Belgio – Centri di detenzione: la minaccia del virus, la violenza dello Stato e delle rivolte come risposta

Traduzione da: Getting the voice out

All’ombra della copertura mediatica del coronavirus, le persone detenute nei centres fermé (CPR) si ribellano contro l’amministrazione razzista che li rinchiude e, come logica conseguenza, li abbandona in tempi di pandemia.

Questo articolo cerca di fare un sommario delle resistenze e delle lotte che lo Stato vorrebbe rendere invisibili. La maggior parte delle informazioni raccolte martedì 17 marzo provengono dai detenuti che, come spesso accade, danno l’allarme, oltre che dai solidali e dai loro parenti all’esterno.

Nel centro chiuso di Merksplas :

Un guineano è stato portato all’aeroporto martedì 17 marzo, senza alcun esame medico o informazione sul virus. Una rivolta si sta svolgendo anche nel centro chiuso di Merksplas, dove i detenuti si sono rifiutati di mangiare. Ora ci sono almeno sei persone recluse nei sotterranei dopo l’intervento della polizia. Alcuni detenuti sono stati rilasciati dall’amministrazione. La voce all’interno dice che tutti saranno rilasciati. Il personale del centro non indossa mascherine. A quanto pare, “qui è un casino”.

Al centro chiuso di Vottem:

Alcuni detenuti hanno avuto una conversazione con il direttore, che ha chiesto loro perché si rifiutassero di mangiare. Ci sono solo una o due persone che mangiano in ogni ala. “Ci sono state alcune uscite ieri e circa 5 o 6 uomini sono stati rilasciati martedì 17 marzo, secondo le nostre informazioni. Le voci di corridoio dicono che circa 30 persone saranno presto rilasciate. A. è rinchiuso da quattro mesi e mezzo. Malato, dice di avere un nodulo allo stomaco, è stressato e non va in bagno. “Sono qui, non so perché”.
Il CRACPE (Collectif de Résistance Aux Centres pour Étrangers) ha riassunto la situazione a Vottem in un comunicato stampa dal quale si ricava quanto segue: “Da lunedì è iniziato uno sciopero della fame tra gli uomini detenuti nel centro chiuso per stranieri di Vottem. Denunciano la loro reclusione e la loro pericolosa promiscuità di fronte all’epidemia di coronavirus. In questo periodo difficile, soffrono anche di non poter stare con i loro parenti, le loro famiglie, molte delle quali vivono in Belgio. Alcuni di loro sono stati rilasciati con il contagocce dalla fine della scorsa settimana, per esempio coloro che avevano problemi di salute molto gravi, o tra coloro che sarebbero dovuti essere deportati in Italia. Tutti coloro che rimangono non ne capiscono le ragioni, e hanno iniziato questo movimento di sciopero della fame per ottenere il rilascio. La situazione è molto tesa; alcuni sono disperati, come dimostra il tentativo di fuga di sabato e due tentativi di suicidio negli ultimi giorni. Ci hanno chiesto di diffondere questa dichiarazione perché si sentono dimenticati e non possono farsi sentire” https://www.facebook.com/collectifderesistanceauxcentrespouretrangers/

Nel centre fermé 127bis :

Nell’ala L, i detenuti a volte si rifiutano di mangiare e tutti vogliono fare lo sciopero della fame. Il 14 marzo, un visitatore ha approfittato di un accesso privilegiato e ha segnalato gravi problemi sanitari: condizioni igieniche non rinforzate, servizi igienici sporchi, niente sapone, niente carta igienica, nessun adattamento nelle stanze, nessun rinforzo di medici e infermieri, ecc. Il 15 marzo ci sono stati 12 rilasci in seguito allo sciopero della fame di diverse persone, soprattutto dall’Afghanistan e da alcuni Paesi africani. Questo martedì abbiamo saputo che tre persone sono state rilasciate. Sempre nell’ala L: l’assistente sociale è venuto alle 11 del mattino, la gente ha chiesto informazioni. Non ha voluto rispondere, se non dicendo “forse domani” prima di partire. Nessuno ha pranzato oggi ed è probabile che tutti continueranno. Sono ancora più isolati del solito perché le visite non sono più permesse.
Uno dei detenuti testimonia: “non siamo gangster, non siamo animali. Abbiamo domande ma nessuna risposta, alcune persone sono qui da 4, 5, 6 mesi senza risposte. E con il corona virus? Restiamo qui? Per quanti mesi?”

Una solidale testimonia a sua volta: “Ho sentito che hanno paura del virus come noi, e hanno paura di rimanere bloccati lì per tanto tempo. Mi ha detto che tutti gridavano “non siamo gangster, perché ci rinchiudete? 7 nuove uscite sono note nell’ala: 3 eritrei, 1 ghanese, 1 etiope (dublino Francia) e 2 “arabe” (dublino Belgio).

Al centro Caricole:

Secondo le nostre informazioni, di recente ci sono stati 29 rilasci al centro di detenzione di Caricole.

A Bruges:

Sembra che l’amministrazione abbia deciso di non rinchiudere più le donne a Bruges. Veniamo a sapere che sei donne rinchiuse a Bruges sono state trasferite nel centro chiuso di Holsbeek.

I detenuti hanno manifestato per ottenere il loro rilascio : 6 di loro sono stati messi in isolamento per 36 ore.

Al centro di detenzione femminile di Holsbeek:

Abbiamo notizie di 6 donne che sono state rilasciate. Sono tutti al centro, in attesa di essere rilasciati.

Secondo una ONG, l’Ufficio degli stranieri ha annunciato che non ci saranno più nuove incarcerazioni se non per coloro che sono appena usciti di prigione. Poiché attualmente non possono essere deportati, la loro detenzione sarebbe allora illegale.
Lo stesso Ufficio Stranieri avrebbe promesso di cercare di liberare soprattutto i “vulnerabili” per ridurre il numero dei prigionieri e delle guardie.

Approfittiamo di queste informazioni per ricordare, se necessario, che le promesse di questa sinistra amministrazione non valgono per noi più delle loro detestabili politiche.
La catastrofica situazione sanitaria nei centres fermé (così come nelle prigioni) non è un aneddotico fallimento dell’amministrazione statale, ma rivela la natura strutturale del razzismo che questi luoghi di isolamento e di privazione della libertà rappresentano.
Essa rivela come lo Stato tratta chi ritiene indegno e come la sua amministrazione li esponga a tutte le forme di violenza, compresa la reclusione stessa.

I centri chiusi devono essere svuotati oggi e distrutti domani.

Belgio – Centri di detenzione: la minaccia del virus, la violenza dello Stato e delle rivolte come risposta

La situazione in diversi CRA in Francia all’epoca del coronavirus

Mentre la gestione dell’emergenza dell’epidemia di coronavirus si diffonde in tutta la Francia, con l’imposizione dell’isolamento e i controlli di polizia nelle strade, all’interno dei luoghi di prigionia la violenza e la repressione dello Stato si fanno sempre più dure. E a essere toccate più duramente saranno le persone più vulnerabili: quelle che vivono per strada e/o che non hanno documenti.

Nelle prigioni e nei centri di detenzione amministrativa vi è la sospensione dei colloqui e di ogni altra attività collettiva, misure sanitarie ridicole e nessuna informazione data alle persone recluse. Tutto questo anche se dopo la diffusione massiva del Covid-19, molti paesi hanno chiuso le loro frontiere ai voli provenienti dalla Francia, impedendo i rimpatri e rendendo i CRA delle prigioni a tutti gli effetti.

Nei tribunali, mentre la maggior parte delle udienze è stata annullata e la maggior parte dex avvocatx ha smesso di andarci, JDL [giudicx per la libertà e la detenzione] lavorano e le convocazioni immediate continuano ad avere luogo, la prova che i sogni di prigionia dello Stato vanno ben al di là dell’isolamento per contenere il virus.

Alcune associazioni umanitarie che lavorano nei centri (Cimade, Assfam, France Terre d’Asile, Forum Réfugiée, l’Ordre de Malte) hanno smesso di venire nei Cra. Il personale addetto alle pulizie non è più nei centri, e in molti edifici non c’è più sapone disponibile per le persone prigioniere. Nella maggior parte dei centri di detenzione non c’è più o quasi più l’OFFI dunque non si possono più comprare sigarette o ricariche telefoniche. Infermierx e dottorx continuano a disprezzare le persone detenute, gli sbirri si tengono a metri di distanza da loro, nonostante sia evidente che gli unici che escono dai centri e che possono portare il virus all’interno sono loro…

Di fronte a tutto ciò le persone prigioniere non smettono di lottare e resistere in molti modi diversi. Il 16 Marzo, lunedì, a Vincennes, Mesnil-Amelot, Lyon e Lille-Lesquin le persone prigioniere hanno iniziato lo sciopero della fame. In alcuni centri sono anche stati appiccati incendi, vi sono state evasioni collettive, blocchi e ogni genere di sommossa (Metz).

Le persone detenute denunciano la mancanza di igiene, nessuna maschera né guanti per gli sbirri né per loro stessx, la violenza da parte della polizia e il disprezzo dex medicx, e chiedono la liberazione di tuttx.

Ecco diversi comunicati e testimonianze pubblicati dopo lunedì 16 Marzo, da far circolare il più possibile!

Comunicato dei prigionieri di Mesnil-Amelot:
CRA2
https://abaslescra.noblogs.org/de-toute-facon-le-resultat-pour-nous-cest-la-misere-communique-de-prisonnier-du-cra2-du-mesnil-amelot/
CRA3
https://abaslescra.noblogs.org/vraiment-on-nous-a-oublie-ici-comminuque-de-greve-de-la-faim-des-retenus-mesnil-amelot/
Comunicato dei prigionieri del centro di detenzione di Lille-Lesquin :
https://abaslescra.noblogs.org/on-prefere-mourir-de-faim-que-de-cette-merde-communique-des-prisonniers-du-centre-de-retention-de-lille-lesquin-du-15-mars/
Comunicato dei prigionieri del CRA1 di Vincennes del 16 Marzo :
https://abaslescra.noblogs.org/greve-de-la-faim-et-foutage-de-gueule-paroles-de-linterieur-du-cra-de-vincennes/
Testimonianza di un prigioniero di Lyon St Ex il 17 Marzo:
https://crametoncralyon.noblogs.org/temoignage-au-cra-de-lyon-st-ex-greve-de-la-faim-face-a-la-suppression-des-visites-et-des-audiences-et-la-crainte-des-prisonnier-es-face-au-coronavirus/

Dopo la grande giornata di lotte del 16 Marzo la situazione resta calda. La buona notizia è che dopo martedì un discreto numero di persone prigioniere in diversi centri sono state liberate, specialmente le persone comparse davanti al giudice, quelle che hanno potuto pagarsi un avvocato e quelle che sono in contatto con le associazioni che lavorano nei centri e che hanno chiesto la liberazione dex prigionierx. Ma le altre persone prigionierx sono rimaste rinchiuse in condizioni che erano disgustose già prima del virus, e come se la situazione non fosse già abbastanza grave, gli sbirri continuano a provocare x prigionierx, fanno circolare voci, lx fanno innervosire.

Gli sbirri hanno fatto spesso circolare delle voci riguardo la liberazione di tutti i prigionieri a Vincennes (e in altri CRA) questo lunedì, prima di smettere di parlarne. Da ciò che dicono le persone prigioniere del CRA di Vincennes, ci sono ancora una trentina di prigionierx laggiù. Se da un lato in alcuni centri vi sono delle liberazioni, in altri continuano le espulsioni verso delle destinazioni per cui siano ancora disponibili i voli o si continuano persino a rinchiudere altre persone: al Mesnil-Amelot il 16 e il 17 Marzo, di mattina, sono arrivate ancora nuove persone. Apparentemente sono sopratutto persone che escono dalla galera e vengono inviate direttamente al CRA. Così la pena per coloro che non hanno documenti è prolungata per altri tre mesi, con in più il rischio di contrarre il virus!

A Bordeaux un’azione giudiziaria collettiva ha permesso la liberazione di tutte le persone detenute del CRA, lo stesso per i CRA di Nimes e Montpellier che stanno per svuotarsi! A Tolosa un’azione dello stesso tipo sarebbe in corso per 62 prigionierx. A Rennes tutte le domande di messa in libertà sono state rifiutate mercoledì 18 Marzo. A Palaiseau, Strasburgo, Hendaye, Oissel, Plaisir le persone cominciano a uscire, visto che con la chiusura delle frontiere non possono più essere deportate. In alcuni CRA, a Hendaye come a Strasburgo, delle persone sono state trasferite da un centro all’altro.

In alcuni centri la situazione resta tesa, a Calais l’amministrazione del centro è contro le liberazioni, dicendo che è sia per proteggere le persone che per evitare che le persone prigioniere una volta uscite scappino in Inghilterra o in Belgio. Qualche persona è stata liberata tra martedì e mercoledì ma restano moltx prigionierx all’interno. Nel weekend scorso vi sono state delle retate, delle persone sul posto dicono che è il delirio totale, il CRA è sovraffollato, i materassi nelle celle sono messi a terra, 2 algerini sono stati deportati verso l’Algeria e un congolese verso la Repubblica del Congo. L’amministrazione blocca l’accesso ai dossier e rifiuta di comunicare la lista delle persone presenti e gli arrestati. Il tribunale libera col contagocce…

Aldilà dei CRA, anche nelle prigioni iniziano lotte e forme di resistenza, dopo la sospensione dei colloqui e delle attività collettive le persone prigioniere sono state trasferite in sedici prigioni in tutta la Francia, a Metz Epinal, Grasse Perpignan, La Santé, Angers, Nancy, Varennes le grand, Montauban, Aiton, Sequedin, Maubeuge, Douai, Valance, Saint-Etienne, Toulon. Mercoledì 18, al mattino, un prigioniero malato risultato positivo al coronavirus è morto nella prigione di La Santé, mentre i sindacati di polizia invitano le famiglie a calmare i loro parenti detenutx.

Più informazioni sulla situazione nelle prigioni qui:

Le Covid-19 : la prison dans la prison – video

Le rivolte e le lotte dex prigionierx ci indicano le responsabilità dello Stato nella crisi attuale.
L’unica soluzione: liberazione immediata di tutte e tutti i prigionierx, chiusura e scomparsa immediata dei CRA!

Più che mai è importante chiamare le cabine nei CRA (i numeri qui https://abaslescra.noblogs.org/numeros-des-cra-cabines-et-associations-mis-a-jour/), far circolare le parole delle persone prigioniere e quello che accade all’interno, e di mostrare solidarietà all’esterno!!

Fonte: hurriya.noblogs.org

La situazione in diversi CRA in Francia all’epoca del coronavirus

 

Italia – Nei centri per il rimpatrio nessuna protezione contro il coronavirus

Link

“Gridavamo libertà, libertà”, dice Ylian, con la voce spezzata dalle lacrime, mentre racconta di aver protestato il 18 marzo dietro alle grate del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma, chiedendo di essere rilasciata, perché teme per la sua salute insieme a una quarantina di donne, rinchiuse da settimane nel Cpr in una situazione di promiscuità mentre fuori la pandemia avanza.

“Qui dormiamo in camere da sei o da quattro, mangiamo tutte insieme, usiamo gli stessi servizi. Non tutte rispettano le norme igieniche e di sicurezza”, racconta la donna di 26 anni, che è rinchiusa nel centro di detenzione da più di un mese. Nel centro sono ospitate in tutto circa 120 persone, tra settore femminile e settore maschile.“Vediamo in televisione quello che sta succedendo fuori e abbiamo paura”, continua. È arrivata in Italia sei mesi fa con un visto turistico, poi alla scadenza del visto è rimasta nel paese da irregolare, dice di essere vittima di tratta e di non poter tornare nel suo paese, Cuba, per timore di essere perseguitata. Ha fatto domanda di asilo ed è in attesa di una risposta, ma in ogni caso è rinchiusa in un centro di detenzione, perché non ha un permesso di soggiorno valido, è una sans papier, un’irregolare.

Senza un protocollo
Nonostante la maggior parte dei voli di rimpatrio sia stata sospesa a causa dell’epidemia di coronavirus, i centri di detenzione per il rimpatrio italiani continuano a funzionare a pieno regime, senza che sia previsto nessun protocollo di sicurezza, né per gli ospiti né per gli operatori e i poliziotti che ci lavorano.

Sono circa quattrocento le persone rinchiuse nei Cpr italiani in un regime di detenzione amministrativa e se qualcuno dovesse risultare positivo al test del coronavirus, non ci sarebbe una procedura stabilita per affrontare la situazione. “Nessuno rispetta la distanza di sicurezza di un metro, non ci sono né mascherine, né guanti, né disinfettanti”, racconta la donna. “Chiediamo che ci facciano stare recluse in casa o che ci tengano nelle comunità, nei centri di accoglienza, ma non qui dentro, dove la sicurezza è impossibile”.

Mentre l’Italia sta vivendo la più grave emergenza sanitaria della sua storia, in alcuni contesti come i Cpr o le carceri, non valgono le stesse regole esistenti all’esterno e questo alimenta tensioni e paure. Per gli stranieri, ma anche per gli operatori. “Ogni volta che entra un nuovo o una nuova, siamo terrorizzati anche da un semplice raffreddore”, spiega Ylian. “Ho smesso di mangiare per la paura di prendermi la malattia negli spazi comuni come la mensa”, conclude.

“Gli ingressi non sono bloccati, ma la maggior parte dei voli di rimpatrio è sospesa”, conferma il direttore del Cpr di Roma, Enzo Lattuca. “Non ci sono possibilità reali di rimpatrio per il momento”, continua il funzionario. Il prefetto ha mandato tre circolari sulla salute degli ospiti dei Cpr, tuttavia non ci sono protocolli nazionali prestabiliti, né per gli operatori, né per gli ospiti e tutto è affidato al buon senso dei gestori. “Abbiamo preso delle misure: abbiamo sospeso le visite delle associazioni come quelle antitratta per evitare che il centro sia sovraffollato, abbiamo comunicato con dei cartelli in tutte le lingue la necessità di prendere precauzioni”.

Ma nessun documento ufficiale, né tantomeno il decreto governativo Cura Italia menziona le misure necessarie da adottare per garantire sicurezza in questo tipo di realtà. L’operatrice antitratta Francesca De Masi conferma che da due settimane sono sospese le visite delle associazioni come la sua nel centro, per ragioni di sicurezza.

“Come fai a imporre il distanziamento sociale in una struttura dove le persone dormono in moduli ristretti?”

“A differenza degli istituti di pena italiani, dove il governo ha diramato delle direttive, per quanto riguarda i Cpr non c’è stata un’iniziativa da parte del ministero dell’interno. In alcuni casi sono stati gli stessi enti gestori a chiedere dei chiarimenti alle prefetture per il Covid-19”, conferma Elena Adamoli dell’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

In tutta Europa
Tra dicembre e gennaio i centri per il rimpatrio sono stati protagonisti di proteste e rivolte per via delle condizioni di vita dei reclusi e molte strutture sono state danneggiate o ridimensionate. Tuttavia, nonostante l’emergenza sanitaria delle ultime settimane, non è stata disposta una loro definitiva chiusura. “Tutte le inadeguatezze di queste strutture che abbiamo sempre denunciato in questa situazione appaiono in maniera ancora più eclatante. Come fai a imporre il distanziamento sociale in una struttura in cui le persone dormono in moduli ristretti e usano gli stessi bagni?”, chiede Adamoli.

“Un caso positivo potrebbe scatenare situazioni di disordine e rivolte, di questo sono coscienti anche i poliziotti e gli operatori”, continua. “I momenti di frizione si hanno proprio quando arriva un nuovo ospite nel centro”. I nuovi ingressi sono sottoposti a un isolamento di 48 ore, che però non sembra sufficiente a garantire la sicurezza. Il garante nazionale in due lettere inviate al ministero dell’interno ha sollevato la questione della legittimità del trattenimento di queste persone che non hanno nessuna prospettiva di essere rimpatriate.

“Siamo in una situazione di pandemia, tutte le frontiere sono chiuse, i voli sono sospesi, e questa situazione andrà avanti per almeno altri due mesi. Per questo tra l’altro abbiamo chiesto al ministero di rilasciare tutti quelli che sono vicini alla scadenza: è illegittimo trattenerli in queste condizioni”, afferma Adamoli. Il ministero dell’interno non ha mai risposto alle lettere del garante nazionale. “Il presupposto stesso dell’esistenza dei Cpr, cioè la possibilità del rimpatrio, è venuta meno. Quindi ci si chiede quale sia la legittimità dell’apertura di questi centri”.

Inoltre nei Cpr c’è un certo numero di richiedenti asilo che sono in attesa di una risposta da parte delle commissioni territoriali, che tuttavia hanno sospeso le loro attività per via del coronavirus. “Abbiamo un illegittimo trattenimento dei richiedenti asilo in questo momento”, continua la funzionaria. “In qualche modo bisognerà valutare la possibilità di ridurre le presenze all’interno di questi centri”.

Anche il Legal team Italia, gli attivisti della campagna Lasciatecientrare e l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), hanno chiesto in un appello di sospendere gli ingressi nei Cpr. “Quello che si rileva principalmente riguardo ai Cpr è che le misure di contenimento previste non appaiono adeguate sia per i limiti strutturali che impediscono il mantenimento delle distanze di sicurezza sia per l’assenza dei dispositivi di prevenzione e delle misure igieniche previste dalle disposizioni e raccomandazioni nazionali di tutela sanitaria”, spiega Anna Brambilla dell’Asgi.

A tutto ciò si aggiunge che i rimpatri non sono di fatto possibili con il conseguente rischio di dilazione dei termini del trattenimento. “Per tutti questi motivi chiediamo che sia disposta l’immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei Cpr, che siano disposte le misure alternative al trattenimento e che si proceda con la massima tempestività alla progressiva chiusura dei centri”, conclude Brambilla.

Anche in altri paesi europei come la Francia e il Regno Unito ci sono stati appelli simili. In Francia il 18 marzo diverse associazioni hanno chiesto il rilascio immediato delle circa 900 persone trattenute nei centri di detenzione francesi, perché in queste strutture nulla è cambiato mentre nel resto del paese sono state adottate misure drastiche per arginare la pandemia.

“Nei centri di detenzione le condizioni sono all’opposto di quanto raccomandato dal governo”, ha dichiarato David Rohi, responsabile della Cimade, un’associazione francese attiva all’interno dei centri di detenzione, che tuttavia negli ultimi giorni ha sospeso le sue attività. In seguito alle proteste diversi giudici, da Parigi a Bordeaux, hanno deciso di rilasciare i reclusi, spiegando che non c’erano le condizioni sanitarie adeguate per lasciarli in detenzione. Tuttavia il governo francese non ha per ora risposto alle richieste delle associazioni. Anche nel Regno Unito e in Spagna ci sono stati appelli simili. A Barcellona è stato chiuso il centro di identificazione e rimpatrio, dopo che gli ultimi cinque stranieri sono stati rilasciati con l’autorizzazione del giudice.

di Annalisa Camilli (Fonte: Internazionale.it)

Italia – Nei centri per il rimpatrio nessuna protezione contro il coronavirus

Non arrendiamoci a “tacere e obbedire”

Sembra che tutta la responsabilità sia dei cittadini. Dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? La scienza non ha tutte certezze, quanto durerà la “temporanea” limitazione della libertà?

Ho letto su Facebook un messaggio molto eloquente: “Sì è vero, lo stato di diritto sta saltando; sì è vero, le nostre libertà sono decurtate al massimo. Ma si tratta di scegliere: o la vita o la libertà; e ancora più, o il sacrificio per gli altri o la nostra libertà”. Dopo questo post, leggo il comunicato del governatore lombardo, che di fronte ai numeri dei contagi che non scendono, minaccia misure ancora più restrittive. Come mio padre si rivolgeva a me bambina, così Fontana si rivolge ai lombardi: “Amici, se non la capite con le buone bisognerà essere più aggressivi. I numeri non si riducono […]. Per ora lo chiediamo, se si dovesse andare avanti chiederemo al governo di emanare provvedimenti più rigorosi”. Che provvedimenti saranno quelli “più rigorosi”? Che cosa c’è di “più rigoroso” dell’uscita con autocertificazione solo per i casi concessi?

Sembra di capire che la responsabilità di tutto ricada sui cittadini – abituati alla loro libertà, che reclamano il bisogno di fare un po’ di moto. E dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? Vi è amnesia delle scelte prese in un recente passato, scelte che hanno maltrattato e indebolito il sistema sanitario pubblico? Parliamo, per esempio, delle scelte della Regione Lombardia. Secondo i dati del Ministero della Salute (consultabili sul web) l’anno 2017 mostra questo: i ventilatori polmonari erano 1 ogni 4.130 abitanti in Lombardia; 1 ogni 2.500 in Emilia-Romagna; 1 ogni 2.250 abitanti in Toscana, e 1 ogni 2.550 abitanti in Veneto. Il rischio di collasso del sistema è già contenuto in questi numeri.

La responsabilità è l’arma che i cittadini nelle democrazie costituzionali hanno e che le norme, anche quelle che regolano un’emergenza come questa, presumono – non ci sono altre misure. Non si cono scorciatoie. Non c’è posto per la repressione militare e lo stato di polizia. In aggiunta, la nostra responsabilità non è illimitata e non può essere contrastata con la minaccia di maggiori repressioni. Ma vi è anche un risvolto etico in questa politica della minaccia: non possiamo come cittadini accettare di portare sulle nostre spalle tutto il peso dei limiti del sistema sanitario – del resto deleghiamo le funzioni di governo, non governiamo noi direttamente. E le scelte dei governi, nazionali e regionali, devono essere contemplate nell’attribuzione dei livelli di responsabilità. E invece, non abbiamo sentito ancora una parola di autocritica.

Non dovremmo vergognarci di mettere in dubbio questa logica di un’escalation della repressione. Se la nostra libertà è il problema, allora c’è poco altro da dire.

Ci viene detto che reprimere e chiuderci in casa è una soluzione temporanea. Ma quanto durerà il “temporaneo”? Gli scienziati non sembrano sicuri di saper dare una risposta certa – e sulle loro certezze si basano, invece, le scelte dei nostri governanti. Non conoscono ancora bene il modo in cui il virus si diffonde e come e se muta e spesso dissentono tra loro prendendosi anche a male parole in pubblico, come fanno i politici. Se la scienza sulla quale questo intero sistema di limitazione delle nostra libertà non ha certezza, perché scandalizzarsi tanto con noi profani che ci ostiniamo a cercare il sole e l’aria, e che stiamo lentamente andando in depressione? Dobbiamo per caso attendere il vaccino prima di uscire di casa? E dobbiamo sentirci in colpa per la resilienza di questo virus o subire reprimende da parte di chi ci governa per sollevare questi dubbi?

Più delle norme emergenziali, si deve temere l’espansione di questa mentalità dispotica, che vorrebbe neutralizzare dubbi e domande. Tacere e obbedire. Ma non è un male fare le pulci al vero se, sosteneva J.S. Mill, il vero si atteggia a dogma – se poi è un ‘vero’ in costruzione, allora i dubbi e le domande sono perfino un bene!

Fonte Huffington post

Italia – Si defilano gli umani, ritornano gli animali selvatici

La reclusione domiciliare in seguito al coronavirus non causa solo isolamento e liti domestiche.
Da qualche giorno infatti una marea di animali selvatici hanno ripreso a vivere quei luoghi che fino a due settimane fa gli erano totalmente inospitali. Non che si possano considerare ospitali per l’umano, però è lui che li vive e li mantiene.
E così se qualcuno potesse dare una sbirciata fuori dalla propria casa-cella potrebbe incrociare una lepre, un capriolo, un lupo.. O ancora ammirare due anatre in una fontana, acque di nuovo limpide e delfini a solcarle.

I primi effetti positivi del rallentamento di questa società si iniziano a scorgere.

Italia – Ovunque potranno svolazzare droni caccia-trasgressori

Estesa, senza bisogno di un’autorizzazione specifica, ad ogni comune la possibilità di utilizzare droni per scovare chi dovesse uscire di casa senza permesso.
Al momento i comuni che li utilizzano sono Roma, Bari, Siena e San Severino, mentre a Monreale potrebbero arrivare a breve.

La domanda è sempre la solita: queste misure emergenziali verranno mai ritirate o diventeranno permanenti?

Napoli – Al via controlli Esercito

Sono scattati stamattina a Napoli e in provincia i controlli dell’esercito per il rispetto del decreto contro il coronavirus. Quattro le pattuglie composte da due o tre soldati ognuna impiegate sui diversi turni nell’arco della giornata. I militari dissuadono le persone dallo stare in strada e verificano l’eventuale presenza di assembramenti e gruppi di cittadini. Nel caso ci sia la necessità di verbalizzare comportamenti scorretti si mettono in contatto con la polizia di stato per l’intervento.
A Napoli i controlli dell’esercito soni stati effettuati nel quartiere di Pianura, periferia a ovest di Napoli. Controlli anche nell’area nord e in particolare nel Comune di Marano, mentre un’altra pattuglia dell’esercito è stata assegnata ad Afragola e Acerra, cittadine tra la provincia di Napoli e quella di Caserta. Militari ad Ercolano e ad Ottaviano. In provincia di Caserta controlli dei soldati a Castel Volturno, mentre in provincia di Salerno particolare a Sala Consilina, Polla, Atena Lucana e Caggiano.

FONTE ANSA