Cile – Aggiornamenti sulla situazione di salute del nostro compagno Juan Aliste

compagne e compagni,
abbiamo la felice opportunità di comunicare che dopo piú di due anni dalla crisi epilettica causata dalla Malformazione Arteriovenosa
parietale destra del cervello c’è stato un progresso efficace nella soluzione clinica della MAV (malformazione).

La mattina dello scorso 19 marzo del 2020, nel bel mezzo di un nuovo “stato di eccezione”, Juan è stato trasferito dal Carcere di Alta Sicurezza (Santiago del cile) e sottoposto a una radiochirurgia, che attraverso i raggi gamma intervengono verso malformazione stessa.

Questa procedura è stata la risposta del team sanitario che dall’inizio ha valutato gli enormi rischi che comportava un’operazione celebrale convenzionale.
Questo intervento é stato eseguito grazie alla salute e alla forza fisica con le quali il nostro compagno ha saputo affrontare questi anni di reclusione, resistendo in particolare agli effetti di un epilessia sintomatica.

Ora siamo all’inizio della fine del processo, nonostante la grande tecnologia che è stata implementata e il successo dell’intervento, i risultati non saranno percettibili prima di un anno.

Anche in condizione di ostaggio dello Stato Terrorista e in vista di questa posizione presa dal potere, é stata motivo fondamentale la decisione da parte di Juan, di combattere per la sua vita e la sua integrità, di non smettere in nessun momento di pretendere l’attenzione medica necessaria. Questo si aggiunge alle volontá individuali che si sono potenziate con la gestione e la perseveranza degli ambienti piu vicini, come anche l’instancabile dedizione tradotta in azioni di solidarietá concreta, complicità e contributi ricevuti da questo e altri territori.

Attraverso queste parole è anche necessario riconoscere al team di neurologia e al personale medico, esterno alla gendarmeria che hanno ignorato le misure di ritardo sempre applicate dalle carcerieri.
L’abbandono da parte delle istituzioni è consuetudine, anche dal punto di vista sanitario, con chi viene incarcerato, tanto più con chi si dichiara nemico dello stato e dedica i suoi giorni e i suoi sforzi a combatterlo; il personale medico ha fatto il suo lavoro e ha impiegato le sue energie contro corrente, ci riteniamo fortunati ad esserci imbattuti in questo gruppo di persone che hanno baipassato saggiamente le differenti e orribili misure di sicurezza imposte dalla gendarmeria e polizia varia.

É per noi impossibile trascurare il contesto attuale di pandemia e le invivibili condizioni penitenziarie.

Sappiamo che per qualsiasi prigionierx, un contagio sarebbe una condanna a morte, pur mantenendo la certezza che le misure sanitarie non possano tradursi in isolamento e/o incomunicazione dex nostrx compagnx incarceratx.
Sappiamo che lo Stato assassino, violentatore e mutilatore mai cercherà di proteggerci.
Oggi nuove lotte per la vita e la liberazione si aprono in un percorso tra le sbarre, contro l’insalubritá, le restrizioni e il controllo sociale.

FINCHÉ ESISTRÁ MISERIA CI SARA RIBELLIONE!

Ovunque siamo e in qualsivoglia situazione, sempre:
Nemicx dello Stato!

-Amicx, compagnx e familiari di Juan Aliste Vega-

Marzo 2020

Iran – Rivolte nelle prigioni

Il 26 marzo 2020, dopo alcuni scioperi della fame avvenuti in diverse prigioni iraniane, a causa delle pessime condizioni detentive, della diffusione del coronavirus e perfino della morte di più detenut*, i prigionieri di alcune sezioni della prigione centrale di Tabriz, una città del nord-ovest del paese, si sono ribellati.

Secondo i rapporti ufficiali delle agenzie di stampa dello Stato, le forze di polizia hanno assediato il settore intorno alla prigione e si sono sentiti degli spari.

Il califfato islamico sciita, ipocrita e oppressivo, ha attaccato i prigionieri indifesi con gas lacrimogeni e a colpi di arma da fuoco, così come ha ferito molti di loro.

Nota di Attaque [ndt: da cui è tratta questa notizia, a sua volta dall’inglese qui]: anche se i media parlano di decine di migliaia di prigionier* liberat* “provvisoriamente” dal regime a causa della pandemia di coronavirus, molto più numeros* sono coloro che restano rinchius*. La scorsa settimana, ci sono state delle rivolte nelle prigioni di Khorramabad e di Aligurdaz (due città nella parte occidentale del paese) e dei/delle ribelli sono stat* uccis* dalla polizia e dai secondini, ma altr* sono riuscit* ad evadere.

Bolzano – Silenzi e grida

Di riflessioni sulla gestione dell’epidemia di coronavirus – sul fatto che a dispetto della retorica ufficiale sia più che mai evidente che ci troviamo tutt’altro che tutti sulla stessa barca, sull’emergenza come esperimento di controllo sociale, sull’introduzione di misure in questo senso che come avvenuto per altre emergenze in passato ci rimarranno in eredità anche a emergenza conclusa, sulla possibilità che questa crisi nasconda opportunità per costruire solidarietà e di attacco – se ne possono e potranno leggere altrove molte, alcune delle quali sicuramente più solide e acute di quelle che potremmo proporre noi in questo momento. Qui ci interessa solo riportare alcuni fatti, apparentemente non collegati tra loro, accaduti in città nell’ultima settimana.

Mercoledì, già in piena emergenza coronavirus, polizia municipale e Seab hanno sgomberato i senzatetto che si erano accampati all’interno del deposito comunale di viale Trento – uno spiazzo recintato sotto il viadotto dell’autostrada e a ridosso della ferrovia. Secondo il Corriere dell’Alto Adige lo sgombero – recentemente richiesto dal consigliere fascista Caruso e che ha incassato il plauso di Andrea Bonazza di CasaPound – si è svolto non senza “proteste” e “tensioni”, comprensibilmente visto che, proprio nei giorni in cui si invita ossessivamente tutti a rimanere a casa, gli occupanti si sono visti distruggere quel poco di riparo che avevano arrangiato senza ovviamente che venisse loro proposta alcuna sistemazione alternativa. La vostra sicurezza è guerra ai poveri, recita una scritta comparsa su uno dei piloni dell’autostrada.

Nei giorni successivi, con la città già deserta e appena in tempo rispetto al blocco dei cantieri non urgenti, sono state abbattute le decine di alberi nella zona di parco Stazione interessata dai lavori per il WaltherPark, che nei prossimi mesi dovrebbero trasformare l’intera zona tra piazza Verdi e la stazione nel centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko. Del resto nel silenzio generale è trascorso anche tutto il periodo dall’approvazione del progetto – con l’inconsistente opposizione consumata nella consultazione popolare farsa del 2016, plebiscito sulla promessa di riqualificare la zona, cioè di eliminare i poveri che la vivono – ad oggi.

Martedì pomeriggio un gruppetto di compagni si è presentato sotto le mura del carcere di via Dante per portare un saluto solidale ai detenuti che come nel resto d’Italia come unica misura contro il contagio si sono visti bloccare i colloqui, mentre rimangono stipati in strutture sovraffollate e malsane con un’assistenza sanitaria pressoché inesistente e la probabilità che il virus venga portato dentro dai secondini. Qualche parola sulle decine di rivolte dei giorni precedenti e sui morti nelle altre carceri, sulla situazione dentro, poi, nell’andar via, i compagni sono fermati e identificati. Ieri (domenica) pomeriggio, in pieno coprifuoco, delirio di tricolori e inni di Mameli dalle finestre e chiamate alle forze dell’ordine per segnalare chi fa una passeggiata – mentre operai e trasportatori devono continuare a lavorare come prima anche in filiere di prodotti tutt’altro che di prima necessità – qualche compagno è riuscito – sempre con le dovute precauzioni – a tornare sotto le mura per un saluto e per condividere un po’ di rabbia. Nel giro di qualche minuto si è creato un bell’assembramento di sbirri, che stavolta hanno fermato e trattenuto per un po’ dei passanti che erano rimasti ad osservare.

Riportiamo di seguito un testo sulla necessità della solidarietà a e tra coloro per i quali la parola sicurezza suona solo come una minaccia anche in questi frangenti, circolato in questi giorni a Bolzano:

L’unica sicurezza è la libertà!
La scorsa settimana abbiamo assistito a più di 30 rivolte e proteste da parte di detenuti e detenute che hanno messo a ferro e fuoco e in crisi il sistema penitenziario Italiano. Armerie assaltate, personale sequestrato, colonne di fumo nero, persone sui tetti, insomma immagini che le generazioni più giovani hanno forse visto solo su qualche libro, film o documentario. Con tutto quello che sta succedendo, non possiamo permetterci il lusso di stare chiusx in casa. Prendiamo le dovute precauzioni ma scendiamo in strada, perché continua a salire il conteggio dei morti nelle rivolte. Chi sta dentro ha dato un esempio di lotta raro di questi tempi quasi privi di solidarietà fra gli/le oppressx e le/gli sfruttatx. Ora sta a noi fuori dare risonanza a queste urla di protesta che lo stato vorrebbe seppellire in un assordante silenzio. Come? Recandoci sotto le carceri di tutto il paese, portando la nostra solidarietà e complicità a rivoltosi e rivoltose, violando il divieto di riunione e assembramenti (con tutte le precauzioni del caso, copertx in volto e ad un metro di distanza l’un dall’altra) e soprattutto violando quando fosse possibile il blocco dei colloqui dando la possibilità ad amiche, amici e parenti di comunicare, anche solo per salutare i/le propri/e carx all’interno delle prigioni con impianti audio o megafoni.
(Non siamo ancora ufficialmente in uno stato di polizia, ma meglio abituarci tuttx a non farci paralizzare dalla paura di chi ci vorrebbe zittx, buonx, divisx ed ubbidienti.)
Riempiamo le nostre città di striscioni appesi ai balconi delle nostre abitazioni, come stanno facendo a Rovereto, in solidarietà con le rivolte di questi giorni e se a qualcunx può sembrare poca cosa, si possono riempire i muri della città di scritte che chiedono vendetta per i detenuti morti nelle rivolte, come successo a Modena un paio di giorni fa (di notte non c’è nessunx in strada e non si corre il rischio di infettare o essere infettatx). Il governo, stato e istituzioni ci dicono di stare a casa! E chi una casa non ce l’ha?! E chi è costrettx ad andare a lavorare perché sennò perde il lavoro?! Mai come in questo momento lo stato considera le persone che sono costrette a dormire all’aperto, le persone povere, precarie, e tuttx i/le detenutx, CARNE DA MACELLO. Questa è una guerra di classe che ci colpisce in un momento molto delicato, ma come un fulmine a ciel sereno ci fa rendere conto di quanto i nostri nemici siano gli stessi. Se fossimo davvero tuttx sulla stessa barca, cioè nella stessa condizione per affrontare questa ennesima crisi nella crisi (come ci vuol far credere lo stato), allora una volta passato questo momentaccio che facciamo? Dividiamo tutto con i padroni delle fabbriche? Con i padroni delle nostre case? Con lo stato che ci imprigiona e rapina con le sue tasse?!… Avevate detto voi che eravamo tuttx sulla stessa barca, no?! Ma sulla stessa barca non ci siamo proprio per niente, perché ai carcerati e carcerate non ci pensa nessunx, e i/le detenutx rischiano ogni giorno di essere infettatx dalle guardie che entrano ed escono dalla struttura, e attenzione a protestare perché hanno il potere di ammazzare e farla franca non solo col virus, infatti in questi giorni abbiamo visto morire più di dieci detenuti di sospette overdosi, casualmente tutte le “vittime” avevano preso parte attiva nelle rivolte e alcuni di loro sono morti dopo essere stati trasferiti. Abbiamo molti dubbi siano morti davvero di overdose, il sospetto di una vendetta da parte dei secondini e quindi di omicidio di stato è per noi molto grande. Ma purtroppo poco cambia perché ogni volta che un/a detenutx muore in carcere, anche si fosse suicidato, tutta la responsabilità è del maledetto carcere e della maledetta società che ci rinchiude al suo interno. Lavoratori e lavoratrici si stanno rendendo conto di quanto valga la loro vita per i padroni e per i sindacati al loro servizio e qualche protesta e sciopero sta prendendo piede, le carcerate e i carcerati così come tuttx i/le rivoltosx nei CPR ci stanno impartendo una lezione di lotta, solidarietà e coraggio che rimarrà marchiata a fuoco nella nostra memoria, ma non basta, sta a noi ora dare risonanza a queste urla di rabbia e portarle fuori da quelle maledette mura, affinché di quest’ultime rimangano solo fumanti macerie. Tutte libere tutti liberi

Silenzi e grida

Milano – Scattano scioperi e agitazioni: «Troppe attività non essenziali»

L’appello dei sindacati a interrompere la produzione. «Misure che non terranno a casa 300 mila persone. Gli ammortizzatori sociali ci sono e vanno utilizzati»

Scioperi per arrivare là dove non arrivano le misure governative. Da giorni i sindacati lombardi (e non solo) avevano messo in preventivo azioni «dal basso» per fermare l’attività in molti luoghi di lavoro dove l’inevitabile vicinanza tra i lavoratori perpetua i rischi di contagio. E ieri, all’indomani del nuovo decreto del presidente del consiglio e, anche, della più restrittiva ordinanza regionale, Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di passare all’azione: appelli all’iniziativa delle rappresentanze aziendali, proclamazione di scioperi di settore e, in qualche fabbrica, stop immediato della produzione.

I tre leader regionali dei sindacati confederali — Elena Lattuada, Ugo Duci, Danilo Margaritella — hanno sollecitato «una forte iniziativa delle Rsu e delle strutture categoriali territoriali affinché vi sia la chiusura delle attività aziendali non essenziali in questa fase di emergenza». Perché secondo i sindacati il nuovo decreto di Palazzo Chigi considera essenziali «attività di vario genere che di essenziale, strategico e necessario in questa emergenza non hanno nulla». Con la conseguenza di «ridurre ai minimi termini» il numero dei lavoratori che possono rimanere a casa. «Così non si può — scrivono i segretari di Cgil, Cisl e Uil —. Il valore della vita e della salute non ha prezzo e non può essere barattato con nessuna ragione economica, lo stesso protocollo sottoscritto una settimana fa a difesa della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non è stato ovunque applicato».

Come spesso succede, tra le categorie più reattive alla chiamata allo sciopero ci sono le tute blu. I sindacati dei metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm hanno già proclamato per domani l’astensione dal lavoro di otto ore «in tutte le aziende che non hanno produzioni essenziali e di pubblica utilità per le necessità del Paese e in tutti quei luoghi di lavoro dove non ricorrano le condizioni di sicurezza». Questione di minuti ed è arrivata l’analoga proclamazione da parte di Filctem, Femca e Uiltec, cioè le organizzazioni confederali che rappresentano i circa 80-100 mila lavoratori dei settori chimici, tessile, dell’energia e della manifattura lombarda: «L’aver inserito nelle imprese da considerare essenziali una serie di attività di vario genere depotenzia il decreto e crea l’effetto di ridurre ai minimi termini il numero delle lavoratrici e dei lavoratori che potranno rimanere a casa — spiega una nota unitaria —. Chiediamo alle associazioni datoriali e alle aziende di avere senso di responsabilità e di non determinare ulteriori tensioni ed esasperazioni tra i lavoratori». Con la richiesta di «utilizzo degli ammortizzatori sociali per consentire la fermata dei lavoratori». E mentre i sindacati del pubblico impiego hanno fatto partire le diffide per esigere l’applicazione di forme di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche lombarde, alla Siae Microelettronica di Cologno Monzese è scattato lo sciopero immediato.

Ma quanti sono i lavoratori chiamati alla produzione e quanti quelli che debbono stare a casa, secondo le nuove norme? «Possiamo stimare che sono circa 554 mila i lavoratori espressamente autorizzati a svolgere la propria attività — spiega Antonio Verona, che studia i numeri del mercato del lavoro per la Cgil milanese — e non è detto che i restanti 912 mila, sul totale di 1.466.003 occupati nella Città metropolitana di Milano, siano totalmente esclusi dalle attività lavorative a causa della contraddittorietà delle norme». Insomma, secondo Verona, «le conseguenze che il nuovo decreto del presidente del Consiglio produce sulle attività milanesi sono alquanto modeste, soprattutto se confrontate con la situazione che si era consolidata per effetto delle disposizioni precedenti». E l’ordinanza regionale, aggiunge, «non ha fatto che complicare le cose, con il risultato che i circa 300 mila addetti ad attività non essenziali continueranno probabilmente a essere in giro per il territorio metropolitano». Ma nel frattempo molte attività produttive potrebbero essere fermate da uno sciopero generale a livello nazionale.

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_24/scattano-scioperi-agitazioni-troppe-attivita-non-essenziali-6174799a-6d9e-11ea-9b88-27b94f5268fe.shtml?refresh_ce-cp