale.
Variante possibile: darsi appuntamento con qualche amico già coinvolto nell’esercizio 2.
Per fasi avanzate: trovare punti distanti da casa.
5- In una delle file quotidiane a scelta provare ad attaccare bottone con uno dei vostri vicini. Mantenendo le distanze, chiaro.
Parlare del Covid-19 va bene.
Sforzarsi di parlare di qualche altro argomento futilmente utile è meglio es. “sarebbe proprio da andare al mare oggi!”.
Per i già allenati: commentare le ultime ordinanze comunali/regionali/dpcm a scelta.
6- Se proprio non resistete alla tentazione di panificare e cucinare come se non ci fosse un domani, preparare qualcosa in più e impachettatela. Sentite l’amico più in paranoia che avete, quello che mai avreste pensato sarebbe stato preso dal furore del distanziamento sociale, e consegnategli il prodotto a domicilio…
ovviamente con tutti i dispositivi di sicurezza individuale correttamente indossati!
ESERCIZIO EXTRA PER FASI AVANZATISSIME
7- Scegliere un amico domiciliato in comune altro ma vicino a al proprio. Verificate che il suddetto amico sia disponibile a coadiuvarvi nell’allenamento. Individuare una motivazione valida e articolata e compilare l’apposita autocertificazione (è molto importante assicurarsi di avere l’ultima versione disponibile). Andare a trovare il suddetto amico.
Ripetere l’allenamento quotidianamente, vi stupirà quanto velocemente sarete in grado di integrare attività nuove, responsabilmente “furbettamente” crescenti.
Ma soprattutto vi meraviglierà come la paura inzierà a rispondere ai vostri comandi.
(così, poi, magari, nella vostra testa ci sarà anche spazio per sentire che sta iniziando a rodervi il culo)

18 Aprile
Ed ecco il nuovo tormentone: la Fase 2
Abituiamoci, perché probabilmente nei prossimi mesi vivremo fase 3 – 4 – 5 – 6 e chissà fin dove arriveremo.
Solinas nonostante le statistiche regionali rimangano basse, ha varato un pacchetto di restrizioni fra le più severe, probabilmente voleva far sentire il polso fermo dell’uomo al comando, poi quando ha visto il suo collega e compagno di partito Zaia riaprire i mercati all’aperto è andato in crisi. Ma ormai le librerie e le spiagge erano chiuse, tornare indietro sarebbe stata un’ammissione di stupidità troppo grande. Anche riaprire i parchi era troppo, sarebbe andato contro il suo fedele Truzzino, tutto preoccupato invece di trovare un modo per celebrare Sant’Efisio.
Quindi mentre noi siamo chiusi nei nostri isolati a consumare i marciapiedi e ad abbronzarci dalle finestre, i burattinai dell’economia cercano soluzioni di tutti i tipi su come far riprendere il lavoro e salvare il salvabile, mentre i politici tirano i dadi per capire che provvedimenti prendere.
Tutti avranno sentito la fantastica proposta del plexiglass in spiaggia, manca la specificazione se dovremo portarcelo anche in acqua…
In poche parole le contraddizioni vengono lentamente al pettine, le produttive regioni del nord cercano di nascondere le incredibili pressioni di Confindustria&soci che riaprirebbero tutto, ma devono salvare la faccia, e quindi traccheggiano tra i cantieri e le cartolerie.
Il governo si appresta ad aprire il rubinetto per la prima innaffiata di bonus e spera che queste misere centinaia di euro plachino gli animi più nervosi e scalpitanti, ma in realtà non sa cosa dire e probabilmente neanche cosa fare per il futuro, immediato e non.
La Fase 2 però la stiamo attraversando anche noi nelle nostre intime esperienze di questa vita. La paura in molti viene scavalcata dall’insofferenza, il distanziamento dalla voglia di abbracci, cene, incontri e tanto altro. Ci ritroviamo schiacciati tra misure nuove – come l’obbligo di mascherine e guanti – nel momento in cui i contagi diminuiscono, dichiarazioni contrastanti delle compagini scientifiche – chi dice che il peggio è passato, chi si aspetta un altro picco e così via – che creano solo confusione, e quella strana cosa che per fortuna o purtroppo sopraggiunge nella nostra vita per ogni cosa: l’abitudine. Sembra proprio che siano bastati due mesi per ritrovarcela addosso, nelle conversazioni, nelle scelte quotidiane, non è strano e non è una critica, mi sembra di poter dire che è un dato di fatto, al quale siamo appunto abituati.
Negli anni ci siamo abituati a tutto, bello o brutto, e ci abitueremo anche a queste nuove convivenze,
dalle più strette di mascherine e guanti, alle più lente file fuori dai negozi.
Ci abitueremo a limiti di capienza nei locali, ad App sanitarie e ad altre strane novità.
Se l’abitudine si può considerare un virtù, perché ci rende capaci di saper convivere anche con le difficoltà più grandi, dovremo fare attenzione a non farla seguire dalla rassegnazione, infida compagna che cementa le note stonate anziché combatterle.
La rassegnazione è la più solida base su cui si può appoggiare la soppressione di alcune libertà, la diffusione di spregevoli abitudini come la delazione o l’abbandono di desideri o divertimenti.
Che ci dovremo abituare a questo nuovo stato di cose, alla convivenza con un’emergenza sanitaria è ormai certo, sta a noi però decidere come farlo, se propositivi, tenaci e battaglieri, o rassegnati e timorosi.

Bentruxu / 7 Marzo – 14 Aprile

Tratto da: Bentruxu

 

7 Marzo
Vite tecnologiche
Nei giorni scorsi dopo varie titubanze tutte le scuole e tutte le università sono state chiuse. Da nord a sud, senza vie di mezzo: biblioteche, aule e segreterie sprangate, esami sospesi, lauree rinviate e sui diplomi aleggia una nube di dubbio.
La ministra all’istruzione Azzolina senza pensarci due volte ha immediatamente dichiarato che lo Stato si sarebbe adoperato al più presto per poter offrire a scolari e universitari il servizio di lezioni online da casa. Ovviamente la ministra non ha considerato il fatto che non tutti sono nelle condizioni di poter seguire le lezioni da casa, le motivazioni possono essere le più varie (da chi non possiede un pc o un tablet adeguato, chi non ha la rete internet, chi non ha una casa che lo permetta e via dicendo), mostrando come quest’epidemia sia in parte interclassista per quanto riguarda il contagio ma non lo sia assolutamente per quanto riguarda le contromisure.
Inoltre è veramente grave vedere la semplicità con cui le scuole e le università sono state paragonate al mondo del lavoro (ma non è una novità).
Quando qualche giorno fa hanno iniziato a chiudere aziende e attività varie, lo Stato ha caldeggiato la diffusione dello smart working per evitare il collasso dell’economia ed evitare futuri moti di rabbia sociale derivante dal mancato arrivo degli stipendi o dal consumo delle ferie per l’epidemia.
Se già questo ci pare grave, ma più scontato e con più margine di interpretazione da parte dei lavoratori, la proiezione della stessa soluzione sul mondo della scuola (pensando anche alle condizioni in cui versa) ci fa paura, anche perché ci chiediamo ad esempio come stiano facendo i carcerati iscritti ai corsi di studio all’interno dei penitenziari.
Inoltre a livello più generale è preoccupante quello che questi mesi di emergenza sanitaria potrebbero creare come esperienza a livello sociale. Intendiamo dire che se già la tecnologia è parte integrante e indiscutibile delle nostre vite, dei nostri rapporti, della socialità, dei sentimenti eccetera, per adesso faticava ad avere il sopravvento su alcuni ambiti educativi e lavorativi, ci chiediamo se questa esperienza non segnerà un avanzamento dal quale non si tornerà più indietro.
Quanti datori di lavoro preferiranno investire in strumentazione tecnologica piuttosto che in un affitto dei locali di lavoro? Avendo così il vantaggio di ottenere che i loro dipendenti non si vedano più e quindi non possano più organizzarsi per protestare per eventuali ingiustizie, ma anche ottenendo una reperibilità h24 sugli stessi?
E se anche le scuole e le università decidessero di fare lo stesso? Magari vendendo a speculatori edilizi o turistici l’incredibile patrimonio immobiliare che ancora possiedono in cambio di software avanzati per l’istruzione via cavo?
Pensiamo al valore che ha avuto nelle nostre vite la frequentazione della scuola e dell’università (per chi l’ha fatta), pensiamo a quante persone abbiamo conosciuto, quante storie d’amore si sono consumate e quante lotte sono nate.

Senza essere catastrofisti, proviamo ad essere realisti e tremendamente concreti. Non vogliamo dire che ci sia un complotto dietro quanto sta accadendo o che da settembre al posto delle università ci saranno alberghi e gli studenti saranno a casa lobotomizzati.
Vogliamo però stimolare chi fa parte di questi mondi o chi tiene ad essi, a stare attenti quando magari a maggio, magari a giugno, l’emergenza finirà e università e scuole riapriranno. Sarà quello il momento in cui fare qualcosa in più rispetto a quello cui siamo abituati per ricordarci collettivamente di quanto sia importante condividere gli spazi, guardarsi negli occhi, toccarsi, discutere, conoscersi e stare insieme.
Speriamo quindi in un proliferare di iniziative che ci facciamo capire quanto questi posti siano da difendere, quanto sia importante che il lavoro abbia una sua sede, diversa dal salotto di casa propria, perché altrimenti rischiamo che le nostre vite assomiglino sempre di più al caro vecchio adagio PRODUCI-CONSUMA-CREPA, senza neanche uscire di casa, con Amazon che ci porta le scarpe e Foodora la pizza.

Chiudiamo questa riflessione con una citazione di Giorgio Agamben, che non ha fatto mancare il suo contributo su quanto stia accadendo:
“è difficile non pensare che la situazione che esse (le disposizioni governative) creano è esattamente quella che chi ci governa ha più volte cercato di realizzare: che si chiudano una buona volta le università e le scuole e si facciano lezioni solo on line, che si smetta di riunirsi e di parlare per ragioni politiche o culturali e ci si scambino soltanto messaggi digitali, che ovunque è possibile le macchine sostituiscano ogni contatto – ogni contagio – fra gli esseri umani. “

8 marzo
Zona rossa e fuga dal nord
E’ ufficiale, il presidente Conte definisce le nuove misure per contenere l’epidemia del Coronavirus in Italia e istituisce la zona rossa per la regione Lombardia e altre 14 province.
Divieti di aggregazione e di spostamento dai comuni interessati, mentre scuole, cinema, teatri e grandi eventi sono chiusi in tutto il territorio italiano.
In Sardegna già da due settimane si sta registrando un fenomeno particolare, che pare stia raggiungendo l’apice in questi giorni.
Con l’aumentare dei contagi al nord pare che le strutture turistiche isolane stiano ricevendo prenotazioni per uno o più mesi da vacanzieri insoliti.
Inoltre diversi sindaci dei paesi costieri denunciano che le località turistiche si stanno, giorno dopo giorno, affollando sempre di più di continentali. A Carloforte pare di essere ad agosto, e la conferma arriva dall’ammontare degli incassi.
Le immagini dalla stazione di Milano colma di gente dopo la dichiarazione di Conte chiariscono un po’ questo strano enigma: la gente, presa dal panico, scappa dalle zone dove i contagi sono ormai incontrollati e va dove non ci sono ancora focolai importanti.
Solinas insiste per chiudere porti e aeroporti della Sardegna, da Roma frenano.
Cosa ha portato le persone a spostarsi? Paura del contagio? Insofferenza alle restrizioni della zona rossa? Nostalgia di casa? Che rischi comporta questa migrazione?

9 marzo
L’esodo continua
Lo Stato non riesce a prendere posizione e misure, l’esodo da nord a sud non si ferma, in migliaia arrivano nel meridione e nelle isole, l’irresponsabilità di alcuni genera paura e preoccupazione.
Si diffonde una comprensibile diffidenza verso i transumanti-vacanzieri che per l’ennesima volta trattano la Sardegna come terra usa&getta.
Porti e aeroporti continuano a rimanere aperti. Lo Stato non prende posizione sulla mobilità.
La regione emette un ordinanza dove si consiglia vivamente ai cittadini sardi di evitare i contatti con i nuovi arrivati, e si obbligano le persone che sono arrivate in Sardegna dalle zone rosse dal 24 febbraio a oggi, ad autoisolarsi e autodenunciarsi mettendosi in quarantena, rendendosi reperibili ai controlli.

Saluti
Nella serata di ieri in diverse carceri della penisola italiana sono scoppiate violente rivolte, in particolar modo a Modena dove i detenuti si sono impossessati dell’intera struttura.
Le motivazioni della protesta sono legate alla sospensione dei colloqui per via delle misure di prevenzione per il Covid-19 ma è abbastanza evidente che sia solo una goccia che fa traboccare il vaso. Con il problema del sovraffollamento (circa 10.000 detenuti in più rispetto ai posti disponibili su scala generale) le notizie che giungono da fuori riguardo l’epidemia fanno paura e tanti dei prigionieri che si rivoltano hanno le idee chiare: amnistia, indulto, o almeno forme di detenzione alternative.
In serata un gruppo di solidali si è avvicinato alle mura del carcere di Uta per salutare i reclusi e per capire cosa stesse succedendo all’interno. Dopo un lungo silenzio qualcuno da dentro urla che il giorno prima è “sutzerriu unu casinu” ma non si riesce a capire di più.
Momentaneamente la situazione sembra essere tranquilla.
Fino ad oggi i colloqui ad Uta si sono svolti tranquillamente, ovviamente solo se muniti di mascherina e rispettando le norme sulla distanza.

Senza parole
Non sappiamo cosa pensare della proposta di un albergatore di Arbatax che di fronte al diffondersi dell’epidemia ha pensato come unica cosa al profitto, e cioè a formulare un’offerta di “fuga dal Covid-19” proponendo prezzi ribassati per l’affitto delle camere.
Non vogliamo fare la morale a questo signore di cui non conosciamo nome né storia, vogliamo però rilevare che un certo tipo di economie e mentalità invece che offrire solidarietà e mutuo appoggio pensano al guadagno anche in tempo di epidemia e morte.
Per fortuna arrivano anche notizie di azioni di solidarietà, non solo quella delle strisciate delle carte di credito, ma di quella pratica de s’aggiudu torrau che nonostante l’egoismo capitalista continua a resistere, in barba a regole, decreti e controlli.
Ci riferiamo ad esempio ai casi di chi, non potendo spostarsi dal proprio comune di residenza, ha potuto contare sulle sue reti di relazioni per il mantenimento di campi, terreni o animali in zone lontane da casa.

10 marzo
Invasione fuori stagione: colonia-virus?
Conte impone il decreto “#iorestoacasa” che estende la zona rossa a tutto lo Stato, con l’imposizione a bar e ristoranti di rimanere aperti fino alle 18. I cittadini sono invitati a evitare di uscire di casa se non per motivi di salute, lavoro o necessità.
Ciò significa poca gente in strada e controllo delle forze dell’ordine, che cercano all’uscita dei paesi e delle città sarde i “furbetti” che non rispettano il decreto. Sebbene non in forze e senza essere troppo rigidi, i posti di blocco e le ronde delle varie forze dell’ordine iniziano a denunciare le prime persone per la violazione del decreto che prevede 206 euro di ammenda e una pena da 1 a 3 mesi di reclusione. C’è un aspetto che salta all’occhio in questi giorni di cui stanno parlando giornali,
istituzioni ma anche molte persone. Il già menzionato esodo delle 13.000 persone (quelle autodenunciate, la stima è intorno alle 20.000) dalle zone rosse alle seconde case qui in Sardegna.
Se d’estate sono il sole e il mare a portare migliaia di persone in Sardegna, quest’inverno è stata l’epidemia. Un nuovo tipo di turismo? E’ strano quello che si prova a vivere in una terra che viene utilizzata da una parte di mondo sempre e solo per qualcosa che non considera né include coloro che vi abitano e le questioni che devono affrontare.
Un rapporto squilibrato, tenuto in vita dal denaro e dai privilegi che i forestieri possiedono, e che nella costante condizione di subalternità che da “sempre” subisce la Sardegna viene vissuto dalle genti locali come un ricatto dal quale non si può sfuggire.
L’eventuale “fuga” o distacco dal turismo non può avvenire per questioni puramente materiali, appunto perchè i dieci o ventimila che sono sbarcati qui hanno quasi tutti una casa di proprietà (in realtà sono molte di più le case di proprietà forestiera, solo che non tutti sono potuti/voluti venire a svernare qui), a questo si aggiunge l’indotto complessivo del turismo che in questo momento è una risorsa alla quale l’economia sarda non può rinunciare.
Questo di fatto comporta un corto circuito.
Il turismo impone un’economia di sfruttamento umano e devastazione ecologica, essendo però l’unica, o quasi, economia che funziona in Sardegna, nessuno osa metterla in discussione, ma in questo modo non ce ne libereremo mai, perché questa stessa ennesima economia imposta (dopo miniere e industrie) non permette che altri tipi di attività possano diffondersi.
Un esempio su tutti di come questo fenomeno si concretizza: in tutta la zona costiera è ormai quasi impossibile per i giovani sardi comprare casa o terra per progetti di vita o di lavoro, i costi non sono a portata di operaio (sardo o non) ma di borghesia (sarda e non). Questo determina un imposto allontanamento o una vita precaria predisposta allo sfruttamento stagionale.
A conclusione di questo piccolo ragionamento c’è la perplessità su come si possa vivere e convivere in modo rispettoso e pacifico con chi vede nella terra in cui abitiamo un’oasi di consumo e soddisfazione delle necessità (dalle più incombenti sanitarie alle più ludiche vacanziere), imponendo di fatto un tipo di economia e dei rapporti che non permettono ai residenti di autodeterminare la propria vita.

11 Marzo
Muri e sbarre
Anche nel carcere di Uta vengono proibiti i colloqui, che saranno sostituiti dalle videochiamate e dall’incremento del numero di telefonate. Dentro la situazione sembra essere tranquilla, anche se gira voce che qualche detenuto del carcere di Modena verrà trasferito a Sassari e Cagliari.
Anche davanti al pericolo del virus lo Stato sembra essere irremovibile riguardo alla possibilità di concedere ai detenuti, o alcuni di loro, misure detentive alternative (domiciliari, braccialetto elettronico).
È l’ennesima contraddizione di tutta questa vicenda.
In una struttura come quella carceraria con un elevato numero di detenuti ammassati (ad Uta 598 reclusi a fronte di 561 posti) il pericolo del contagio è altissimo se ci dovesse essere un caso.
I secondini continuano a uscire e rientrare, chi assicura ai detenuti che loro rispetteranno le misure di sicurezza?
Così come le vicende legate alle fabbriche mettono in risalto quanto il profitto padronale sia intoccabile, allo stesso modo la vicenda carceraria evidenzia quanto lo Stato non può mettere in discussione la sua funzione autoritaria. E allo stesso tempo la dice lunga su quanto vale per la legge la vita di un detenuto. Anziché prevenire si innalza un ulteriore muro attorno a chi è recluso, ampliando la distanza con l’esterno e rendendo ancora più difficile capire cosa accade dentro.
Fuori dal carcere di Uta è molto difficile avvicinarsi. La penitenziaria blocca la strada di accesso e controlla uno per uno chi si avvicina per spedire un pacco o per trasmettere dei soldi. Il controllo poliziesco fa la sua parte e rende molto difficoltoso qualsiasi gesto di solidarietà in prossimità del carcere. Casi come questo evidenziano quanto la scelta di trasferire i detenuti in carceri lontane dal centro cittadino abbia il suo effetto per quanto riguarda l’isolamento.
Intanto sui giornali si parla del carcere di Massama (Oristano) nel quale circa 50 detenuti si sono rifiutati di rientrare in cella dopo l’ora d’aria, preoccupati per la mancata prevenzione sanitaria nei confronti del virus.
In Sardegna sono circa 2300 i reclusi nelle varie prigioni e a Cagliari, Sassari, Alghero e Oristano si vivono situazioni di sovraffollamento.
Per molti prigionieri, deportati nell’isola per scontare la pena, si vive una situazione di isolamento ancora maggiore. Non dimentichiamoci infatti che lo Stato italiano utilizza la Sardegna per confinare i detenuti “speciali”, avendo creato qui un circuito di sezioni di alta e massima sicurezza che conta circa 900 posti.

12 Marzo
Esercizio essenziale? Il profitto
Il presidente Conte, tramite D.P.C.M dell’11 marzo 2020, estende a tutt’Italia, Sardegna inclusa, la misura di chiusura totale di tutti gli esercizi ed attività commerciali, fatto salvo per quelli considerati essenziali.
Ci sorprende come l’emergenzialità di quest’epidemia cambi a seconda di ciò di cui si parla.
Porti e aeroporti dell’isola sono chiusi, ed è consentito l’ingresso soltanto a merci e trasportatori. L’aeroporto di Elmas è l’unico che rimane aperto per i viaggiatori aventi comprovati motivi.
È fatto divieto di stare per le strade salvo per le necessità, come la spesa. All’interno dei supermercati si evidenzia una forza respingente tra le persone che tendono a stare ben lontane le une dalle altre, sia sotto consiglio degli addetti alla vendita, sia per il terrore di cui ormai si è pregni.
D’altra parte, è consentito il proseguo di attività dove i lavoratori sono esposti a rischi, poco tutelati e il contagio è probabile, come ad esempio call center, aziende e fabbriche stracolme di operai.
Un emblematico esempio è l’RWM di Domusnovas, la quale non interrompe la produzione e consente ai 190 operai assunti di lavorare fianco a fianco. Pare che la costruzione e vendita di bombe sia considerata tra le attività essenziali anche con il dilagarsi di una pandemia (è bene ricordare che a Domusnovas si producono le bombe Mk utilizzate recentemente dall’Arabia Saudita nel conflitto in Yemen).
Altro esempio è la Saras, la più grande raffineria del Mediterraneo. Nei suoi impianti vi lavorano circa 2000 operai, che probabilmente rispettano le dovute precauzioni da decreto, ma basteranno a evitare i contagi? Possiamo solo immaginare cosa accadrebbe se il virus entrasse in una rete di persone tanto estesa.
Tuttavia, il pericolo epidemico non è sufficiente ad interrompere una produzione così strategica, i rischi sanitari per gli operai vengono posti in secondo piano rispetto agli interessi di profitto.
L’azienda dei Moratti compie a breve 60 anni. Ha avuto tutto il tempo, i permessi, i soldi e i finanziamenti pubblici per diventare un’industria senza pari nello scacchiere economico del Mediterraneo. Fattura più di 10 miliardi all’anno grazie alla lavorazione di 300.000 barili di greggio e alla produzione e vendita di energia elettrica.
Ha anche sottratto 800 ettari di litorale alla comunità di Sarroch, imponendosi negli anni come unica economia del territorio. Non da meno sono i danni ambientali irreversibili e i gravi problemi di salute conseguenti (nel comune di Sarroch i casi di leucemia sono tre volte superiori al normale così come una diffusa alterazione del dna nei bambini) impedendo di fatto qualsiasi altra attività nel territorio circostante.
Ancora, sul groppone ha 5 operai morti negli ultimi 13 anni.
L’azienda usa il suo potere economico per lavarsi la faccia sporca di fumo nero delle ciminiere, e in risposta all’emergenza Covid-19 dona all’ospedale Brotzu di Cagliari 200.000 euro per comprare attrezzature mediche.
Inoltre, viene messo a disposizione della prefettura di Cagliari il rifornimento di carburante necessario per i servizi di emergenza. Dalle ambulanze ai servizi di pattuglia della polizia: buoni samaritani o un buon modo per assicurarsi di non subire una fermata degli impianti?

Deresponsabilizzazione
L’istituzione della zona rossa, entrata in vigore due giorni fa, è stata accompagnata da una vastissima e ininterrotta campagna mediatica ad opera di tutte le testate giornalistiche e anche da una massiccia mobilitazione sui social network a suon di #iorestoacasa, #celafaremo e #andràtuttobene.
In brevissimo tempo si è arrivati alla zona rossa integrale, a prescindere dalla specificità di ogni territorio, creando un clima di angoscia senza precedenti. I consigli delle istituzioni sono divenuti decreti, attuati però a macchia di leopardo, validi per alcuni e non per altri, come se certi operai fossero immuni al virus. Per evitare caos e confusione lo Stato ha deciso di mostrare muscoli e divise cercando di fare passare il messaggio che è nostro dovere obbedire, aver paura e diffidare di tutti, prendersela con chi mette piede fuori casa.
E per confermare tale stato di eccezionalità riempie le strade di posti di blocco, aumenta le pene probabilmente con il fine di dimostrarsi “complice” dei cittadini nella lotta al contagio.
Ma a che scopo?
Le istituzioni non sono palesemente all’altezza di far fronte all’espansione del contagio.
La sanità nel meridione è letteralmente con le pezze al culo, in Sardegna stessa storia.
A fronte di decine di anni di menefreghismo e speculazione nel comparto sanitario, a chi ci governa non resta che cercare di alleggerire il danno e le responsabilità, provando ad evitare l’espansione del contagio, con misure nevrotiche ma che comunque riescano a preservare il profitto padronale.
Quale miglior mossa se non quella di scaricare un po’ di responsabilità sui cittadini, al fine di far dimenticare le manovre che hanno portato a questa situazione dell’apparato sanitario?
E se le persone diffidano l’una dell’altra e iniziano ad odiarsi? Ancora meglio, hanno qualcosa a cui pensare.
Dobbiamo stare attenti, non farci fregare. Stanno cercando di farci credere che siamo tutti nella stessa barca, che lo “tutti siamo lo Stato”. Ma i tagli della sanità non li abbiamo decisi tutti, non lo abbiamo deciso tutti di chiudere i reparti a Ghilarza, Lanusei e La Maddalena e aprire una maxi struttura di lusso ad Olbia. Non lo abbiamo deciso noi di non investire in misure sanitarie di prevenzione negli ospedali.
E anche quando sarà passata l’epidemia non dobbiamo dimenticarci di queste responsabilità.
Con la scusa dell’unità nazionale (che qui in Sardegna dovrebbe darci il voltastomaco per come lo Stato ci tratta) ci chiedono di “stringerci attorno alle istituzioni”, di tenere duro e rispettare la legge, così quando l’epidemia sarà passata torneremo alle nostre bellissime vite, torneremo alla libertà.

13 Marzo
Mario Nieddu vergognati!
L’assessore alla sanità, il leghista Mario Nieddu per nascondere gli evidenti problemi gravanti sul sistema ospedaliero sardo, minaccia di provvedimenti disciplinari il personale che parlerà coi giornalisti o racconterà sui social cosa sta accadendo dentro e intorno agli ospedali senza aver avuto in precedenza l’autorizzazione. Ovviamente l’impavido Nieddu è ben spalleggiato dal suo degno governatore Solinas che già dal 6 marzo aveva tentato di imporre che fosse solo la Regione a poter gestire la comunicazione verso la popolazione in merito all’emergenza Covid-19.
Cosa si nasconde dietro questa imposizione? Non è difficile scoprirlo, una pessima gestione della sanità pubblica che dal Ministero per passare all’assessorato fino ad arrivare in corsia ha portato allo sbando le strutture ospedaliere, privandole di attrezzature e norme di sicurezza, ma anche riducendo il personale al minimo.
Il paradigma che ha segnato il declino dell’istruzione pubblica è lo stesso che è stato usato per la sanità. In tutto lo Stato italiano sono decine i presidi ospedalieri chiusi negli ultimi due decenni, sostituiti solo parzialmente da strutture private (l’esempio locale più clamoroso è il Mater Olbia) che però ovviamente hanno dei costi non accessibili da tutte le fasce di popolazione, e dal volontariato.
Nello specifico quello che sta provando in modo vergognoso a nasconderci l’assessore Nieddu, sono le condizioni in cui il personale ospedaliero è costretto a lavorare, privi delle adeguate mascherine, delle necessarie condizioni di sicurezza per evitare i contagi. A questo si aggiunge l’atavica carenza di personale che impone i doppi turni a medici e infermieri, che giustamente in questa situazione emergenziale si sono ribellati, e visto che non possono scioperare hanno scelto di rendere pubbliche le loro storie, ed ecco giunta la censura leghista.
Come hanno detto bene alcuni infermieri scioccati dal provvedimento preso nei loro confronti dalla Regione: “abbiamo chiesto mascherine, ci hanno messo il bavaglio”.
Se l’attuale Regione a guida sardista-leghista mostra con più sfacciataggine il vero volto delle istituzioni, è ovvio che i problemi vanno distribuiti equamente fra tutte le amministrazioni regionali e statali che si sono susseguite negli ultimi decenni, imponendo un sistema sempre più classista e improntato sul guadagno e non sul servizio.
E non si può nemmeno dire che non vi siano state delle proteste durante questo periodo, ricordiamo solo due fra i casi che in Sardegna hanno avuto più rilevanza, cioè quello di Ghilarza e quello di Lanusei dove la popolazione ha fatto ampiamente capire la sua contrarietà e preoccupazione nei confronti delle scelte di chiudere i locali presidi ospedalieri. Ma tali scelte erano già state prese a monte, nel piano generale di trasformazione della Sardegna in un enorme industria turistica, infatti le strutture sanitarie chiuse sono quasi tutte in zone dell’interno, le poche aperte sulla costa. Perché? Perché altrimenti i turisti non vengono fin quaggiù a spendere i loro bei soldi. Delle zone del entroterra sardo? Chissenefrega.

14 marzo
Bandidoris e elicotteri
Il numero delle denunce continua ad aumentare e i controlli nelle strade diventano più intensi, in città, nei paesi, in campagna e al mare. Nelle strade delle città e dei paesi passano le volanti della polizia o della protezione civile a smegafonare, invitando caldamente a non uscire di casa e di rispettare le regole con un riconoscibile tono di minaccia, da lontano li si può confondere con gli storici “bandidoris”.
Ormai il decreto è dogma, perciò se una persona vuole farsi una passeggiata in montagna, una nuotata al mare o un giro in canoa, non può farlo perché viola la legge, indipendentemente dal grado di responsabilità con cui lo fa: un’infantilizzazione della società assai preoccupante.
Solinas decide di mettere in campo 1300 agenti del Corpo Forestale e l’intero corpo dei barracelli, un po’ per controllare che i vacanzieri dell’esodo dalle zone rosse stiano rispettando la quarantena, un po’ per controllare chi prova a prendersi una boccata d’aria da questa vita malsana in cui ci ritroviamo costretti.
Si vuole arrivare alla capillare militarizzazione del territorio sardo, una fitta rete dalla quale non si scappa, per obbligare tutti a seguire le norme, volenti o nolenti.
Sulla nostra testa sentiamo gli elicotteri della polizia che sorvolano spiagge e campagne in cerca di qualche refrattario alle regole.
In Sardegna purtroppo, il suono delle eliche degli elicotteri a bassa quota, alla ricerca di chi non vuole sottostare alle regole è cosa ben nota. Ricordi più o meno lontani di “epiche” campagne militari a caccia di latitanti o ribelli fanno parte della memoria collettiva e animano ancora quel che rimane del carattere resistenziale, ostile a questo tipo di imposizioni dello Stato.
Viverci i territori, assumendoci le nostre responsabilità nel rispetto dell’ambiente, non può essere una cosa da delegare alle leggi dello Stato, con o senza emergenze.

15 Marzo
Kontus de Kasteddu II
Chi è abituato a passeggiare per Cagliari la domenica mattina conoscerà di sicuro uno dei vari mercati settimanali che caratterizzano la città, luoghi in cui comprare cianfrusaglie di ogni tipo. Questa mattina però non c’è nessun venditore a preparare nessuna bancarella. Piazza Trento e le vie limitrofe sono colme di poliziotti, dall’antisommossa alla municipale, a presidiare la zona per evitare che nessuno provi a esporre la merce. Stesso vale per via Po e via Simeto, dove due camionette di carabinieri in antisommossa stazionano dalle prime ore dell’alba.
Truzzu lo aveva detto e diciamo che ha fatto di tutto per farsi capire bene.
Due giorni fa si è verificato un avvenimento riconducibile a questo. Alcuni venditori abusivi di frutta e verdura vengono denunciati in piazza San Michele per la trasgressione delle norme anti-contagio. Poco importa se quei venditori sono li ogni giorno nel mercato di quartiere e se quello è il lavoro che gli serve per campare. Poco importa anche se vendono frutta e verdura che, finché decreto non lo dimostra, rimangono beni di prima necessità. E allora dove sta il problema?
Per quale motivo dovrebbe essere permesso utilizzare i mercati civici e i supermercati ma viene vietata la vendita di generi alimentari per strada? Il problema è quindi la licenza o il coronavirus?
Semplice, dietro ai supermercati e al flusso di merci c’è la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) che vuol dire solo una cosa: profitto.
Quest’ultimo, come detto in precedenza, è intoccabile, anche se per preservarlo si sorvola sulle norme di sicurezza sanitaria. Chi vende per strada, scegliendo di non pagare tasse o di conformarsi a norme assurde, rappresenta un qualcosa di fastidioso, anche se effettivamente svolge un servizio per chi abita la zona.
In questo periodo di persecuzione generale è meglio liberarsene, fregandosene del fatto che per tanti venditori ambulanti o saltuari questo periodo di stallo è una vera e propria mazzata.
C’è da chiedersi una cosa: tornerà tutto come prima?
Torneremo a passeggiare la domenica tra le bancarelle di Piazza Trento o tra le cianfrusaglie di via Po? Potremo scendere sotto casa a comprare la frutta in piazza o saremo costretti ad andare al supermarket? Sarà la volta buona che il Comune riesce a liberarsi di un pezzo di quella città che ancora resiste fuori dai binari della legalità?

16 Marzo
Il ritorno degli animali
A volte sono stati i film, a volte i libri, a volte solo la nostra mente, a farci immaginare un mondo in cui la natura per varie vicissitudini si riprende il terreno sottratto dall’avidità umana.
Grattacieli ricoperti di rampicanti, macchine trasformate in tane, nidi sulle antenne e così via.
La natura sembra soccombere impotente sotto i continui attacchi dell’uomo, ma per fortuna non è così, o almeno non sempre, ma specialmente la natura ha una capacità di ripresa infinita e inaspettata.
Basti pensare ai filmati su quanto sia ormai quasi irriconoscibile il Titanic nelle profondità oceaniche, ma senza andare a scomodare celebrità, basta farsi delle belle passeggiate tra le miniere abbandonate del Sulcis per vedere come ormai quella che era una fiorente industria sembra quasi far parte del paesaggio. La natura si è così tanto ripresa tutto, che casermoni, laverie e depositi non rovinano più l’orizzonte, anzi lo arricchiscono rendendolo unico.
Lo stesso vale per gli inquinanti, l’uomo sfida continuamente la natura, contaminando il pianeta in modo esagerato, quasi come se con la natura dovessimo competere e non convivere, e nonostante questo la natura reagisce, smaltendo e rigermogliando. C’è chi dice che la natura ogni tanto si prende la sua vendetta sull’uomo, troppi animali estinti, troppe foreste bruciate, troppo cemento e troppo asfalto, la vendetta sarebbero gli uragani, le inondazioni, le valanghe e così via. La narrazione tra lo scientifico e il fantastico di una natura che maltrattata dall’uomo, si lascia andare mietendo le sue vittime.
C’è chi sostiene questa teoria anche per questa epidemia.
Poco ci interessa qui stabilire se alcune “favole” siano supportate scientificamente, ci piace però scrivere di una cosa che sta accadendo e che se forse potevamo aspettarci mai avremmo pensato di poter vedere coi nostri occhi.
Non immaginavano neanche cosa ci sarebbe voluto per tenerci tutti fermi per delle settimane.
L’Occidente è fermo, le macchine quasi non circolano, le persone sono chiuse in casa, i rumori sono ridotti, le strade extraurbane quasi deserte, le notti silenziosissime. Bastano pochi giorni di questa novità assoluta che gli animali selvatici si avventurano a scoprire territori per loro sconosciuti, porzioni di mondo perennemente vissute dall’uomo.
E’ incredibile la velocità con cui questo fenomeno si sta verificando, nella mia ignoranza pensavo che sarebbe servito forse un anno, invece no.
Le lepri vanno al parco, i cinghiali nelle aiuole, i daini nei campi da golf, i delfini nei porti, i pesci nei canali e ci sarebbero tanti altri casi.
La natura è intorno a noi ma spesso non la vediamo, non la ascoltiamo.
Quando riprenderemo le nostre abitudini ricacceremo indietro i selvatici, forse qualcuno troppo fiducioso finirà anche in un freezer o sulla graticola, ma dovremmo almeno ricordarci che esistono e avere più rispetto per loro e per l’ambiente dove vivono e viviamo.

17 Marzo
L’antivirus
La Regione Sardegna annuncia l’approvazione del pacchetto “Antivirus per il sistema Sardegna” che prevede lo stanziamento di 110,5 milioni di euro per contenere gli effetti della crisi. Una parte significativa del fondo gestito dalla Sfirs pari a 20 milioni, sarà dedicata al settore turistico, mentre altri 25 milioni saranno impiegati per le altre imprese.
Questa divisione ci fa venire in mente la differenza di trattamento con un altro importante settore economico sardo, quello agro-pastorale, per cui furono stanziati dopo ben nove mesi dall’inizio delle proteste del febbraio scorso, circa 14 milioni di euro che servirono ad acquistare le scorte di pecorino romano rimaste invendute. Soldi che, in poche parole, sono finiti nelle tasche degli industriali, gli stessi contro cui i pastori hanno lottato l’anno scorso.
E’ come se i con i soldi stanziati per il turismo la regione affittasse stanze negli alberghi di lusso per far finta che siano piene di turisti.
Con questo paragone vogliamo evidenziare come in Sardegna venga incentivata in modo sempre più chiaro l’economia turistica, in particolare quella di massa, che altro non è che l’ennesima economia di dipendenza e lenta devastazione ecologica e culturale.

18 Marzo
Il Picco non arriva, e la pala?
Tra le varie angosce di questi giorni c’è il fantomatico picco dei contagi, che proprio oggi avrebbe dovuto bussare alla porta di Montecitorio.
Ci sembra che le istituzioni stiano usando questo giochino psicologico per tenerci attaccati ai siti dei quotidiani, in attesa di buone notizie che ovviamente non arrivano, anzi i politici – specialmente quelli locali – continuano con uno stillicidio di minacce e misure che non si capisce bene che risultato dovrebbero portare.
Anche dal punto di vista scientifico pare essere una buffonata quest’attesa spasmodica del picco, nel senso che si unifica forzatamente l’Italia, anche per questo. Non tenere conto che misure e contagi hanno avuto diffusione in tempi sensibilmente diversi ci pare appunto una buffonata, buona per concedere a Borrelli&Co una conferenza stampa al giorno per tenere ben saldo lo scettro dell’informazione.
In questi giorni stiamo leggendo veramente tanti articoli e tante notizie, sulla rete si trovano teorie di tutti i tipi dal complottismo komunista, ai rettiliani, ma specialmente ci sono tantissimi numeri buttati li senza spiegazione, senza fonti, senza riferimenti temporali, meno che mai scientifici.
Per questo ci sentiamo di diffidare di queste fonti “ufficiali”, le stesse che non si sa secondo quali calcoli impongono 14 giorni di quarantena ai rientrati in Italia dall’estero, per poi non verificare se siano positivi o meno al tampone, misteri al tempo del Covid-19.

19 marzo
Note esplicative e bubboni pronti a esplodere
Tramite un comunicato stampa del comune di Sarroch si viene a sapere che in un hotel sono ospitati 19 lavoratori trasfertisti assunti per la fermata degli impianti Saras. Due di questi presentano sintomi riconducibili al Covid-19 e così scattano le misure cautelative. In attesa dell’esito dei tamponi personale e clientela staranno in quarantena. Il clima in paese è teso, sebbene il lavoro tra gli impianti continui.
Ma cosa succede nell’industria dei Moratti?
La società, dall’inizio del 2020 ha avviato una serie di interventi straordinari. Tra i più importanti ci sono la fermata quinquennale del Fcc (un insieme di impianti atti a trasformare gli idrocarburi e renderli più pregiati e a produrre energia attraverso il loro flusso), programmata per i primi tre mesi dell’anno, che richiede l’intervento di due gru giganti provenienti da Russia e Stati Uniti per sostituire alcuni parti dell’impianto. Un investimento quadriennale da 830 milioni di euro.
Più di 40 imprese sono state coinvolte per un totale di 3000 lavoratori provenienti dalla penisola: dal 20 febbraio è iniziato l’esodo verso la Sardegna, i trasfertisti sono stati sistemati tra seconde case, residenze e hotel sparsi in tutto il territorio adiacente a Sarroch (Capoterra, Villa San Pietro, Pula). Gli arrivi si sono protratti fino a tutta la prima settimana di marzo.
Quanti strani esodi viviamo nella nostra terra in queste settimane.
Il 10 marzo, la nota esplicativa del presidente della Regione Sardegna all’ordinanza n.5 del 09.03.2020, specificava tra le altre che le limitazioni e gli obblighi di quarantena non si applicano ai seguenti casi: spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative.
Ciò significa che in un momento come questo qualsiasi tecnico proveniente dalle zone dei focolai può essere chiamato qui a lavorare senza doversi sottoporre alla quarantena. Ancora, lo Stato si esprime tramite i decreti che impone: non c’è tempo per la salute se si tratta di profitto.

20 Marzo
Obbedienza e delazione
Qualche giorno fa (12 Marzo) scrivevamo le nostre impressioni riguardo la responsabilizzazione forzata e l’enfatizzazione dell’odio nei confronti di chi continua a mantenere acceso il lumino della socialità.
Una notizia apparsa oggi sull’Unione Sarda ci fa tornare su quei ragionamenti.
Stando a quel che dice il quotidiano ieri a Sassari una quindicina di giovani studenti sono stati denunciati dalla Polizia locale perché festeggiavano un compleanno in una terrazza in città. I poliziotti, allertati da alcuni vicini, sono intervenuti mediante l’utilizzo di un drone che ha permesso di localizzare e identificare gli studenti.
Il fenomeno della delazione non è certamente nuovo nella nostra società ma in questo momento, in cui si riconduce la violazione ad un ambito sanitario, i fenomeni stanno aumentando.
Questa nuova sovrapposizione tra legge e norma sanitaria sta causando un fenomeno strano, fatto di cieca obbedienza e legalismo nevrotico. Sembra che nessuno si chieda più se ciò che passa per decreto sia sensato o meno.
Crediamo che ragionandoci un attimo ci si renda facilmente conto che certe privazioni, sopratutto quelle legate allo sport, sono allucinanti e inutili.
È in corso una infantilizzazione sociale in cui le istituzioni tentano di privarci del nostro buonsenso, costringendoci tra le mura domestiche che non sono impenetrabili al contagio. E in questo contesto che sta prendendo piede lo spirito delatorio, incarnato da chi crede di salvarsi la vita denunciando il vicino runner.
Sinceramente ci sentiamo più vicini a coloro che si sono improvvisamente sentiti runner da tre settimane a questa parte e non andavano al parco dal ‘92.

21 Marzo
Sciopero in corsia?
L’assessore Nieddu forse sapeva, e sperava (con le minacce del 13 marzo) di tenere nascoste le penose carenze di materiali presenti nei depositi degli ospedali, ma non solo, anche le insufficienti precauzioni prese per i dipendenti, onde evitare di contrarre il virus e diventare poi a loro volta fonte di contagio.
Ma non è andata così, e a farne le spese è in modo preoccupante il personale sanitario.
Sono spaventose le cifre pubblicate dai quotidiani in merito alle percentuali di contagio del personale al lavoro nelle strutture sarde.
Il 50% di tutti i contagiati del territorio sardo fanno parte del personale ospedaliero, con un picco del 90% nei casi del sassarese. Queste cifre basterebbero da sole a spiegare la gravità di questa situazione e le condizioni assurde in cui il personale viene costretto a lavorare. Ma per renderci meglio conto mettiamo queste cifre a confronto con quelle del continente e della Cina.
In Italia il personale ospedaliero contagiato è l’8%, in Cina il 4%.
Oltre a quanto già detto va segnalato che l’inadeguatezza delle strutture che ha portato a questa situazione è resa ancora più grave dal fatto che in Sardegna, per ora non si registra alcun focolaio autoctono, ma gli ospedali invece lo stanno diventando, trasformandosi così loro malgrado da luoghi di cura a luoghi di contagio.
La sanità sarda cade proprio a pezzi, negli ultimi anni con la già citata chiusura di tante strutture ospedaliere quasi tutti i paesi e paesini sardi si sono arrangiati con la creazione di servizi di ambulanza. Questo è stato possibile grazie a delle donazioni private, alla disponibilità dei volontari e allo sforzo delle piccole amministrazioni locali che si sono trovate costrette dalle scelte regionali a sostenere questi investimenti.
In questi giorni di emergenza proprio da questi presidi sanitari arriva l’ennesima vergognosa notizia, la Regione chiede massima disponibilità e collaborazione ma non fornisce gli equipaggi delle ambulanze delle necessarie misure di tutela per lavorare, nemmeno le mascherine.
La situazione è talmente tragica che le varie associazioni di volontari stanno minacciando uno sciopero, chissà cosa farà l’assessore Nieddu? Proverà a zittire anche loro?

22 Marzo
Fastidi
I giornali locali parlano di un uomo di Berchidda che, fermato senza “validi motivi”, se l’è presa con i carabinieri ed è stato portato in caserma e poi sanzionato.
All’uscita dalla caserma, evidentemente infastidito per l’indesiderato incontro, ha tentato di incendiare l’auto di uno dei militari.
L’ipnotismo sociale a cui stiamo assistendo non funziona con tutti, ma questo già lo sapevamo e ora lo sanno anche i giustini di Berchidda.
Fatti come questo segnano alcune contraddizioni che a livello sociale ci portiamo dietro da sempre, gli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine sono quotidiani, la paura che esse incutono in questi giorni alle persone è probabilmente una delle più forti mai viste.
Molti scelgono quindi di non uscire per evitare brutti incontri e scambi di vedute con gli uomini in divisa, che porterebbero inesorabilmente alla sanzione e forse anche a qualche denuncia non legata alle prescrizioni sanitarie.
Intelligenza e determinazione ci sembrano i due ingredienti giusti per uscire indenni da questo momento senza per forza essere costretti sul divano.

Disastro scongiurato
I tamponi fatti ai lavoratori ospitati nell’hotel di Sarroch, in Sardegna per la manutenzione degli impianti Saras, risultano negativi. Sembra che per ora il disastro sia scongiurato. Nel frattempo Moratti dichiara pubblicamente che la sua società donerà un milione di euro alla regione Lombardia per l’emergenza Covid-19. I suoi operai invece, vivono nell’incertezza di contrarre il virus lavorando a migliaia nei suoi impianti.

23 marzo
Quando si scopre che le armi non servono contro i virus
Con un certo ritardo la fabbrica di bombe RWM di Domusnovas decide di fermarsi per 3 settimane.
Dopo 11 giorni dalla chiusura totale degli esercizi essenziali, a Ghedi (sede direttiva dell’RWM) devono essersi accorti che le bombe non sono fondamentali nella lotta contro il Covid-19 e che hanno troppi effetti collaterali se usate per sanificare le strade.
Fabio Sgarzi, amministratore delegato dell’azienda, fa sapere che da oggi le attività di produzione saranno ferme, ma rimarranno operativi 50 operai per permettere il pronto riavvio del lavoro e per assicurare la tutela degli investimenti strategici.
Questo ipocrita semifermo ci fa pensare alla spiacevole metafora utilizzata da vari esponenti politici, che vedono la lotta contro il virus come una guerra contro un nemico comune, i cui soldati al fronte sono medici e personale sanitario, o forze dell’ordine che si aggirano per le strade.
Sarà il paradosso di questa costante metafora che attribuisce la licenza alla RWM di non interrompere il suo operato?
Operato che, peraltro, genera un numero più consistente di vittime ogni anno che passa ma non genera alcuno stupore, panico, preoccupazione o interesse comune.
Le vittime non sono mai tutte uguali.

Beni primari
“Questi sono i beni primari che Conte dice, una televisione Philiphs 43 pollici”, queste le parole di un operaio sardo nel settore della logistica che, nella fase di carico del camion, scaglia violentemente una scatola all’interno del mezzo.
Il giorno prima infatti il premier Giuseppe Conte ha dichiarato un’ulteriore chiusura per le fabbriche non strategiche, salvaguardando solo le attività adibite alla circolazione dei beni primari.
Ma nel mondo in cui viviamo il concetto di “bene primario” assume un significato tutto suo, dal momento che anche le capacità umane sono state rimodellate in base a ciò che gli è stato caldamente suggerito. Oltre al cibo, l’acqua, i farmaci e qualcos’altro ormai non possiamo vivere senza smartphone, computer, internet, automobile e così via.
Ha proprio ragione l’operaio, il televisore non è proprio un bene primario se si considerano le necessità umane, ma come si fa a rimanere connessi senza la TV?
L’inclusione sociale è oramai inscindibilmente connessa ai dispositivi tecnologici di cui non riusciamo più a fare a meno.
E in questo momento di isolamento domestico questo processo sta subendo un’accelerazione notevole: smart-working, scuola online e aperitivi su Skype ne sono un esempio.

24 Marzo
Appunti di classe sul Covid-19
In altre pagine del diario abbiamo accennato al fatto che l’epidemia nel complesso è classista, quanto la società che l’ha prodotta e che la sta subendo.
Se questo poteva essere abbastanza scontato, non era per forza detto che queste settimane ampliassero il divario tra le classi. Come?
Pensate a quest’esempio, un dipendente di un’azienda di informatica e un cameriere: il primo ha solo cambiato ufficio, è passato dalla sede della sua azienda al salotto di casa sua, non si brucia le ferie, si riorganizza il lavoro e l’assurdo di questa situazione, tendenzialmente metterà da parte dei soldi. Non solo, non si vedrà sconvolta la vita da ansia e preoccupazioni qualora dovesse avere sul groppone le rate di un mutuo o un affitto, non negherà nulla ai suoi figli e potrà godere i frutti di questo momento lavorativo quando tutto finirà, potendo apprezzare una meritata vacanza.
Il barista invece non avrà avuto tutto questo, appena riapriranno le attività dovrà cercare di recuperare il tempo e i soldi perduti, ma specialmente avrà un approccio diverso alla vita, segnando in modo evidente la differenza di classe.
Questo è riscontrabile già ora nella differente preoccupazione tra chi ad esempio è un dipendente statale ed è a casa, stipendiato e sereno, e chi invece magari piccolo imprenditore di se stesso non vede un quattrino da tre settimane e sta iniziando a non dormire la notte.
Non parliamo di chi lavora in nero (e ricordiamoci sempre quanti di noi hanno lavorato per periodi più o meno lunghi senza garanzie, e che quindi c’è molto anche di fortuna e sfortuna sul momento della vita che stavamo attraversando prima dell’arrivo dell’epidemia).
Infine, un ultimo pensiero su almeno una differenza che queste situazioni creano: la predisposizione o meno a piccole forme di illegalità (che in questi giorni rasentano il tutto, cioè uscire di casa) e accettazione di condizioni lavorative da fame.
Chi sarà con le celeberrime pezze al culo più facilmente violerà prescrizioni varie andando incontro a conseguenze, o accetterà lavori in nero, chi avrà il culo coperto tendenzialmente non correrà rischi.
Ed ecco in forma omeopatica come si creano le differenze di classe, tra chi ha molto e chi non ha quasi nulla e con un po’ di sfiga si ritrova pure davanti a un giudice.
La prima domanda che mi viene in mente è: si tratta di fortuna, abilità o altro?

Kontus de Kasteddu III
Insetti fastidiosi
A quanto pare Comune e Polizia Locale sono pronti ad utilizzare un drone “anti-furbetti” che girerà per le strade di Cagliari in cerca di pericolosi assembramenti.
Questo aggeggio, sperimentato con l’aiuto di Italdron Academy Base Sardegna, permetterà di sorvolare le zone dall’alto, di giorno e di notte, e di raggiungere le quote più basse, al fine di permettere il riconoscimento facciale.
L’apparato del controllo, oltre che a farsi sempre più pressante, si fa sempre più tecnologico e anche sfuggirne sarà più complicato. Gli sbirri, dal canto loro, si assicurano sempre meno lavoro, riservandosi di intervenire solo dopo che il piccolo insetto digitale avrà fatto le sue ricerche.
Così sarà più complicato accorgersi della loro presenza. Non è un caso che il drone sia stato studiato e perfezionato all’interno del campo militare. Ma a parte questo c’è da sottolineare come in questo periodo, con la scusa dell’epidemia, lo stato d’eccezione stia permettendo di introdurre numerosi dispositivi straordinari che in un modo o nell’altro modificano le nostre abitudini.
E se tutto questo rimarrà?

25 Marzo
Kontus de Kasteddu IV
“Ritengo ancora oggi che sia la cosa più giusta da fare”
Con queste parole si è giustificato il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, dopo il polverone di critiche che si è levato in seguito ai manifesti che ha fatto affiggere per le vie di Cagliari (“quando hanno portato mia madre in ospedale, ho capito che dovevo rinunciare alla corsa” e simili). Oramai è un affezionato alle prime pagine dei giornali per i suoi provvedimenti inutili, questo è il secondo dopo la chiusura dei parchi pubblici.
Il primo cittadino, oltre che non rispettare i morti, cerca di terrorizzare la gente. Da una parte cerca di aizzarci gli uni coltro gli altri e dall’altra cerca di colpevolizzare chi non vuole rinunciare ad una boccata d’aria. Ma perché se mi faccio una corsetta dovrei sentirmi colpevole di mia mamma che è stata portata in ospedale? Che senso ha?
Al massimo sono le istituzioni a doversi sentire colpevoli se mia mamma muore al Santissima Trinità perché non ci sono abbastanza posti in terapia intensiva o perché non ci sono gli strumenti adatti. Ma né Truzzu, né Solinas, né Nieddu&Co si sentiranno in colpa.
Così come non si sentiranno in colpa per l’immobilismo che li sta contraddistinguendo: chi di loro sta facendo concretamente qualcosa per prevenire le conseguenze dell’espansione del contagio?
È facile pulirsi la coscienza facendo appiccicare qualche manifesto in città, ma poi cosa rimane a chi si ammala? Perché nessuno si adopera per costruire un ospedale da campo o per ampliare le strutture già presenti?
Intanto però ci chiedono di stare a casa e avere paura. Sanno bene che finché la gente avrà paura e sarà occupata a controllare il suo vicino di casa nessuno gli chiederà il conto.
P.S.: dai social si è sollevata una vibrante protesta, sono decine le rivisitazioni delle frasi nei manifesti. A parte l’ironia, alcune sono delle precise indicazioni sulla crescente insoddisfazione che sta maturando nel sociale.

26 Marzo
I “virus” nel virus
Solinas aggiunge nuove restrizioni al decreto #iorestoacasa, approfittando delle libertà concesse ai governatori delle regioni e ai sindaci. Le assurde misure potenziano la confusa concezione che i contagi avvengono appena fuori dal portone di casa. In questo contesto vediamo crescere altri tipi di virus: quello del cittadino-guardia e quello dell’ ansioso. Il primo è la protesi dello Stato e dei suoi organi di controllo, il secondo, soffrendo il comportamento del primo, della mediatizzazione e dell’ autoreclusione, sale agli onor di cronaca per i sempre più frequenti suicidi, TSO e problematiche psicologiche.
Le limitazioni vanno dal non poter usare la bicicletta al far uscire gli animali domestici entro soli 200 metri da casa. La più assurda è l’obbligo di potersi recare ad orti e vigneti uno per famiglia solo una volta al giorno esclusivamente per interventi irrimandabili.
Infatti tra le campagne sarde da oggi saranno impiegati più di 5000 agenti facenti parte di 160 comandi delle compagnie barracellari. Affiancheranno la protezione civile e le altre forze dell’ordine sul territorio sardo per far rispettare le nuove disposizioni della Regione.
Nati quasi 500 anni fa i barracelli sono la polizia più antica d’ Europa, che culo!
Da sempre il loro compito principale è fare la guardia ai beni dei grandi proprietari terrieri, fungendo come una specie di compagnia assicurativa, e vigilare contro l’abigeato e la criminalità.
Oggi fanno parte della polizia locale e hanno circa gli stessi doveri di un tempo.
Per il loro fondamentale ruolo nella lotta contro la propagazione del virus, in questi giorni chiedono alle autorità di essere considerati come le altre forze messe in campo.
Così la proprietà privata è al sicuro e i “furbetti” nelle campagne hanno le ore contate.
Ma come si può dire alla gente come e quando deve curare i propri terreni, tutt’altro che affollati e nei quali ci si autoproduce il cibo? Preferiscono che stiamo tutti a casa perché nelle campagne siamo meno controllabili?

27 marzo
Per quanto rimarremo chiusi in casa?
Ci siamo, non è ancora ufficiale, ma è come se lo fosse.
Il 3 aprile non sarà la fine di questo brutto momento.
Le istituzioni lo stanno anticipando sottovoce, ma d’altronde è stato fatto un tale terrorismo psicologico da parte di scienziati, politici, giornalisti e vicini di casa che il buon Giuseppe Conte coadiuvato dal codazzo di governatori regionali (dei veri estremisti sulla chiusura totale!) non potrà fare altro.
L’unica soluzione pare essere la quarantena, peccato che però stando ai numeri che leggiamo sui quotidiani non è che stia funzionando molto, e meglio non pensare alle conseguenze se i numeri della Lombardia dovessero scivolare verso il meridione.
Ci sembra che l’unica quarantena che sta portando risultati sia quella sociale, in quattro e quattr’otto ci siamo isolati nelle nostre casette senza parlare, senza confrontarci, obbedendo passivamente ai proclami di figuri che fino al 7 marzo ritenevamo degli idioti.
Vi rendete conto che hanno richiamato Bertolaso? Ci manca solo Briatore e siamo apposto…ma vabbé.
Per quanto riguarda Cagliari, siamo passati dall’uscire senza pensieri e preoccupazioni, fiduciosi che il Tirreno ci avrebbe salvato, a chiuderci in casa quando i contagi in tutta la Sardegna erano 35, un numero che ora ci farebbe uscire e abbracciare il primo che passa.
Qui non si vuole fare uno strano mix tra epidemiologia e statistica, visto che non ci capiamo nulla né dell’una né dell’altra, però vorremmo provare condividere dei ragionamenti che ci stanno preoccupando, e che in particolare riguardano il futuro.
Siamo sicuramente in una situazione veramente difficile e forse per scelta, forse per esperienza, ci sembra pericoloso affidarci completamente alle istituzioni, specialmente quando queste sono impersonate ad esempio da un Truzzu qualsiasi e i suoi miseri cartelloni.
Siamo in mano a questa gente, che ci spiega continuamente come fare a compilare l’ennesima nuova autocertificazione, ma non ci dice cosa devono fare tutti quelli a cui è stata imposta la quarantena obbligatoria per 14 giorni quando la finiranno. Il 15° giorno potranno andare sereni a fare la spesa?
E chi si è autoimposto la quarantena? Per quanto deve stringere i denti? Le nostre case sono tendenzialmente strette, e i film su Netflix dopo un po’ finiscono.
Di preoccupazioni legate alla sopravvivenza ve ne sono anche altre, e sono quelle legate alle categorie che stanno venendo massacrate dal punto di vista economico da questa situazione.
Sinceramente non ci sembra che le contromisure economiche che da Roma stanno provando a prendere arriveranno a tutti, anzi, ci sembra che la storia ci dica tutt’altro, gli emarginati ci sono sempre e sono tanti, e questa volta saranno ancora di più.
Quelli che hanno perso il lavoro o erano in nero o hanno interrotto l’attività, tra un po’ come faranno? Chi pagherà gli affitti dei locali? Quanti camerieri o impiegati verranno licenziati?
Ognuno di noi quanti amici ha coinvolti in questa situazione?
Non solo lo Stato non si preoccupa di queste categorie, non ci permette nemmeno a noi di farlo, perché il divieto totale di incontro, di movimento fra comuni, toglie qualsiasi possibilità a chi si vorrebbe organizzare per cercare una soluzione o a chi ha qualche idea per arrangiarsi e salvarsi.
Questo noi è vago, è vero, ma ognuno ha il suo noi, sono gli amici, i parenti, i compagni con cui condivide la vita sempre, nel bene e nel male, e magari include qualcuno che ora o più avanti non se la passerà bene.
Crediamo che sia ora di iniziare a pensare anche a queste cose, non sappiamo quanto tutto questo durerà, e sinceramente non crediamo che tutti si possano permettere di stare a casa fermi per settimane o mesi.
Che fare? Nessuno ha ricette pronte, però la base dell’autogestione e della solidarietà affonda sempre le radici nel confronto, da cui nascono le idee, emergono le risorse.
Ci proibiscono di incontrarci, ragioniamo anche su questo. Se questo divieto durerà, sarà veramente solo una questione sanitaria o subentrerà una questione di controllo sociale?
E se continuerà, come potremo organizzarci ugualmente per fare gruppo ed evitare che qualcuno di noi finisca nella merda?

28 Marzo
Ma allora esiste ancora?
“Ma la rabbia di ieri dov’è? Quella rabbia di ieri dov’è?”
P. Marras

Di chi stiamo parlando? Della rabbia sociale, uno spettro ormai, che si aggira per lo stivale italico in cerca di corpi in cui incarnarsi.
Dopo le violentissime rivolte delle carceri di inizio mese, il binomio pacificazione-paura ha preso il sopravvento nelle nostre città e campagne. Gli atti di insubordinazione sono divenuti solitari e isolati.
Ovviamente, non bisogna dimenticarsi che il recinto in cui ci stanno costringendo a vivere, prevede che una sfuggente chiacchierata in quattro persone in un parco per i cani, sia una grave violazione delle leggi vigenti, effettivamente partendo da un punto così arretrato l’immaginario di rabbia sociale fatto di masse di sfruttati che bloccano strade e quartieri con le barricate, è più lontano che mai. Però…
Però ovviamente è sempre presente nei nostri cuori, anche se fatichiamo a parlarne.
Da ieri invece è tornata sulle prime pagine dei giornali.
Uno dei primi, è stato Salvini, che si è lasciato andare a un “che si utilizzino anche 100 miliardi, o sarà la rivolta”, seguito poi dal Ministro del Mezzogiorno che ha parlato del meridione come di una polveriera o qualcosa di simile, passando agli 007 che si dicono preoccupati per possibili moti di rabbia improvvisi, fino a concludere con le parole del governatore della Sicilia Orlando, preoccupato che “specialisti della sobillazione” possano insinuarsi tra le maglie della povertà e provocare il caos.
Insomma non mancano le ipotesi, alcune strampalate, alcune meno.
Per ora, stando alle informazioni che abbiamo potuto raccogliere, l’unico momento interessante si è verificato a un supermercato LIDL a Palermo, dove una ventina di famiglie hanno provato a fare la spesa senza pagare, non riuscendoci per l’intervento delle forze dell’ordine.
Dal giorno dopo i principali supermercati del capoluogo siculo erano presidiati dalla celere.
Alimentari e sanità, ci sembrano i due settori che potrebbero scatenare per primi quella rabbia che cova sotto strati di paura e disabitudine, ma che giorno dopo giorno si assottigliano, anche se gli ultimi decenni li hanno resi talmente spessi che non sappiamo quanto tempo e quante privazioni ancora ci vorranno per farli emergere.
Qui in Sardegna la situazione è potenzialmente esplosiva, dalle città più grandi ai paesini la povertà è un realtà nota. Decine di migliaia di sardi vivono di varie forme di sussidi statali, efficaci per una pacificazione sociale, ma assolutamente inutili per la risoluzione del problema, perché nonostante questi aiuti, in moltissimi faticano tremendamente ad arrivare a fine mese e ad avere una tenore di vita degno.
Reddito di cittadinanza, cassa integrazione, assegni familiari e via dicendo mettono piccole toppe a una falla gigantesca.
Purtroppo nella nostra isola manca da troppo tempo una predisposizione alla ribellione diffusa e partecipata, sono molto più frequenti gli atti di insofferenza e insubordinazione individuali.
Non è un caso che la Sardegna è la regione dello Stato italiano con il più alto numero di attacchi ai rappresentanti delle istituzioni, o che anche in situazioni di lotta di massa come la lotta dei pastori dello scorso anno non vi siano stati momenti di scontro campale ma una serie lunghissima di attacchi, anche molto efficaci, agli industriali del latte. Ricordiamo le decine di autocisterne bloccate e altri atti di sabotaggio alle strutture dell’industria casearia.
Ritornando a oggi, è difficilissimo stabilire se questa situazione, di indubbia difficoltà sociale, possa far maturare le condizioni per delle esplosioni di rabbia. I comprensibili e condivisi timori per la questione sanitaria, sono un indubbio freno e ostacolo.
Il fatto che in questo momento, sia impossibile sotto ogni aspetto organizzarsi in assemblee pubbliche per capire cosa fare, ad esempio potrebbe risultare un ostacolo insormontabile.
Ci sembra però altrettanto vero, è molto interessante, come questa situazione ci stia offrendo – in sole quattro settimane – spunti per le lotte dei prossimi anni. L’emersione evidentissima delle carenze delle strutture statali, la divisone sempre più marcata delle classi, come delle varie regioni geografiche che compongono lo Stato italiano, potrebbero essere domani le cause scatenanti di quella rabbia sociale che oggi annusiamo ma che non riesce a coagularsi.
Un ultimo pensiero è rivolto a come l’epidemia avendo colpito tutte le parti della società lascerà ovunque la possibilità di trovare complici pronti a ribellarsi, starà quindi a ognuno di noi, dai professori agli studenti, dagli operai ai camerieri, dai disoccupati ai pensionati, trovare il modo di sobillare chi ci sta vicino, perché la merda da spalare sarà sempre di più, e una volta tanto sarebbe bello che la spalassimo insieme contro chi ci sfrutta e non uno sull’altro a protezione del solito nostro giardinetto privato.

29 Marzo
riceviamo e pubblichiamo un contributo:
Pandemia
Per quanto i giorni che stiamo vivendo siano tragicamente segnati dalle morti, il pensiero non può che andare a cosa accadrà all’indomani di questa ecatombe. Forse per il buon vecchio ottimismo della volontà mi sembra che dall’esperienza di questo mese di pandemia si possano evidenziare alcuni fatti interessanti.
1. Nonostante la gravità di una epidemia che è arrivata a fare 1000 morti al giorno ed il terrorismo pressante delle istituzioni, la scarsa obbedienza delle persone alle prescrizioni è il sintomo di una diffusissima abitudine ad aggirare le regole quando si mettono di traverso alle proprie attività, Questa attitudine davvero italianissima risiede nel profondo della testa delle persone spesso in modo inconsapevole e contraddittorio, per cui anche chi razionalmente capisce e condivide le misure di “distanziamento sociale” si trova a mettere in atto sotterfugi per sottrarvisi quando gli serve. Perfino con la militarizzazione delle strade in atto. Dunque se di esperimento sociale si è trattato direi che non è riuscito tanto bene. Altro che “YouPol”
2. Le carceri italiane hanno improvvisamente dimostrato una capacità di mobilitazione di cui si dubitava anche nei nostri ambienti. Mai come in questa circostanza si è avuta la percezione di come lo Stato consideri i carcerati “spazzatura sociale”, e la rivolta non poteva che essere violenta e cruenta, con 15 morti sui quali non si farà mai chiarezza, visto che le versioni fornite non sembrano granché credibili. Ma lo Stato si è già assolto.
3. Per quanto lo Stato si proponga come il grande buon padre che si prende cura dei suoi figli sono ben chiari tre fatti, evidenti a tutti:
• c’è poco da dire che nessuno perderà il lavoro. A parte che tanti il “lavoro” contrattualmente normato non l’avevano neanche prima, ma è cupamente chiaro che gli interventi di sostegno attuali lasciano scoperte moltissime categorie e che la crisi che si è innescata farà strame di impieghi precari, parasubordinati, ma anche autonomi e stabili, trainati dal crollo della disponibilità di spesa;
• il principale responsabile dell’impatto devastante dell’epidemia è proprio quello Stato che spreca ogni anno 70 milioni di euro in spese militari; quello Stato che con ogni km di TAV potrebbe pagare 1000 ore di terapia intensiva. Invece da anni taglia le spese sanitarie, chiude i piccoli ospedali, riduce il numero di medici e quelli che ci sono li descrive come eroi finché si ammalano e muoiono in silenzio, visto che non viene riconosciuto l’infortunio per non dover pagare indennizzi;
• il governo è stato pesantemente influenzato da quei “mercati” che prima chiedevano di essere rassicurati con la propaganda criminale che minimizzava lo tsunami che ci stava piombando addosso, e poi hanno chiesto di essere tranquillizzati mostrando l’atteggiamento autoritario e paternalista di chi ha in pugno la gestione della crisi. In un caso e nell’altro un comportamento scellerato di una classe politica prona al capitale.
Mi sembra che questi tre fatti ci permettano di parlare di questa pandemia come di una ennesima “Strage di Stato” e che sullo Stato dobbiamo puntare il dito. Credo che in un clima socio culturale in cui la voglia di “uomo forte” si stava facendo strada pesantemente, i fatti che stiamo vivendo mettano in crisi il ruolo dello Stato garante di alcunché, e la fiducia in istituzioni confuse, mediocri e corrotte.
4. Le attuali condizioni di compressione economica e sociale non possono reggere ancora molto. Non voglio esprimere giudizi sul mancato esproprio proletario di Palermo perché non conosco il contesto, ma è comprensibile e prevedibile che tra poco molti si troveranno a scegliere tra la certezza di fare la fame e la probabilità di ammalarsi. Senza ingenuità ne’ false aspettative per una volta è forse legittimo “tifare rivolta”, ma dobbiamo anche essere pronti a controbattere la propaganda che cercherà di indirizzare il malessere sociale verso la guerra tra poveri e le fortune politiche di questo o quel caudillo.
Ma lo sappiamo: la rivoluzione non è un pranzo di gala.

30 Marzo
Si salvi chi può, pensieri e riflessioni personali su un presunto buonsenso a Cagliari e provincia.
Nei quasi venti giorni di restrizioni una delle parole che più ha rimbalzato sui miei canali comunicativi è stata “buonsenso”, dandomi modo di riflettere sul significato con la quale essa veniva utilizzata.
Andando a cercare questa parola nel dizionario mi sono ritrovato a leggere: “Capacità naturale dell’individuo di valutare e distinguere il logico dall’illogico, l’opportuno dall’inopportuno, e di comportarsi in modo giusto, saggio ed equilibrato, in funzione dei risultati pratici da conseguire”.
È così fra i tanti pensieri di queste giornate di reclusione, più o meno volontaria, mi sono trovato a riflettere proprio su alcuni concetti relativi a questo vocabolo, a partire appunto dalla naturalità.
Mi sbaglierò, ma ciò che ho potuto constatare dall’esplosione delle misure di contenimento del virus, a partire dall’undici di Marzo, è stata una quasi totale assenza di naturalità nel comportamento delle persone, frutto di settimane di terrorismo mediatico e di un’imposizione dall’alto che prevede, fra i tanti, il distanziamento sociale quale strumento principale nella lotta alla pandemia. Ora il quesito che mi è sovvenuto in queste riflessioni è: quanti di noi hanno ragionato sul concetto di tale distanziamento, di come questo possa essere applicato al fine dei suddetti risultati pratici da conseguire, e quanti invece si sono limitati all’applicazione dei dettami imposti da un gruppo di persone che poco hanno da spartire con le nostre esigenze più stringenti?
Tralasciando i ragionamenti, assolutamente legittimi e necessari, su come la reazione dello Stato abbia volto più a una responsabilizzazione dei cosiddetti cittadini, piuttosto che al riconoscimento delle proprie responsabilità nella gestione decennale della sanità pubblica, siamo sicuri che il superamento di un’emergenza possa passare per l’autoisolamento a tratti scriteriato e, per esempio, non attraverso un confronto quotidiano (più che mai urgente a mio parere) e pratiche di solidarietà materiale e umana? Magari portandola non attraverso un bonifico o una videochiamata e addirittura rispolverando, dopo 20 giorni di clausura, gli effetti dirompenti di un caloroso abbraccio fuorilegge?
Ecco, la mia conclusione è che forse più che al buonsenso siamo davanti ad una grande manifestazione di senso comune, anch’esso annoverabile fra le caratteristiche naturali degli esseri umani, ma spesso e volentieri portatore di grossolani errori.
Un lettore più ammurvonato del solito.
p.s. Ad oggi 30 marzo, i contagiati nella provincia di Cagliari sono in totale 102, su una popolazione totale di circa 560.000 mila abitanti distribuiti in 71 comuni. In tutta la Sardegna quasi la metà dei casi di contagio è avvenuta in ambito ospedaliero.

31 Marzo
Antidoti velenosi
Tra il 1946 e il 1950, per combattere la malaria, vennero somministrati 5 milioni di litri di DDT a circa 1/4 della superficie del territorio sardo, in particolare nelle zone umide.
Fu l’ERLAAS ( Ente Regionale per la Lotta Anti Anofelica in Sardegna) a mettere in pratica il “Sardinia Project”, finanziato dallo Stato e ideato dalla Rockfeller Foundation. L’isola venne scelta più come collaudo dell’insetticida che per una reale necessità. Ne fu prova l’impiego di una quantità 3 – 4 volte superiore alle dosi utili ad eliminare le larve della zanzara anophele.
Con la scusa che il secondo conflitto mondiale aveva rallentato le operazioni di prevenzione, controllo e cura della malattia (che già nei decenni precedenti stava dando buoni risultati) si preferì procedere con l’eradicazione del vettore (in quel caso la zanzara).
Questa scelta permise di ottenere buoni risultati in tempi stretti ma da subito mostrò anche delle notevoli controindicazioni: già nei primi giorni di utilizzo si verificarono morie di animali selvatici e da allevamento, che continuarono per anni.
Ai tempi non vennero mai effettuati studi sui danni ambientali di questo intervento in quanto le conseguenze dell’utilizzo del DDT sono sempre state sottovalutate, ma il fatto che tra gli anni 60 e 80 l’insetticida venne messo al bando dalla maggior parte delle nazioni del mondo per la sua pericolosità tossica, ci può far avere un idea del disastro compiuto.
I danni sono ancora riscontrabili oggi, specialmente in alcune zone umide del sud Sardegna, dove attraverso le analisi delle acque che vengono fatte per verificare la presenza o meno di questo e altri inquinanti, si trovano ancora tracce riconducibili al DDT.
In questi giorni iniziano le sanificazioni nelle strade e nelle piazze di paesi e città sardi, come ulteriore mossa a protezione collettiva dal contagio del Coronavirus.
Non è dunque strano imbattersi in Vigili del fuoco completamente bardati che spruzzano litrate di ipoclorito di sodio, meglio detta candeggina, intenti a disinfettare le strade dal microrganismo che sta mettendo in ginocchio mezzo mondo.
Siamo un po’ preoccupati di questa scelta, visto che di questi interventi non è mai stata dimostrata l’utilità in campo scientifico e che la probabilità di contagio per strada è molto bassa.
Inoltre ci chiediamo, ipotizzando che sia utile spargere varechina nei punti strategici dei centri abitati, quante di queste operazioni servirebbero per fare in modo che del virus non ci sia più traccia, visto che nonostante il lockdown tutte le strade e i servizi vengono utilizzate da ipotetici “untori” ogni giorno?
Persino dal Ministero dell’Ambiente si sono dichiarati preoccupati per questi metodi di “pulizia di prevenzione”, ma sembra che la pande-paranoia di questi tempi faccia riflettere poco chi detta le disposizioni. Nel frattempo la Regione Piemonte ne vieta l’ utilizzo.
Ancora una volta si permette l’impiego incosciente di certi prodotti sottovalutando il rischio che possono avere per il territorio, per l’uomo, gli animali e la flora tramite l’avvelenamento delle falde acquifere sotterranee e superficiali, o del mare, in cui in un modo o in un altro le acque confluiscono.
I due esempi (Malaria e Coronavirus) possono sembrare in parte forzati, essendo differenti tra loro per cause e conseguenze, ma certe similitudini nei meccanismi di attuazione ci hanno fatto riflettere.
In particolare l’urgenza da parte dello Stato di mettere in campo continue misure di contrasto al diffondersi dell’epidemia, come a dimostrare efficienza e presenza sul territorio.
Il tutto non supportato da necessari studi scientifici e approfittando della paura generale che si è diffusa, che in questo momento permette che anche un provvedimento così passi senza alcuna contestazione o perlomeno verifica.
Le istituzioni si stanno dimostrando proprio per quello che sono: alcuni paesi sardi sono letteralmente dimenticati dai vari governanti che si fanno vivi ora per riempire le strade di candeggina, chiudere i parchi, impedire alla gente di andare in vigna e via dicendo.
Che non si stupiscano se presto o tardi qualcuno inizierà a ribellarsi.

1 Aprile
Peggio di così non può andare? Potrebbe iniziare a piovere.
Si stanno diffondendo ogni giorno di più gli interrogativi sul futuro di questa situazione, le paure di contagio stanno venendo velocemente sopraggiunte da altre di tutt’altra natura.
Le istituzioni invece che dare risposte offrono solo altre fonti di angoscia, mettendo in una difficoltà crescente sempre più persone, noncuranti della complessità e varietà delle situazioni esistenti.
Ci riferiamo ad esempio all’assurda regolamentazione di cui abbiamo già parlato riguardante il mantenimento delle colture e dei piccoli allevamenti. Solo per stare in questo campo, in Sardegna troviamo migliaia di persone che hanno piccole produzioni autonome, che non sottostanno a leggi e permessi, ma che sono fondamentali per coloro che le curano, chi perché ne ricava sostentamento alimentare, chi economico.
Oggi vogliamo dedicare questa pagina di diario a tutti coloro che da soli e contro i divieti affrontano questa situazione ogni giorno, provando a autorganizzarsi anche in mezzo ai controlli e le restrizioni, chi con le consegne a domicilio chi con i sentieri poco battuti per arrivare alla vigna.
Senza mezzi termini ci schieriamo dalla loro parte, scartati e perseguitati dalle leggi dello Stato.
Pubblichiamo un contributo di un produttore indipendente del Parteolla:
“Pensavo che per questo mese le cose brutte fossero finite. Mi sbagliavo. Impossibilitato allo spostamento dal comune di residenza equivale a non poter lavorare. La lontananza dalla persona che vorresti accanto, la repressione vissuta sulla propria pelle e tanti piccoli fattori stanno avendo i primi effetti.
Ora, per rincarare la dose, ecco gli effetti della gelata della settimana scorsa. Il raccolto 2020 si stima già con una perdita del 40% anche 50%.
Ogni volta che, anche finita questa emergenza, andrete a far la spesa, pensate agli agricoltori, pensate ai piccoli produttori di frutta e verdura. Magari fermatevi quando vedete i piccoli mercatini, chiedete agli amici di iscriversi a Gruppi Acquisto Solidale, fermatevi vicino ai semafori o lungo strada quando li vedete fermi là tutto il giorno che rischiano probabilmente una multa perché non hanno la possibilità di mettersi in regola.
Solidarietà vera, non solo a parole.”
Fabio libero agricoltore

2 aprile
Pubblichiamo un interessante contributo elaborato da alcuni compagni siciliani.
Da Sud.
Nonostante sia più lungo di qualsiasi pagina del diario pubblicata fino ad ora, e nonostante dia per scontate alcune visioni del mondo che scontate non sono, ne consigliamo caldamente la lettura.
La visione d’insieme che propone, gli spunti e gli interrogativi offerti, sono uno stimolo notevole, sul quale si può anche essere critici ma difficilmente vi lascerà indifferenti.
È inoltre un buono spunto per connettere ciò che succede qui in Sardegna con il contesto siciliano e più in generale del meridione, dal momento che alcuni tratti di colonizzazione sono simili e ricorrenti.
Continuiamo a caldeggiare un confronto su quanto sta accadendo e su quanto stiamo pubblicando. Scriveteci!

Covid-19 e Stato totale: prospettive da Sud

3 aprile
E’ ora di reagire?
Due giorni fa è arrivata la proroga delle prescrizioni valida su tutto lo Stato.
Non arretra di un solo passo il bombardamento istituzionale sul tema del iorestoacasa, anzi, ci si mettono tutti in coro: Conte, Borrelli, Fontana, Truzzu e chi più ne ha più ne metta. I media ovviamente non parlano d’altro, mettendo in risalto continuo il numero dei controlli e dei denunciati, figli dell’ottimo lavoro svolto dalle forze dell’ordine sempre più presenti sul territorio.
In Baronia sono stati schierati anche i Cacciatori di Sardegna, effettivamente se ne sentiva proprio l’esigenza…
Sembrerebbe difficile capire perché nonostante un’obbedienza molto più alta di quella che ci si poteva aspettare, lo Stato continui in questo martellamento angosciante e nella militarizzazione di tutto lo stivale e delle isole. Sinceramente non convincono i numeri da soli, così come anche il famigerato arrivo del picco o chissà quale altra diavoleria mediatica, questa strategia puzza tremendamente di diversivo.
I giornali lodano la velocità con la quale sono stati creati migliaia di nuovi posti letto nei reparti di terapia intensiva, tardi, troppo tardi. Ci sono 14000 morti.
Borrelli ogni giorno alle 18 usa tutti i condizionali disponibili per poi concludere che dobbiamo dare altre quattro mandate alla serratura di casa.
Nessuno però parla dei disastri sociali che queste misure d’emergenza stanno creando. Com’era ovvio anche nelle prigioni ci sono stati i primi morti, almeno Salvini avrebbe avuto la faccia tosta di dire che alla fine se lo erano meritato, Bonafede invece sta cercando la soluzione nella settimana enigmistica, e ovviamente andare fuori da un carcere a fare un saluto è diventato un reato.
I lavoratori in nero stanno facendo nuovi buchi nella cinghia, chissà quando si stancheranno.
700 aziende del sud Sardegna chiedono la riapertura, il governo non sa cosa rispondere, probabilmente gli chiederà se raffinano petrolio o producono bombe.
Almeno l’INPS offre lavoro, cerca un programmatore per il suo sito, che è letteralmente esploso durante gli accessi per ottenere il bonus di 600 €.
Certo che non si può dire che il governo Conte non conosca “l’Italia e gli Italiani”, un mese a casa viene rimborsato con 600€, la cifra media dello stipendio di milioni di lavoratori precari, e se questa storia va avanti un altro mese? Lascia o raddoppia?
Nei quartieri periferici le piccole attività non ritenute strategiche sono sull’orlo del collasso, dal bar sotto casa, all’ambulante, passando per il negozio di articoli da pesca e concludendo con il calzolaio.
Questi parolai che si succedono nelle continue conferenze stampa parlano di date che per moltissima gente significano la fame, tipo il 16 maggio. Una a caso, tanto sono dette tutte e caso, ma sono tutte lontane, troppo lontane. Chi lavora nei mercati o nei locali notturni cosa farà?
Ovviamente noi non abbiamo risposte, abbiamo però delle domande: quando diremo basta? Stanno fermando tutto ciò che c’è di indipendente, ci vogliono forse tutti ricattabili dai sussidi?
Sembra quasi che lo Stato stia giocando a un gioco molto pericoloso per noi, prima ci mette tutti a casa con misure straordinarie per un’emergenza da contagio, poi quando da questa germoglia quella sociale farà lo stesso? E noi continueremo a guardare? Riusciremo a capire quando il contenimento da sanitario diventerà sociale?

4 Aprile
Dio ci salverà
Tra teorie paranormali, complottismi, fobie varie e ipotesi ai limiti del fantascientifico stiamo sentendo boiate di tutti i colori. I media intanto danno enorme risalto alla polemica innescata da qualche farabutto riguardo la fede in Dio, al quale si appella per accelerare perché la scienza a detta sua non basta.
Truzzu, e poi Solinas, invocano Sant’Efisio in protezione dei cagliaritani e di tutti i sardi; il papa si scopre essere un esperto virologo e propone la preghiera come antidoto di tutti i mali; Salvini non sa più cosa tirare fuori dal cilindro e si mette a recitare l’eterno riposo a canale 5 con Barbara d’Urso, dichiarando poi che “non basta la scienza a sconfiggere il virus, dobbiamo affidarci al buon Dio”.
A mettere una pezza arriva una nota del ministero dell’Interno che precisa che per dare “dignità” alla settimana santa, nei prossimi giorni sarà permesso a preti, diaconi, organisti e chierichetti praticare le celebrazioni liturgiche. Le chiese saranno quindi aperte ai fedeli che possono recarvisi di passaggio rispettando le distanze di sicurezza. Quindi mentre un prete, barrando la casella della comprovata esigenza lavorativa, può celebrare la sua funzione, un artigiano non può svolgere il suo lavoro perché non rientra tra i beni di prima necessità.
Che strana etica del lavoro.
A Cagliari, dove i contagi sono circa 150, la linea del sindaco si può riassumere in quattro parole “Parchi chiusi, chiese aperte”.
L’insensatezza delle misure è ormai palese, come se il loro contenuto non fosse importante. Altro che runner, qua sembra che si voglia testare la “ginnastica d’obbedienza” della popolazione.

5 Aprile
“A dogna mali su remediu suu”
I detti sardi non sempre sono precisi, in questo caso contro il male che abbiamo davanti, di rimedi né vediamo più di uno.
Mentre le difficoltà economiche prendono piede e tantissime attività rischiano presto di trovarsi sul lastrico, i controlli per le strade sono sempre più numerosi e il numero dei denunciati più alto.
Fra questi vi sono molti che sono stati multati mentre andavano in campagna a lavorare per il proprio autosostentamento, che però non essendo certificabile a norma di legge è stato considerato insufficiente come autocertificazione.
In più in questo clima di esaltazione del controllo si sentono ben tutelate nelle loro azioni, e come si vede in alcuni video che girano in rete non fanno fatica a mostrare prepotenza e manganelli.
Sarà per qualcosa di simile che stanotte è stata bruciata la macchina del comandante dei Barracelli di Pula? Qualcuno starà iniziando a stancarsi del fiato sul collo delle guardie?
Come abbiamo già scritto il controllo e le limitazioni adottate per le campagne sono fra le più assurde. Vi sono restrizioni possibili per tutti i tipi di attività, le nuove imposizioni provano ad essere più forti delle regole naturali e delle scelte di chi quei terreni li cura da sempre, provando a imporre cosa sia importante e urgente. Non considerando chi si autoproduce il cibo o deve prendersi cura dei propri terreni. Non parliamo poi per chi produce e vende senza licenze, per scelta o per necessità, e non ha quindi alcun riconoscimento.
Persino gli agricoltori totalmente in regola hanno dei problemi nel recarsi a lavoro, dovuti alle zelanti interpretazioni di sbirri che soffrono di protagoismo.
C’è però chi prova a resistere, e grazie a reti di solidarietà e ad una buona dose di determinazione, trova altre soluzioni rispetto a quelle imposte.
Pubblichiamo di seguito un testo scritto dalla Rete delle Economie Complici e Solidali del Sud Sardegna:

L’AUTO PRODUZIONE NON E’ UN HOBBY
Un piccolo antidoto alla paura
In queste settimane di piena emergenza sanitaria, lo stato italiano sta inserendo, tra le molte misure
adottate per arginare la diffusione dell’epidemia, dei provvedimenti che hanno più il sapore del controllo sociale fine a se stesso che quello di contenere l’avanzata di questa pandemia.
Una di queste misure irragionevoli è la limitazione dell’uscita dalle proprie abitazioni per la cura e la coltivazione di piccoli appezzamenti di terra per coloro che portano avanti il lavoro in maniera autonoma e non imprenditoriale, rendendo così difficile portare avanti una pratica da cui traggono, totalmente o in parte, il loro sostentamento e rendendo legalmente impossibile lo scambio ed il commercio dei prodotti contadini e lo scambio di piccole prestazioni lavorative, come avviene nella pratica de”s’agiudu torrau”. Queste misure oltretutto si accompagnano a politiche che favoriscono e incentivano la grande distribuzione, rappresentata da supermercati e discount vari.
Noi pensiamo che questo modo di operare si traduca in un vero e proprio attacco
all’autodeterminazione alimentare delle comunità ed alla loro naturale resilienza; proprio in un periodo dove l’autoproduzione dovrebbe essere il punto di partenza della risposta a qualsiasi tipo di crisi, compresa quella sanitaria.
Il solo fatto di definire queste pratiche “hobbismo” è un insulto irricevibile ad una dinamica socio economica che storicamente, in Sardegna in modo particolare, ha permesso la sopravvivenza di una larga fetta di popolazione, esclusa dalle dinamiche del mercato capitalista.
Ci sembra evidente che i supermercati e la grande distribuzione siano, e non solo in questo periodo di emergenza, luoghi patogeni e non più solo a causa della bassa salubrità dei cibi prodotti industrialmente, ma anche per il rischio di contagio del covid 19 che deriva da assembramenti di clienti, dal passaggio di merci di mano in mano e dalla delocalizzazione della produzione, che comporta trasporto su ruote, navi ed aerei da ogni parte del globo.
Far passare una persona che vuole coltivare il proprio cibo nel proprio orto, come se fosse un irresponsabile alla ricerca di svago, è una visione miope e distorta, se non inquadrata all’interno di un progetto repressivo piuttosto che di contenimento dell’emergenza sanitaria.
Perciò pensiamo che tutte le esperienze e pratiche concrete, quali mercati contadini, gruppi d’acquisto solidale, coltivazione e vendita diretta da parte dei contadini e delle contadine appartenenti ai propri territori, siano i veri anticorpi contro la crisi sanitaria che stiamo attraversando ed alla depressione economica che inevitabilmente ne deriverà.
Coscienti che la soluzione non arriverà dal sistema che ha creato i presupposti di questa
pandemia, siamo certi che le pratiche contadine saranno sempre la prima e l’ultima risorsa sociale per affrontare qualsiasi tipo di crisi. Vogliamo esprimere la nostra solidarietà e complicità a tutti i contadini e le contadine che in questo difficile periodo continuano a portare avanti le loro pratiche di sempre, costretti/e ad aggirare norme e decreti e a sfuggire agli occhi inquisitori di uomini in divisa o in pigiama, per portare in tavola del cibo sano ed a rischio zero.
MISCHINU E MISERU EST S’ANGIONI CHI CICCA LATTI A SU MREXIANI
(Sfortunato e misero è l’agnello che cerca latte alla volpe)
R.E.C.S. SUD SARDEGNA
(Rete delle Economie Complici e Solidali)

6 Aprile
This is Sardinia
Pastorizia, agricoltura, pesca, turismo, ristorazione, chi più chi meno, sono tutti settori che stanno vivendo un momento di grande difficoltà, alcuni di crisi vera, altri ancora di chiusura totale, cioè fermo di qualsiasi operazione.
Il mantra ripetutoci fino alla noia è che serve uno sforzo di tutti e tutte per fermare il contagio, per arginare il virus e poi poter ripartire.
Ci siamo già soffermati sul fatto che da questo maremoto le uniche attività che potranno uscirne indenni saranno quelle ritenute strategiche, a cui quindi è stato concesso di non interrompere, modificare o ridurre le loro attività. Deroghe, permessi, ordinanze, ma anche occhi e orecchie chiusi per non vedere rischi di vere e proprie pandemie.
Ma questo mondo non può fare a meno di alcuni pilastri.
Ieri abbiamo avuto conferma – se mai ce ne fosse stato bisogno – che nel panorama sardo le attività militari godono dello status di intoccabilità strategica, al pari quindi ad esempio della Saras.
Dal 6 Aprile al 9 Giugno verrà riservato un corridoio aereo che permetterà agli aerei militari di volare dal Poligono di Quirra alla base di Capo Frasca, ovviamente questo includerà anche il sempre verde aeroporto di Decimomannu, che offrirà le sue piste per decolli e atterraggi.
Avremo quindi anche questa primavera i cieli del Campidano violentati dai Caccia e la penisola del promontorio di Capo Frasca distrutta dai test missilistici.
Gli unici contenti possiamo immaginare che saranno i pescatori dell’oristanese che dovrebbero essere indennizzati per le giornate di pesca perse, come al solito la Difesa si tutela comprando ogni forma di possibile malcontento.
Dell’inquinamento di mare e aria non frega nulla a nessuno.
I militari si stanno guadagnando solo un altro motivo per essere mandati via a calci in culo, quando questo accadrà non lo sappiamo, ma sapere che i super top gun del cavolo sfrecciano nei cieli e bombardano a tutto spiano, mentre a noi non è concesso neanche andare a prendere due asparagi fa piuttosto incazzare.
Ma anche sentire le istituzioni che tutte in coro fanno di tutto per colpevolizzarci per una passeggiata con il cane, una corsa al parco o una spesa “in più”, e poi obbediscono zitti all’economia di guerra.
Questa è la Sardegna, se mai ne avessimo avuto il dubbio, un terra in cui industriali del petrolio e generali fanno il buono e il cattivo tempo, vivendo al di sopra di qualsiasi legge imposta che dicono di voler addirittura difendere e rispettare.
Senza alcun rispetto per la gente che qui ci vive e muore, anche per colpa dei danni delle loro attività.
Mettiamo anche questo nel conto da fargli pagare.

7 Aprile
Abitudini
È passato un mese preciso da quel 7 Marzo in cui ci “chiedevano” di stare chiusi in casa. Oggi ci siamo chiesti in questo mese quanto le nostre abitudini siano cambiate.
E’ normale calcolare un’ora per fare la spesa al supermercato, uscire con portafogli, telefono chiavi e…mascherina.
Non stiamo vedendo i nonni e i parenti più anzianotti.
Ci mancano gli amici residenti nei paesi diversi dal nostro.
Sono spariti abbracci e strette di mano.
La notte non è più un’amica, non la frequentiamo più. E’ diventata una consigliera silenziosa per buone letture o bei film, comodamente stesi nei divani di casa.
Se già prima al vedere gli sbirri un po’ speravamo che fermassero quello prima di noi, ora è quasi una preghiera, e da dieci minuti prima di uscire iniziamo a pensare a quale scusa possa essere più adatta a seconda dell’orario e del posto in cui andiamo.
Gli amici li vediamo…dagli schermi dei nostri computer. La webcam si è sostituita agli abbracci.
Ci ritroviamo da soli a fare il giro dell’isolato di casa 100 volte piuttosto che correre al parco in compagnia.
Quando accendiamo la macchina per non far scaricare la batteria il cuore ha un fremito di nostalgia, stereo a manetta e braccio fuori dal finestrino sembrano lontanissimi.
C’è anche qualcosa di bello però, più cura di se stessi nell’alimentazione, negli esercizi, nella cura della casa o nel fare quei lavori che ci aspettavano da anni.
Qualcuno dice che questo mese porterà con se moltissime gravidanze, per quanto ci riguarda ci sembra prematuro…ma di sicuro concordiamo sul fatto che il sesso sia forse il miglior modo di occupare le nostre serate.
Ci sentiamo un po’ come Fantozzi, non sappiamo più se oggi è lunedì o venerdì.
Quanti hanno ceduto a infinite telefonate piuttosto che concedersi alla sfida dell’incontro?
Per quanto tempo avremo paura di abbracciarci anche a emergenza superata? Ci sentiremo a nostro agio in un locale affollato, o al primo colpo di tosse del nostro vicino andremo via?
L’esercizio a cui ci stiamo sottoponendo potrebbe lasciare cicatrici nelle abitudini di ognuno di noi, iniziare a interrogarci su quali esperienze vorremo portarci dietro e cosa invece vorremmo lasciare andare via insieme al virus, ci sembra un’attività piacevole da condividere.
Probabilmente non siamo mai stati collettivamente così mansueti e obbedienti, e c’è da scommettere che qualcuno farebbe carte false per mantenere il più a lungo possibile questa situazione. Noi ci stiamo chiedendo cosa ne pensiamo?

8 aprile
Diamo i numeri
I numeri in questi mesi hanno assunto un peso notevole nelle nostre vite, e anche in base ad essi che ci hanno imposto restrizioni pesantissime, mai sperimentate prima a livello collettivo.
A pensarci bene è un continuo bombardamento numerico.
La fanno da padrone le cifre su morti e contagi, ma non mancano stime di perdita e guadagno, multe e sanzioni.
Ovviamente non c’è da stupirsi, lo svuotamento di contenuti nella società che ha portato al dominio dei dati sulle idee non è cosa nuova, e al mondo dei numeri quindi eravamo già abituati.
Mancava nelle nostre esperienze recenti un conteggio giornaliero come quello che ci offre ogni giorno la protezione civile alle 18, dati che si rincorrono in statistiche di cui non sappiamo i parametri di riferimento.
Non ci stupirebbe che a oggi siano più numerosi i confusi rispetto a quelli che veramente hanno un’idea chiara – sempre secondo le fonti di governo – su quale sia la situazione, e c’è da temere che nelle stanze dei bottoni siano ben contenti che non si capisca molto di cosa sta accadendo.
Torniamo a dire che non vogliamo negare i morti o la gravità di questa situazione, ma ci sembra evidente l’uso intimidatorio che i media e le istituzioni politiche fanno dei numeri.
Un po’ di esempi:
tutti possiamo sapere facilmente il numero di morti e dei contagiati in ogni stato occidentale ma non sappiamo quasi mai che percentuale rappresenta.
vengono fatti paragoni tra stati che rappresentano un continente o quasi, e stati molto molto più piccoli, pensiamo a quante volte abbiamo visto il paragone tra Cina e Italia, ma anche tra Stati Uniti e Italia, e quasi nessuno fa notare che il paragone più azzeccato con gli Stati Uniti sarebbe l’Unione Europea.
sono rari i paragoni tra il tasso di mortalità del covid-19 e altre cause di morte specifiche che decimano il pianeta.
nella gestione del lockdown viene considerata l’Italia in modo uniforme, trattamento che non viene usato mai o quasi…
A titolo puramente informativo e un po’ provocatorio diamo anche noi dei numeri, provando a rispolverare l’estinta abitudine di citare i dati scelti per ricavarli.
percentuali dei contagiati in Sardegna: numero contagi 1005, popolazione 1.640.000 percentuale coinvolta 0,06 %
percentuale dei contagiati in Italia: numero contagi 147.577, popolazione 60.360.000 percentuale coinvolta 0,24 %
percentuale contagi area metropolitana di Cagliari: numero contagi 179, popolazione 420.677 percentuale coinvolta 0,04%
Stati Uniti: abitanti 328.000.000 superficie kmq 9.834.00 contagi 501.560
Unione Europea: abitanti 513.000.000 superficie kmq 4.436.000 contagi 779.401 (il dato facendo ricerche in italiano non si trova, bisogna utilizzare l’inglese)
Brasile: 209.000.000 abitanti 8.511.00 kmq 19.638 contagi
Inoltre non bisogna avere la laurea in statistica per capire che le istituzioni avendo il monopolio esclusivo dell’uso dei tamponi possiedono anche il controllo delle statistiche. Se lo Stato per esigenze economiche volesse far crollare la curva dei contagi basterebbe che ordinasse di fare 10.000 tamponi in un giorno nel meridione, così come se volesse un’impennata basterebbe concentrare i tamponi nelle zone più colpite. I dati che noi freneticamente controlliamo non hanno alcun riferimento complessivo e neanche affidabilità.
Ecco cosa si trova a proposito dei tamponi su internet (al 6 aprile): tamponi fatti in Italia 691.461 che percentualmente sull’intera popolazione vuol dire 11.436 ogni milione d’abitanti. Tamponi fatti in Sardegna 9.444.
Ovviamente il giochino dello Stato italiano di dare i numeri a suo uso, consumo e necessità viene fatto da tutti gli stati più coinvolti. Trump si vanta di essere quello che fa più tamponi (1.700.000) e si guadagna le prime pagine dei giornali e forse la rielezione alla Casa Bianca, invece la classifica delle percentuali sulla popolazione lo colloca lontanissimo dalle prime posizioni con 5379 tamponi per ogni milione di abitanti, facendo fare bella figura all’Italia che ne ha il doppio.
La conclusione la lasciamo a tutti coloro che avranno voglia di leggere e approfondire queste ricerche. A noi sembra evidente che la statistica sia sempre più uno strumento utilissimo a chi comanda* per raccontare in modo sedicentemente scientifico le sue verità, nascondendone altre, quelle che ci viviamo sulla nostra pelle.
*il riferimento ad esempio è su come vengano redatte le percentuali di occupati e disoccupati, per risultare nella percentuali degli occupati basta aver avuto un contratto di 5 giorni in un anno intero.

Ponti
2 Aprile – Gonnesa, crolla il ponte che conduce alla spiaggia di Fontanamare durante il passaggio di un compattatore dei rifiuti, nessun ferito
8 Aprile – Crolla un ponte tra Massa Carrara e La Spezia, due trasportatori feriti.
Perché parlare di questi avvenimenti in un diario di cronache e riflessioni sull’epidemia?
Perché probabilmente, se non fossimo nella situazione in cui siamo, questi due fatti avrebbero potuto causare dei danni molto più gravi e anche i giornali gli avrebbero dato un risalto molto diverso. Invece sulla stampa vengono relegati a trafiletti, dopo il bombardamento sull’epidemia.
E se sul ponte di Gonnesa ci fossero state delle macchine dirette verso la spiaggia?
E se sul ponte di Massa ci fossero stati, anziché due, decine di mezzi?
Sicuramente queste costruzioni, specialmente quello di Gonnesa che è molto piccolo, non sono paragonabili, per importanza e viabilità, al ponte Morandi di Genova, crollato nell’agosto del 2018, ma qualcosa unisce questi avvenimenti.
Li unisce il fatto che sono crollati sotto il peso di gente comune che lavorava, crollati per l’incuria di uno Stato che costruisce infrastrutture e poi spende i soldi della manutenzione in armamenti, per poi spargere lacrime di coccodrillo quando succedono le stragi e invocare l’unità nazionale nel lutto.
Cosa è cambiato dal crollo del ponte Morandi?
Nulla: lo scorso novembre i tecnici dell’Anas avevano dichiarato che il ponte di Massa non presentava “condizioni di pericolosità” nonostante una crepa formatasi in seguito ad un ondata di maltempo.
E il ponte di Gonnesa è stato mai controllato?
La sanità va a pezzi, i medici muoiono in corsia per assenza di mascherine, i ponti crollano, gli incendi devastano le campagne, l’inquinamento uccide le persone e compromette i territori. Lo Stato in tutto questo è assente o in colpevole ritardo e non accetta neanche che autonomamente ci si sostituisca. L’autogestione è criminalizzata, ricordiamoci i divieti di assemblea nelle tendopoli degli sfollati dopo il terremoto de L’Aquila, a cui era impedito organizzarsi per fare qualsiasi cosa.
La soluzione a nostro modo di vedere non è certo quella di pretendere uno Stato più efficiente e presente, ma quella di diffondere pratiche di autodeterminazione.

9 Aprile
Parole
Avete notato come vengono utilizzate alcune parole dagli uomini di Stato e dalle testate giornalistiche?
Ormai sembra assodato che quella contro il virus è una vera e propria guerra, con le suet trincee ed i suoi eroi, e spesso veniamo invitati ad essere dei buoni soldati, a chiuderci nelle nostre dimore e controllare che i nostri vicini non facciano i furbetti.
Mattarella ha persino detto che dovremo unirci come accadde nel dopoguerra. Chissà se intende dire che prima sarà necessaria una lotta di liberazione come quella partigiana!
Pensiamo a quante volte abbiamo sentito il termine autocertificazione, probabilmente talmente tante da essere convinti che fuori di casa ci siano molti più controlli rispetto a quelli effettivi. A dimostrazione che spesso la paura del controllo sia essa stessa la prima limitazione che esercitiamo su noi stessi.
In questi ultimi giorni il termine più ricorrente è lockdown, ma cosa sarà mai? La traduzione letterale dall’inglese è confinamento ma più in generale si può utilizzare per indicare la chiusura totale, l’isolamento. Infatti viene utilizzato in ambito carcerario, il che dovrebbe già di per sé farci riflettere.
Ma perché utilizzare una parola straniera per indicare la situazione in cui siamo costretti? Non sarà forse un modo per confondere le idee utilizzando un termine non presente nella cultura collettiva? Forse sentir dire confinamento o isolamento è troppo duro?
Giammai, poi magari qualcuno pensa di essere sotto dittatura!
Allo stesso modo c’è un incessante propaganda sul distanziamento sociale, con tutte le sue teorie sul metro di distanza e sul centimetro in più o centimetro in meno. Da qui la proposta di alcuni governatori (compreso Solinas) di adottare un’applicazione per lo smartphone per controllare gli spostamenti dei sottoposti a quarantena e prevenire i contatti con i contagiati. Questo modello è stato sperimentato a Wuhan, non si capisce però come verranno diffuse le app, se saranno imposte per legge o solo consigliate. Di sicuro sembra un capitolo di orwelliana fantasia.
Sarà forse che le parole di oggi stiano preparando il terreno per il mondo di domani?

10 Aprile
Kontus de Kasteddu V
Pubblichiamo un contributo ricevuto dal quartiere di San Benedetto:
La giornata è silenziosa a tutte le ore, le vie, normalmente attraversate da persone intente a fare shopping, ora vedono solo le file di fronte ai supermercati e alle farmacie, accompagnate da sguardi
paranoici. Controllano quanto si è vicini, se si ha la mascherina, si starnutisce o si ha un colpo di tosse. I pochi passeggiatori possono essere considerati superstiti, dell’ansia, della frustrazione e dei rimproveri che, sfortunatamente, non sono rari.
Si passa dalle urla a chi passeggia in due, alla vicina che sgrida perchè non si porta la mascherina, ma le va bene anche un foulard, tanto protegge lo stesso, no?
San Benedetto è sempre stato un quartiere di anziani, eppure son proprio loro i più rilassati, prendono timidamente una boccata d’aria e forse, per loro pace, non conoscono l’hashtag #iorestoacasa. In poco tempo ci si è rivelati spioni e non bastano le volanti che si vedono girare a tutte le ore, in particolare in viale Europa, pare sia proibito pure un bel panorama e un po’ di aria fresca. Le pattuglie raramente si fermano a controllare, basta la loro presenza per tenere tutti chiusi in casa, come topi, in attesa di chissà quale grazia. Negli ultimi giorni si è aggiunto un ronzio fastidioso, oltre il puntualissimo inno nazionale alle 18, un elicottero attraversa in lungo e largo la città a caccia di furbetti. Impertinente incalza una domanda: quando ci stancheremo di tutto questo?
Invitiamo tutti e tutte quelle che hanno voglia a mandarci dei contirbuti dai loro quartieri o paesi, in modo da costruire un mosaico delle varie situazioni ed esperienze che stiamo vivendo in Sardegna in questi tempi dell’epidemia.

11 Aprile
Nuovo giro nuova corsa
È cominciato tutto poco più di un mese fa quando le prime restrizioni ci hanno imposto di restare a casa, e adesso la fine continua a sfuggire.
Il premier Conte ha prorogato la chiusura totale, il_ lockdown_ come dice lui, fino al 4 Maggio. Sembra quasi una barzelletta, ogni volta che ci avviciniamo alla fine delle restrizioni qualcuno da lassù le rinvia.
Questa volta però sembra che ci siano dei miglioramenti, qualche azienda può riaprire e anche le librerie e le cartolerie, a discrezione regionale. La Spagna, nonostante un numero di casi più elevato dell’Italia, riapre parte delle attività produttive, anche di quelle non essenziali.
A dimostrazione che la gestione dell’emergenza sia un fatto molto più politico che sanitario.
E infatti più che un dibattito tra politici su come risolvere questa situazione di emergenza stiamo assistendo ad un battibecco tra opposte fazioni, come se fossimo in campagna elettorale.
Dal lontano Brasile, precisamente dalle favelas di San Paolo, arriva un esempio molto interessante, nelle periferie disastrate della capitale carioca, ricche di popolazione ma povere di risorse, hanno deciso di autorganizzarsi, consapevoli che lo Stato non si sarebbe preoccupato di loro. Autoproduzioni di mascherine e disinfettante, distribuzione di cibo da parte di volontari e un tentativo di gestione comunitaria della sanità sono tra le iniziative intraprese.
Intanto sul web spopolano strani fenomeni, alcuni molto interessanti. Anche qui in Sardegna circola la voce, da noi non verificata, che con la scusa dell’epidemia stiano iniziando a montare le antenne 5G. Sui social è un gran fracasso di opinioni, tra chi dice che le antenne facilitano il contagio e chi consiglia di incendiarle, come hanno fatto in Inghilterra, Olanda, Spagna, Stati Uniti e nella vicina Liguria.
Come abbiamo già scritto, non sarebbe poi strano che con la scusa dell’emergenza sanitaria e dello_ stato d’eccezione_ ne approfittino per imporci delle novità permanenti, alcune anche non percepibili da subito come pericolo sanitario o sociale.
Se così fosse, non vediamo miglior rimedio che stare fuori da casa, ricominciare a parlare e scambiarci le idee, capire come siamo messi e come affrontare questa crisi.
E poi chissà, da cosa nasce cosa.

12 Aprile
Bona pasca a bosatrus e familia, chi in familia nci podeis andai!
L’aria che tira in questi giorni di festività nell’isola, viene rappresentata fedelmente dalle pagine dei quotidiani e dalle dichiarazioni di sindaci e prefetti.
Gli stessi che da tempo preparano un controllo esteso e organizzato per le giornate di pasqua e pasquetta, mettendo in campo più forze, strumenti e severità di quanto fatto fino ad ora.
Alcuni comuni come Villasimius sono stati letteralmente sigillati da posti di blocco, droni e controllo delle targhe, nessuno entra e nessuno esce.
Questo accade per il timore che la stessa vocazione turistica che manda avanti i paesi gli si ritorca contro attirando masse di vacanzieri pasquali nelle spiagge e nelle seconde case, aumentando la possibilità di assembramenti e quindi di contagi. Questo a detta del sindaco di Villasimius che invita a rispettare le ordinanze, altro che “pronti a ripartire! con la stagione”.
Senza andare chissà dove, pare che queste “minacce” abbiano avuto il loro effetto un po’ ovunque. Persino nel quartiere di Is Mirrionis, in genere popolato nelle strade e nelle piazze, stamani era tutto deserto.
La minaccia di controlli a tappeto – a nostra parziale percezione – è stata più potente dell’effettiva presenza delle forze dell’ordine, che non avrebbero comunque avuto molto da fare visto che la città era desolantemente deserta.
Questi giorni però, andrebbero ricordati per le ulteriori proteste all’interno delle strutture sanitarie sarde conseguenti alle condizioni particolari che stanno vivendo.
A Oristano infatti svariati sindacati si lamentano dell’arretratezza nella prevenzione e cura nel reparto dedicato al Covid-19.
Al pronto soccorso di Sassari gli operatori sanitari non ci stanno più e accusano il direttore dell’ospedale per lo stato di instabilità e disorganizzazione della struttura.
Tanti infermieri e medici si ribellano alla visione che danno giornali e politici proclamando pubblicamente “In trincea senza protezioni. Noi soldati-eroi? La colpa è dei generali”.
Addirittura, da martedì 8 aprile, alcuni reparti rischiano la chiusura momentanea per la grave mancanza di materiale fondamentale per rispondere all’emergenza.
Dopo giorni di incuria, ecco che arrivano 1000 tute protettive dal Friuli e altre 3000 fornite dalla Croce Rossa regionale.
La domanda è sempre la stessa: quanto spendiamo per il controllo dei territori e quanto per l’emergenza sanitaria? Quanto costa quel maledetto elicottero che svolazza per le città e le coste cercando i furbetti del momento? Perché a Pasqua si investe tutto sul controllo invece che sulla sanità? Forse anche il buon Dio appena risorto non sarebbe d’accordo con il governo?
E chi era isolato, rimarrà a pranzo solo, nei corridoi dei reparti, con la paura di essere l unico a lamentarsi dell’ennesima noncuranza dello Stato per questa terra.

13 Aprile
“incumintzia sa patzientzia de su populu a mankare”
La notte di Pasqua tra preghiere solitarie e processioni deserte ha portato con se diverse scritte sui muri di Is Mirrionis, di cui una dal significato inconfondibile, vergata sulla caserma della polizia di fronte al Santissima Trinità, ignoti hanno scritto “ci avete scassato la minchia”, diligenti digossini hanno addirittura già avviato le indagini, instancabili servitori hanno invece pulito il muro.
Sabato la polizia ha arrestato con una sospettosa puntualità un ragazzo di Pirri che attraverso i social sobillava le persone, arrivando addirittura a convocare un corteo per mercoledì 15, per protestare contro la presunta incostituzionalità dei provvedimenti contenitivi del governo.
Senza entrare nel merito delle analisi che spingevano questo ragazzo a incitare la ribellione e ai motivi del suo arresto (slegati all’attività di propaganda), ci sembra quantomeno particolare che l’unica voce che si è pubblicamente levata (non solo via internet, più volte questo ragazzo ha protestato per strada contro presunti abusi delle fdo a carico suo o altrui) contro le misure e chi si preoccupa di farle rispettare, sia stata zittita in modo così efficace.
Lentamente quindi, forse l’aria sta cambiando, l’insofferenza sta piano piano prendendo il posto dell’obbedienza, i motivi perché ciò avvenga sono milioni, almeno quanti milioni siamo noi abitanti di uno Stato che ci chiude in casa. Basta concedersi una passeggiatina un po’ più lunga e larga di quanto concesso, per sentire tante voci e storie diverse che in un modo o nell’altro potrebbero giungere alla disobbedienza.
Tra chi è senza lavoro, chi vive costretto in convivenze spiacevoli, chi non ne può più e basta.
Quanto resisteremo ancora a elicotteri usati come dissuasori e a migliaia di controlli quotidiani?
Un’ultima pillola statistica, ieri nella zona intorno Roma sono stati effettuati 30.000 controlli, a Milano città 10.000, a Palermo 4.000, non si trovano dati su quelli effettuati in Sardegna, forse la situazione sta un po’ sfuggendo di mano? Per il 25 Aprile metteranno l’esercito? E il 1° Maggio?

14 Aprile
Pubblichiamo un piccolo racconto inviatoci dalle case del Poetto, nel lungomare cagliaritano. Proprio oggi il presidente Christian Solinas ha dichiarato che nell’isola non ci sarà un allentamento delle limitazioni, non apriranno librerie e cartolerie e ha addirittura interdetto l’accesso a tutte le spiagge, oltre che ai parchi e giardini pubblici. In alcuni paesi erano già stati sbarrati gli ingressi alle zone balneari (Nora ad esempio). Intanto sui giornali compaiono proposte molto simili a barzellette, come quella che prevede dei muri di plexiglass attorno ad ogni ombrellone, per assicurarci un estate al riparo di ogni contagio.

Kontus de Kasteddu VI – Dal poetto
Il Poetto da sempre offre ai cagliaritani la possibilità di evadere dallo stress del lavoro e godersi una bella giornata di sole andando al mare o allenandosi in compagnia, ma dal 10 marzo tutti i momenti di svago sono stati limitati alle mura domestiche, si può uscire solo per situazioni di comprovata necessità e di emergenza.
Da quel giorno le cose sono cambiate drasticamente, e il lungomare, come il centro cittadino, è passato da luogo di ritrovo a luogo immagine dell’obbedienza nel rispettare il decreto.
Per ottenere questo scopo però è fondamentale che sia e rimanga vuoto, e disincentivare le persone anche solo dal provare a venire sino a qui diventa chiave. Per cui via alle forze dell’ordine con ogni mezzo possibile, dall’elicottero che quotidianamente sorvola le nostre case a bassa quota, alla polizia locale con le bici, la polizia di stato con la moto (che pubblicano sui social video del Poetto orgogliosamente deserto) sino ad arrivare a fare i primi test dei droni davanti agli stabilimenti balneari.
Tutto questo apparato messo all’opera è talmente puntato su tale obbiettivo che anche se sei residente e sei a meno di 200 metri da casa tua ti consigliano caldamente di rientrare a casa, non importa cosa stia facendo o quanto lontano, in ogni caso il lungomare deve rimanere vuoto.
Sembra che la linea che separa cosa sia logico fare per contrastare un virus da cosa sia permesso fare dal decreto sia talmente sottile da essere sparita, e così anche un uomo che abita a pochi passi dalla spiaggia, che in totale solitudine mette la sua canoa in mare, è un pericolo per la salute di tutti quanti e va fatto rientrare immediatamente nonostante sia scritto in ogni decreto che l’attività sportiva non sia vietata se fatta individualmente e nei pressi della propria abitazione.
Non so se siano state fatte denunce, non credo, quello che è cambiato è proprio l’aria e il clima che si respira ma quello penso dappertutto purtroppo, rimane solo da chiedersi cosa succederà quando il tipico caldo cagliaritano busserà alle nostre porte.

Bentruxu – 15 Aprile

Riceviamo e pubblichiamo un contributo da dei muntagninos del centro nord Sardegna
In montagna.
L’emergenza pandemica è vissuta con assurdità e in modo abbastanza irreale sopratutto in piccoli contesti territoriali come possono essere i nostri paesini montani, lontani, almeno per adesso, da un possibile problema sanitario diffuso e di massa, anche perché parlare di massa nei nostri contesti è sicuramente inappropriato. Il nostro isolamento naturale ci sta permettendo di “gestire” meglio la situazione, non abbiamo bisogno di “materiali” eccezionali per andare avanti e siamo abituati a vivere con poco. Esistono ancora sas buttecas, i piccoli negozi per alcuni alimenti, e il restante lo si trova dove si produce. Questa situazione ci ha fatto ritornare indietro nel tempo, assaporando rapporti sociali che la cosiddetta globalizzazione e i suoi stili di vita imposti aveva un po’ annacquato; capita di incontrarsi negli ovili, come un tempo, si discute, si da una mano, qualcuno impara le piccole pratiche antiche, si mangia bene e ci si organizza insieme come rientrare senza correre troppi rischi.
Ci si aiuta a vicenda, scambiandosi lavoretti e dandosi una mano creando una sorta di economia sociale che va oltre l’economia imposta, non si creano debiti o crediti ma solo la possibilità di fronteggiare una qualsiasi difficoltà, come questa attuale, ognuno dando ciò che riesce a dare, senza nessun metro di misura, c’è chi fa il muratore in cambio di carne buona, c’è chi viene coinvolto solo per raccontare storie, e c’è chi si presta per uno strappo in macchina se qualcuno ha fretta di spostarsi e le contingenze glielo impediscono.
Delle parate in divisa siamo abituati, e in su vonu e in su malu ce le sappiamo gestire, conosciamo bene lo Stato e le sue forze e non ci terrorizzano più di tanto, anche se l’omologazione sociale si sta allargando anche da noi, insieme alla paura indotta e al terrore “infettivo”, e così qualche maglia si sta indebolendo. Il contesto emergenziale ci ha fatto, quasi per assurdo, riprendere il nostro vecchio vissuto di libertà, praticato nelle campagne e nelle montagne, dove la natura è la nostra complice, con i suoi silenzi, le sue scorciatoie e se necessario i suoi ripari per il brutto tempo e per gli “ospiti” indesiderati che si sentono meno rilassati tra i ginepri o gli olivastri.
Per questo praticare l’auto arresto riteniamo sia dannoso allo spirito umano, sia quasi innaturale. Infilarsi gli scarponi, di pelle o da trekking e stringere bene le cinghie, ogni volta che lo facciamo è una carezza all’inconscio che ci prepara all’evasione possibile, pensando con rabbia agli operai ancora oggi ammassati nei cantieri industriali del nord, che non possono praticarla in nome del profitto. Camminare fra i cespugli o i boschi ci da la sensazione di assaporare la libertà che ci spetta, come dicevamo, e che non vogliamo barattare con nessuno.
Paragonare, dal punto di vista emergenziale e virale, il nostro territorio alla bergamasca o a qualsiasi centro affollato e “incontrollabile” la consideriamo una follia amministrativa e forse una inconscia sudditanza coloniale, che non vogliamo accettare passivamente. Per questo la briglia sistemica ci sta troppo stretta e letteralmente ce la togliamo dal muso, al massimo ci teniamo la mascherina se ci inoltriamo in città dove la massa umanoide, un po’ per natura, la sentiamo “pericolosa”: non siamo incoscienti, ci teniamo ai nostri vecchi e ai nostri amici malati o debolucci.
Andrà tutto bene, con gli scarponi in pelle o da trekking …

https://pod.mttv.it/posts/d0f89e4061150138894a00163e9f4810

Cronache dal contagio – notte 20

E’ tardi.

Le luci accese delle case rompono il buio della notte, stanotte più del solito.

Qualche finestra è aperta, molte persiane sono alzate, è strano vedere la città così vuota e muta.

Le uniche macchine che passano sono quelle della polizia o dei carabinieri in cerca di untori.

Ma per le strade non c’è nessuno, sono tutti lì, in quegli appartamenti nei palazzi che stanotte sembrano più alti e soffocanti del solito. Col caldo che avanza in questa nottata primaverile placare l’insonnia diffusa dei ritmi sballati è difficile, non basta netflix, così in tanti sono affacciati a quelle finestrelle illuminate, che l’esigenza sia di fumarsi una sigaretta, prendere una boccata d’aria o entrambe non cambia l’attitudine dello sguardo a cadere inevitabilmente verso la strada con la vana speranza di trovarci un qualcosa, un qualcuno, ma da un po’ di tempo lì, in strada, non succede granchè.

Ci siamo solo noi.

Quattro figure nere che si aggirano per questa città di occhi ai balconi.

In questo scenario, inutile a dirsi attacchinare e fare qualche scritta spray è quasi impossibile.

Ogni passo riecheggia e il minimo rumore si amplifica nel silenzio di questa notte vuota.

Così succede che ogni qualvolta tiriamo fuori dalle borse la colla, un pennello o i manifesti si apre qualche finestra, ogni muro buono per una scritta è sorvegliato da almeno un paio di insonni ed a ogni rumore di motore o luce blu intravista dobbiamo correre e nasconderci.

Battiamo quasi tutto il quartiere così, tra una fuga ed un nascondiglio senza però riuscire a raggiungere il posto prefissato.

Dall’alto poi, si sente un bisbiglio che si trasforma subito in urlo: “andare a casa! La colpa è vostra se tutto continuerà fino all’8 maggio!”

Nell’esasperazione non riusciamo a fare a meno di cedere alla sciapa consolazione di rispondere ad insulti.

Forse questa persona ha avvisato gli sbirri, forse qualcun’ altro più discreto l’aveva già fatto in precedenza, non sarebbe difficile individuarci. Valutiamo che la tensione, soprattutto la nostra, si sta facendo un po’ troppa decidiamo così di rientrare.

Qualche messaggio siamo riusciti a lasciarlo.

Segnali di ribellione colorata che spezzano un po’ la monotonia grigia cemento di queste giornate passate per lo più segregati in casa o in fila davanti ad un supermercato.

Domani, proprio per questo, con qualche accortezza in più ci riproveremo, sicuramente andrà meglio!

Delitto e castigo

2. Farmacisti di noi stessi

Durante la malattia aveva fantasticato che tutto il mondo fosse condannato a esser vittima di una terribile, inaudita, mai veduta pestilenza che dal fondo dell’Asia marciava sull’Europa. […] Eran comparse delle nuove trichine, esseri microscopici che s’insinuavano nel corpo degli uomini [… che] diventavano subiti indemoniati e pazzi. Però mai, mai degli uomini si erano stimati così intelligenti e infallibili come si stimavano quegli appestati. Mai avevano creduto più incrollabili le loro sentenze, le loro deduzioni scientifiche, le loro convinzioni morali e le loro fedi. Interi villagi, intere città e nazioni si infettavano e impazzivano.

Weimar o meno, il governo iniziò la distribuzione massiccia di cortisolo. Una sfilza di esperti di neuroscienze sostenne la sua necessità per la tutela della Salute Collettiva, le case farmaceutiche si arricchiscono come sempre, i burocrati si armarono di timbri e decreti, le maestre lo spiegarono via web ai bambini, per chi non lo prendeva erano guai. Come si proclamava in giornali, web e tv, ma anche in appositi momenti della giornata, attraverso l’uso di altoparlanti e coreografie di gruppo che le forze dell’Ordine eseguivano in strada tra un pestaggio e l’altro, il cortisolo era necessario a bloccare processi di pensiero incontrollabili, inibendo le connessioni neuronali; la comprensione e l’apprendimento avvenivano secondo Skinner, le reazioni agli ordini secondo Pavlov, e l’obbedienza veniva implementata su base chimica, efficace e salutare come un’aspirina. Fuori dai supermercati reparti della celere distribuivano buoni pasto e pasticche di ormoni, i medici le somministravano perfino più diffusamente degli antibiotici, per entrare in farmacia era prima necessario buttarne giù un paio. La gente era così tranquilla che la cosa sarebbe potuta andare avanti per sempre.
Invece, a un tratto, mancò il cortisolo. Alcuni siti internet tacciati di cospirazionismo (e subito chiusi grazie alla legge sulle fake news) si lanciarono in improbabili spropositi circa sabotaggi ad opera di pseudo-untori malati di ipocortisoloidismo, che in effetti si dice provochi gravi squilibri mentali, insubordinazione e voglia di libertà; come che fosse, per un mese intero il cortisolo mancò. Eppure lo sfortunato incidente non provocò nella popolazione quell’ondata di instabilità che ci si sarebbe potuti aspettare, niente affatto: le persone autodefinitesi “brave” rimasero unite in quella confortevole sottomissione che le aveva cullate con moto pendolare da un dispositivo di controllo all’altro, permettendo loro di fare la spesa al supermercato, passare la vita davanti a uno schermo, fare la spesa allo schermo, passare la vita al supermercato; la gente normale restava tranquilla, i seppur ribelli però infatuati e sedotti dall’idea di Salute fornita dallo Stato, al massimo, supplivano dove lo Stato mancava facendo la spesa solidale per i poveri, o chiedevano nuove forniture di cortisolo per detenuti e operai. Di fatto, pareva che tutto fosse normale.
Se si sperticarono le Scienze a illustrare il fenomeno! Florilegi di dati, campionamenti, analisi, studi sperimentali ed esplosive candidature ai Nobel (Chimica, Pace e Medicina) si succedettero in poche settimane, senza che una sola spiegazione valida venisse fornita fino a prova contraria. E ci si potrebbe rassegnare a non capire, come fecero tutti, creandosi ciascuno un fatalismo privato che delegasse a un esperto a venire il mistero di ciò che era successo nelle vite di tutti, senza che tutti se ne accorgessero, e fino a fisiologico oblio in circa giorni sette.
Ma a ben vedere, col senno di poi, si potrebbe verosimilmente stabilire ora che il motivo fosse ovvio. Già, perchè erano le stesse parole allarmanti degli esperti di neuroscienze, era l’ansia per l’impossibile tutela della Salute Collettiva, era proprio l’azione incrociata delle case farmaceutiche, dei burocrati, delle maestre, dei giornali, del web e della tv, erano gli altoparlanti e le coreografie e i pestaggi delle forze dell’Ordine, erano i medici e i farmacisti, era la gente stessa, con la sua imperturbabile tranquillità, che rendevano inutile la somministrazione della molecola per via orale: il cortisolo è in effetti un ormone che le ghiandole surrenali sono capaci di produrre da sole, quando debitamente stimolate, noto come l’ormone dello stress e della paura. E la paura, si sa, oltre ad alimentarsi da sé, dà una forte dipendenza.

Segue.