Verso il tardo pomeriggio di ieri ritrovo un vecchio amico che non vedevo da tanto tempo. Nell’incrociarci in strada con queste maledette mascherine ci riconosciamo. Un incontro inatteso in epoca di quarantena, violata consapevolmente da alcuni in questa triste città che ormai non fa più differenze fra virtuale e reale. Mi dice subito: «Leggo sempre i manifesti in giro e le parole che scrivono gli anarchici. È incredibile come voi siate rimasti l’unica voce fuori dal coro a Cremona. Apprezzo anche se non condivido tutto quello che scrivete e difendete. Peccato che tutto questo, nel mondo di oggi, vi porterà ad avere solo grane personali e non la libertà di tutti che tanto sperate». Dopo questa battuta, a cui io rimango fra lo sbigottito e un piccolo senso di felicità, ci fermiamo a parlare degli anni passati a scuola insieme e ci lasciamo cordialmente con la promessa di rivederci.
Passando poi per via Manini, dove scorge una lapide che ricorda l’inizio della rivolta contro contro la dittatura fascista (Dall’epigrafe: “Da queste selci scaturì la favilla sanguinosa della riscossa. I cittadini del rione. 24 aprile 1945”. Nel quartiere di Sant’Imerio il giorno 24 aprile 1945, ebbe inizio l’insurrezione armata. Il primo atto fu uno scontro a fuoco in cui rimase ucciso un fascista genovese componente della Milizia, già noto ai partigiani come torturatore, che si stava attrezzando per fuggire dalla città), il cervello rincomincia a frullare riflessioni. Cosa c’è in quel senso di incertezza nel pensare e ripensare a quelle poche parole dette da una vecchia conoscenza con cui si è condiviso un pezzo di adolescenza? Il senso è difficile da trovare ma fin da subito sento un vuoto di estraneità dentro. La domanda che mi pongo è la seguente: «Davvero le anarchiche e gli anarchici sono rimasti l’unica voce fuori dal coro in questa desolante città?» Forse di primo acchito potrebbe sembrare, ma mi rifiuto di pensare che tutti gli oppressi di questa città si siano accomodati agli obblighi del potere. Non è possibile, non possono diventare tutti ciechi. E poi un senso di rifiuto mi pervade, per rigettare l’identità ribellistica che si forgia nella sicura alterità. Ci saranno ancora individui abbastanza determinati per mettersi di traverso al sistema di idiozia da cui questa epoca del contagio trae la sua forza consensuale? Quale liberazione in un mondo del tutto imbruttito?
Intanto arrivo a casa e un messaggio mi avverte che un mio compagno in questo pomeriggio ha fatto un incontro del tutto aspettato. I soliti sbirri gli hanno rotto le gonadi ed è stato denunciato per minacce, oltraggio a pubblico ufficiale e violazione delle norme sul coronavirus. A lui tutta la mia solidarietà e vicinanza. Ai fascisti di ieri (e di oggi) come agli sbirri di oggi (e di ieri) con le loro mani sporche di sangue va tutto il mio disprezzo. E non solo il 25 aprile, ma tutti i giorni. Sono sicuro che questo sentito stia nelle viscere anche delle mie compagne, dei miei compagni e anche di qualche altra persona ostile all’ordine sparsa in città.