Di riflessioni sulla gestione dell’epidemia di coronavirus – sul fatto che a dispetto della retorica ufficiale sia più che mai evidente che ci troviamo tutt’altro che tutti sulla stessa barca, sull’emergenza come esperimento di controllo sociale, sull’introduzione di misure in questo senso che come avvenuto per altre emergenze in passato ci rimarranno in eredità anche a emergenza conclusa, sulla possibilità che questa crisi nasconda opportunità per costruire solidarietà e di attacco – se ne possono e potranno leggere altrove molte, alcune delle quali sicuramente più solide e acute di quelle che potremmo proporre noi in questo momento. Qui ci interessa solo riportare alcuni fatti, apparentemente non collegati tra loro, accaduti in città nell’ultima settimana.
Mercoledì, già in piena emergenza coronavirus, polizia municipale e Seab hanno sgomberato i senzatetto che si erano accampati all’interno del deposito comunale di viale Trento – uno spiazzo recintato sotto il viadotto dell’autostrada e a ridosso della ferrovia. Secondo il Corriere dell’Alto Adige lo sgombero – recentemente richiesto dal consigliere fascista Caruso e che ha incassato il plauso di Andrea Bonazza di CasaPound – si è svolto non senza “proteste” e “tensioni”, comprensibilmente visto che, proprio nei giorni in cui si invita ossessivamente tutti a rimanere a casa, gli occupanti si sono visti distruggere quel poco di riparo che avevano arrangiato senza ovviamente che venisse loro proposta alcuna sistemazione alternativa. La vostra sicurezza è guerra ai poveri, recita una scritta comparsa su uno dei piloni dell’autostrada.
Nei giorni successivi, con la città già deserta e appena in tempo rispetto al blocco dei cantieri non urgenti, sono state abbattute le decine di alberi nella zona di parco Stazione interessata dai lavori per il WaltherPark, che nei prossimi mesi dovrebbero trasformare l’intera zona tra piazza Verdi e la stazione nel centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko. Del resto nel silenzio generale è trascorso anche tutto il periodo dall’approvazione del progetto – con l’inconsistente opposizione consumata nella consultazione popolare farsa del 2016, plebiscito sulla promessa di riqualificare la zona, cioè di eliminare i poveri che la vivono – ad oggi.
Martedì pomeriggio un gruppetto di compagni si è presentato sotto le mura del carcere di via Dante per portare un saluto solidale ai detenuti che come nel resto d’Italia come unica misura contro il contagio si sono visti bloccare i colloqui, mentre rimangono stipati in strutture sovraffollate e malsane con un’assistenza sanitaria pressoché inesistente e la probabilità che il virus venga portato dentro dai secondini. Qualche parola sulle decine di rivolte dei giorni precedenti e sui morti nelle altre carceri, sulla situazione dentro, poi, nell’andar via, i compagni sono fermati e identificati. Ieri (domenica) pomeriggio, in pieno coprifuoco, delirio di tricolori e inni di Mameli dalle finestre e chiamate alle forze dell’ordine per segnalare chi fa una passeggiata – mentre operai e trasportatori devono continuare a lavorare come prima anche in filiere di prodotti tutt’altro che di prima necessità – qualche compagno è riuscito – sempre con le dovute precauzioni – a tornare sotto le mura per un saluto e per condividere un po’ di rabbia. Nel giro di qualche minuto si è creato un bell’assembramento di sbirri, che stavolta hanno fermato e trattenuto per un po’ dei passanti che erano rimasti ad osservare.
Riportiamo di seguito un testo sulla necessità della solidarietà a e tra coloro per i quali la parola sicurezza suona solo come una minaccia anche in questi frangenti, circolato in questi giorni a Bolzano:
L’unica sicurezza è la libertà!
La scorsa settimana abbiamo assistito a più di 30 rivolte e proteste da parte di detenuti e detenute che hanno messo a ferro e fuoco e in crisi il sistema penitenziario Italiano. Armerie assaltate, personale sequestrato, colonne di fumo nero, persone sui tetti, insomma immagini che le generazioni più giovani hanno forse visto solo su qualche libro, film o documentario. Con tutto quello che sta succedendo, non possiamo permetterci il lusso di stare chiusx in casa. Prendiamo le dovute precauzioni ma scendiamo in strada, perché continua a salire il conteggio dei morti nelle rivolte. Chi sta dentro ha dato un esempio di lotta raro di questi tempi quasi privi di solidarietà fra gli/le oppressx e le/gli sfruttatx. Ora sta a noi fuori dare risonanza a queste urla di protesta che lo stato vorrebbe seppellire in un assordante silenzio. Come? Recandoci sotto le carceri di tutto il paese, portando la nostra solidarietà e complicità a rivoltosi e rivoltose, violando il divieto di riunione e assembramenti (con tutte le precauzioni del caso, copertx in volto e ad un metro di distanza l’un dall’altra) e soprattutto violando quando fosse possibile il blocco dei colloqui dando la possibilità ad amiche, amici e parenti di comunicare, anche solo per salutare i/le propri/e carx all’interno delle prigioni con impianti audio o megafoni.
(Non siamo ancora ufficialmente in uno stato di polizia, ma meglio abituarci tuttx a non farci paralizzare dalla paura di chi ci vorrebbe zittx, buonx, divisx ed ubbidienti.)
Riempiamo le nostre città di striscioni appesi ai balconi delle nostre abitazioni, come stanno facendo a Rovereto, in solidarietà con le rivolte di questi giorni e se a qualcunx può sembrare poca cosa, si possono riempire i muri della città di scritte che chiedono vendetta per i detenuti morti nelle rivolte, come successo a Modena un paio di giorni fa (di notte non c’è nessunx in strada e non si corre il rischio di infettare o essere infettatx). Il governo, stato e istituzioni ci dicono di stare a casa! E chi una casa non ce l’ha?! E chi è costrettx ad andare a lavorare perché sennò perde il lavoro?! Mai come in questo momento lo stato considera le persone che sono costrette a dormire all’aperto, le persone povere, precarie, e tuttx i/le detenutx, CARNE DA MACELLO. Questa è una guerra di classe che ci colpisce in un momento molto delicato, ma come un fulmine a ciel sereno ci fa rendere conto di quanto i nostri nemici siano gli stessi. Se fossimo davvero tuttx sulla stessa barca, cioè nella stessa condizione per affrontare questa ennesima crisi nella crisi (come ci vuol far credere lo stato), allora una volta passato questo momentaccio che facciamo? Dividiamo tutto con i padroni delle fabbriche? Con i padroni delle nostre case? Con lo stato che ci imprigiona e rapina con le sue tasse?!… Avevate detto voi che eravamo tuttx sulla stessa barca, no?! Ma sulla stessa barca non ci siamo proprio per niente, perché ai carcerati e carcerate non ci pensa nessunx, e i/le detenutx rischiano ogni giorno di essere infettatx dalle guardie che entrano ed escono dalla struttura, e attenzione a protestare perché hanno il potere di ammazzare e farla franca non solo col virus, infatti in questi giorni abbiamo visto morire più di dieci detenuti di sospette overdosi, casualmente tutte le “vittime” avevano preso parte attiva nelle rivolte e alcuni di loro sono morti dopo essere stati trasferiti. Abbiamo molti dubbi siano morti davvero di overdose, il sospetto di una vendetta da parte dei secondini e quindi di omicidio di stato è per noi molto grande. Ma purtroppo poco cambia perché ogni volta che un/a detenutx muore in carcere, anche si fosse suicidato, tutta la responsabilità è del maledetto carcere e della maledetta società che ci rinchiude al suo interno. Lavoratori e lavoratrici si stanno rendendo conto di quanto valga la loro vita per i padroni e per i sindacati al loro servizio e qualche protesta e sciopero sta prendendo piede, le carcerate e i carcerati così come tuttx i/le rivoltosx nei CPR ci stanno impartendo una lezione di lotta, solidarietà e coraggio che rimarrà marchiata a fuoco nella nostra memoria, ma non basta, sta a noi ora dare risonanza a queste urla di rabbia e portarle fuori da quelle maledette mura, affinché di quest’ultime rimangano solo fumanti macerie. Tutte libere tutti liberi