Le viscere, il contagio, la ricerca di un altrove

riceviamo e pubblichiamo:

LE VISCERE, IL CONTAGIO, LA RICERCA DI UN ALTROVE.
Sull’urgenza di un discorso contro la paranoia collettiva e al semi-coprifuoco militare.

Inciso necessario :queste parole sono state scritte in più giorni. Vista la velocità disumana del mondo iperconnesso attuale (anche prima dell’emergenza pandemia) alcuni contenuti potrebbero risultare « superati » nell’analisi degli accadimenti. Spero che non siano comunque una noiosa zavorra ma possano dare, nel suo insieme, più corposità al testo .

Scrivo queste righe con la consapevolezza che le mie idee, i miei soli pensieri non mi bastano per abbracciare la complessità di un momento come quello che si sta avverando nella parte di Terra dominata dallo Stato italiano.
Soprattutto perché riguardo a quello che sta succedendo vorrei che per un attimo tacessero numeri, statistiche e proclami del potere (o i loro riflessi) e parlassero le vite, le esperienze , le sensazioni degli individui affini.
Scrivo alla ricerca di un confronto e di idee che passeggino sul filo del rasoio della critica, che sappiano tracciare nell’eccezionalità la propria alienità e contrarietà al mondo dell’autorità.
Questo testo vuole essere un invito ax compagnx anarchicx ad esprimersi (desolante, me ne rendo conto, che suddetto invito avvenga via web!) perché credo che una situazione simile, alla quale non siamo preparatx (nessunx é preparatx fortunatamente all’imprevisto) possiamo imparare tanto su noi stessx e possiamo dare tanto a livello di pratica a noi stessx e ax altrx.

I.
Se degli aggiustamenti repressive “emergenziali” che abbiamo visto concretizzarsi in questi anni é stato da subito evidenziato il ruolo eminentemente oppressivo e smascherata la strategia del potere, col Corona virus sembra che non sia immediata e scontata la reazione da parte di chi ha una visione critica e contraria della norma riguardo all’esistente.
Da un lato é molto prezioso che non vi sia nulla di scontato, dall’altro la preoccupazione mi sorge nel momento in cui il silenzio assomiglia al tacito assenso. Come a dire che tutto sommato, in un caso estremo come questo, un po’ di Stato, non dico sia benvenuto, ma sia il proverbiale “male necessario”.
Se effettivamente la critica dentro noi stessx si é appiattita a tal punto da arrivare a pensare che « cos’altro vuoi fare in un momento del genere ?! » credo che sia perché la paura, la mancanza di strumenti, il rifiuto di accettare inevitabili mancanze, ci ottenebra gli occhi e le viscere.
Se per l’emergenza stadi, terremoti, bombe d’acqua e inondazioni e altre varie strategie di controllo politico-militari messe in campo da tutti i governi in questi venti anni (giusto per circoscrivere ma si potrebbe andare più indietro) é stata subito prodotta e difusa dax antiautoritarx una contro-narrazione (e in alcuni casi una contro-prassi), col Corona a me sembra che si fatichi a fuoriuscire dalle sabbie mobili della paranoia e del sensazionalismo del bombardamento televisivo e social.
Io credo che questa differenza sia dovuta al fatto che col “virus” anche noi stessx siamo chiamatx a fare i conti con paure e dubbi ben più profonde ed interiorizzati delle evidenti macchinazioni repressive, alle volte anche molto goffamente mascherate, che si hanno avute nei casi sopracitati. Essere lucidx nel constatare che dei militari a presidiare delle tende dove stanno sfollate persone che hanno visto la propria casa distrutta dopo un terremoto, o chiarificare/si che una tessera identificativa per partecipare a una partita di calcio sono evidenti strumenti di dominio, è molto più facile, forse, che intravedere dietro al camice bianco che misura la febbre a unx anzianx la strategia di assoggettazione totale che il sistema sta praticando oggigiorno (beh , non che poi stiano mancando i militari nemmeno questa volta!!).
Perché non é importante la gravità del virus o del problema contingente, ma la disponibilità alla “servitù volontaria” che il potere é riuscito a ottenere tra x suox sudditx (alcunx tramutatx in verx e proprx seguaci). Una volta introiettati e normalizzati completamente questi meccanismi (ordine-obbedienza cieca) non vi sarà più nemmeno bisogno di un pretesto (sia esso un virus o la Jhiad), sarà la sublimazione totale della stessa ragion di Stato a legittimare il controllo generalizzato. E, a ben vedere, nei “normali controlli di polizia” questo già avviene: si viene controllatx solo perché si puo’ venire controllatx, non perché rappresentiamo un sospetto, una minaccia, un pericolo.
Il punto che cerco di delineare come centrale é il riuscire a mantenere il lumino della critica (per me, per la mia analisi del mondo diro’ della critica anarchica, delineandone cosi’ i paramentri e le coordinate di massima) acceso e pulsante. Ma é difficile anche per “noi” (perdonate la categorizzazione) quando si parla di una paura invisibile, che proviene da un ignoto che non abbiamo le capacità di sondare, perché i tecnicismi della scienza medica sono appannaggio dex specialisti. E noi, ora, non abbiamo che il linguaggio della scienza per sondare questo ignoto. Perché esprorpiatx, nei secoli, da ogni capacità e conoscenza altra.
E vagare in un terreno sconosciuto, senza riferimenti né strade possibilmente sicure da praticare, fa venire i brividi anche a chi ha fatto della distruzione del « vecchio mondo » la propria ragion d’essere.

II.
L’emergere della paura rappresenta una dimensione stratificata di vibrazioni, di sensazioni anche inconsce, di sospetti, di insicurezze riguardo a se stessx: a cosa crediamo o no, cosa vogliamo o crediamo di volere o meno.
Inoltre la paura é raramente un’esperienza individuale, alla quale si possa meter mano estraneandosi al contesto o dalle reazioni altrui, al di fuori di sé.
Le nostre paure, io credo, fanno tutte più o meno riferimento all’universo sociale (o comunitario, esempio la famiglia) dove siamo cresciutx e ci siamo formatx come individui. Non posso fare finta di dimenticare che sono/siamo prole della società di massa e che, comunque, le reazione delle masse hanno, volente o nolente, un riflesso sulla mia emotività, sui miei umori, finanche sulle mie azioni.
Dico questo perché immagino che anche x più fervente dex individualistx dopo un mese di protocolli e proclami e conseguente adeguamento quasi totale della popolazione nazionale, un minimo di permeabilità all’agire collettivo credo lo maturi.
O quanto meno una sensazione di accerchiamento asfissiante, che in ogni caso con contribuisce positivamente alla propria vita e alla propria capacità decisionale.
Affrontare le mie paure é un esercizio che posso fare solo con me stessx e con chi vive il mio mondo, interiore come esterno, in maniera astratta o estremamente reale, come in questo caso dove unx puo’ sentire per sé la «paura di contagiarsi».

III.
Elaborare una teoria critica e conflittuale in questo momento storico in Italia (soprattutto in Italia dove si stanno registrando, per quanto riguarda l’Europa, le misure statali più repressive) non ha percio’ solo a che vedere con lo smascherare la volontà di dominio totale ammantata di contenzione sanitaria, ma é ancora prima, un tentativo e una messa in discussione delle nostre concezioni di salute, di malattia, di contagio. E purtroppo anche, parola che sarebbe bello stracciare dal vocabolario di un individuo che scalpita per la liberazione totale, della sicurezza.
E più in là della nostra atavica paura immanente e senza scopo : la paura di morire, che credo dovrebbe farci riflettere a partire dalla concezione di cosa sia vivere e cosa significhi smettere di farlo.
Perché se non voglio partecipare al carosello dei dati per decidere se questo virus mi spaventa o no, se non voglio demandare alla statistica la mia possibilità o meno di essere contagiatx (dalla paura del contagio, prima che dal virus a forma di copricapo regale), allora dovro’ cercare altrove le ragioni del mio sentirmi tranquillx o meno.
Ragionare della mia possibilità di essere serenx a passeggiare per una città (per inciso: le città erano, ben prima del Corona, e saranno dopo, dei corollari di nocività anche mortali) senza una mascherina in faccia (che ora é la nuova divisa spettacolare dex affiliatx alla terapia collettiva) ha a che fare con la mia analisi riguardo ai concetti della mia salute, del benessere e, per ultimo, alla mia piena consapevolezza che comunque vada, non posso (e io nemmeno voglio) controllare tutto.
Personalmente credo che il Virus corona possa dare ax nemicx di questo mondo un’occasione per riflettere a fondo sulle vite che siamo giuntx a considerare « normali ».
Perché un’insidia che io vedo, che concretizzatasi sarebbe una vera e propria catastrofe per me, é quella di arrivare a « rimpiangere » il « prima » : idealizzare il periodo « pre-corona » come tutto sommato un mondo in cui potevamo fare le nostre vite tranquillx, parzialmente liberx .
Arrivare a dimenticarsi che comunque viviamo in labirinti di tossicità e contaminazione che chiamano società capitalista e che mangiamo plastica surrogata, respiriamo cancro , martirizziamo i corpi con dettami patriarcali e farmaci a rotta di collo…etc etc etc
A fronte di tutto cio’ che di pessimo siamo riuscix comunque a sopportare ; mi chiedo invece per contro, cosa facciamo per noi stessx per stare bene, per prevenire i mali del corpo e della mente (malefica dicotomia positivista) e, cosa ancora più importante, come ci rapportiamo al dolore e alla possibilità della morte?
Dico questo perché io credo che nella paura che si puo’ annidare anche nex nemicx dello Stato e dell’autorità, seguendone poi fedelmente i codici paradigmatici e comportamentali, vi sia tanto di “automatismo”.
Perche’ tutto cio’ che non indaghiamo personalmente lascia un vuoto di teoria e di prassi dentro noi stessx che, all’occorrenza, colmiamo con gli strumenti che il fuori da noi ci concede/impone. In questo caso penso che l’esempio della salute e della medicina in generale sia emblematico: non avendo (o avendo molto poco) sviluppato un paradigma Altro di quelle che possiamo chiamare salute, prevenzione, cura del corpo, medicina (etc.) indipendente e contrario dalla narrazione dominante, e conseguentemente non avendo una « medicina antiautoritaria » nella prassi, siamo forzatamente portatx ad accodarcx alla voce del padrone quando si ponga il problema di fronte ai nostri occhi.
La scienza, per quanto ferocemente osteggiata e combattuta nelle sue manifestazioni tecnologiche da tantx anarchicx, gode ancora di un grado altissimo di dipendenza (esempio lampante i farmaci) perché abbiamo perduto e mai recuperato le conoscenze/capacità di curarci e di prenderci cura di noi senza di essi.
Il linguaggio dei nemicix del potere in questo caso é emblematico: non esiste nel vocabolario antiautoritario terminologia che parli della cura, del disagio (psico-fisico), della sofferenza che non sia quello medico-chirurgico-psicanalitico-psichiatrico.
E’ infatti intrinsecamente difficile scrivere di tutto questo, perché ad ogni passo ricalco il linguaggio del potere e quindi ne perpetuo i concetti.

IV.
Questo virus (ce ne sono stati molti altri che in passato hanno attraversato tutti gli schermi del mondo e anche alcuni corpi, umani e non) nella sua manifestazione sociale eterodiretta dal sistema di dominio mi spinge a fare i conti con una diversa forma di terrore, che affligge anche chi da terroristx di qualsiasi « matrice » non ha mai temuto nulla: quello dell’epidemia perche’ realmente crediamo essere di fronte ad una pandemia catastrofica, e quello conseguente che mi fa domandare “e se capita a me o a una persona che amo?”
Ci tengo a precisare che per me la seconda domanda é direttamente collegata alla prima, perché se non prestero’ orecchio alle sirene dell’apocalisse farmacologiche probabilmente trattero’ questo virus come altre influenze invernali che per lo piu’ ammazzano vecchix e individui già malati.
E, ad ogni inverno, credo che molte poche persone si interroghino se vedranno o meno vivx unx proprio amore la settimana seguente a causa dell’influenza.
Ma mettiamo che in totale lucidità voglia fare un esercizio di astrazione: io vengo contagiatx.
Lxi, mix amore, viene contagiatx…che faccio ?!
Non stilero’ una lunghissima lista di domande e ipotesi che ognunx di noi potrebbe farsi a questo punto, quanto più voglio sottolineare l’urgenza di porsi queste domande e di confrontare le risposte con quelle fornite dal sistema.
Perché se do’ per assunto, e io lo assumo come certo, che la gestione di un virus (sia virtuale-biologico come questo o sociale come la rivolta in Cile di ottobre per esempio) é un fatto di Stato, allora io, da nemicx dello stato e della società, vorrei essere ben sicurx di non coincidere nella teoria-prassi col mio nemico.
Se considero le quarantene forzate, i controlli militari ovunque, la chiusura di attività produttive e il divieto di circolazione all’interno del paese, il divieto assoluto di iniziative sociali, il divieto formale di darsi la mano o abbracciarsi (etc etc etc), se tutto questo lo considero come il frutto fascista della più tetra delle distopie applicate fin’ora, non potro’ che orientarmi per l’esatto opposto.
Invece quello che credo stia accadendo in qualcunx (non voglio puntare il dito ! cerco di capire, di sollevare dubbi) é che lo Stato, ora che abbiamo almeno in parte un nemico in comune (il virus) é, si’ pesante e ingombrante e molesto, ma tutto sommato sopportabile perché, in qualche modo (forse non come io farei) sta agendo anche per me. Per proteggere anche me.
Purtroppo la funzione principe dello Stato, emblema della sua natura patriarcale (protezione) in questo caso esprime il suo pieno potenziale e travolge anche le coscienze impreparate dex suox nemicx più irrecuperabili.
Perché un po’ di paura la proviamo anche noi, sottoposti al bombardamento mediatico come ogni alrx ed esterrefattx dallo sconvolgimento del reale come forse davvero pochx altrx.
Si é solitx dire che si ha paura di cio’ che non si conosce, se questo é vero é più che normale che siamo spaventatx dal Corona, perché non abbiamo nessuno strumento per dirci in salvo da esso, ne di contrastarlo che non siano i dettami e i protocolli dell’autorità medica.
Questo, unito al fatto che la vacuità delle nostre esistenze si scontra sempre con la possibilità, imprevedibile, della morte, fa si’ secondo me che non possiamo dotarci di un’analisi su questo momento storico senza partire da noi stessx, dalle nostre paure, dai nostri strumenti individuali e collettivi di rapportarci alla sofferenza, alla malattia.
Prima di tutto io credo si debba essere onestx con se stessx e capire come ci vogliamo porre rispetto allo Stato e all’autorità tutta .
In più questa, come ogni nuovo prodotto su ogni mercato, é una malattia “nuova” percio’ si ha a che fare col concetto di ignoto incarnato in un minuscolo pulviscolo infettante che viaggia con l’impercettibilita’ di uno starnuto.
L’imprevisto é il terrore più intenso che l’umano civilizzato, che ha svenduto ogni capacità di vita avventurosa e di desiderio per essa per il sarcofago della sicurezza e dell’abitudine possa provare . Il crollo delle certezze edificate con una vita intera di sottomissione.
Lo Stato affronta l’imprevisto col solo modo che conosce, che é struttura ossea stessa del potere che rappresenta : il controllo militare-poliziesco.
E chi lo Stato e le sue emanazioni cerca di combattere cosa vuole/puo’/desidera fare ?

V.
Quello che cerco di dire, di proporre, di abbozzare, con maldestra esagitazione, é che stiamo vivendo un momento storico di ristrutturazione delle strategie repressive del dominio: uno tra i tanti, certo, ma questo in mondo visione e senza apparentemente l’ombra di una qualsivoglia forma di opposizione sociale. Eccezion fatta (ed é una considerevole eccezione !) per le rivolte nelle carceri di tutta Italia che stanno dando secondo me, a chiunque brami una scappatoia dal rimanere « spettatore » della propria vita che si sfilaccia agli arresti domiciliari sanitari, un esempio da seguire per squarciare la normalizzazione del dominio.
Un altro elemento che merita secondo me un approfondimento sono gli strumenti attraverso i quali ci facciamo un’idea di quanto sta accadendo. Se possibile il virus Corona viaggia sulla scia e per mezzo di un ben meno osteggiato morbo che in pochi mesi ha infettato miliardi di persone nel pianeta : lo smartphone.
Attraverso la connessione costante e ossessiva x abitanti della società iperconnessa sono a conoscenza secondo per secondo dei dati e dei fatti che forsennatamente i mass media e i social mettono in circolazione e, novità considerevole, anche dei dettami del potere che si diffondo con la rapidità di un tweet o di un post su facebook.
All’oggi, asserragliatx in casa, Tv, computer, smartphone ( e schermi di ogni sorta in effetti) rappresentano l’unico orizzonte possibile degli umani del terzo millennio, e quindi sono portatx a immaginare che, se possibile, l’esposizione alle radiazioni propagandistiche sia ancora maggiore del « pre-corona ».
Esattamente come per ogni altra appendice del sistema tecno-industriale non voglio cominciare a considerare « accettabile » o addirittura utile e veritiero, uno strumento che ha stravolto la socialità della specie alla quale appartengo e che continuo a considerare un’arma di distruzione di massa della comunicazione umana , dei sentimenti, delle capacità auto-organizzative (tra le altre cose).
Credo che il rischio più grosso che corriamo, anche da posizioni anarchiche, é di considerare il momento attuale come una sorta di sospensione della nostra conflittualità col sistema, invece che una sua acutizzazione.
Per chi ha sempre sognato e lottato (vissuto)affinché lo Stato scomparisse, ora, che lo Stato si staglia all’orizzonte come il solo « garante » della nostre sopravvivenze (per le lacune evidenziate prima) cosa si prospetta ?
Io non voglio in nessun caso rivedere le mie posizioni in vista di un futuro nel quale la transizione dalla società tecno-industriale a un mondo liberato ci permetterà con tranquillità di produrre un nostro paradigma di sicurezza sanitaria, di contenzione dei contagi possibile, della considerazione che abbiamo della vita dei nostri simili.
Personalmente non credo arriverà mai quel giorno. Forse nemmeno me lo auspico…
E quindi trovo tremendamente necessario avere ora, qui, una risposta. Ossia cominciare da adesso, che ci troviamo nel più difficile dei contesti a confrontarci su cosa crediamo necessario fare, verso quale prospettiva si orientano i nostri sforzi.
Se domani ci fosse il caos. Se lo Stato non avesse più la forza militare, e l’assoggettamento mentale, sufficienti a mantenere l’ordine e i tempi delle merci, come ci comporteremo col virus nell’aria e i militari alle calcagna ?
E il prossimo virus o la prossima « emergenza climatica » !?
Se da un lato si sono prodotte per decenni analisi su cosa sarebbe opportuno attaccare (strutture e istituzioni) per rendere irrecuperabile la situazione, non si era mai pensato a tentare un’analisi su cosa fare nel caso uno dei tanti bubboni della società tossica in cui viviamo fosse improvvisamente scoppiato.
Mi rendo conto che sia per lo più un esercizio di astrazione (visto che mi pare che, mai come adesso,si sia statx cosi’ lontanx dalla prospettiva di insubordinazione generalizzata!!) ma forse in momenti di desertificazione dell’immaginario rivoltoso sforzarsi di vedersi nell’impossibile ci avvicina più alla consapevolezza che tutto si puo’ concretizzare.

Quello che più mi auguro da queste parole é che un momento del genere non venga assunto e spiegato a noi stessx solo tramite i canoni interpretativi (e conseguentemente di dominio) dell’autorità.
Ci stiamo scontrando con qualcosa che non conoscevamo e si visibilizzano tutte le lacune in cio’ che credevamo di sapere.
In questi giorni tante iniziative sono state annullate in tutta Italia, negli ambienti anarchici, per « colpa » del virus.
Sarebbe interessante sapere quali sono le considerazioni che hanno portato a questo : se le difficoltà logistiche degli spostamenti, la paura per il contagio, pressioni da parte di sbirrx e autorità, o anche semplice « adeguamento » allo svolgersi delle cose.
Perché collettivizzare le riflessioni, o la mancanza di esse, é l’utilizzo più decente che possiamo fare in questo momento dove ci sono tante difficoltà logistiche , dei siti internet ai quali facciamo riferimento.

Ci tengo a precisare che non c’é nessuna sottile critica sottesa in queste ultime righe, né in nessun’altra parte del testo per quanto mi riguarda, solo una sincera curiosità e uno sprone a riflettere.

Solidarietà e complicità nella vendetta a tuttx detenutx in rivolta.
Fuoco alla galere e alla società-galera !
Per l’epidemia delle passioni !

Unx appestatx

https://roundrobin.info/2020/03/le-viscere-il-contagio-la-ricerca-di-un-altrove/