Cronache dallo stato d’emergenza (Numero9)

18 Maggio 2020

La voce del padrone

Qualche settimana fa, il presidente di Confindustria Trento Fausto Manzana, nel presentare il «Report Sostenibilità», ha affermato la necessità di rilanciare l’economia garantendo il rispetto dell’ambiente: «Ma questa priorità – ha aggiunto – non può prescindere dal prendere atto che le grandi opere debbono essere realizzate, sia a livello nazionale, per connettere meglio il nostro Paese con il resto dell’Europa, che nella nostra Provincia». Facendo poi esplicito riferimento alla Valdastico (con lo sbocco a nord), alla terza corsia di Autobrennero, alle tangenziali di Trento e Rovereto, alle opere collegate al Tunnel del Brennero. Che il capo degli industriali, nel pretendere di realizzare Grandi opere dall’impatto disastroso sul territorio (e sui cambiamenti climatici), parli di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente è indicativo di come logica del profitto e asservimento del linguaggio procedano sempre di pari passo. Senso del limite, coinvolgimento delle popolazioni, cambiamento negli stili di vita, ripensamenti suscitati dalla quarantena e le altre storielle con cui gli opinionisti ci hanno intrattenuto sui giornali, in televisione o alla radio durante le scorse settimane di arresti domiciliari? Eccole riassunte da Manzana: «Sarà la ricerca a trovare soluzioni, sarà il mercato a trovare la strada».

Il lavoro dei servi

E la ricerca le risposte le trova, eccome se le trova. Con un piccolo dettaglio: mai interrogarsi sul senso delle domande. L’impatto dei gas serra ci sta portando al collasso ecologico. Fermiamo la corsa? Macché. Proviamo con la “Gestione della Radiazione Solare” (Srm), ossia con l’iniezione tramite aerosol di solfati nell’atmosfera per deflettere parte dei raggi solari nello spazio e contrastare così il surriscaldamento globale. Il surriscaldamento provoca l’acidificazione degli oceani, la quale a sua volta causa la distruzione della barriera corallina? Al Politecnico di Milano si è approntato un sistema per alcalinizzare artificialmente le acque, al fine di contenere gli effetti dell’emissione industriale di CO2.

Monitor

La guida TV che viene distribuita settimanalmente insieme al quotidiano «l’Adige» è un piccolo esempio di come si possa riprodurre l’ideologia dominante anche in un simile formato. Seguendo l’aria che tira, nelle ultime settimane «Monitor» ha dedicato qualche articoletto al 5G, alle auto a guida assistita e a quelle a guida autonoma. In entrambi i casi, si segnala negli occhielli che queste formidabili innovazioni contengono delle «criticità» e sollevano «molti interrogativi». Cose di cui negli articoli, ben prodighi degli elogi più servili, il lettore non trova traccia. Scoprirà così, leggendoli, che con il 5G potrà scaricarsi un film sullo smartphone in pochi minuti, ma non – neanche per sbaglio, nemmeno con la formula «i più maligni e prevenuti sostengono…» – che verrà sorvegliato ovunque né che avrà molte più probabilità di beccarsi il cancro. Della auto a guida autonoma apprenderà che gli permetteranno di «leggere, mangiare, guardare la tv, telefonare e – perché no – dormire». E i molti interrogativi? Richiedono città informatizzate disseminate di sensori, condizionano tragitti, soste, acquisti, polizze assicurative, ampliano la cattura delle nostre vite da parte di giganti come Google… No, eccoli «i molti interrogativi»: «occorre che le vetture dimostrino di essere sicure al 100% e su questo fronte la strada da compiere è ancora lunga».

«Non permettiamo al mondo senza contatto di instaurarsi»

Con questo titolo – il sottotitolo è Appello al boicottaggio dell’applicazione Stop-COVID19 – è uscito qualche settimana fa in Francia un testo sottoscritto da qualche decina di persone, associazioni e collettivi. Vale la pena di riportare alcuni degli inviti con cui tale appello si conclude:

«In questi giorni, sembra che molte persone lascino il proprio smartphone a casa quando si allontanano dal proprio domicilio. Invitiamo alla generalizzazione di questo genere di gesti e al boicottaggio delle applicazioni private o pubbliche di tracciamento elettronico. Più in generale, invitiamo ciascuno e ciascuna a riflettere seriamente sulla possibilità di abbandonare il proprio telefono intelligente, e di ridurre in modo massiccio il proprio uso delle tecnologie di punta. Torniamo finalmente alla realtà».

«Invitiamo le popolazioni a informarsi sulle conseguenze economiche, ecologiche e sanitarie del dispiegamento pianificato della rete chiamata “5G”, e ad opporvisi attivamente. In modo più ampio, invitiamo ciascuno e ciascuna a informarsi sulle antenne di telefonia mobile che esistono già, e ad opporsi all’installazione di nuove antenne-ripetitori».

«Un’altra battaglia essenziale per l’avvenire della società è il rifiuto della scuola digitale. Il periodo critico che stiamo vivendo è messo a profitto per normalizzare l’insegnamento a distanza tramite Internet, e soltanto una vigorosa reazione degli insegnanti e dei genitori potrà impedirlo. Malgrado tutte le critiche che si possono fare da diversi punti di vista all’istituzione scolastica, il periodo attuale dovrebbe illustrare agli occhi di molti che è sensato imparare stando insieme e che è prezioso per i bambini essere in contatto con degli insegnanti in carne ed ossa».

«… Alcuni di noi denunciano da anni l’informatizzazione del lavoro; è evidente che l’estensione del telelavoro obbligatorio è un processo da arginare con nuove forme di lotta, di boicottaggio, di diserzione».

Proprio adesso

«Proprio adesso che internet e smart working sono così importanti», si è lamentato il sindaco di Rovereto dopo che degli anonimi, nella notte fra il 14 e il 15 maggio, hanno sabotate cinque (o sei, non si capisce) cabine per l’interscambio delle telecomunicazioni. Sarebbero state forzate le casette in lamiera e tagliati i fili che portano la linea alla cabina e dalla cabina alle case. Il “blackout” avrebbe coinvolto duemila utenze, portando in città “un mezzo esercito di tecnici” per ripristinare il servizio, il che dovrebbe richiedere una settimana di lavoro. «Liberiamoci dalle gabbie tecnologiche», una delle scritte lasciate dagli anonimi sabotatori.

Ottanta anni fa, qualcuno…

Giaime Pintor, intellettuale antifascista morto a ventiquattro anni dilaniato da una mina tedesca, scriveva negli anni Quaranta: «Oggi in nessuna nazione civile il distacco tra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi dichiarare lo stato di emergenza». Oggi che la morsa – tra la produzione industriale di disastri ecologico-sanitari e le soluzioni tecnologiche che ne aggravano gli effetti – ci sta stritolando, tocca a noi rendere effettivo lo stato di emergenza.

Versione pdf: Cronache9

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero9)

Tanto rumore per nulla di nuovo: il differimento pena per motivi di salute era già previsto

A proposito delle 376 persone detenute che hanno usufruito di una misura alternativa al carcere, partirei con una precisazione. Già prima dell’emergenza Covid era previsto il differimento pena, in base al quale la pena poteva essere sospesa per gravi motivi di salute e il detenuto mandato a casa o in una struttura sanitaria dove avrebbe potuto usufruire delle cure adeguate. Il magistrato di sorveglianza nel frattempo avrebbe effettuato delle verifiche e quando la persona malata fosse stata bene avrebbe predisposto il ritorno in carcere.

L’ostativitá

Il decreto che prevede misure alternative a fronte dell’emergenza sanitaria (ovvero i domiciliari con braccialetto elettronico per le persone con pena residua dai 6 ai 18 mesi, i domiciliari senza braccialetto per chi ha pena residua sotto i 6 mesi) esclude categoricamente le persone detenute per reati ostativi. Ci si riferisce al famoso articolo 4 bis che sicuramente riguarda le persone detenute in circuiti di Alta Sicurezza e nel regime di 41bis. Chi sono quindi le 376 persone detenute in regimi differenziati che hanno usufruito di questa sorta di differimento pena? Intanto solo 3 sono sottoposte al regime 41bis. Una è una persona di 78 anni con 23 anni di condanna, il cui fine pena è previsto per Dicembre 2020. Di questi 23 anni di condanna, li ha quasi tutti scontati in regime 41bis, quindi in isolamento totale. Questa persona soffre di serissime patologie cardiologiche e respiratorie. L’altra persona è un detenuto di 60 anni del carcere di Sassari cui sono stati dati 5 mesi di domiciliari. Il suo fine pena é previsto per il 2023, si è costituito spontaneamente nel 2007 e nel 2015 gli è stata revocata la sorveglianza speciale, venendo quindi a cadere la pericolosità sociale. Per questo detenuto era stato già richiesto dal magistrato di sorveglianza il trasferimento da Sassari verso un’altra regione perché in tutta la Sardegna non esistono centri clinici penitenziari e questa persona aveva assoluta necessità di cure oncologiche. Consideriamo che le strutture sanitarie penitenziarie in Italia sono pochissime: in totale tre, ovvero il San paolo a Milano, Belcolle a Viterbo, il Pertini a Roma. Il Dap non ha mai risposto alla richiesta di trasferimento del magistrato di sorveglianza ed è previsto che in caso di silenzio il magistrato possa provvedere con un’ordinanza, cosa che appunto ha ritenuto di fare. Peraltro già nel 2017 il garante nazionale dei detenuti aveva invitato il Dap a provvedere alla mancanza di strutture sanitarie penitenziarie in Sardegna.Gli altri 373 detenutistavano in sezioni di AS ed evidentemente avevano finito di pagare per il reato ostativo, visto che il decreto esclude esplicitamente chi deve scontare un reato di questo tipo. E, per inciso, non è difficile incappare nell’ostativitá visto che, ad esempio, lo sono reati come rapina e traffico di stupefacenti. Evidentemente se queste persone sono state mandate ai domiciliari l’ostativitá si era estinta con l’espiazione della pena per il reato considerato ostativo. Uno può avere una condanna di 15 anni di cui 4 ostativi e il resto no, e spesso avviene che comunque si viene lasciati in AS.Nessuno ha parlato delle tantissime richieste fatte e respinte, ad esempio quella di un boss mafioso accusato, è vero, di un reato orribile, ma pur sempre una persona di 87 anni detenuta in 41bis. Se non è vendetta questa, che cosa è? Questa persona è evidentemente un capro espiatorio e deve morire in carcere. Il 41bis è servito a rafforzare le misure al resto del carcere, basti pensare ai processi in videoconferenza che sono stati man mano estesi ad altri detenuti.

Come eludere una sentenza ce lo insegna proprio il Ministro della
Giustizia!

La risposta di Bonafede al polverone mediatico sui mafiosi scarcerati è arrivata con un decreto in cui ha previsto il parere obbligatorio della DDA al magistrato di sorveglianza (prima era già prevista un’informativa). Questo farà sì che i magistrati saranno ancora più reticenti a concedere misure alternative. Non solo, la Corte Costituzionale aveva assunto la decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo sulla illegittimità dell’ergastolo ostativo, che legava l’accesso ai benefici alla collaborazione con gli inquirenti (art 58ter). Ed ecco il gioco democratico delle parti: se il parere della DDA è negativo la persona continuerà a restare in carcere nonostante l’ergastolo ostativo sia stato dichiarato illegittimo. Con questo trucchetto le cose non si muoveranno e l’ergastolo ostativo rientra dalla finestra proprio in periodo di emergenza sanitaria.Bonafede, integerrimo ministro giustizialista accusato di strizzare l’occhio alla mafia, ha così cercato di ributtare dentro tutte le persone che hanno usufruito delle misure alternative prevedendo una verifica obbligatoria daparte del magistrato. Verifica da farsi ogni 15 giorni col parere della DDA e sentita la Regione sullo stato del contagio e il Dap su eventuali posti liberi in strutture sanitarie. Ma queste persone non sono uscite per l’emergenza sanitaria, ma per il loro stato di salute incompatibile con la sanità in carcere!

Dove la politica tace, i magistrati si paralizzano e arrivano i procuratori

I magistrati non sono conosciuti per essere di manica larga e la politica ha fatto con loro un gioco sporco delegando loro tutte le decisioni, poi quando hanno deciso in un modo che alla politica non andava bene sono piovute accuse e rimbrotti. La decisione doveva avvenire a livello governativo e si dovevano prendere decisioni chiare, dare indicazioni precise. Se, ad esempio, avessero aumentato i giorni di liberazione anticipata a 75 giorni e, ancora prima, se li avessero dati questi giorni visto che ci sono liberazioni anticipate da anni in attesa di risposte… sarebbe stato meglio.

Invece cosa è uscito dai geni del Dap il 21 marzo? Una circolare con un elenco di una decina di patologie serie in cui si invitano le direzioni delle carceri a segnalare le persone con quelle patologie al magistrato di sorveglianza che avrebbe dovuto decidere. Non è una questione legata al Covid, ma al pericolo che questi malati avrebbero corso in carcere. Questa circolare era del tutto insufficiente e lo segnalava il 6 maggio anche il presidente dell’associazione medici penitenziari che ha scritto un documento in cui dichiara che il carcere è patogeno, sottolinea l’insalubrità delle condizioni già normali a causa del sovraffollamento e l’assenza di strutture sanitarie adeguate. Inoltre aggiunge molte altre malattie a quelle indicate nella circolare e conclude scrivendo che “La circolare inviata dal DAP in data 21 Marzo 2020 non corrisponde concretamente alle reali esigenze e risulta poco esplicativa. Vengono tralasciati importanti quadri patologici che invece individuano in termini assoluti la valutazione di incompatibilità con lo stato di carcerazione”. A riprova che il Dap non adotta mai misure a favore dei detenuti e quando ogni tanto i magistrati di sorveglianza sono pro reo saltano teste, si solleva un polverone, cascano poltrone, ecco che arrivano a capo del Dipartimento due procuratori. Quindi il detenuto si ritrova dentro a seguito di un’indagine di un procuratore e poi a seguire l’esecuzione della sua pena c’è sempre una persona formata per buttare in carcere e certo non per far uscire. Il documento del medico è molto condivisibile, peccato che è scritto da uno che non fa più quel lavoro e quindi si espone poco. Mentre svolgono il loro lavoro la verità non la dicono mai.

La sanità penitenziaria dal carcere alle Asl. Tutto cambia perché nulla
cambi

Quando il medico scrivente questa denuncia era presidente dell’associazione dei medici penitenziari si era prima del 2008, anno in cui la sanità penitenziaria è passata dal Ministero di Giustizia (all’epoca Grazia e Giustizia) alle Asl. Noi all’epoca da detenute sostenevamo questo passaggio perché pensavamo che rispetto ad un medico dipendente dalle tasche dal Ministero della Giustizia e quindi formato non certo a tutela delle persone detenute fosse meglio avere a che fare con personale medico “civile” più autonomo. Purtroppo le aspettative sono presto crollate perché ovviamente incide molto l’istituzione per cui lavori. Per cui se il carcere fa pressioni perché sei troppo attento alla salute dei detenuti, se sei immerso in un ambiente di lavoro in cui senti dire le cose peggiori sul conto dei detenuti, non puoi che esserne influenzato anche come medico. Ed ecco, ad esempio, cosa c’è dietro le morti “improvvise” in carcere. Quando un detenuto sta male e chiama la guardia, la guardia arriva e cerca di capire se lo sta fregando, poi va a chiamare l’infermiere che a sua volta cerca di capire se lo sta fregando… Se poi superi questo test di verità finalmente chiamano il medico, sempre se nel frattempo non é successo il peggio. E
immaginiamoci quanto possono dilatarsi i tempi se il malore avviene di notte… Prima del 2008 la tachipirina era la panacea per ogni male del detenuto e ha continuato ad esserlo anche dopo. Così in caso di pestaggio di un detenuto sia prima che dopo il 2008 mancano referti del personale sanitario sulle cause dei lividi e delle ossa rotte, nei casi migliori. Il direttore sanitario del carcere è presente anche durante i consigli di disciplina e spetta a lui dichiarare l’idoneità all’isolamento. Vi ricordate il trasferimento dal carcere di Modena a Bologna e San Gimignano di alcuni detenuti dopo un primo tampone negativo per poi scoprire col secondo che erano positivi e che quindi avevano portato il virus nel nuovo carcere? Possibile che il direttore sanitario non abbia potuto fermarli fino al secondo tampone? Possibile che noi fuori non ci possiamo spostare neanche all’interno del Comune senza un valido motivo e loro spostano da regione a regione in modo così superficiale?Il 17 marzo la Direzione salute e integrazione socio sanitaria della regione Lazio ha diffuso alcune raccomandazioni per prevenire il contagio. Chi ha vissuto la galera sa bene che sono tutte prescrizioni impossibili da attuare in carcere, dove ad esempio non esistono posti in cui poter essere isolato con bagno privato. Bisognerebbe avere una mascherina, non quell’assorbente che hanno dato alle persone detenute. Per nonparlare dei rapporti con le guardie e con il personale che entra ed esce… Un distanziamento sociale all’interno delle carceri non è possibile realizzarlo e mi domando come fa il personale sanitario a ignorarlo. Le guardie, che lo sanno bene, più volte hanno sobillato i detenuti incitandoli a farsi sentire per poi mazzolarli, perché non hanno neanche il coraggio di fare delle proteste serie per rivendicare il loro diritto alla salute e mandano avanti i detenuti, quando questi già non si incazzano da soli.Proprio ieri è morto un altro detenuto a Bologna per Covid19. A riprova che la curva dei contagi che fuori scende, dentro non sembra affatto scendere. In una lettera (perché noi crediamo alle persone detenute che scrivono più che ai freddi numeri di Garante e compagnia bella) un detenuto nel carcere di Bologna parla di 4 intere sezioni in quarantena. Ci sono 52 persone in ogni sezione… Perché il personale sanitario non si assume l’onere (e direi anche l’onore, se seguissero l’etica) di riferire loro i numeri delle persone che stanno male? Mi è venuto anche un dubbio. Come sappiamo, gli studi e le conclusioni sul Covid sono spesso contraddittorie. C’è chi dice che è molto letale, c’è chi dice che lo è solo per chi ha serie patologie pregresse o età avanzata… Fermo restando il rispetto dell’enorme preventive, non è che il personale sanitario in carcere magari pensa che questo Covid non sia poi così letale, per cui non ritengono importante doversi spendere per la salute dei detenuti? Magari pensano che tutto sommato non succederà niente. Non credo, penso che la realtà sia ben altra, la realtà è quella che i detenuti hanno provato a raccontare con le loro proteste che sono state sedate con il sangue (e nessuna poltrona è saltata per questo) e con le loro agghiaccianti testimonianze. Penso che ci sono dei momenti nella vita in cui di fronte a gravissime ed evidenti ingiustizie se si resta innocenti guardando dall’altra parte, si commette un delitto gravissimo. Spero che ogni singolo individuo riprenda una propria etica e dignità e faccia quello che è giusto per tutti non pensando solo al proprio portafoglio.

 

https://ilrovescio.info/2020/05/18/tanto-rumore-per-nulla-di-nuovo-il-differimento-pena-per-motivi-di-salute-era-gia-previsto/

Ritorno alla normalità: altri anarchici arrestati

Questa notte, sette compagni e compagne sono stati arrestati e altri cinque sottoposti all’obbligo di dimora a Bologna. L’ennesima inchiesta per “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. Da quello che si capisce, a questi compagni si contesta di aver preso parte alla lotta contro i lager della democrazia (i CPR), di aver sostenuto le rivolte scoppiate in molte carceri italiane nel mese di marzo e – a qualcuno di loro – di aver incendiato nel 2018 un ripetitore televisivo in solidarietà con i prigionieri. Alla radio hanno parlato di “presunti anarchici” che stavano conducendo una “campagna anti-Stato”. In genere, nelle veline di Questura si dice anarchici e “presunti terroristi” – ora si lascia ad intendere che l’accusa sia proprio quella di essere anarchici. D’altronde, non c’è bisogno di alcuna inchiesta del ROS per stabilire che qualsiasi gruppo di anarchici porta avanti delle pratiche anti-Stato. Dopo aver messo agli arresti domiciliari milioni di persone, ora, tornata la normalità (per chi?), torna veloce anche la repressione selettiva contro i rompiscatole. Contro coloro che, persino nel periodo della quarantena, non hanno voluto lasciar soli i ribelli nelle carceri. In meno di due mesi – e mentre nelle galere si diffonde l’epidemia nel silenzio più totale – lo Stato presenta il conto a chi ha sfidato i suoi divieti. Come monito per la Fase 2, 3, 4… D’altronde, sulla natura preventiva di questa operazione la Procura di Bologna non poteva essere più esplicita: «In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica». Ma lasciamo magistrati, carabinieri e giornalisti, perché ben altro abbiamo voglia di dire.

Questi compagni e queste compagne li conosciamo bene. Sono compagni seri, leali, generosi. Li abbiamo sempre avuti a fianco nelle lotte e ci sono stati particolarmente vicini quando anche qui in Trentino lo Stato ci ha strappato sette amici e compagni con l’operazione “Renata”.

Non essendo dei politici né dei lestofanti, non abbiamo alcun imbarazzo quando arrestano alcuni dei nostri. Non solo perché li amiamo e li stimiamo, ma perché le azioni di cui sono accusati sono per noi giuste. Impedire l’apertura o il funzionamento dei CPR è giusto. Solidarizzare con chi si rivolta nelle galere è giusto (l’unico rimprovero, semmai, è quello di non averlo fatto abbastanza). Sabotare i mezzi del condizionamento sociale è giusto – e forse ora, dopo aver sperimentato fin dove lo Stato e i tecnocrati si possono spingere nella sorveglianza di massa, un po’ di persone in più possono capire il senso di certe azioni.

Per quanto ci riguarda, questi arresti sono un motivo in più per dichiarare guerra alla normalità, alla miseria e alle ingiustizie che permette e nasconde. I rapporti più belli che abbiamo sono la nostra arma migliore.

Elena, Guido, Zipeppe, Nicole, Duccio, Stefi, Leo, Martino, Emma, Tommi, Otta, Angelo liberi!

13 maggio 2020

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

Piazze vuote

Cari amici,

vi scrivo dopo aver letto le lettere dalla quarantena circolate di recente sul sito della rivista Ill Will Editions, che tentano di riflettere a partire dalla crisi attuale. Mi è sembrato che molte di queste lettere rivelassero una asimmetria, una frattura tra due linee di pensiero, che sono distinte ma finiscono per sovrapporsi: da un lato, c’è il comprensibile timore che le forme di controllo introdotte recentemente vengano mantenute al di là dell’emergenza sanitaria (com’è successo dopo l’11 settembre) – una preoccupazione che si concentra sul potere dello Stato; dall’altro, la forza dirompente del virus, come una potenza non-umana che si diffonde attraverso di noi, e agisce al di sotto e al di là delle misure economiche e sociali con cui le élite politiche si sforzano di mantenere un’autorità e un controllo sempre più sbiaditi. Orion, per esempio, descrive nella sua lettera il virus come una forza che ha “istituito la sua temporalità e che ha immobilizzato tutto”, una potenza “capace di andare al di là di quello che le insurrezioni sono state capaci di fare, e di bloccare realmente l’economia”. Due tipi di potere, due linee di forza asimmetriche. Noi che non siamo mai stati amici della loro normalità, come possiamo analizzare questa sovrapposizione?

Vi scrivo dal Cile. L’arrivo della pandemia nel bel mezzo di un’insurrezione che non è ancora finita offre l’occasione di riflettere sulle forme che prendono oggi il controllo sociale e le crisi politiche. La situazione qui potrebbe sembrare la stessa che altrove: il governo cileno ha seguito l’esempio dei governi di tutto il mondo e ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Questo stato di eccezione è il terzo che il governo ha decretato nell’ultimo decennio, dopo quello contro la rivolta di ottobre e quello decretato in seguito al terremoto del 2010. Per due volte quest’anno, il mantenimento dell’ordine pubblico è stato conferito all’esercito, che non ha esitato a imporre un coprifuoco notturno e a istituire alcuni posti di controllo per limitare e sorvegliare i movimenti.

Siamo forse passati da una forma di crisi a un’altra? Se questo è vero, la distinzione da fare non è tanto tra stati di normalità e di eccezione, o tra il ruolo della legge e quello delle misure d’urgenza. Quello che dobbiamo chiederci, alla luce di questa trasformazione, è chi controlla il territorio e come lo abitiamo. Quali sono le condizioni che rendono difficile dare una risposta a questa domanda? Possiamo vedere la continuità o le differenze, solo considerando l’esperienza dei territori che abitiamo insieme. Vorrei condividere con voi qualche ritratto della vita quotidiana, qualche esempio della miriade di risposte che le persone e le istituzioni hanno dato alla pandemia.

Applicazione modulata

Il 15 marzo 2019, durante una conferenza stampa trasmessa in diretta nazionale, il Collegio dei medici del Cile ha criticato il ministro della sanità cileno per aver applicato impropriamente le direttive del Collegio. I medici, di fronte al fallimento del governo nel tentativo di circoscrivere l’epidemia alla città di Santiago, hanno chiesto a tutti gli abitanti di cominciare una quarantena totale di 14 giorni: niente più lavoro, niente più scuola, niente più uscite. Molte persone hanno seguito le loro indicazioni – i proprietari dei bar e dei locali hanno interrotto le loro attività, in nome della responsabilità civile, e i lavoratori dei centri commerciali si sono messi in sciopero, hanno organizzato dei picchetti e hanno manifestato in città fino a che i centri commerciali non sono stati chiusi.

Soltanto a partire dal 20 marzo il governo cileno ha decretato una quarantena totale nelle zone della città più colpite dal virus, cioè i quartieri più ricchi e il centro città. Gli abitanti delle zone in quarantena devono compilare un formulario sul sito del commissariato e dichiarare la loro destinazione per poter uscire di casa.

Intorno alle zone in quarantena ci sono soltanto una dozzina di posti di controllo. Abbiamo capito molto presto che era facile evitare la manciata di carabinieros appostati agli incroci principali. Chi ha deciso di rimanere in casa, l’ha fatto per rispettare le raccomandazioni dei medici piuttosto che le misure ufficiali.

D’altro canto, le misure di quarantena non sono state estese alle combattive “poblaciones”, dalle quali provengono la maggior parte dei partecipanti alle giornate di ottobre. Questi quartieri alla periferia della città sono nati da un movimento di occupazione negli anni ‘50-’60. Gli occupanti hanno costruito insieme le loro case, si sono difesi dagli sgomberi, e hanno negoziato con il governo per ottenere infrastrutture, scuole, ospedali. Se vi è capitato di vedere un video degli scontri del 29 marzo, per il Dia del joven combatiente (Giorno del giovane combattente), sicuramente viene da uno di questi quartieri.

In ottobre le tradizioni ribelli delle poblaciones non erano rimaste confinate ai quartieri di periferia, ma si erano riversate in tutta la città. La gente aveva invaso il centro, la metro, i supermercati, le farmacie, i centri commerciali. Non erano stati presi di mira soltanto i simboli del potere statale – la polizia e la metro –, ma anche quelli dell’economia formale.

Quest’anno, nonostante il coprifuoco e la pandemia, gli abitanti delle poblaciones hanno celebrato il Giorno del giovane combattente scendendo per strada e scontrandosi con la polizia. Nelle poblaciones, diversamente che nel centro città, le persone invadono ancora lo spazio pubblico. Se la rivolta si affievolisce e la vita sociale si riduce al minimo, la pandemia non è però riuscita ad interrompere totalmente la vita in questi quartieri. All’inizio, i manifestanti che avevano l’abitudine di ritrovarsi a Plaza de la dignidad temevano che il governo utilizzasse le misure ufficiali di quarantena per riprendere il controllo della vita sociale, dopo mesi di rivolta. Per ora il governo non ha fatto molti sforzi per applicare le misure nei quartieri in cui la presenza della polizia non è ben accetta, come ai confini delle zone di quarantena e nei territori ribelli delle poblaciones.

Controllo dello spazio pubblico

Al contrario, nei quartieri intorno a Plaza de la Dignidad, dove io vivo, le nuove norme di quarantena e di distanziamento sociale hanno messo fine alle esperienze collettive, alla protesta nelle strade e agli incontri nelle piazze. La rivolta scandiva il nostro quotidiano, e aveva reso i nostri progetti di quartiere allo stesso tempo possibili e necessari. Avevamo dato vita a delle assemblee facendo eco alle proteste nella Plaza, con la speranza di incontrare i vicini di casa e di dare forza alle gente che manifestava per strada. Le assemblee organizzavano mercati rossi, spettacoli per i bambini, concerti per strada, pranzi collettivi. Le riunioni, che si tenevano nei parchi, erano costantemente interrotte dalla vita del quartiere: i cani si mettevano a giocare al centro del cerchio, i passanti chiedevano sigarette, si sedevano con noi e davano la loro opinione, e i vecchi militanti ci dicevano di smetterla di parlare e di andare a dare fuoco a una barricata.

La pandemia ha bruscamente messo fine a tutto questo. Ora le assemblee di quartiere non si riuniscono più. L’aiuto reciproco, le riunioni e i laboratori virtuali si coordinano e si annunciano nei gruppi Whatsapp. Chi non è stato espressamente invitato non può più imbattersi per caso nelle nostre assemblee.

Le interruzioni davano senso anche al mio lavoro di scrittura nei café intorno alla Plaza, che si trattasse di un vecchio amico che arrivava con una nuova persona da incontrare, o dei manifestanti che si rifugiavano nel bar per sfuggire al getto d’acqua del guanaco (l’idrante della polizia). Forse nessuna attività ha senso se non è svolta in mezzo alla gente e alle proteste. Ci sbagliavamo quando pensavamo che le interruzioni fossero solo un fastidio e una distrazione. Le nostre attività diventano più significative quando si mescolano alla vita di coloro che abitano il nostro mondo. La quarantena significa la fine di questa sensibilità collettiva.

Chi ha imposto le restrizioni di movimento?

E nonostante tutto, qualcosa sta ancora succedendo in Cile: in alcune regioni, gli abitanti continuano a bloccare le imprese che devastano i loro territori. In Patagonia, per esempio, molti villaggi sono implicati in un conflitto decennale contro l’industria del salmone. Riversando antibiotici e rifiuti nei fiumi, gli allevamenti di salmone hanno distrutto la fauna, e i bacini dai cui dipendono i pescatori del luogo, mentre i trasporti industriali rendevano inutilizzabili le strade di campagna che collegano un villaggio all’altro.

In ottobre, abbiamo percepito chiaramente la profondità e il respiro della rivolta quando abbiamo saputo che, mentre Santiago bruciava, le comunità rurali costruivano delle barricate sulle strade di campagna, bloccando l’accesso ai lavoratori delle industrie di salmone, e sabotavano le più grandi imprese del paese. In quei giorni, per farsi un’idea della situazione a Santiago, bastava scendere per strada, ma era molto più difficile avere delle notizie delle proteste nel resto del paese. Nonostante le difficoltà di comunicazione, le scritte “Free Chiloe” ricoprivano i muri di Santiago.

Quando l’epidemia ha oltrepassato i confini di Santiago, gli abitanti dell’isola di Chiloe, in Patagonia, hanno bloccato i traghetti che portavano sull’isola i lavoratori dell’industria del salmone. In seguito, il governo ha ridotto i collegamenti con l’isola per prevenire la diffusione del virus; ma quando ha attraccato sull’isola un traghetto che trasportava nuovi effettivi di polizia, per assicurare il rispetto della quarantena, gli abitanti hanno tentato allo stesso modo di rispedirlo indietro.

Una ambiguità determinata

Gerard Munoz, nel suo ultimo intervento sul modello cileno di stato di eccezione, ci suggerisce una possibile spiegazione del fallimento delle misure di emergenza prese per contrastare la rivolta di ottobre:

“Il dibattito cileno si trova nella posizione migliore per cercare di arrivare ad una comprensione matura e globale dello stato di eccezione, inteso non come una formula astratta, ma come un fenomeno latente alle democrazie. L’esercizio della politica occidentale in materia di sicurezza e di eccezione non è un orizzonte concettuale di quello che la politica potrebbe essere; è quello che l’ontologia del politico rappresenta, una volta che i limiti interni dei principi liberali sono collassati (la separazione tra consumatori e cittadini, tra Stato e mercato, giurisprudenza e sussunzione reale).”

Lo stato di emergenza riposa sulla distinzione liberale tra mercato e Stato, tra cittadini e criminali. Il successo della sua applicazione dipende dall’operatività di queste distinzioni. In ottobre, quando il governo ha fatto appello alla “sicurezza dello Stato”, la rivolta aveva già rifiutato i principi liberali della post-dittatura. Le vecchie distinzioni erano state spazzate via, a tal punto che un capovolgimento della situazione era impensabile.

Nei mesi della rivolta, nessuna violenza della polizia, nessuna assemblea costituzionale iper-publicizzata, nessuna crisi finanziaria avrebbe potuto persuaderci della necessità di un ritorno all’ordine. Non potevamo immaginarci una forza esterna capace di mettere un freno all’esplosione sociale.

Eppure eccoci qui: dalla prima settimana dell’epidemia, Plaza de la dignidad è silenziosa. Qualche commerciante comincia a togliere le lamiere che proteggevano le vetrine, perché non ci sono più stati saccheggi. Gli scontri con la polizia restano confinati alle poblaciones.

Chi detiene un tale potere? La pandemia ha sospeso la rivolta, perché è apparsa come una forza esterna. Se l’epidemia possiede una potenza con la quale nessun provvedimento del governo può rivaleggiare, è perché la sua presenza neutralizza le separazioni sulle quali si basa l’amministrazione di questo mondo: il virus non conosce differenza tra Stato e mercato, consumatori e cittadini, giurisprudenza e sussunzione. Il risultato è che non sappiamo più se ci stiamo prendendo cura di noi stessi resistendo allo stato, a prescindere dallo stato o obbedendo allo stato. La pandemia, attraversando questo mondo, ha fatto a pezzi le relazioni sulle quali il nostro mondo si basava. In assenza di questi contatti, siamo lasciati soli di fronte alle esigenze opposte di obbedienza e di contestazione, di resistenza e di auto-affermazione. Non è questo il luogo per ricordare quanto gli ideali della democrazia liberale dipendano da una frattura sempre più profonda tra il pubblico e il privato: ragione pubblica e obbedienza privata, fede e confessione, coscienza morale e diritti politici, etc. Là dove una volta c’era un mondo ricolmo di legami, eresie, alleanze, non resta che un soggetto – un cittadino padrone di sé e autonomo. Non era forse questo il progetto della gestione economica moderna?

L’esperienza dello spazio è stata re-liberalizzata, cosi come il modo in cui ci prendiamo cura degli altri. Una volta che l’insurrezione si è spenta, e con lei l’attenzione reciproca, che era un elemento fondamentale della rivolta, un’altra forma di solidarietà l’ha rimpiazzata; una forma che porta in sé l’impronta di un’assenza al mondo che è la definizione stessa del soggetto liberale moderno. Anche se la situazione ci spinge a preoccuparci dei più vulnerabili tra noi, non possiamo confondere la nozione di cura che il distanziamento sociale determina con le pratiche che avevamo inventato insieme prima della pandemia, e che diventano possibili solo quando abitiamo davvero un territorio condiviso. Ci hanno detto che questa crisi minacciava i più vulnerabili, i malati, i vecchi; e che prendendoci cura di noi stessi, ci saremmo presi cura degli altri; che il nostro ruolo, in quanto cittadini di un unico mondo, era quello di non confondere il distanziamento sociale con l’isolamento. Però la fine della vita sociale e dell’uso dello spazio pubblico ci priva delle esperienze che danno un senso ai concetti di cura, aiuto e azione collettiva. Facciamo l’esperienza di un mondo comune quando prendiamo parte a delle attività che lo rendono non solo possibile, ma reale; è solo grazie alle combinazioni e agli incontri che le nostre capacità singolari ci rivelano quello che va al di là di noi, che appartiene a ciascuno e a tutti. Rinchiusi nelle nostre case, rischiamo di lasciare che si cancellino le condizioni che rendono possibile la consapevolezza di abitare lo stesso mondo.

Emilio, Santiago de Chile, 24 aprile 2020
https://illwilleditions.com/quarantine-letter-6-empty-plazas/

Scusa, hai da accendere?

Era il 26 febbraio 2019 quando, all’indomani di una retata di anarchici, scrivevamo:
«Oggi, in piena idiocrazia, un pensiero (“non si può fare la rivoluzione senza ammazzare”) proferito in privato (ma intercettato da qualche cimice) e per di più da terzi, viene pubblicamente usato per giustificare l’arresto di alcuni anarchici in Trentino. Rei di cosa? Di aver ospitato in casa propria qualcuno che ha espresso ad alta voce un ragionamento logico del tutto ovvio? No, non si può fare la rivoluzione senza ammazzare. Così come non si può fare una frittata senza rompere le uova. E allora? Fare simili osservazioni non significa essere un killer né uno chef. Una tale banalità può essere considerata prova a carico solo da inquirenti bimbiminkia, può essere sbattuta in prima pagina solo da giornalisti bimbiminkia, può indignare solo cittadini bimbiminkia. Psicoreato creato dalla forza dell’ignoranza.
E quanto è antiquato l’uomo con la sua dignità, se chi pretende di esercitare niente meno che la Giustizia trova sospetto e criminale il cercare di difendere la propria vita privata da una curiosità continua, assillante e palese (non ipotetica)? Non basta fare il mestiere di sbirro, bisogna proprio avere la testa ed il cuore da sbirro per non capire che ogni intrusione nella vita privata altrui è insopportabile. Altrimenti, perché mai 1984 è considerato un romanzo su una società totalitaria da incubo? In fin dei conti, i suoi abitanti erano liberi di obbedire al regime; in fin dei conti, se non facevano nulla di male non avevano nulla da temere da quella sorveglianza incessante; in fin dei conti, per evitare di finire nella stanza 101 dovevano solo dire di sì ad ogni decisione dall’alto. Quanta idiozia è necessaria per non capire che ad essere trasparenti dovrebbero essere coloro che pretendono di governare gli altri, se vogliono sperare di essere creduti nei propri disinteressati intenti, giacché la trasparenza di comportamenti richiesta a chi viene governato non è che controllo poliziesco totalitario? Vero è che, subissati da quotidiani programmi televisivi che abituano a sbirciare l’intimità altrui e sovrastati da ansie telematiche di condivisione, la pretesa sbirresca di un controllo onnipresente diventa quasi scontata.
Poiché tutto si tiene con tutto, è letteralmente tutto che sta imputridendo sotto i nostri occhi ed il nostro naso rendendo l’aria letale. La meschinità politica si accompagna allo squallore sociale, che si accompagnano alla grettezza economica, che si accompagnano alla miseria affettiva, che si accompagnano alla devastazione ecologica, che si accompagnano alla mediocrità artistica, che si accompagnano alla inettitudine filosofica, che si accompagnano a…
Lungo questa china, che sorta di cosa è diventata la specie umana? Rimanere aggrappati alla propria umana antiquità è un dolce conforto, non un grande stimolo. Resistenza senza attacco. Per risalire quella china — anzi, per superarla e puntare alle stelle — interrompere il rifornimento dell’ignoranza è il minimo che si possa progettare ed iniziare ad intraprendere».
È trascorso poco più di un anno. Non siamo più solo in piena idiocrazia, ma anche in dichiarata pandemia virale. Un binomio micidiale giacché è noto come uno degli effetti del terrore sia quello di paralizzare (ciò che resta de) il pensiero. No, non si tenta di risalire quella china, si continua a precipitare nell’abisso — e sempre più rapidamente. Il controllo onnipresente è diventato in poche settimane non più una semplice pretesa sbirresca, ma una vera e propria misura legal-sanitaria approvata ed introiettata da gran parte della popolazione mondiale, il cui imputridimento etico è arrivato alla autoreclusione volontaria, alla delazione di chi osa prendere il sole all’aperto, al linciaggio dei runner. Se fino allo scorso secolo l’essere umano era pronto a combattere e a morire pur di strappare e difendere la propria libertà, oggi è pronto a rinunciarvi pur di sopravvivere. Pronto ad accettare di uscire di casa solo umiliandosi con una auto-certificazione scritta. Pronto ad accettare di venire controllato in ogni minimo spostamento. Pronto ad accettare di rendere conto di ogni sua decisione. Pronto ad accettare di venire sorvegliato da droni, di venire «tracciato» da dispositivi elettronici, di venire marchiato con vaccini o microchip… Ecco cosa è diventata la specie umana.
Non stupisce perciò molto la notizia dell’ennesima retata di anarchici, scattata lo scorso 14 maggio su ordine della Procura di Bologna. Anche questa volta gli inquirenti non hanno mancato di ostentare una becera sincerità sul conto delle loro motivazioni. Se un anno fa non si facevano scrupoli nel dichiarare che per finire nel loro mirino basta che qualcun altro esprima in casa propria un pensiero loro sgradito, oggi — dopo aver tranquillamente precisato che solo uno dei dodici inquisiti (sette dei quali arrestati) è ritenuto responsabile del principale reato specifico perseguito — finiscono il loro comunicato stampa con queste parole: «In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” [sic!] oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica».
Linguaggio chiaro e preciso, seppur legnoso, come ai vecchi tempi! Pare che in Italia non sia stato affatto Mussolini l’inventore degli arresti preventivi, i quali erano già stati attuati dal governo (del futuro antifascista) Nitti nel gennaio del 1920 alla vigilia di uno sciopero di ferrovieri. I trascinatori degli organismi di base furono prelevati dalla loro casa prima ancora che le agitazioni avessero inizio. Il regime totalitario fascista non fece altro che ripetere, estendere e consolidare questa prassi già in uso, mandando al confino o facendo arrestare teste calde non per qualcosa che avevano commesso, ma per ciò che avrebbero potuto commettere. Il regime totalitario democratico odierno, avendo già confinato in casa tutti i suoi sudditi col pretesto di un’epidemia, deve ricorrere al carcere per attuare questo medesimo intervento di rivendicata «strategica valenza preventiva»: quando il clima sociale è quello di una polveriera, chi mostra una certa passione per i fiammiferi deve essere neutralizzato. Non dopo, né durante, ma prima, possibilmente molto prima che divampi l’incendio. Colpire alcuni per avvisarne molti. Punto e basta, senza cavillose perdite di tempo o pedanterie giuridiche.
Avendo già fatto strage di ogni minima libertà individuale — e dei diritti costituzionali da tanti strombazzati — fra il plauso o la comprensione di quasi tutte le sue vittime, cosa volete che sia per il potere fare una retata negli ambienti sovversivi indirizzata a reprimere ciò che si è e non ciò che si è fatto? Chi volete che se ne accorga, a parte i compagni degli arrestati, diretti o trasversali che siano? Chi volete che se ne adiri, i cittadini ammutoliti dalla mascherina e accecati dal disinfettante?
Beh, per lo meno un pregio lo ha avuto la schiettezza esibita dagli inquirenti. Spiegando quali siano le loro motivazioni, hanno mostrato anche quali siano le loro preoccupazioni. Diciamo che le hanno fatte intuire, capire, intravvedere… Per conoscerle fino in fondo, bisognerà osservarle più da vicino, toccarle, illuminarle. Magari con un fiammifero.
 

Potrebbe colpire chiunque: agire diventa autodifesa

Solidarietà e cassa resistenza

Mercoledì 13 maggio l’operazione “Ritrovo”, coordinata dalla procura di Bologna, ha incriminato diverse persone tra Bologna, Firenze e Milano: 7 di loro sono state arrestate in custodia cautelare e senza processo, altre 4 hanno ricevuto misure cautelari alternative. Si tratta di compagne e compagni che, come noi, si oppongono a frontiere e CPR e credono che attraverso l’azione si possa creare un mondo solidale, senza più persone oppresse e sfruttate.

Al Tribolo, spazio bolognese preso di mira dall’operazione, ci siamo state anche noi e lì, come in tanti altri luoghi, abbiamo potuto conoscere compagne attive nella lotta ai CPR di altre città.

L’operazione repressiva che ha portato alle misure cautelari, condotta dal Ros (!) e dalla procura antiterrorismo di Bologna (!!) è atroce, di una franchezza inaudita e pericolosa per la libertà di tutte e tutti.

È atroce perché utilizza le leggi antiterrorismo per terrorizzare la società, criminalizzando chiunque tenti di reagire alle ingiustizie. Rappresenta il quinto tentativo in poco più di un anno di raggruppare sotto il pesantissimo 270bis CP (associazione con finalità di terrorismo o di eversione), ormai sventolato con una disinvoltura preoccupante, iniziative, manifestazioni, diffusioni di critiche e azioni. Portare solidarietà e supporto agli/le ultim* con costanza e determinazione è diventata ragione sufficiente per essere accusate di “terrorismo”: ormai viene accusat* chiunque porti avanti pratiche coerenti di pari passo con analisi di critica radicale dell’esistente.

Le compagne e i compagni, tra le altre cose, vengono accusat* “di contrastare anche mediante ricorso alla violenza le politiche in materia di immigrazione”, di mettere in atto azioni volte a “contrastare e impedire l’apertura dei Centri Permanenti [?] di Rimpatrio”: ma noi sappiamo bene che chi pratica davvero violenza e terrorismo è chi rinchiude le persone in strutture come i CPR, imprigionate per mesi in attesa della deportazione, ammassate in condizioni intollerabili, spesso picchiate, talvolta lasciate morire o ammazzate.

L’operazione è inoltre spudoratamente franca, tanto che nelle stesse carte compare la ragione dell’operazione: “l’intervento [..] assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato […]”. In breve, lo Stato rinchiude coloro che potrebbero partecipare attivamente ad atti di ribellione contro di esso.

E perciò diventa estremamente pericolosa per la libertà di tutte: se basta questo, ci chiediamo, chi saranno le prossime e i prossimi?

Approfittando del totalitarismo di fatto creato “per la nostra salute”, lo Stato di diritto si è tolto la mascherina democratica per attaccare apertamente i suoi oppositori politici; la famigerata libertà di espressione e di opposizione con la quale, fino a ieri, si è riempito la bocca, viene messa da parte senza fatica. Se non reagiamo, ciò che è successo ieri potrebbe rappresentare uno spaccato dei prossimi tempi; potrebbe risuccedere a chi deciderà di scendere in strada per opporsi alle ingiustizie, per non far pagare la crisi che verrà alle fasce più povere o per creare legami solidali.

Esprimiamo solidarietà e calore alle compagne e ai compagni, repress* per aver lottato senza delega e mediazioni contro le istituzioni e le strutture dello sfruttamento e dell’oppressione.

Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi liber* subito!!!

Stiamo raccogliendo in una cassa comune contributi da inviare per le spese legali cui dovranno far fronte le persone coinvolte in quest’ultima operazione: chiunque voglia e possa contribuire ci contatti sulla pagina facebook “no cpr e no frontiere – fvg”!

Assemblea no CPR no Frontiere

https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2020/05/15/potrebbe-colpire-chiunque-agire-diventa-autodifesa/

https://www.facebook.com/nocprfvg/photos/a.510550989419235/886889491785381/

Chi lotta non è mai solo

Alcuni slogan funzionano meglio di altri. Soprattutto quando racchiudono un indiscusso fondo di verità. A confermarlo le presenze sotto le carceri di Alessandria e Vigevano all’indomani dell’operazione “il Ritrovo” che ha portato all’arresto di 7 compagni/e e ad altre 5 misure cautelari.

Giovedì a Vigevano erano in tanti e tante a portare il loro saluto solidale a Stefania e tutti i detenuti e le detenute lì rinchiusi. Il giorno dopo lo stesso copione si è ripetuto ad Alessandria dove un nutrito gruppo di solidali si è recato sotto le mura del carcere di San Michele per far sentire il proprio calore a Leo e Zipeppe nonché ovviamente a tutti gli altri reclusi. In entrambe le occasioni la risposta dall’interno non si è fatta attendere e se le voci che hanno risposto ai cori e alle urla non erano quelle dei compagni e delle compagne poco importa. Anzi.

Proprio alla luce di questa ennesima operazione repressiva che nuovamente prova a minare le reti di solidarietà intorno a chi si ribella, ci sembra fondamentale continuare a dare supporto a tutti i detenuti e le detenute che in questi due mesi non hanno abbassato la testa e hanno mostrato cosa si è in grado di fare quando ci si organizza insieme.

Fuori non possiamo che provare a seguire il loro esempio.

Chi lotta non è mai solo

Bologna – Testo scritto da compagnx di Bologna sull’operazione ritrovo

Sull’operazione “ci riprovo”

Poco dopo le 2 di notte del 13 maggio 2020 scatta a Bologna l’ennesima operazione anti-Anarchica. Anche questa volta si contesta un’associazione sovversiva (art. 270bis).
In 7 finiscono in carcere per altr* 5 scattano l’obbigo di dimora a Bologna con rientro notturno; 4 di quest* hanno anche l’obbligo quotidiano di firma.
Lo spazio anarchico di documentazione “il Tribolo” e svariate case vengono perquisite da
200 tra Carabinieri e agenti del ROS.

L’inchiesta, firmata dal Pm Dambruoso, parte a seguito dell’incendio di un ripetitore di telecomunicazioni accompagnato dalla scritta “spegnere le antenne risvegliare le coscienze solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati” avvenuto sui colli bolognesi nel dicembre 2018, ma rimane abbandonata in un cassetto della procura dal luglio 2019 fino a maggio 2020.

Il perché ciò avvenga gli inquirenti lo ammettono senza pudore: in epoca in cui le carceri bruciano occorre che lo stato si sbarazzi di chi ha sempre manifestato il proprio appoggio ai detenuti in lotta. Non solo a parole. E occorre farlo perché coi tempi che verranno è meglio mettere le mani avanti. Arrestare preventivamente.

Così, per il d.a.p., le rivolte nelle carceri – in cui solamente in Italia, sono morti 14 detenuti- sono il frutto dell’ “istigazione anarco-insurrezionalista” o in alternativa “opera della mafia” ma non certo delle condizioni invivibili in cui versa chi è rinchiuso.

Per i carabinieri ed i loro “firma-carte”, le mobilitazioni che hanno portato parenti e solidali sotto le carceri durante il lockdown non sarebbero altro che una “strumentalizzazione anarchica volta a compiere reati”. L’esistenza di cuori decisi a frantumare la coltre d’indifferenza dietro cui, solo nel carcere bolognese della Dozza, 2 prigionieri sono morti di coronavirus è per un servo dello stato un opzione incontemplabile.

Non sono le ingiustizie e le disuguaglianze di una società basata sulla sopraffazione a generare lotte e ribellione, ma l’opera del prosiletismo di qualche blog.

Sotto accusa nell’operazione dei Ros sono apertamente le idee antiautoritarie, la difesa delle pratiche d’attacco, l’appoggio ai prigionieri anarchici, la non dissociazione dalla violenza rivoluzionaria, il partecipare a cortei, il redigere manifesti, lo stampare fogli murari, ma anche paradossalmente la volontà di evitare che un corteo di cui si è parte venga caricato, così come lo sbattersi a trovare una casa in cui dei compagni possano scontare gli arresti domiciliari,
il frequentarsi o l’abitare assieme.

Accertare le responsabilità indiviudali diventa per i carabinieri superfluo e lo dicono apertamente.
Partecipano a cortei in cui vengono danneggiati i bancomat di una banca che è proprietaria della struttura che avrebbe dovuto ospitare il cpr di Modena. Non è rilevante accertare se abbiano preso parte al danneggiamento, sono individui che avversano queste strutture ma c’è di più qualcuno avrebbe addiruttura detto di preferire l’azione diretta alla mera testimonianza e infatti acquistavano torce da stadio.

In questo accrocchio nel quale solo i carabinieri possono ritrovarsi, ci pare che ogni ragionamento logico sia fuoriluogo….
E’ chiaro, tuttavia, l’intento di colpire le lotte e la solidarietà. Non lasciarglielo fare sta a tutt* e a ciascuno.

COMPLICI E SOLIDALI CON ELENA, DUCCIO, NICOLE, ZIPEPPE, STEFI, GUIDO E LEO anarchic* e solidal*

 

Val di Noto – Comunicato di solidarietà

SOLIDARIETÁ ALLE ANARCHICHE E ANARCHICI VITTIME DELLA REPRESSIONE STATALE DENOMINATA OPERAZIONE “RITROVO” A BOLOGNA.
 
Esprimiamo la nostra piena solidarietà alle anarchiche e anarchici arrestati a Bologna nella notte tra il 12 ed il 13 Maggio 2020.
 
Lo Stato, il governo a guida PD -M5 Stelle e frattaglie di sinistra ed i carabinieri dei ROS , per propria ammissione hanno voluto colpire in maniera preventiva chi, nei loro occhi é un avversario politico del regime statale e che
 
…..”le misure cautelari si sono rese necessarie anche in un’ottica di “strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale campagna di lotta antistato”………
 
Tra le accuse, anche l’organizzazione di cortei e proteste contro i Centri di rimpatrio e in solidarietà con le rivolte in carcere.
 
Si reprimono dunque in primis reati di opinione, si fa il processo preventivo alle intenzioni o alla semplice partecipazione a discussioni politiche; il tutto viene condito per renderlo piu’ appetibile ai mass media con le note accuse di terrorismo ( terrorista è lo stato ) ed insurrezione armata contro lo stato, rispolverando gli articoli del codice penale di origine fascista elargiti a tutti i movimenti politici in Italia a partire dagli anni’70
 
LIBERTÀ SUBITO PER TUTTI E TUTTE!
Solidarietà e complicità sempre e comunque con chi lotta contro l’esistente, i suoi difensori e contro questo quieto vivere e questa alienante pacificazione sociale imposte a colpi di repressione, sgomberi, sorveglianza, controlli, sbirri, telecamere, carceri e oppressione quotidiana.
 
RIBELLI SEMPRE !
 
Sovversivi Val di Noto , 16 Maggio 2020
 
sovversivivaldinoto@libero.it
https://www.facebook.com/situazionisovversivevaldinoto/
https://sovversivivaldinoto.altervista.org/
 

Italia – Lettera di Mauro Rossetti Busa

riceviamo da chi ha ricevuto la lettera e pubblichiamo su richiesta di Mauro

Lettera di Mauro Rossetti Busa del 20 aprile dal carcere di Agrigento

….la mia aspirazione è sempre stata fondata sull’ideale sul “comunismo anarchico” soprattutto negli anni addietro dove sono sempre stato convinto che il vero nostro nemico è sempre stato il capitalismo anche se devo dire che il capitalismo non è mai stato l’unico nemico ma il suo affidabile stato.

Lo stato l’ho sempre considerato un’idea, un forte alleato del capitalismo dove allo stesso momento trae da esso le proprie forze. Fino a quando continuerà ad esserci/esistere il capitalismo e il suo alleato stato continueranno ad opprimere il proletariato, gli oppressi, i disoccupati, gli operati.

Per queste ragioni il “comunismo-anarchico” è anche un anarchismo rivoluzionario che dovrebbe portare azioni individuali e di conseguenza violenta perché a mio avviso sarebbero importanti e necessarie.

Le azioni compiute individualmente comprese quelle compiute dalla masse dovrebbero rafforzare attraverso la violenza con azioni individuali l’intero movimento e si cesserebbe di aspettare.

Devo anche dire che gli oppressi, disoccupati e operai continuando ad accettare di stare sottomessi non hanno sempre fatto altro che formare sempre più una classe distinta e nemica.

….anche se non posso nascondere che sono sempre stato favorevole a ricorrere alla violenza….lotta armata.

Forse miei cari compagni molti di voi non condivideranno questo mio contestuale pensiero ideologico politico, mi riferisco a quanto ho espresso sulla lotta armata.

Il corso degli anni mi ha portato a credere con pieno convincimento che attuare/ricorrere alla lotta armata è l’unico modo per contrastare il capitalismo e il suo alleato…stato.

Vi ringrazio delle vostre attenzioni e della vostra solidarietà politicamente abbracciando tutti-e quei compagni-e che mi hanno conosciuto di persona e chi mi ha conosciuto per corrispondenza.

Questo non vuol dire addio al mio passato presente e futuro, è per comunicarvi che ho intrapreso un altro percorso, quello del “comunismo anarchico” e che l’anarchia in generale è sempre stata rivoluzionaria e ha sempre praticato la lotta armata fino dagli anni della sua nascita.

Mi scuso con tutti-e voi di questo mio silenzio che non è dovuto a me ma alla censura.

Carcere di Agrigento

20-04-2020

Rossetti Busa Mauro

Allargo i miei saluti ai miei amici compagni in regime AS2 a Terni.

https://roundrobin.info/2020/05/lettera-di-mauro-rossetti-busa/