Brême (Germania) – Attacco contro la sede del sindacato di polizia GdP

La notte dell’11 giugno, abbiamo preso a martellate le finestre degli uffici del sindacato di Polizia, GdP, a Brema e abbiamo lasciato lo slogan: “La Polizia non è riformabile! ». Un piccolo, ma furioso contributo alla lotta globale contro i poliziotti e le violenze di polizia a sfondo razziale.

L’attuale discorso sulla violenza della polizia si sta diffondendo da tutte le parti, soprattutto a causa delle furiose proteste negli Stati Uniti. Ciò che afferma la polizia di Brema è: “Le azioni a sfondo razzista non trovano posto tra la polizia di Brema. Fondamentalmente, ci vediamo ancora come un’organizzazione per i diritti umani.” Stronzate! Questa feccia di politici e poliziotti non ha eguali in termini di cinismo. La lista degli omicidi razzisti commessi dai poliziotti tedeschi è lunga. Il loro coinvolgimento nelle reti neonaziste è ben noto. Tutti conoscono i video dell’eccesso di violenza durante le manifestazioni. I poliziotti sono sostenuti non solo dai sostenitori della Legge e dell’Ordine, ma anche dal loro sindacato, il GdP. Il GdP non è un sindacato come gli altri. È spirito di corpo istituzionalizzato e quindi parte del problema.

La polizia non è riformabile. Non è un’amica o un aiuto. È il braccio armato dello Stato e, in ultima analisi, è lì per far rispettare l’ordine dominante con la forza. Qualsiasi movimento sociale, quando provoca turbamenti nella pace sociale, si scontra con i manganelli e le pistole dei poliziotti.

Un saluto di solidarietà al popolo di Lipsia!

Gli scontri diretti sono inevitabili e numerosi attacchi alla polizia dimostrano sempre più spesso che non è intoccabile. Basta qualche amico, un po’ di coraggio e di determinazione.

Il Sindacato di Polizia scrive della nostra visita come di “un attacco a tutti i dipendenti della polizia in generale e al Sindacato di Polizia in particolare”. Noi diciamo: è vero!

Abbasso la polizia!
Passiamo all’offensiva contro la violenza razzista della polizia!
La solidarietà deve diventare concreta!

Brême (Allemagne) : La police n’est pas réformable ! Attaque contre le siège du Syndicat de police GdP

Filadelfia (Usa) – Telecamere sabotate per la giornata di solidarietà internazionale

L’11 giugno, giornata internazionale di solidarietà ax prigionierx anarchicx, come piccola azione contro il controllo e l’imprigionamento, abbiamo tagliato i cavi di nove telecamere di videosorveglianza, tutte situate nello stesso settore di confinamento. Vogliamo ricordare ax prigionierx che siamo assieme a loro nella lotta contro il suprematismo bianco e contro la polizia.

Manteniamo vivo il conflitto, fottiamo la polizia, per un mondo senza prigioni!

Philadelphie (USA) : Sabotage de caméras pour le 11 juin

Kiev (Ucraina) – Attacco incendiario al dipartimento di polizia criminale

La notte del 10 giugno 2020, l’edificio del Dipartimento di Investigazione Criminale della Polizia (situato a Kiev, sulla statale 25 Naberezhne) è stato attaccato con un cocktail Molotov.

L’altro giorno abbiamo sentito notizie terribili da Kaharlyk, in Ucraina, dove, la notte del 24 maggio, alcuni agenti di polizia hanno aggredito e violentato una donna che era stata convocata come testimone. I dettagli, con i poliziotti che le hanno messo una maschera antigas, l’hanno ammanettata e le hanno sparato in testa con le loro armi d’ordinanza, hanno fatto il giro del paese.

Lo stesso tipo di notizie arriva dall’altra parte del Dnieper, dove i poliziotti che hanno ucciso un bambino di 5 anni a Pereïaslav-Khmelnytskyï [1] sono stati rilasciati su cauzione.

Dall’inizio della reclusione domiciliare, la polizia ha invaso le strade di Kiev. La sorveglianza e la pressione della polizia si sono intensificate, i controlli ingiustificati sono diventati più frequenti. Come il comportamento della polizia nel distretto di Podil a Kiev: controlli con perquisizioni di passanti con falsi pretesti, richieste di mazzette, pestaggi nelle stazioni di polizia.

Questi episodi sono solo dettagli di un sistema più grande. Fingere di “riformare la polizia” rimane una completa perdita di tempo, in quanto la polizia è uno strumento di violenza nelle mani dello Stato. È criminale in sé, tutti i misfatti dei suoi funzionari sono solo manifestazioni estreme del suo monopolio della violenza.

Con la nostra azione, prendiamo a schiaffi la polizia. Facciamo appello alla società e a tutte le persone, affinché tutti si uniscano a questo sforzo, per non rimanere indifferenti, per organizzarsi e per resistere attivamente. La gente di Minneapolis negli Stati Uniti ha dato l’esempio: in risposta all’omicidio razzista di un nero da parte di un brutale agente di polizia, hanno lanciato una guerra di strada in piena regola contro gli oppressori dello Stato e i sadici in uniforme.

La società può proteggersi sia dalla criminalità che dalla polizia. Ciò richiede determinazione, mutuoaiuto e auto-organizzazione – lo sviluppo di istituzioni di autogoverno e di milizie popolari.

Incoraggiamo tutti ad agire affinché tutte le atrocità della polizia e dello Stato non restino impunite!
Chiamiamo alle armi!

Dei coraggiosi

Aggiornato. I media e la polizia ucraina sono stati costretti ad ammettere che l’attentato all’edificio che ospitava il dipartimento di investigazione criminale ha avuto luogo la notte del 10 giugno 2020. Secondo diversi rapporti, l’incendio ha distrutto almeno un ufficio nell’edificio e ne ha danneggiato gravemente altri. I Daynappers hanno collegato questo attacco incendiario all’omicidio di Pavel Sheremet (il bambino di 5 anni citato nel comunicato stampa).

[Tradotto dall’inglese da A2Day]

 

https://sansattendre.noblogs.org/archives/13985

Montbéliard (Francia) – Due notti di rivolta contro il mondo della sorveglianza

Il vento di rivolta contro la polizia che attualmente sta travolgendo molte città del mondo ha raggiunto il quartiere Petite-Hollande di Montbéliard, che dall’inizio di giugno sta vivendo alcune serate piuttosto insolite: i giovani in rivolta si organizzano per attaccare e/o distruggere ciò che fa parte di questo mondo di controllo e sorveglianza: Poliziotti, telecamere, società di telecomunicazioni o locatori… Con i poliziotti che controllano le informazioni, è ovviamente difficile farsi un’idea reale delle rivolte che hanno scosso il quartiere dalla sera del 2 giugno, dopo l’ennesima operazione repressiva serale dei poliziotti. Ma dopo una settimana, il sindaco ha posto il quartiere sotto coprifuoco per tutti i minori di 16 anni tra le 22 e le 7 del mattino fino al 22 giugno.

Domenica 7 giugno. Verso le 23.30, circa 40 giovani hanno distrutto tre telecamere di sorveglianza su Debussy Street, installate su pali e posizionate in diversi luoghi. A differenza dell’analogo sabotaggio del 2 giugno nella stessa area, le telecamere sono state distrutte senza che sia ancora possibile stimare i danni economici. Un veicolo viene incendiato, nel parcheggio del locatore Néolia, e una pensilina dell’autobus è stata distrutta. I sabotaggi si trasformano in scontri. I poliziotti di Montbéliardais hanno dovuto chiedere rinforzi da Besançon (e ai gendarmi del Psig) per rispondere all’attacco. Hanno usato 16 granate lacrimogene e 29 flashball.

Lunedì 8 giugno. Tre scritte (“per Adama e per George Floyd”) sono state vergate sulle facciate di Kleinholland. Marie-Noëlle Biguinet, il sindaco, ha decretato il coprifuoco per i minori di 16 anni del quartiere (tra le 22 e le 7 del mattino) fino al 22 giugno.

[Ripresa dall’est républicain, 8 giugno 2020]

 

https://sansattendre.noblogs.org/archives/13970

Vienna (Austria) – Due volanti della polizia in fiamme

Distruggiamo lo stato di polizia!

Vienna. Nella notte tra il 7 e l’8 giugno, due auto della polizia sono state attaccate, abbiamo rotto i finestrini e le abbiamo dato fuoco.
È stato un piacere distruggere quelle macchine.

Per noi è stata un’azione contro la repressione e i soprusi.
Contro la costante paura della violenza da parte degli agenti dello Stato.
Contro la violenza e le uccisioni a sfondo razziale.

Per noi è un’azione contro la sofferenza quotidiana di questo mondo, contro la paura costante.

Questa volta abbiamo risposto. Che questa azione dia forza a noi e a tuttx x altrx in questa lotta!

Non vogliamo né abbiamo bisogno dei poliziotti – né nella nostra città né altrove.
I poliziotti non servono la nostra società. Non sono nostri amici. Non sono neutrali, perché servono l’ordine esistente, il capitalismo e coloro che possiedono la ricchezza. Armati del monopolio della violenza, hanno il diritto di perseguire tutti coloro che non possono o non vogliono obbedire: le/i senzatetto, le/i giovani, le/i teppist.e.i, le/gli immigrat.e.i senza documenti, le/i rifugiat.e.i, le/i migranti, le/gli attivist.e.i, le/i tossicodipendenti, i/le rivoluzionar.i.e…
Gli esempi di violenza istituzionalizzata appena citati sono numerosi – per esempio, gli scioperi climatici del 2019 (quando i poliziotti hanno cercato di investire un attivista) o il recente omicidio razzista di George Floyd negli Stati Uniti.

I più grandi furti sono commessi da ricchi imprenditori, stati, banche, agenzie immobiliari, aziende agricole industriali. Quelli che sono in prigione sono persone che hanno cercato di trovare una soluzione alla loro situazione.
La violenza crudele viene scatenata ogni volta dalla polizia, dall’esercito, nelle carceri e nelle agenzie di polizia di frontiera, incaricate dallo Stato di mantenere l’attuale gerarchia locale e globale. D’altra parte, le persone che agiscono in solidarietà tra loro, che lottano per la libertà, per proteggere il pianeta, contro lo sfruttamento e l’oppressione sono guardate e perseguitate come terroristi.
Siamo stanch.e.i di essere oppress.e.i e molestat.e.i e forse l’assenza di queste auto impedirà qualche intervento poliziesco!

L’epidemia di coronavirus ha mostrato ancora una volta le circostanze in cui viviamo. I più colpiti dalle misure statali sono quelli che già soffrivano in “circostanze normali”. La gente ha dovuto lavorare ancora di più, non ha potuto pagare l’affitto, è rimasta bloccata alle frontiere, ha perso il lavoro, è stata reclusa in massa per la quarantena o è stata molestata dalla polizia nei parchi. Questo potere appena acquisito è stato immediatamente usato dalla polizia in modo malevolo, contro tutti, a caso. Non è una novità. Non è mai sicuro stare da soli con la polizia!

Ognuno ha le sue ragioni.
Non esiste un buon poliziotto.
Risolviamo i nostri problemi invece di chiamare la polizia.

Per una vita di libertà – per una società senza polizia e senza le loro auto.

Persone che si incontravano per caso, che si tenevano a un metro di distanza e che indossavano tutti delle maschere

Vienne (Autriche) : Deux voitures de flics en feu

Smascherare il nemico – Note sull’operazione Bialystok

Mi dolgo di ogni crimine che nella mia vita non ho commesso.
Mi dolgo di ogni desiderio che nella mia vita non ho soddisfatto.
Dichiarazione di Senna Hoy, un anarchico di Bialystok

Il 12 giugno a Roma scatta l’operazione «Bialystok», condotta da quelle merde dei ROS, che porta in carcere 7 individualità sparse fra Italia, Francia e Spagna: 5 in carcere e 2 agli arresti domiciliari.

Se non fosse che in questo caso ha a che fare con la repressione, il nome di Bialystok per molte ha invece un che di poetico: rimanda all’esperienza breve ma intensa di alcuni anarchici ebrei-polacchi che diedero vita ad uno scontro senza mediazioni contro i rappresentanti del potere in tutte le sue forme (Stato, religione, famiglia, poteri economici). Con attacchi a suon di dinamite, propaganda col fatto, cospirazioni e azioni in piccoli gruppi di affinità, quegli anarchici del primo novecento, inebriati dall’idea della riproducibilità delle loro azioni, credevano di poter incendiare i cuori di chi sa individuare il nemico. Il loro sogno, come quello di tutte quelle persone che si definiscono anarchiche, era l’insurrezione: farla finita con il mondo dell’autorità per far nascere qualcosa di inedito, attraverso una rottura violenta con tutti i dogmi e i luoghi comuni.

Pur lontani nella storia, quei compagni parlano di idee che sono tutt’altro che lettera morta, come si è visto ultimamente in tutto il mondo: le rivolte in carcere scoppiate ovunque durante la pandemia, le sommosse negli Stati Uniti contro il razzismo e la brutalità della polizia, e ancora gli insorti di Cile, Libano e Hong Kong che non si piegano alla repressione sanguinaria di chi vuol difendere i privilegi dei soliti noti. Questi sono solo alcuni esempi di come le condizioni sociali imposte attraverso lo sfruttamento creino la possibilità di rivoltarsi contro di esso, perché ci sarà sempre chi troverà il modo di ribellarsi e di attaccare la propria condizione di schiavo.

Per entrare nel merito, di cosa sono accusate queste compagne anarchiche? Prima di tutto di avere delle idee pericolose per un sistema basato sul potere e sul dominio della merce, ben difeso da un sistema tecnico che non è neutrale e che persuade la maggioranza delle persone all’opinione che questo mondo sia ineluttabile. Il sacrilegio esiste quando c’è chi interpreta la vita sempre con un coltello fra i denti, soffiando sul fuoco ogni volta che si scorgono possibilità di rottura con l’esistente o quando si sopravvive in apparente pace sociale, ispirando anche altre ad agire contro il nemico. Considerando ciò che venne scritto a proposito di un anarchico di Bialystok, “conosceva solo le gioie di una lotta intensa e febbrile. M. riconosceva solo un nemico, la tranquillità, la monotonia, la banalità”, va da sé che lo sguardo di chi cospira contro l’esistente si muove senza sosta un po’ dappertutto. Se per il mondo in cui viviamo è giusto che Eni, come tante altre multinazionali, continuino a devastare il pianeta e ad alimentare guerre per l’oro nero; se gli stupri, le torture e i pestaggi che avvengono nelle caserme e nelle carceri hanno senso per mantenere questa mortifera tranquillità, allora noi stiamo dalla parte del torto con queste individualità anarchiche, accusate di aver colpito proprio questi tentacoli del dominio. Rifiutando la logica della colpevolezza e dell’innocenza, non c’interessa sapere se siano state loro o meno, ma siamo ben contenti di sapere che queste pratiche siano esistite in passato e continuino ad esistere ancora oggi.

Per le accuse che pendono sulla testa dei compagni incarcerati non ha senso separare la repressione che colpisce gli antiautoritari da quella che cerca di stroncare, spesso preventivamente (come nel caso dell’operazione Ritrovo ai danni delle anarchiche di Bologna), ogni critica all’ordine e qualunque sintomo di rivolta non recuperabile dai falsi critici dell’esistente. Fra una minaccia “terroristica” e un contagio del virus della servitù, fra “lotta alla criminalità” e gestione della guerra all’epoca dell’epidemia, il discorso repressivo sta usando il suo manganello concettuale per difendersi dagli assalti del presente. In un periodo in cui il mondo sta cambiando ad una diversa velocità, dove la militarizzazione degli spazi diventa sempre più asfissiante, le condizioni di sopravvivenza si fanno sempre più stringenti e il controllo totalitario della tecnologia fa i conti più con la persuasione dei suoi sudditi che con la critica di qualche individuo affascinato dall’autismo degli insorti, la questione essenziale è come e perché sconvolgere il mondo dell’identico con la passione dello straordinario. Per non darsi al banale, per difendere tutte le ribelli rinchiuse nelle galere e per guardarsi la mattina allo specchio e rendersi conto che la tetra realtà non può fermare i sogni di sovversione. Alla fine anche le più pessimiste l’avranno notato: se purtroppo alcuni anarchici scendono a compromessi con la fandonia della politica o con l’orrore della violenza gregaria, non prendendo una posizione chiara ed etica neanche quando accadono sopraffazioni inaccettabili, le idee sovversive invece, quando la rabbia esplode, sono linfa vitale per scardinare questo mondo. L’attacco degli insorti al mondo poliziesco partito dall’ennesimo omicidio ai danni di un afroamericano non ci parla proprio di questo? Vogliamo lasciarci assuefare dalla monotonia (anche quella militante) o viverci l’utopia?

[https://csakavarna.org/?p=5149]

«Inferno o utopia?»

È una delle tante scritte comparse nei pressi del commissariato del terzo distretto di Minneapolis, quello andato in fumo nella notte fra il 28 e il 29 maggio nel corso della rivolta provocata dall’omicidio di George Floyd. Non è uno slogan, né un appello, e neppure un grido di battaglia. A fomentare ed eccitare gli animi ci aveva già pensato — ci pensa quotidianamente — il braccio armato dell’autorità, con la sua brutale arroganza. No, quella scritta vergata solleva una questione. Non rivolge una domanda al nemico (come il sarcastico «ci ascoltate adesso?»), pone a chi è sceso in strada un interrogativo su cui riflettere: to hell, or utopia? Qual è il senso di tanta rabbia e tanto furore? Cosa si vuole ottenere? Andare all’inferno, quello della riproduzione sociale, oppure dare vita all’utopia, a qualcosa che sia tutt’altro rispetto a leggi a cui obbedire, merci da acquistare, ruoli cui sottostare, denaro da accumulare, governi da eleggere e a cui delegare?
C’è chi pensa si tratti di un quesito inutile che verrà risolto da sé, superato dalla forza stessa degli avvenimenti, e che indugiare a prenderlo in considerazione fa solo perdere del tempo prezioso che viceversa andrebbe usato per risolvere problemi organizzativi immediati. Comodo determinismo che alleggerisce l’azione, sgravandola dalla fatica del pensiero, e consente di seguire più velocemente («senza tante menate») la corrente trionfale della Storia — anziché sforzarsi ad inventare e realizzare la propria, di storia. 
Eppure, i fuochi accesi a Minneapolis nel corso di quelle notti sono illuminanti anche a tal proposito. Sembra infatti, giacché testimoniato da più parti (anche da non sospettabili di complottismo), che alcuni di quegli incendi siano stati appiccati da estremisti di destra. Se ciò fosse vero, il sospetto ricadrebbe sugli appartenenti a quello che negli Stati Uniti viene ormai definito «movimento boogaloo», sigla guazzabuglio che raccoglie genericamente chi ama comparire in pubblico armato fino ai denti e lanciare infuocati proclami contro la politica del governo. Sebbene al loro interno non manchino sfumature contrastanti, gli estremisti boogaloo sono per lo più suprematisti, miliziani, maniaci delle armi, «survivalisti»… Tutta gente che non nasconde l’intenzione di scatenare una Seconda Guerra Civile in grado di ripulire le strade dalla feccia ed instaurare un «vero governo americano». 
Si dirà che si tratta di puro folklorismo, truce spettacolo mediatico che talvolta può anche fuoriuscire dalla rappresentazione ed assumere forme materiali pericolose — uccidendo una manifestante a Charlottesville nel 2017, ad esempio — ma che in sé non costituisce una vera minaccia sociale. Può darsi, ma… non si potrebbe dire lo stesso di qualsiasi nera rivolta a noi cara? In fondo siamo proprio noi a sostenere che, in determinate circostanze, ciò che in tempi di normalità appare impossibile diventa a portata di mano. Pensiamo davvero di essere gli unici ad aver osservato come basti una piccola scintilla per provocare un grande incendio, o come la fine della pace sociale possa aprire innumerevoli possibilità per rimettere in discussione questo mondo? 
No, certo. E quindi che si fa, per evitare preoccupazioni che intralcerebbero le azioni, ci tranquillizziamo ripetendoci che la situazione per forza di cose evolverà in un senso a noi propizio? Non lo pensiamo. Peggio ancora, poiché i tanti bassi istinti sono molto più facili da provare, condividere ed esaudire rispetto ai rari alti ideali, è assai probabile che se nei periodi di sommovimento ci si limitasse a lasciarsi trasportare dal vento, si finirebbe dritti all’inferno — e non verso l’utopia.
Prendiamo ad esempio la rivolta scoppiata nelle ultime settimane negli Stati Uniti. Non è il frutto della convergenza strategica di più movimenti di lotta, ognuno con una lunga storia alle spalle e una ragionevole bandiera da sventolare sopra la testa, che hanno visto ingrossare le loro fila fino a decidersi di dare all’unisono una spallata al potere. È l’improvvisa deflagrazione provocata da una scintilla verificatasi in un ambiente sovraccarico di tensioni di ogni genere. Ha colto di sorpresa tutti e un po’ tutti hanno cercato di approfittarne (compresi inquilini, ex-inquilini ed aspiranti inquilini della Casa Bianca). Come un tornado, è diventata giorno dopo giorno sempre più potente mutando con una velocità impressionante. Per evitare che travolgesse ogni cosa, e in attesa che esaurisca le proprie forze, le autorità più attente a mantenere la pace sociale sono state costrette a correre ai ripari annunciando profonde riforme (a Minneapolis lo smantellamento del locale dipartimento di polizia, a New York la penalizzazione della stretta al collo). 
Manovra disperata vanificata dallo stillicidio di omicidi commessi in quel paese dagli agenti di polizia, l’ultimo dei quali avvenuto la notte del 12 giugno, due sere fa, quando un altro nero è stato ammazzato ad Atlanta nel corso di un controllo da parte di una pattuglia. Si chiamava Rayshard Brooks e la sua terribile colpa era di dormire nella propria auto all’interno del parcheggio di un ristorante fast-food, con gran disappunto del proprietario del locale che ha richiesto l’intervento della polizia. Ora quel proprietario non avrà più preoccupazioni simili: il suo spaccio di merda è stato incendiato ieri notte, nel corso di una protesta che ha fatto registrare oltre trenta arresti. All’inizio gli agenti si sono giustificati dichiarando che Brooks si era ribellato all’arresto, minacciandoli col loro stesso taser che aveva sottratto durante la colluttazione. Ma poi l’ennesimo video li ha clamorosamente smentiti, mostrando come uno di loro gli avesse sparato alle spalle a distanza mentre cercava di scappare. L’agente che ha fatto fuoco è stato immediatamente licenziato e il capo della polizia di Atlanta si è subito dimessa al fine di «ristabilire la fiducia nella comunità», ma è ovvio che quella fiducia è persa per sempre. Andata letteralmente in fumo.
Lo scrittore nero James Baldwin diceva che «l’impossibile è il minimo che si possa domandare». Dopo l’omicidio di George Floyd nel giro di pochi giorni in tutti gli Stati Uniti folle di persone sono passate da una richiesta comprensibile, come l’arresto dei poliziotti responsabili della sua morte, ad una rivendicazione iperbolica come l’abolizione della polizia. Si tratta di una rivendicazione radicale, ottima per procurar battaglia (come scoperto dal sindaco di Minneapolis, il quale è stato insultato ed allontanato da un incontro pubblico per essersi rifiutato di appoggiarla). Ma se a furia di essere ripetuta diventasse conseguente — non più una provocazione momentanea per aprire le ostilità, bensì un obiettivo da realizzare — dove porterebbe una simile rivendicazione? All’inferno di una sicurezza la cui garanzia sarà contesa fra gruppi di autodifesa (modello sinistro, gli Asayish curdi) e movimento delle milizie (modello destro, gli Oath Keepers statunitensi), o all’utopia di una libertà che non offre alcuna garanzia, alcuna sicurezza, e dove spetta ad ognuno il compito di badare a sé, a chi ama, a chi sente vicino? Per altro, a quale nuova autorità affidare il compito di decretare tale abolizione? Lo stesso autore di La prossima volta, il fuoco ricordava che «la libertà non è una cosa che si possa dare; la libertà uno se la prende, e ciascuno è libero quanto vuole esserlo». Per cui l’impossibile è sì il minimo che si possa chiedere, ma solo perché — essendo una richiesta inaccettabile — permette di smettere di chiedere ponendo fine ai negoziati.
Che dei politici tentino di cavalcare la rivolta, che in mezzo ad essa si possa trovare di tutto, ciò non può stupire nessuno. Ma questo non significa restare indifferenti. I politici vanno disarcionati, non importa quali riforme istituiscano, quante dimissioni pretendano, che regole di ingaggio modifichino. I militanti autoritari vanno neutralizzati, non importa quali siano le loro intenzioni. Nel vecchio continente la differenza fra autorità e libertà non scompare all’interno delle composizioni «anticapitaliste», così come nel nuovo mondo non scompare all’interno delle composizioni «antigovernative». 
Inferno o utopia — o l’uno o l’altra. Ignorarlo o confonderli significa ottenere al massimo la possibilità di venir arrestati un domani per aver cercato di smerciare una banconota di 20 dollari, ma con sopra l’immagine della schiava ribelle nera Harriet Tubman anziché del presidente schiavista bianco Andrew Jackson.
 
[14/6/20]
 
https://finimondo.org/node/2489

Roma – Comunicato Op.Bialystock

Sull’operazione Bialystock

Aridaje.
L’ennesima operazione repressiva anti-anarchica è iniziata all’alba del 12/06/20 nei territori dominati dallo stato italiano, francese e spagnolo. In grande stile, quindi passamontagna e armi spianate, le guardie hanno perquisito diverse abitazione sequestrato il solito materiale e arrestate 7 persone, 5 di loro sono in carcere e 2 agli arresti domiciliari.
Nulla di nuovo sotto il cielo stellato.
Le accuse che lo stato muove contro di loro sono varie, tra cui la solita associazione sovversiva con finalità di terrorismo oltre ad incendio, istigazione a delinquere ecc ecc.
Ora, non è importante stare dietro ai loro cavilli giudiziari, ma è necessario ribadire che l’azione diretta, il mutuo appoggio, il rifiuto di ogni gerarchia e di tutte le autorità e che la pratica della  solidarietà  sono espressione della nostra tensione anarchica.
Non ci interessa entrare nella logica colpevol*/innocent*, le individualità colpite sono le nostre compagne e avranno la nostra vicinanza, solidarietà e complicità.

Ros merde
Ad ognuno il suo.

Alcun* occupant* del Bencivenga Occupato

Per il momento, gli indirizzi conosciuti dei e delle compagne arrestate sono:

Nico Aurigemma
C.C Rieti
Viale Maestri Del Lavoro, 2 – 02100 Vazia (RI)

Flavia Di Giannantonio
C.C Femminile Rebibbia
Via Bartolo Longo 92. Roma 00156

Claudio Zaccone
C.C Siracusa Via Monasteri, 20C.
Contrada Cavadonna
Siracusa 96100

Arresti a Roma operazione “Bialystok” – INDIRIZZI

Indirizzi per scrivere ai compagni e compagne:

 

Francesca Cerrone
Casa Circondariale di Latina
Via Aspromonte 100
04100 Latina
Italia

Nico Aurigemma
Casa Circondariale di Terni
Str. Delle Campore 32
05100 Terni (TR)
Italia

Claudio Zaccone
CC di Siracusa, strada monasteri 20
96014, Cavadonna (SR)
Italia

Flavia Digiannantonio
C.C di Roma Rebibbia
via Bartolo Longo 72
00156 Roma
Italia

Roberto Cropo
C.R. “san Michele”
Via Casale, 50
15122 Alessandria
Italia