Kouaoua (Nuova Caledonia) – La miniera di nichel è di nuovo in fiamme

Nelle prime ore del mattino del 24 maggio a Kouaoua, il nastro trasportatore LNS è stato nuovamente preso di mira dalle fiamme attorno alle quattro.

Secondo il quotidiano ‘Nouvelle Calédonie La 1ere’, “200 metri di nastro trasportatore sono bruciati in due luoghi distinti: 100 metri sopra e 100 metri sotto, a circa 100 metri dal cancello di accesso alla miniera, al livello del torrente. L’incendio è stato spento dai camion anti-incendio della NSL. Il nastro trasportatore che trasporta il minerale di nichel sul lungomare è un bersaglio continuo per i piromani dal 2017. »

L’ultimo attacco incendiario sul nastro di Kouaoua risale al maggio 2019. Dal luglio 2017, ha subito la stessa sorte circa 20 volte.

Le molteplici condanne di individui per questi incendi contro l’estrazione del nichel non hanno mai impedito che nuovi fuochi divampassero.

 

Kouaoua (Nouvelle-Calédonie) : L’industrie du nickel goûte une nouvelle fois aux flammes – 24 mai 2020

 

Bologna – Resoconto della biciclettata solidale fino al carcere della dozza

RESOCONTO DELLA BICICLETTATA SOLIDALE
FINO AL CARCERE DELLA DOZZA

Il 22 maggio a Bologna, circa 150 persone sono tornate davanti alla Dozza. Da Piazza dell’unità è partita una biciclettata che ha attraversato la Bolognina fino ad arrivare sotto le mura del carcere, facendosi sentire sia dalla sezione maschile che dalla sezione femminile. Tra i diversi interventi è stato raccontato ciò che è successo la settimana scorsa: sono stati arrestati/e 7 compagni/e perché anarchici/che perché lottano per la libertà e rifiutano la logica di sottomissione alla base di questo sistema. Gli inquirenti vorrebbero individuare nella regia di pochi la rivolta dei detenuti dello scorso marzo, come se non bastassero le condizioni inaccettabili e l’esistenza stessa di queste infami galere. I media, adeguandosi alla narrazione del potere, non ne hanno fatto neanche vaga menzione.
La solidarietà fa paura.
In tanti eravamo sotto quelle mura durante le rivolte di marzo.
In tanti siamo tornati a gridare che non ci lasceremo intimidire, che se ci vogliono silenti ci avranno ancor più determinati.
Le fiamme della rivolta, quando a Bologna la paura ha cambiato di campo, ci scaldano ancora il cuore.
Il carcere è lo specchio della società e mai come negli ultimi tempi, scanditi dall’emergenza COVID, emerge chiaramente che, per qualcuno, esistano delle vite di serie b e quindi sacrificabili.
Finché l’ingordigia di sadici burocrati produrrà lo scempio e l’abominio che è il carcere, un mondo giusto non esisterà mai.

L’unica sicurezza è la libertà.

Al fianco di Zip, Leo, Ele, Stefi, Nicole, Duccio, Guido e tutti/e i/le prigionieri/e anarchici/che.
Al fianco di tutti/e i/le prigionieri/e.
Al fianco di tutti/e i/le ribelli.

LIBERTÀ PER TUTTI E TUTTE!

OP. Prometeo – Aggiornamenti su Natascia dal carcere di Piacenza

In seguito al decreto sulla fine del lockdown, il carcere di Piacenza ha attivato nuovamente i colloqui nella forma: solo un’ora al mese, un solo adulto per volta, distanza di due metri tra detenuta e familiare/amica, mascherine e, per finire, plexiglass in mezzo e divieto di contatto. Neppure un abbraccio o un bacio per salutarsi. Comprensibilmente, Natascia ha preferito scegliere di continuare a vedere familiari e amici via Skype di tanto in tanto, piuttosto che la farsa del vis à vis a due metri di distanza attraverso un plexiglass e con il divieto assoluto di contatto.

Il saluto che compagne, compagni e solidali hanno fatto martedì scorso fuori dal carcere di Piacenza è stato finalmente sentito anche dalla sezione dove si trova Natascia, in AS3, dove ci sono le celle più interne e quindi più lontane rispetto al muro di recinzione del carcere. Natascia e le altre detenute hanno urlato e provato a rispondere, sperando di essere riuscite a farsi sentire a loro volta.

Dopo il passaggio della sua sezione da regime aperto a regime chiuso – ufficialmente come misura per via dell’emergenza sanitaria – il clima è cambiato. Ormai è chiaro a tutte che la scusa sanitaria altro non era che una presa in giro e che non hanno alcuna intenzione di ripristinare il regime aperto, visto che hanno saputo che il resto del carcere è sempre rimasto a regime aperto.

Elena e Nicole, recentemente arrestate insieme ad altri cinque compagni e compagne, si trovano anche loro nel carcere di Piacenza, ma sono in “isolamento sanitario” e quindi le ha solo incrociate. Se pur triste e arrabbiata per il loro (e gli altri) arresti, non vede l’ora di poterle incontrare.

Il 27 maggio avrà luogo l’appello al tribunale del riesame, in cui la difesa chiederà nuovamente la revoca della misura cautelare in carcere per Natascia.

Nel frattempo, Natascia e Beppe sono in carcere da oltre un anno, in attesa di processo.
A causa del lockdown, in questi ultimi mesi non c’è stata la possibilità di organizzare benefit per sostenere economicamente Natascia e Beppe (così come tutti gli altri compagni e compagne in carcere). Ogni contributo sarà quindi molto apprezzato. Per darci una mano a sostenere le spese legali e detentive di Natascia e Beppe potete usare le seguenti coordinate:

– Postepay evolution
intestata a Vanessa Ferrara
n° 5333 1710 9103 5440
IBAN: IT89U3608105138251086351095

– Postepay evolution
intestata a Ilaria Benedetta Pasini
n° 5333 1710 8931 9699
IBAN: IT43K3608105138213368613377

RICORDIAMO INOLTRE GLI INDIRIZZI PER SCRIVERE A NATASCIA E BEPPE

NATASCIA SAVIO
C/O C.C. SAN LAZZARO
STRADA DELLE NOVATE 65
29122 PIACENZA

GIUSEPPE BRUNA
C/O C.C. DI PAVIA
VIA VIGENTINA 85
27100 PAVIA

LIBERTA’ PER NATASCIA E BEPPE,
LIBERTA’ PER TUTTE E TUTTI!

Lecce – Epidemie!

Gli arresti investivano case e strade intere a mo’ di epidemia.
Come la gente si trasmette il contagio, senza saperlo, con una stretta
di mano, il respiro, la trasmissione di qualche oggetto,
così con una stretta di mano, il respiro, un fortuito incontro per la
strada si
trasmettevano il contagio di un immancabile arresto.
A. Solženicyn

L’ex deportato che scriveva queste righe una sessantina di anni fa,
certo non immaginava quanto si sarebbero rivelate profetiche, seppure a
parti capovolte. Nell’associare gli arresti di massa del totalitarismo
bolscevico ad una epidemia coglieva perfettamente l’aspetto
preponderante del totalitarismo democratico palesatosi in questi mesi,
il quale ha approfittato di una epidemia per imporre un arresto di massa
di carattere nazionale, sebbene all’interno delle proprie abitazioni, e
per di più senza nessuna forma di resistenza che, invece, sempre
accompagna gli arresti di massa e i totalitarismi.
Può sembrare azzardato paragonare i regimi totalitari a quelli
democratici, e sicuramente i secondi sono privi di buona parte della
brutalità che ha accompagnato i totalitarismi del Novecento, ma pur
diversi nella forma, numerose similitudini sono invece nella sostanza;
una sostanza che è fatta principalmente di controllo pervasivo ed
ossessivo, dove le ronde sono state soppiantate dai droni e la
propaganda ideologica ha invaso ogni anfratto della vita sociale, o per
dir meglio social, tramite una enorme intromissione tecnologica i cui
terminali sono nelle mani di ogni essere vivente occidentale. Un
reticolato invisibile di migliaia di chilometri di fibra ottica opera
senz’altro meglio dei carri armati agli angoli delle strade. Polizia e
infamia degli zelanti cittadini, invece, sono rimasti praticamente
uguali.
Un altro aspetto comune è la sparizione di alcuni cittadini. Se il
totalitarismo bolscevico li faceva sparire nelle segrete delle carceri o
nei sotterranei dei conventi, fucilati dalla Ceka e portati via in
camion, cosa ricordano i camion militari che trasportano le bare di
centinaia di morti, usciti vivi dalle proprie abitazioni e mai più
rivisti dai loro cari? Alcuni di loro neanche mai identificati con nome
e cognome, ma semplicemente con un numero. E le fosse comuni negli Stati
Uniti non richiamano forse orrori che speravamo di non rivedere mai più?
Esseri umani senza volto né nome, pura statistica…

L’arrestologia è una branca importante del corso generale di
carceronomia
e le è stata data un’importante base di teoria sociale.
A. Solženicyn

In un tale contesto, non meraviglia l’arresto di sette anarchici e le
restrizioni imposte ad altri cinque, nel corso di un’operazione a
Bologna dieci giorni fa. Si incarcerano dei compagni perché hanno
solidarizzato con chi si è rivoltato in carcere in periodo di epidemia.
All’arrestologia dei Ros dei carabinieri, è la stessa Procura bolognese
che ha fornito un’importante base di teoria sociale, affermando che il
suo intervento repressivo «assume una strategica valenza preventiva
volta a evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale,
scaturibili dalla particolare situazione emergenziale [l’epidemia,
appunto…] possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di
lotta antistato”».
Per fortuna, in Italia, il totalitarismo è solo un ricordo lontano…

Biblioteca Anarchica Disordine
Via delle Anime, 2/b – Lecce
disordine@riseup.net
disordine.noblogs.org

Epidemie

Trento – Bancomat fuori uso

Sabato 16 maggio a Trento nove sportelli bancomat ed un postamat sono stati messi fuori uso.
Contro le banche, che avranno solo da guadagnare dalla crisi che verrÀ dopo la pandemia, a scapito delle sfruttate e degli sfruttati.
In solidarietà ai compagni ed alle compagne colpite dall’ operazione “Ritrovo”.
E un saluto complice a chi continua a lottare.

 

https://roundrobin.info/2020/05/trento-bancomat-fuori-uso/

Volterra – Contro la “Fase due” della repressione preventiva! Basta montature! Solidarietà e libertà!

Apprendiamo che il 13 maggio nel quadro di un’operazione repressiva coordinata dal PM Dambruoso della Procura di Bologna e dal ROS dei Carabinieri è stato perquisito lo spazio di documentazione anarchico Il Tribolo di Bologna, sette anarchici sono stati arrestati e cinque sono stati sottoposti a obbligo di dimora. Agli arrestati viene contestato l’art 270 bis “associazione sovversiva con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” che prevede la reclusione da 5 a 10 anni.

In una fase in cui sono vietate e sanzionate tutte le libertà di riunione, manifestazione e sciopero, accuse e arresti politici sono inaccettabili.

L’apparato repressivo statale si scatena, non a caso, in un momento storico in cui forme di protesta contro simili provvedimenti vengono perseguite e il riunirsi ed il manifestare sono resi formalmente illegali, mentre la fanfara mediatica distoglie l’attenzione e invoca l’unità nazionale.

Esprimiamo solidarietà verso chi è stato colpito da questa operazione repressiva, vogliamo libertà per gli arrestati e per chi è stato sottoposto all’obbligo di dimora.

Ancora una volta il ROS cerca di confezionare accuse di associazione sovversiva e terrorismo per criminalizzare chi lotta contro il governo. Stavolta però la montatura repressiva è apertamente dichiarata dagli stessi Carabinieri a un noto quotidiano locale «le misure cautelari, sottolineano i carabinieri, assumono “una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale”, derivati dall’emergenza coronavirus, “possano insediarsi altri momenti di più generale ‘campagna di lotta antistato”».

Questo zelo preventivo dichiarato dai Carabinieri serve a coprire l’inconsistenza dell’inchiesta giudiziaria che, come spesso accade poggia in gran parte l’accusa di reato associativo sulla produzione e diffusione di testi di propaganda. Per la stessa Procura di Bologna infatti, l’associazione avrebbe «l’obiettivo di affermare e diffondere l’ideologia anarco-insurrezionalista, nonché di istigare, con la diffusione di materiale propagandistico, alla commissione di atti di violenza contro le istituzioni». Un castello di carte che non sta in piedi.

L’operazione repressiva rivolta contro il Tribolo è un’intimidazione nei confronti di tutti coloro che si pongono contro il governo, che vogliono che si rompa il silenzio sulla situazione nelle carceri, sui 14 morti durante le rivolte carcerarie di marzo.

Libertà per tutti!

Spazio Libertario Pietro Gori – Unione Sindacale Italiana (USI-CIT)

Volterra, 21 maggio 2020 – Via Don Minzoni 58

Beppe sciopero della fame

Riceviamo e pubblichiamo queste informazioni

da una lettera dell’11/05, Beppe (giuseppe bruna) ci avverte che è entrato in sciopero della fame (Da quello stesso giorno, che era pure il suo cinquantesimo compleanno) per protestare contro le condizioni di detenzione assolutamente incompatibili col suo stato di salute (fa sapere che non è stato MAI visitato e non è sottoposto a nessun trattamento medico); che la sua cella è interamente ricoperta di muffa che rende l’aria irrespirabile e insalubre; protesta contro il respingimento della sua richiesta di domiciliari e chiede, attraverso questa forma di lotta di essere (almeno) trasferito in AS2 a ferrara o terni.

dice anche che la situazione in sezione è insopportabile: ha litigato forte con un razzista che ha raccontato agli altri detenuti che lui (beppe) è un jhiadista che ha ucciso dex bambinx con delle bombe (!!!!).
ora hanno dato il divieto d’incontro a Beppe con questo detenuto perchè l’aria si è tesa e lui “gli ha promesso il conto”

parafrasando la sua lettera, chiediamo di far sapere il più possibile questa situazione.

https://roundrobin.info/2020/05/beppe-sciopero-della-fame/

Valle dell’Ouvèze (Ardèche) – Smettere di vivere? Piuttosto morire!

Attacco a un ripetitore

Sono già diverse settimane che all’insieme della popolazione viene imposto lo stato d’eccezione, sotto forma di confinamento sanitario, con la sua dose di divieti inediti, d’ipocrisia quotidiana e di promesse di salvezza.

Io non volevo morire di paura e di noia, attaccato a una flebo davanti a Netflix. Nel mese appena passato, la rabbia e la costernazione di vivere in diretta un cattivo romanzo di fantascienza sono diventate per me più che un veleno: un antidoto. Ho quindi deciso di attaccare.
Estendendo le frontiere dell’illegalità, imponendosi ovunque nelle strade, sbirri e cittadini vigilanti hanno trasformato il territorio in uno spazio nel quale abbiamo dovuto riapprendere a spostarci e a trovare il sentiero verso altri/e complici.
Dato che le croci in cima alle montagne sono state rimpiazzate dai piloni della rete GSM e della 5G, questo dice qualcosa della forma che prendono attualmente il potere e le nostre credenze di salvezza.
Era quindi l’ora di riaccendere i fuochi sulle colline, per diffondere dei messaggi più essenziali e diretti, a quelli/e che vorranno ascoltari, l’ora di bruciare queste croci fatte di nodi di fibra ottica e di reti elettriche.
Sono solo/a, da qualche parte sopra la valle dell’Ouvèze, fra Le Pouzin e Privas, domenica 3 maggio [2020], verso le 2.00 del mattino. Nelle ultime ore è piovuto molto e le ultime nuvolette di nebbia che si evapora dal suolo si alzano davanti all’alone di una mezzaluna. La notte è dolce e talmente calma.

In questi ultimi anni sembrava crescere, nei discorsi, l’impressione che lo Stato lasciasse progressivamente il posto a forme di gouvernance più liberali ed economiche, che ad un potere verticale si sostituissero già delle forme più diffuse, invisibili.

Ma lo Stato non è sparito. E’ al centro della realtà, in guerre lontane contro il terrorismo, in Mali, nella promozione di una quotidianità connessa, nella repressione generalizzata dei movimenti sociali, nella produzione di condizioni di vita sempre più normative e tecnologizzate.

All’aurora della nuova primavera, viene dichiarata di nuovo la guerra, come ultima ragione di unione, come causa comune, come dovere di fedeltà. In nome della salute e della sicurezza di tutti e tutte, eravamo destinati/e ad essere riuniti/e, contati/e, suddivisi/e, ordinati/e, assegnati/e, sorvegliati/e e studiati/e.
Chiunque deroghi alla regola imposta da ministri, esperti in salute di ogni tipo, dai prefetti e dalla loro polizia, sarà trattato da irresponsabile che minaccia la salute dei più deboli.
Non è cosa nuova che, in nome delle persone giudicate e classificate come «fragili», il potere si ritagli il suo ruolo migliore. Il potere è ambidestro. Tende la mano che protegge, quella che salva e coccola. Allo stesso tempo, colpisce e mutila. Sentiremo presto dire che ci sono delle tecniche di gestione statale della crisi migliori di altre. Si compara quello che succede a latitudini diverse. Si incriminano i poteri più totalitari, come in Cina e in Brasile. Ci si felicita del fatto che in Portogallo le istituzioni davano dei documenti a tutti i richiedenti asilo. Quasi quasi, non ci si sente poi così male, qui da noi.

Avanzo calmo/a nella penombra, qualche litro di combustibile nello zaino, una tronchese pesantemente posizionata contro la mia colonna vertebrale. Sono come assente a me stesso/a, assorto/a nel silenzio e nei mormorii notturni, preso/a dall’accuratezza dell’attività, poso i miei passi senza lasciare tracce. La cima è tranquilla. Una brezza leggera spazza la cresta, da dove vedo, ovunque in basso, il lampeggiare delle diverse installazioni elettriche della zona, campi di pale eoliche, ripetitori telefonici e pianure industriali.
Mi apro un cammino nella griglia, spaccando una catena che blocca la porta del recinto principale e della più grande delle due antenne. Preparo il materiale e faccio attenzione a rimanere al sicuro da sguardi indiscreti, sotto il passamontagna.

Avanzando, continuo a pensare: come in ogni «crisi», che sia prodotta dal nulla dal potere oppure subita e gestita come gli riesce meglio, la situazione crea un contesto inedito, un supporto per la costruzione degli anelli mancanti nel meccanismo del progresso. Centinaia di scienziati, di medici e di ingegneri-biologi sono venuti a proporci, per il nostro bene, delle ricette di balsami miracolosi, da ciarlatani del ventunesimo secolo. Molto più che venderci una qualunque medicina, ci vendevano delle ragioni per continuare ad avanzare, delle maniere di vivere. Nella sua risposta all’ira degli dei, la scienza si è offerta piena di promesse, apportando soluzioni innovative alle problematiche prodotte dal progresso.
Il dispotivo sanitario opera anche una selezione fra maniere di morire che sono accettabili oppure no. I rischi nucleari e industriali, organizzati e costitutivi dell’attività umana, contrariamente alla maggior parte dei rischi biologici, producono morte e sofferenza ogni anno, verosimilmente in quantità davvero importante. Dov’è lo Stato benevolo e protettore, quando si tratta di proteggere i suoi cittadini dai tecnocrati del nucleare?

Di fronte a discorsi che possono parere vani o a volte mancare, le mie mani guantate fanno scivolare dei pacchetti di diavolina industriale sotto liane di cavi.
Vi verso anche del gel accendifuoco e mi volto verso l’uscita del recinto, per avvicinrmi alla seconda antenna. Un mini-escavatore, fermo per la notte, è naufragato al bordo del sito. Mi spiace non poterlo prendere di mira e mancare di materiale. Piazzo di nuovo dei dispositivi incendiari sui cavi più fragili e ritorno alla prima antenna.
Una volta sul posto, inzuppo bene il tutto con della benzina ed accendo, da una parte e dall’altra della struttura, due fuochi che la brezza gonfia progressivamente.
Scendo alla seconda antenna ed opero nello stesso modo.
Mi allontano dal sito e sparisco nella notte.

La salute e la sicurezza sono diventate poco a poco i valori supremi che giustificano, da loro sole, gli sforzi e gli errori più assurdi.
Il virus e la lotta contro la sua propagazione, per il fatto che esso incarna la morte che plana e che colpisce a caso, imprevisibile ed improvvisa, è diventato lo spettro da cacciare senza tregua, aumentando di continuo i limiti dei luoghi che siamo pronti ad evitare per non morire.
Quello che è stato interiorizzato, come esperienza collettiva, e forse in maniera definitiva, sono il gusto e la necessità del sacrificio. D’ora in poi, ci chiederanno in continuazione di svendere i brandelli rimasti delle nostre vite, per non perderle.

A posteriori, non so se questo attacco ha causato dei danni importanti. Magari solo qualche cavo sezionato. Quello che conta, per me, è il fatto di essere riuscito/a ad agire, anche da solo/a, di essere riuscito/a, in questa notte strappata all’assurdo, a superare i miei dubbi e le mie angosce ed aver colpito quello che sembra essere, oggi, un nodo esenziale della società attuale: la rete di telefonia mobile e l’insieme del mondo connesso che essa permette.
Contro la società del controllo e la dittatura sanitaria.
Ho un pensiero di rabbia verso i tablet e i robot di assistenza medicale che è ormai di moda distribuire in gran numero nei mortori per persone anziane. Che le ultime persone che hanno attraversato questo secolo senza tecnologia muoiano circondate da robots e da applicazioni di ogni tipo, mi dà voglia di vomitare. Le linee di satelliti, spediti in orbita a migliaia di esemplari, che sabotano i misteri del cielo notturno, non saranno mai delle promesse di pace.
Un pensiero per le porte che restano volontariamente aperte, in questo perdiodo difficile, per quelle e quelli che cercano, costi quel che costi, di non sacrificare le loro vite davanti alla paura. Ai colpi resi e ai colpi di mano. Ai brutti colpi ed ai colpi andati storti. A quelli/e che ci provano. A quelli/e che magari non attaccano, ma che aiutano a continuare e che infrangono le ovvietà.

E allora: smettere di vivere? Piuttosto morire!

[Rivendicazione in francese pubblicata in attaque.noblogs.org].

Friuli Venezia Giulia – Nei supermercati della città solidarietà ai braccianti in sciopero!

Oggi, in solidarietà ai braccianti agricoli in sciopero (qui il comunicato) contro ogni sfruttamento, contro il vincolo del permesso di soggiorno con il contratto di lavoro, contro le frontiere ed i CPR e per un modo solidale e senza migrazioni forzate sono comparsi bigliettini nelle cassette della frutta di molti supermercati della città e sono stati distribuiti volantini in Italiano ed in inglese.

Le lotte dei braccianti sfruttati, come quelle dei detenuti nei CPR, sono lotte per la libertà di tutte e tutti. Infatti, un mondo dove esistono i CPR, dove le verdure sono prodotte e raccolte con il sangue di persone sfruttate, e dove nei subappalti c’è chi fa la fame e rischia la vita per sopravvivere, è un mondo dove nessuna è davvero libera.”

SOLIDARIETÀ AI BRACCIANTI IN SCIOPERO!

Oggi, giovedì 21 maggio, molti/e braccianti agricoli/e stanno scioperando contro la regolarizzazione fittizia contenuta nel cosiddetto “decreto Rilancio”. Il decreto prevede una regolarizzazione per soli sei mesi di una fetta irrisoria di lavoratori e lavoratrici privi di documenti regolari. 

Si tratta di un decreto squallido che, anche con l’emergenza sanitaria in corso, non mira a tutelare la salute delle persone prive di documenti, bensì a fornire lavoratori e lavoratrici usa-e-getta, da sfruttare per sei mesi e poi ricacciare nel limbo della “clandestinità”. Un decreto frutto della solita logica per cui ci sono profitti da tutelare (qui quelli della filiera agricola, dai grandi possidenti terrieri alla grande distribuzione) e vite sacrificabili per la causa. 

Si tratta di un decreto che evidenzia come la situazione emergenziale sia stata il laboratorio sociale e politico perfetto per favorire ulteriormente quella connessione tra luoghi di detenzione temporanea per migranti e richiedenti asilo e sfruttamento lavorativo in ambito agricolo e in quello del lavoro domestico. In questo modo, si definisce chiaramente una precisa volontà politica di razzializzare il mercato del lavoro: quello che un richiedente asilo o una persona  che arrivi in Italia dalla Balkan route o dalla rotta mediterranea può aspettarsi di fare, magari per essere ” regolarizzato”, è il bracciante per due euro all’ora, subendo violenze di ogni genere.

L’agricoltura made in Italy, soprattutto nelle grandi aziende del sud Italia ma non solo, è nota per il diffuso utilizzo del caporalato: le persone, solitamente non comunitarie, ci lavorano con turni estenuanti (almeno 12 ore) per paghe irrisorie (meno di 2 euro all’ora!). Le stesse persone vivono spesso nelle vicine baraccopoli (come quelle di San Ferdinando o Rosarno), segregate e senza luce e servizi igienici.

Molti braccianti sono costretti ad accettare queste condizioni perché sono privi di documenti regolari: nei loro confronti, i padroni hanno a disposizione una complessa rete di ricatti articolata dallo stesso Stato italiano. 

Il primo elemento di questa rete è il confine: per riuscire a entrare in Italia, in assenza di vie “legali”, le persone migranti affrontano viaggi spesso traumatizzanti, lunghi e pericolosi. Il tentativo di regolarizzazione, attraverso richiesta d’asilo o permesso di soggiorno, spesso non va a buon fine, costringendo le persone all’irregolarità e al lavoro nero.

Il secondo elemento è il vincolo con il contratto di lavoro: secondo la legge Bossi-Fini c’è una seconda possibilità di regolarizzarsi vincolando il proprio permesso con un contratto di lavoro; se si resta disoccupati, si perde in automatico anche la possibilità di vivere regolarmente in Italia.

Il terzo elemento sono i CPR: se le persone vengono fermate mentre sono irregolari, possono finire in uno dei CPR aperti in Italia. Nei sei mesi di reclusione, subiscono continue violenze e rischiano ogni giorno di essere deportate al Paese d’origine. I CPR sono un ingranaggio fondamentale della macchina del ricatto. Lo dimostra il fatto i CPR sono ancora aperti,nonostante l’emergenza sanitaria in corso e nonostante i rimpatri siano bloccati. Sono lì solo a dimostrare che il ricatto di essere deportati è sempre reale.

Coldiretti e la grande distribuzione hanno quindi a disposizione una grande quantità di persone ricattabili, fondamentali per i loro profitti.

Oggi, però, i braccianti stanno scioperando, nonostante il ricatto, e nonostante siano segregati e invisibili a molti in Italia: “Non vanno regolarizzate le braccia, ma gli esseri umani”, dicono. Chiedono appoggio allo sciopero non comprando le verdure oggi. 

Le lotte dei braccianti sfruttati, come quelle dei detenuti nei CPR, sono lotte per la libertà di tutte e tutti. Infatti, un mondo dove esistono i CPR, dove le verdure sono prodotte e raccolte con il sangue di persone sfruttate, e dove nei subappalti c’è chi fa la fame e rischia la vita per sopravvivere, è un mondo dove nessuna è davvero libera.

Che gli sfruttatori marciscano con le loro verdure!

Solidarietà ai braccianti agricoli in sciopero, non compriamo sfruttamento!

PS: Il caporalato, anche se non agricolo, è fortemente articolato anche in Friuli-Venezia Giulia, soprattutto nei subappalti di grandi ditte come Fincantieri. Tali subappalti prosperano all’interno di questo sistema di ricatti, di cui il CPR di Gradisca è un elemento fondamentale.

Qui il volantino


ENGLISH:

TODAY FARMHANDS ON STRIKE!

Today, Thursday May 21st, several farmhands are on strike against the fictitious regularization containedin the “Decreto Rilancio”. The decree defines a regularization of only six months for a negligible slice ofworkers without regular documents.This is a shabby decree that, even in the current health emergency situation, does not aim to protectthe health of undocumented people, but to provide disposable workers, to be exploited for six monthsand then pushed back into “clandestinity”. Such decree results from the usual logic for which there areprofits to be protected (here those of the agricultural chain, from large landowners to large-scaledistribution) and lives that can be sacrificed for the cause.

Made in Italy agriculture, especially in large farms in southern Italy, but not only, is known for thewidespread use of “caporalato”: people, usually non-EU workers, have to work with exhausting shifts (atleast 12 hours) for negligible wages (less than 2 euros per hour!). The same people often live in nearbyslums (such as those of San Ferdinando or Rosarno), segregated and without light and toilets.Many farmhands are forced to accept these conditions because they do not have regular documents: thebosses, on their side, can dispose of a complex network of blackmail articulated by the Italian State itself.

The first element of this network is the border: to be able to enter in Italy, in the absence of “legal”ways, migrant people often face traumatizing, long and dangerous journeys. Afterwards, they can try toregularize their situation through the request of asylum or residence permit, which, however, often fails,forcing people to live and work without regular documents.

The second element is the constrain of the employment contract: according to the Bossi-Fini law there isa second possibility one can try to regularize his/her condition and it corresponds to binding one’s ownpermit of stay with the employment contract; in this case if one lose the contract, he/her automaticallylose the opportunity to live regularly in Italy as well.

The third element is the CPR: if people are checked by police while they are irregular, they can end upin one of the Italian opened CPR. During the six months of detention, they face constant violence andrisk, every day, to be deported back to their country of origin. CPRs are the fundamental gear of theblackmail machine. This is demonstrated by the fact that the CPRs are still working, despite the ongoinghealth emergency and despite the fact that the deportation flights are currently blocked. They are onlythere to show that the blackmail of being deported is always real.Coldiretti and the large scale distribution of vegetables, therefore, have a large number of people attheir disposal which they can blackmail and which are fundamental for their profits.

Today, however, the farmhands are on strike, despite the blackmail, and despite being segregated andinvisible to many others in Italy: “It is not the worker’s arms what should be regularized, but thehuman beings”, they say. They demand support for the strike by not buying vegetables today.

The struggles of the exploited laborers, like those of the detained people in the CPR, are struggles forthe freedom of everyone. In fact, a world where the CPRs exist, where vegetables are produced andharvested with the blood of exploited people, and where people which work with subcontracting risktheir lives to survive, it is a world where none is truly free.

May the exploiters rot with their vegetables!Solidarity with the farm workers on strike. We don’t buy exploitation!

Assemblea no CPR no Frontiere, Trieste

PS: The phenomena of “caporalato” is strongly articulated in Friuli Venezia Giulia as well, , notespecially in agriculture but in the subcontracts working for large companies, such as Fincantieri. Suchsubcontracts thrive within this blackmail system, of which Gradisca’s CPR is a key element

Here the flyer