USA – Un ragazzo è morto a Detroit negli scontri per George Floyd

Un morto e una quarantina di arresti, è il primo bilancio di una notte di scontri a Detroit per il caso George Floyd,  l’afroamericano morto lunedì scorso a 46 anni sotto il ginocchio dell’agente Derek Chavin. Il capo della polizia, James Craig, ha confermato al Detroit News l’uccisione di un ragazzo di 19 anni ucciso vicino a un grande raduno di manifestanti a Cadillac Square.

Le proteste negli Stati Uniti contro la morte di George Floyd, ucciso durante l’arresto a Minneapolis, sono divampate come un violento incendio contro ogni istituzione. 

Qualcuno in una Dodge Durango grigia ha sparato in mezzo alla folla, colpendo il diciannovenne, secondo la polizia. L’assassino è fuggito dalla scena del crimine; la vittima è stata trasportata all’ospedale, dove è stata dichiarata morta. La polizia ha detto che le circostanze della sparatoria sono sotto inchiesta.​ La sparatoria è avvenuta mentre un reporter di Detroit News stava facendo un video della protesta in diretta su Facebook. Nel video si sentono gli spari, che spingono le persone a scappare dalla zona, mentre altri chiamano la polizia per chiedere aiuto.
“E’ iniziata in modo pacifico e la stragrande maggioranza dei manifestanti è venuta qui con le migliori intenzioni e li applaudo per aver voluto farsi sentire”, ha detto Craig in un’intervista telefonica al Detroit News. “Ma la situazione è stata aggravata da un piccolo gruppo”.

La situazione si è fatta tesa quando gli agenti vicino a Randolph e al Congresso si sono messi in fila mentre i manifestanti si avvicinavano, a braccia alzate, gridando “mani in alto, non sparate”. Gli agenti durante quello che sembrava essere un faccia a faccia hanno fatto indietreggiare la fila. I manifestanti hanno lanciato bottiglie mentre altri si sporgevano dai piani superiori di un parcheggio. La polizia ha lanciato i gas lacrimogeni sui manifestanti.

Il Pentagono allerta la polizia militare

L’arresto del poliziotto che soffocò Floyd durante l’arresto, non ha, dunque, placato le tensioni. E il Pentagono, con un raro passo, mette in allerta la polizia militare per andare a Minneapolis. I soldati di Fort Bragg in North Carolina e Fort Drum a New York, due delle basi più importanti del corpo della Polizia Militare dell’esercito americano, hanno ricevuto l’ordine di essere pronti a partire entro quattro ore, se chiamati. Ai soldati di Fort Carson, in Colorado, e di Fort Riley, in Kansas, è stato detto di essere pronti entro 24 ore. Lo hanno rivelato ad Ap fonti protette dall’anonimato.

I precedenti

Si chiama Insurrection Act la legge, del 1807, che consente di impiegare l’esercito sul suolo americano per motivi di ordine pubblico. Un passo raro ma non inedito. L’ultima volta che i militari furono schierati per sedare le proteste fu nel 1992, in California, contro i manifestanti per il caso Rodney King.

King era un tassista nero di 27 anni, picchiato dalla polizia di Los Angeles nel 1991. Quattro agenti finirono sotto processo e furono assolti il 29 aprile 1992. La sentenza innescò la “rivolta di Los Angeles”: cinque giornate di scontri che si conclusero il 3 maggio. Rodney King è morto 20 anni dopo, a 47 anni, nel 2012: fu trovato annegato sul fondo di una piscina. La morte fu archiviata come fatto accidentale.

Spari contro le forze dell’ordine a Minneapolis

Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Minnesota scrive su Twitter che sono stati sparati dei colpi contro le forze dell’ordine vicino al 5 distretto di Minneapolis. Nel post, la polizia precisa che nessun agente e’ stato ferito. “Lasciate la zona o sarete arrestati”, ha detto il tweet. ​

Gli altri tre poliziotti coinvolti nella vicenda di Floyd non sono stati ancora arrestati ma sono sotto indagine. Dalle testimonianze locali, in particolare quella del vice presidente del consiglio comunale, Andrea Jenkins, è emerso che Floyd e Chauvin, si conoscevano molto bene perché avevano lavorato insieme per diversi anni nella sicurezza di un night club. 

Il governatore del Minnesota: “Situazione incredibilmente pericolosa”

La situazione a Minneapolis rimane “incredibilmente pericolosa”, mentre le proteste continuano in città, ha detto il governatore del Minnesota Tim Walz in una conferenza stampa poco dopo le 1 di notte ora locale. Varie polizie stanno rispondendo ai disordini in tutta la città, dopo che un certo numero di manifestanti ha ignorato il coprifuoco fissato dal governo dello stato alle 20.00.

“Questo è il più grande dispiegamento civile nella storia del Minnesota”, ha detto Walz. Secondo il governatore, gli agenti non possono arrestare le persone solo perche’ sono in strada. “Questa è un’operazione che non è mai stata fatta in Minnesota”, ha aggiunto Walz.

Poi, l’appello su Twitter: “Cittadini del Minnesota, vi prego tornate a casa”. “È il momento di riportare la pace nelle nostre strade e nei nostri quartieri. La situazione è diventata pericolosa per i cittadini e per le forze di primo intervento”.

Cosa dice l’autopsia su Floyd

L’autopsia su George Floyd ha accertato che “non ci sono elementi fisici che supportano una diagnosi di asfissia traumatica o di strangolamento”. Secondo il referto, riportato dai media americani, “gli effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia, delle sue patologie pregresse e di qualche potenziale sostanza intossicante nel suo corpo hanno probabilmente contribuito alla sua morte”.
Ma la famiglia di Floyd, morto dopo che un agente bianco gli ha tenuto un ginocchio sul collo per 8 minuti e 53 secondi mentre era a terra, vuole una autopsia indipendente, spiega l’avvocato dei Floyd, secondo il quale i familiari della vittima non si fidano delle autorità di Minneapolis.

Le parole di Trump​

L’attenzione resta alle stelle anche a causa di alcuni precedenti tweet del presidente, Donald Trump, che dopo aver promesso giustizia per la vittima, ha usato parole di fuoco contro quelli che ha definito i “criminali” che hanno commesso atti vandalici e saccheggi e ha minacciato l’uso della forza.

Casa Bianca in lockdown

Intanto le agitazioni hanno costretto la Casa Bianca al lockdown. I servizi segreti, per sicurezza, hanno deciso di chiudere la residenza presidenziale Usa anche alla stampa dotata di ‘hard pass’.

Stato d’emergenza in Georgia, mentre in tre città del Minnesota è stato imposto il coprifuoco. ​Bloccata dai manifestanti la Freeway 101 di Los Angeles, una delle principali arterie della città. La polizia di Los Angeles ha invitato, anche vi Twitter, i residenti e chi lavora in zona ad andarsene: “Abbiamo dichiarato illegale il raduno in tutto il centro di Los Angeles. Dala Freeway 10 alla 101 e dalla 110 fino ad Alameda. 

Nella capitale americana i manifestanti hanno sfilato pacificamente sulla 14esima strada, vicino alla Casa Bianca, mentre a New York si sono radunati davanti al Barclays Center di Brooklyn. 

Casa Bianca vs Minneapolis

Poche ore dopo la notizia che il commissariato numero tre a Minneapolis era stato dato alle fiamme ed evacuato “per la sicurezza del personale”, Trump se l’era presa con il sindaco “di estrema sinistra”, Frey, accusandolo di “debolezza” e avvertendolo di “riportare la situazione sotto controllo” altrimenti invierà la Guardia nazionale.

A stretto giro è arrivata la risposta del primo cittadino, che in precedenza aveva definito a sfondo razziale l’omicidio Floyd. Ribadendo di essere deciso a “non tollerare” il proseguimento di atti vandalici, Frey ha respinto al mittente le accuse di carenza di leadership: “Debolezza è puntare il dito contro qualcun altro in un momento di crisi. Donald Trump non sa nulla della forza di Minneapolis, supereremo questo momento difficile”.

Ma a scatenare la polemica e anche la decisa reazione di Twitter sono state altre affermazioni contenute nel cinguettio di Trump. “Questi criminali stanno disonorando la memoria di George Floyd”, ha scritto il capo della Casa Bianca, esprimendo anche il pieno appoggio dell’esercito al governatore del Minnesota, Tim Walz, il quale ha firmato l’ordine con cui attiva l’intervento della Guardia nazionale. “Quando iniziano i saccheggi, si inizia anche a sparare”, ha concluso Trump, di fatto ventilando l’uso della forza contro i manifestanti responsabili degli atti vandalici.

Questa sua ultima esternazione gli è costata una nuova ‘segnalazione’ da parte di Twitter. Il social network guidato da Jack Dorsey ha marcato il post del presidente, oscurandolo parzialmente, perché ritenuto contrario alle regole di utilizzo del social network e un’incitazione alla violenza.

Il tweet non è stato oscurato del tutto, “poiché potrebbe essere di pubblico interesse”, ma la mossa di Twitter è destinata a rinfocolare lo scontro già acceso con la Casa Bianca. Trump ha poi precisato, sempre su Twitter, che ha parlato di un fatto, non di un’affermazione con il desiderio che accada.

https://www.agi.it/estero/news/2020-05-30/usa-morto-detroit-scontri-george-floyd-pentagono-8767821/

Dalla California a Washington DC, la lunga notte di rabbia

Dalla California a Washington DC: le proteste negli Stati Uniti contro la morte di George Floyd, ucciso durante l’arresto a Minneapolis, sono divampate come un violento incendio contro ogni istituzione. A nulla è servito il coprifuoco notturno per il tutto il weekend imposto a Minneapolis e in altre due citta’ del Missouri, St. Paul e Roseville. Il bilancio piu’ pesante è quello registrato a Detroit, nel Michigan, dove è un 19enne è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco sparati da un’auto in corsa contro i manifestanti. Di seguito una cronologia dei fatti della notte violenta negli Usa.

Il Pentagono è pronto a inviare la polizia militare. L’arresto del poliziotto, accusato di omicidio preterintenzionale per la morte dell’afroamericano, non placa le tensioni. Proteste in diverse città. Stato d’emergenza in Georgia

ORE 20 (LE 2 IN ITALIA): PROTESTE A WASHINGTON, CASA BIANCA IN LOCKDOWN Nella capitale americana i manifestanti hanno sfilato sulla 14esima strada, vicino alla Casa Bianca. I servizi segreti, per sicurezza, hanno deciso di chiudere la residenza presidenziale Usa anche alla stampa dotata di ‘hard pass’.

ORE 20 (LE 3 IN ITALIA): SCATTA IL COPRIFUOCO A MINNEAPOLIS Il provvedimento non è stato minimamente considerato dagli abitanti della citta’ che in migliaia si sono riversati nelle strade. Oltre 350 agenti sono intervenuti nel quinto distretto con proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere la folla. Sono state issate della barricate per tagliare fuori la polizia. Sono decine le persone arrestate. 

ORE 21 (LE 4 IN ITALIA): SCONTRO A LOS ANGELES, 2 AGENTI FERITI Centinaia di persone si radunano illegalmente nel centro della citta’, dall’autostrada 10 all’autostrada 101 e 110 fino ad Alameda. Interviene la polizia per gli arresti. Almeno due agenti vengono feriti negli scontri.

ORE 22 (LE 5 IN ITALIA): CIRCONDATA CENTRALE POLIZIA DI DALLAS La centrale di polizia viene circondata dai manifestanti, bloccati all’esterno degli agenti che hanno blindato tutta l’area. Alcuni manifestanti hanno lanciato mattoni contro le forze dell’ordine. Un agente è rimasto ferito.

ORE 23 (LE 6 IN ITALIA): GEORGIA ATTIVA 500 MEMBRI GUARDIA NAZIONALE Sono entrati in azione per proteggere le proprieta’ e le persone dalle proteste violente dei manifestanti, ha annunciato il governatore Brian Kemp che ha dichiarato lo stato di emergenza per la contea di Fulton.

ORE 23 (LE 6 IN ITALIA): ARRESTI A LAS VEGAS Decine di persone si sono radunate sulla famosa Strip di Las Vegas con cartelli e striscioni. La polizia ne ha fermati alcuni per violazione della legge.

ORE 24 (LE 7 IN ITALIA): SPARI CONTRO POLIZIA A MINNEAPOLIS Il dipartimento di Sicurezza denuncia colpi d’arma da fuoco contro gli agenti in azione al Quinto distretto. Nessun ferito.

ORE 1 (LE 8 IN ITALIA): DISORDINI E SACCHEGGI NEL CENTRO DI ATLANTA I manifestanti si sono diretti a nord verso il Lenox Square Mall, nella comunita’ di Buckhead. Lenox è considerata una delle principali destinazioni per lo shopping nel sud-est degli Stati Uniti, con marchi come Prada, Louis Vuitton e Cartier.

ORE 2 (LE 8 IN ITALIA): UN MORTO E QUARANTA ARRESTI A DETROIT Il capo della polizia, James Craig, ha confermato al Detroit News l’uccisione di un ragazzo di 19 anni morto vicino a un grande raduno di manifestanti a Cadillac Square. Gli spari contro la folla sono partiti da un’auto in corsa.

https://www.agi.it/estero/news/2020-05-30/usa-cronologia-notte-rabbia-floyd-8768493/

Cremona – Vandali alla sede della Lega solidali con le rivolte a Minneapolis

Ennesimo attacco vandalico alla sede della Lega Nord di Cremona. Ignoti malviventi si sono infatti scatenati nella notte tra venerdì e sabato, quando hanno prima lanciato un sasso contro il vetro di una finestra, mandandolo in frantumi, quindi si sono sfogati con una bomboletta di vernice nera, lasciando sui muri le solite scritte, come “razzisti e guardie a assassini”,  ”colpire i razzisti o alle frontiere”, “Per Emilio e Maurizio”. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri di Cremona, allertati dai residenti che hanno sentito il frastuono, ma i vandali si erano già dileguati. Sono in corso le indagini da parte dei Carabinieri per cercare di identificare gli autori dell’azione, anche grazie all’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza della zona.

Ennesimo raid vandalico alla sede della Lega: sasso in un vetro e scritte sui muri

Genova – Solidarietà sotto le mura di Marassi

La sera del 28 Maggio abbiamo portato un saluto solidale sotto le mura del carcere di Marassi ( Genova) per Edo, Elena, Duccio, Giuseppe, Stefania, Leo e Nicola, arrestati la notte del 13 Maggio nell’operazione Ritrovo.

E ai detenuti del carcere stesso, costretti loro malgrado a dover convivere reclusi con l’emergenza COVID.
 
La risposta dall’interno non si è fatta attendere, dapprima con urla e poi con battiture.
 
Per un mondo senza prigioni
 
Liberi tutti, fuoco alle galere

Che la violenza cambi di campo

Sembra che l’ ennesimo omicidio operato dalle forze dell’ ordine negli USA abbia destato una rabbia che, forse complice anche la RE-pressione pandemica,  si è riversata nelle strade e si è infranta assetata di vendetta contro polizia, negozi e fast food. Anche la blindata e sorvegliatissima america non sembra esente dalle “tensioni sociali” di cui in italia ha tanto paura la cosidetta “ministra” Lamorgese.

Tre giorni di rivolta e manifestazioni in molte città. A minneapolis ci sono stati attacchi a concessionarie, espropri a supermercati, fast food e scontri con gli sbirri. Il fuoco illumina le notti cittadine e culmina con l’ attacco a una stazione di polizia, che viene saccheggiata e data alle fiamme dalla irata teppaglia.

Il cosidetto “presidente” Trump minaccia di mandare l’ esercito e di far sparare sulla folla. Quindi? questo farà smorzare la rivolta e quietare gli animi oppure contribuirà ad estenderla e affilarla di più, come la lama mortale sotto le mani del laborioso arrotino?

Intanto alcuni giornali si chiedono che fine avranno fatto le armi e gli esplosivi detenuti nel commissariato dopo che la sbirraglia se la dava a gambe dal tetto e i “criminali” saccheggiavano i locali…Forse saranno veline o scoops giornalitici, ma chissà mai che non sia il solo Trump a volersi preparare per lo scontro…

Mentre da qualche parte nel mondo il cocktail di paura, paranoia, violenza e ultra-contollo tecnologico dettato da Covid e compagnia bella sta dando vita ad uno scoppio della dinamite sociale verso i mittenti della violenza strutturata e del sadismo istituzionalizzato, come al solito nel belpaese e in generale nell’ europa unita pare non muoversi una foglia, la violenza arriva sempre a senso unico da stato, polizia e antiterrorismo che si divertono a imbastire operazioni repressive industriose verso chi non attende e si ribella e a dettare legge su tutti gli altri. Le morti e torture nelle carceri e nei lager non sembrano nemmeno aver indignato la brava, vera cittadinanza democratica. Bisognerà aspettare che le merde in divisa ammazzino per strada anche qui per valutare la “legittimità” di un insurrezione? O forse nemmeno allora?

Speriamo che le amanti del fuoco e gli individui a cui bastano sé stessi per rivoltarsi, illuminino sempre le notti e portino avanti fieramente anche da sole la loro guerra. Per adesso…

La violenza rigenera se stessa nelle mani di chi domina e si ripercuote sempre contro chi passivamente non reagisce e zitto subisce.

Senza reagire ci si ritroverà sempre in posizione subalterna e dominata, in una vita ridotta all’ osso.

Armarsi, esplodere, reagire a cosa può portare?

Alla retorica della “violenza genera violenza”?

Alla repressione sempre più dura e all’ esercito che spara sulla folla?

…Ma davvero vale la pena di domandarselo ancora e non  conviene piuttosto tuffarsi nell’ oblio dell’ incerto e dell’ indeterminato?

Certamente chi in queste ore stà oltreoceano a battersi per le strade e a goire della rivolta ha di meglio a cui pensare che le pippe impaurite dei timorosi razionalisti.

Che la violenza cambi di campo

Che la violenza cambi di campo

Chiaro messaggio: voglio respirare!

Questa è un’immagine delle rivolte che si stanno scatenando a Minneapolis, dopo l’uccisione di un ragazzo afroamericano da parte delle solite merde della polizia. Commissariati date alle fiamme, supermercati saccheggiati, banche attaccate, scontri con la polizia e strade occupate. Il messaggio è chiaro: per rompere con razzismo e autorità bisogna prendersela con il mondo che le genera.

Poi se il fiume in piena inizia a scorrere in altre città come a Los Angeles, Memphis, Louisville, Denver e New York, allora la rivolta inizia ad avere un respiro più lungo e più per pericoloso per chi comanda. George Floyd non respirava sotto il ginocchio di uno sgherro del potere. Da alcuni ghetti, e non solo, suona forte chiaro un urlo di rivolta nell’epoca del virus: respirare significa tentare di liberarsi da chi ci costringe a vivere una vita con quel ginocchio puntato sul collo ogni giorno, per farla finita con qualsiasi autorità che soffoca ogni nostro desiderio.

Chiaro messaggio: voglio respirare!

Argenteuil e Montigny-lès-Cormeilles (Nord di Parigi) – Attaccata la polizia, due sbirri feriti

In seguito all’uccisione di un ragazzo sono più giorni che si verificano degli attacchi contro la polizia. Dopo le prime notti nelle quali sono state attaccate le guardie, ieri notte è stata attaccata una stazione di polizia. Un gruppo di persone verso le tre di notte ha cercato di entrare da una finestra, probabilmente per incendiare la stazione. Le guardie presenti all’interno si sono allora opposte divenendo i nuovi bersagli. Uno è stato ferito alla testa, l’altro alla mandibola.

A Montigny-lès-Cormeille, sempre in risposta all’assassinio, sette telecamere sono state distrutte e vari oggetti sono stati lanciati contro la stazione della polizia locale, contro quella della polizia nazionale e contro il municipio.

Minneapolis (USA) – Incendiata stazione di polizia, scontri e saccheggi

A Minneapolis le proteste per l’ennesimo assasinio razzista da parte della polizia hanno superato la prima giornata. Ad oggi, 29 maggio, sono migliaia le persone scese in strada. Sono stati saccheggiati diversi negozi, incendiato un complesso di appartamenti da 30 milioni di dollari e nella notte appena trascorsa una stazione di polizia è stata circondata da miglia di arrabbiati . La stazione è quindi stata abbandonata perché le guardie, visto lo stato d’assedio nel quale si trovavano, non potevano garantire la difesa della stazione come della propria vita. A quel punto, qualche amante del fuoco, è entrato nella stazione appiccando diversi incendi nell’euforia generale.

Le proteste si sono estese a Memphis e Los Angeles come in molte altre parti degli Stati Uniti, tra cui New York dove sono state arrestate 70 persone.

È stato dichiarato lo stato di emergenza, cinquecento soldati sono stati mobilitati, molti negozi -probabilmente la maggior parte- sono stati barricati e ameno una troupe televisive è stata arrestata perché il governo statunitense non gradisce la diffusione delle immagini dei rivoltosi. Mentre Trump afferma che si deve sparare sui saccheggiatori e che l’esercito è pronto a prendere in mano la situazione, pare che alcuni suprematisti bianchi abbiano lanciato delle molotov sulla folla. Comunque troppo poco per placare la rabbia che sta esplodendo in tutti gli Stati Uniti.

Quì un articolo più esaustivo.

Quì trovate qualche video.

 

Immuni e DiAry: perché le App per il tracciamento non sono la soluzione ma un ulteriore problema

Immuni e DiAry: perché le App per il tracciamento non sono la soluzione ma un ulteriore problema

Di Redazione rivista Malamente

“Fase 2. È ora di usare Digital Arianna!”, recita il 18 maggio lo spot dell’applicazione dell’Università di Urbino per il contenimento del contagio da Covid-19.

Digital Arianna, per gli amici DiAry, disponibile da metà aprile negli store Android e iOS, è l’App sviluppata all’interno dell’università urbinate, dalla start-up Digit in un progetto coordinato dalla cattedra di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni. Un bel vantaggio essere arrivati prima della tanto annunciata App governativa Immuni, con la quale, assicurano, non c’è concorrenza, ma una prevedibile integrazione.

I due sistemi lavorano su principi diversi: mentre Immuni utilizzerà la tecnologia Bluetooh, DiAry punta sulla geolocalizzazione: “due strategie diverse ma che possono interfacciarsi per diventare complementari” in vista di una finalità comune, ovvero monitorare e tenere traccia degli spostamenti e dei contatti quotidiani di ogni individuo, cosicché in caso di positività al Covid-19 sia possibile risalire ai luoghi e alle persone frequentati durante il periodo di incubazione. In poche parole, Immuni rileva e registra ogni contatto ravvicinato tra cellulari di persone diverse, Diary mantiene memoria dei luoghi in cui ogni giorno sostiamo: il bar, l’ufficio, il negozio, la casa della zia o dell’amante.

Quando una persona risulta positiva, le autorità sanitarie tramite App lanciano un alert che raggiunge i telefoni di chi è entrato in contatto con l’infetto nei giorni e nelle settimane precedenti, in modo da allertarlo e possibilmente metterlo in quarantena.

Tutto molto bello e funzionale, a prima vista.

In realtà, nell’attesa indefinita che questo virus scompaia da solo o che un vaccino lo debelli come un colpo di bacchetta magica (con quale sicurezza e a quale prezzo non è dato sapere), ci si trova totalmente impreparati ad affrontare la situazione e non avendo altre strategie da mettere in campo per proteggere la popolazione, governanti e scienziati giocano la carta techno-friendly dell’App

Una misura prima di tutto psicologica. Innanzitutto serve a dare l’impressione che chi ci governa stia facendo “qualcosa”, che questo qualcosa si riveli del tutto inutile se non controproducente non importa, purché passi il messaggio che una tecnologia salvifica è al nostro servizio; in secondo luogo, il lancio di queste App va incontro alla spasmodica ricerca di “sicurezza”, inculcata nel profondo di tutti e tutte dal terrore sparso a piene mani in questi mesi (senza voler negare che è bene mantenere un livello di coscienzioso timore della pandemia).

Insomma, non si vede un piano di potenziamento della rete sanitaria territoriale, non ci sono massicci investimenti in tamponi, né un programma di distribuzione capillare di mascherine e guanti (tra l’altro, è troppo chiedere investimenti per utilizzare materiali meno inquinanti di quelli attuali?): si spera che la doppia App da una parte risollevi la reputazione di una politica sanitaria catastrofica, dall’altro porti un po’ di lustro a un’Università di provincia.

Inoltre, non si capisce bene quale distanza e quale durata del contatto con un positivo vengano considerate potenziale pericolo, come sia valutato il contesto ambientale in cui si svolge l’incontro, come sia possibile tenere in considerazione i diversi livelli di protezione individuale adottati e l’eventuale presenza di barriere di vetro o plexiglass. Senza contare il margine di errore dello strumento; sul sito di DiAry si legge testualmente: “commette errori di posizionamento dell’ordine di 5 metri, ma all’interno degli edifici o in strade molto strette è meno accurato”… non sembra proprio una garanzia di affidabilità!

Soprattutto, queste App trasformano la prossimità in allarme, mentre non è affatto scontato che la vicinanza con un malato comporti l’ammalarsi. Sarà solo la diagnosi a dare la necessaria certezza della positività, ma nel frattempo, visto che i test vengono centellinati con esasperante parsimonia, quando lo schermo si colora di rosso per l’arrivo dell’alert, ci si ritrova pieni d’ansia nel limbo e nelle restrizioni del “probabilmente ammalato”. Quello che è davvero probabile, è la valanga di falsi allarmi che travolgerà gli utilizzatori dell’applicazione.

Se vi siete già posti la questione privacy la risposta è: non preoccupatevi!” [fonte]. Le pubblicità di queste App promettono in tutte le lingue che i dati e le informazioni raccolti saranno nella sola e piena disponibilità dell’utente che li ha prodotti e non verranno diffusi per uso esterno all’App se non in forma volontaria e come dati statistici nel completo anonimato. Vogliamo credere che sia così – anche se gli unici dati realmente a prova di divulgazione sono quelli che non esistono – ma è evidente che non c’è bisogno di essere sotto dittatura perché il sapersi costantemente tracciati finisca per essere una fonte di conformismo e sottomissione (chi si unirà alla protesta di piazza con l’App di tracciamento attiva?).

E poi, una volta ricevuto l’alert da DiAry sul focolaio epidemico trovato in un certo luogo, dove siamo stati un certo giorno, non è forse normale che chiunque cerchi di ricordarsi la circostanza. Chi c’era? Chi era il malato? Forse Tizio… e infatti non lo vedo da tre giorni, deve essere sicuramente lui! Adesso lo scrivo nel gruppo whatsapp… Evidente è il rischio di stigmatizzazione sociale per i positivi, o per chi è identificato, magari erroneamente, come l’untore di turno. Non solo: ci sono situazioni in cui l’anonimizzazione tanto sbandierata dai promotori di queste App è semplicemente falsa, con tanti saluti alla privacy sulle condizioni di salute difesa a spada tratta fino a ieri.

Facciamo qualche esempio con Immuni e il suo sistema Bluetooth:

– Il Sig. Rossi è talmente preso male dalla pandemia che esce solo per andare al piccolo negozio di alimentari del quartiere: se la sua App lo allerta, il malato è senza dubbio il negoziante.

– Il Sig. Bianchi vuole sapere se c’è un ammalato nel suo condominio: prende il suo vecchio smartphone, ci installa l’App e lo infila nella cassetta della posta: se arriva l’alert, qualcuno del palazzo è sicuramente positivo, facile capire chi sia.

– Un’azienda vuole assumere una persona tramite colloquio di lavoro ma si vuole assicurare che non si ammali nel periodo tra il colloquio e la firma del contratto. I tre candidati entrano uno alla volta, l’esaminatore ha sul tavolo tre telefoni con l’App installata e li accende a turno, uno per ogni candidato. Se nelle settimane successive uno dei tre telefoni riceve l’alert si saprà chi è il candidato da non assumere.

– Il sig. Paparazzo vuole avere informazioni sullo stato di salute dell’attore Caio. Si mette d’accordo con un qualunque ragazzo che lavora alla produzione del film di Caio per avvicinare uno smartphone a quello dell’attore. Poi lo smartphone resta sempre nell’ufficio di Paparazzo: se si accende è pronto lo scoop sulla malattia di Caio.

Gli esempi potrebbero continuare a decine. Questi li abbiamo ripresi da www.risques-tracage.fr. In ogni caso, ci rassicurano, l’installazione dell’App non è obbligatoria. Per ora. Ma non è un esercizio di fantascienza pensare che una volta messa in campo potrebbe diventarlo, se non per forza di legge per lo meno subdolamente: averla sul proprio telefonino potrebbe essere la discriminante per accedere a certi luoghi, o per salire su un treno, oppure certi datori di lavoro potrebbero consigliarla così caldamente ai propri dipendenti da non lasciare loro scelta. Chi si rifiutasse di installarla verrebbe automaticamente posto fuori dal consorzio sociale e sospettato delle peggiori cose. L’App diventa in questo modo un certificato di immunità, pur non essendoci nessuna relazione valida e provata tra l’avercela installata sullo smartphone e la propria non contagiosità. Si chiama falsa percezione di sicurezza e il suo risultato è esattamente l’opposto del contenimento del contagio.

Infine, ma non ultimo, la diffusione di queste App e quindi la convivenza con il tracciamento costante dei propri spostamenti – sotto il costante inganno del “tanto non ho niente da nascondere”, anzi “lo fanno per il nostro bene” – apre la strada all’accettazione sociale di altre tecnologie del controllo che fino ad ora erano state malviste dalla maggior parte delle persone dotate di buon senso, come le telecamere capaci di riconoscimento facciale negli spazi pubblici (dando un bel colpo di spugna a tutte le problematiche relative al possibile abuso dei dati biometrici) o l’utilizzo dei droni per la sorveglianza.

C’è anche un altro piccolo dettaglio, talmente ridicolo che ci limitiamo ad accennarlo. A DiAry è legato un sistema di accumulo punti WOM, estrema storpiatura dell’idea di “moneta sociale”, in realtà molto più vicina a una pericolosa gamification (cioè l’introduzione di elementi tipici del gioco, come i punti, i livelli, la classifica, in un contesto sociale non ludico), dove il punteggio è facile che diventi reputazione. In pratica, tanto più tempo l’App è attiva sul proprio telefono, e tanto più tempo il sistema di localizzazione rileva che sei fermo nella tua abitazione, tanti più punti accumuli. Usare l’App e stare a casa sono cioè azioni ritenute socialmente positive che danno diritto a un credito spendibile in esercizi commerciali che, un po’ come per la lotteria della scuola di fine anno, mettono a disposizione beni, servizi e sconti.

Secondo noi, abbiamo bisogno di diagnosi e di cure, di una strategia non demenziale di distanziamento sociale (del tipo fabbriche di mobili aperte e sentieri del bosco vietati) e probabilmente anche di buone tecniche di indagine epidemiologica per circoscrivere l’epidemia, senza confidare nelle dubbie capacità dell’ultimo ritrovato tecnologico. Abbiamo bisogno che le informazioni sulla salute non finiscano in mano ai datori di lavoro, ai vicini, alla polizia. Abbiamo bisogno di responsabilità individuale e di una riflessione collettiva sulla gestione della salute, di prenderci cura gli uni degli altri, di accesso ai servizi di base per tutti/e, di fare rete con la propria comunità, di autonomia nella gestione materiale della propria vita: tutti aspetti che richiedono un cambio di rotta che non va nella direzione di stingersi sempre più in simbiosi con il proprio smartphone, fino al punto che tanto varrà farselo impiantare sottopelle.

Link utili

dall’estero

Immuni e DiAry: perché le App per il tracciamento non sono la soluzione ma un ulteriore problema

Da Bologna ricomincia il ritorno alla “normalità”?

La “Fase 2” vera è propria è cominciata. Finalmente dopo mesi di clausura, controlli, caccia all’untore, infami alle finestre (con accanto il tricolore), ci si può muovere senza più autocertificare niente.
Insomma, per i più ottimisti, siamo ad un passo dal “ritorno alla normalità”!
Ma la vera domanda è: – ma ci torneremo davvero alla normalità preCovid? Perché, oltre al fatto che già quella aveva parecchi aspetti inquietanti, la “normalità” di prima sarà aumentata da droni, controlli, smart-working, app, delatori, guerra fra poveri e tutto il resto, che la gestione dell’emergenza Covid lascerà in eredità.
In questi giorni ne abbiamo avuto il primo assaggio: l’operazione dei ROS di Bologna che ha portato in carcere 7 compagni e compagne, oltre ad altri/e 5 con obbligo di dimora e firme giornaliere. La motivazione degli arresti è la classica, 270 bis, reato associativo schifoso usato da decenni per appioppare anni di galera. L’unica vera differenza, forse proprio dovuta al fatto di vivere nel “Post-Covid”, è l’arroganza del palesare le motivazioni da parte dei ROS con questa dichiarazione: “L’intervento della magistratura e dei Carabinieri assume una strategica valenza preventiva per evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla pandemia per il Coronavirus, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del programma criminoso di matrice anarchica.”
Leggendo queste parole si evince come alle Forze dell’Ordine non serva più nemmeno nascondersi dietro al dito della democrazia, possono benissimo palesare arresti preventivi, basati sulle idee (cosiddetti reati d’opinione) come in una qualsiasi dittatura. E tutto questo col plauso dei benpensanti cittadini dal cervello svuotato da tanto internet e tv, rinchiusi in casa senza parlare “realmente” con nessuno per mesi.
Certo, queste cose succedevano anche nel Pre-Covid, ma la sfrontatezza del potere è cambiata di molto.
Le motivazioni che portavano a vedere la democrazia come forma di potere non così diversa dalla dittatura, bensì complementare ad essa, sono ancor più sotto gli occhi di tutti. Infatti, dalla democrazia parlamentare alla dittatura dei camici bianchi il passo è stato davvero rapido!
La vera sfida da affrontare, come anarchic* e rivoluzionar*, sarà proprio quella di dover combattere lo stesso schifo di sistema Pre-Covid con tutti i mezzi tecnologici che sono stati sperimentati durante l’emergenza Covid (d’altronde erano anni che venivano scritti manifesti, fatte azioni, contro 5g, tecnologie varie, robotizzazione dell’esistente, droni e controllo). Anche se ce l’eravamo immaginato, forse ai più sembrava pura fantasia. Ora come ora, il fatto che questo sia realtà è sempre più palese: quindi non sarebbe male che per una volta i timori degli sbirri si avverassero!
Il fatto che la notte dopo gli arresti alcune centraline internet a Rovereto siano state danneggiate lasciando senza rete migliaia di persone ci mostra già un punto di partenza: l’attacco!
Tornando ai compagni e alle compagne arrestati/e a Bologna, non possiamo che esprimere la nostra più profonda solidarietà e vicinanza. Riprendendo un motto letto su uno striscione fuori da un tribunale durante un altro processo per associazione sovversiva: “Se sono innocenti hanno tutta la nostra solidarietà, se colpevoli ancora di più”.
Elena, Guido, Zipeppe, Stefi, Nicole, Duccio, Leo, Otta, Angelo, Martino, Tommi ed Emma LIBER* SUBITO!
Fuoco allo Stato e alle carceri!
Per l’anarchia

Centro di documentazione anarchico l’”Arrotino”

 

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Da Bologna alla normalità