Utopia della città perfettamente governata

Mai come oggi il governo si regge sulla collaborazione dei propri cittadini, mai come oggi il potere si regge sull’obbedienza dei propri sudditi. Questo rapporto tra governanti e governati, al di là delle favole di una visione contrattualistica e pacificata, in cui i governati rinunciano volontariamente alle loro libertà in cambio di sicurezza, è in realtà una lunga storia di conflitti. La storia di questo rapporto non andrebbe letta come un patto sociale ma come quello che materialmente è, una guerra sociale.

Eppure oggi, in pieno stato di emergenza, lo Stato chiede collaborazione (ovviamente dietro la minaccia della punizione,nel liguaggio da boia che più gli si confà) e senza troppi fragori, la ottiene.

Come si è potuta produrre una tale coincidenza di interessi tra governati e governanti? Una tale corrispondenza di intenti tra oppressi e oppressori?

C’è chi sostiene che ciò sia avvenuto per cause di forza maggiore, il coronavirus, ovvero per spingerla all’estremo, è la minaccia dell’estinzione che fa saltare ogni differenza e ci riconcilia coi nostri nemici di classe per far fuori un nemico esterno, comune..

Non mi convince molto questa narrazione, non credo che sia stato fondamentalmente questo a generare “l’utopia della città perfettamente governata”, che è poi l’utopia di ogni governante. Piuttosto qui c’è in ballo qualcosa di più di una mera obbedienza, che di fatto diverrebbe insopportabile sul lungo periodo, c’è una logica gratificante che il neoliberalismo mette in campo da circa quarantanni senza sosta su tutti i piani, dal privato al pubblico, che è quella della performatività e della meritocrazia.

In una situazione come quella attuale, la responsabilizzazione di massa che è di fatto una obbedienza di massa può essere vissuta come performatività della propria condotta, sempre in chiave competitiva (stavolta a chi e’ più obbediente, normalmente a chi è più produttivo).

Il buon cittadino è colui che partecipa volontariamente al governo attraverso l’autogoverno, e si fa portatore dello sguardo dello stato, basti pensare alla sorveglianza generalizzata che trasforma ogni cittadino, ogni vicino, ogni persona in un poliziotto, pronto a denunciare, a segnalare, se non a picchiare chi infrange le regole sempre più pericolosamente restrittive (ormai i runner sono considerati gli untori ma c’è chi ancora va a lavorare sfuttato e senza mascherine senza che nessuno si scomponga). Forse perchè il lavoro, e quindi la produttività, è l’altra faccia della performatività dell’obbedienza (produttivi oltre che docili).

Questo significa che chi si ammala, chi non sa come organizzare la propria vita, chi rimane senza lavoro, senza casa, senza via d’uscita, non ha che da prendersela con se stesso, perché non ha curato bene la propria “impresa individuale”, e gli si dirà, non ha obbedito abbastanza.

Sono anni che la governamentalità neoliberale scarica sui singoli la responsabilità delle nefandezze prodotte da un sistema energivoro, estrattivista e predatorio. Per esempio ha fatto credere, con un ambientalismo pret a porter, che chi non differenzia o chi non si compra una macchina ibrida, è il responsabile del cambiamento climatico. Tutta la politica di riduzione di emissioni viene giocata secondo la stessa logica, incolpando i più poveri di utilizzare automobili più inquinanti di quelle di ultima generazione, per loro chiaramente inaccessibili. Incolpandoli di fatto di essere poveri. Non performativi quindi non meritevoli, vite di scarto, vite sacrificabili.

L’autogoverno, che oggi in tempo di virus, si traduce letteralmente in autoreclusione, risolve nell’immediato due ordini di problemi:

1- la crisi di legittimità del governo → che da apparato tecnocratico di controllo e gestione iniqua delle risorse, si immedesima ora sempre più nella bandiera, nell’ordine simbolico nazionalista carico di paternalismo di Stato, che lo riveste di una nuova legittimità, quella di dover combattere contro un nemico esterno, il virus (retorica dell’all around the flag in tempo di guerra). Quindi l’appello all’unità nazionale è funzionale non a combattere il virus ma a rinforzare lo stato, non appena la fase emergenziale sarà dichiarata finita.

2- l’ineguaglianza sostanziale dei rapporti sociali → le misure restrittive emanate dai vari governi sono rivolte a tutti indistintamente ma di fatto sonoo idealmente indirizzate a un uomo appartente alla classe-media,

*che ha un lavoro che può sospendere o meglio praticare come tele-lavoro (perciò non perde la sua produttività e dimensione soggettivante di lavoratore),

*che ha un automobile o un mezzo autonomo per muoversi (perciò può rispondere più agilmente a tutte le restrizioni di movimento, non dipendendo da mezzi pubblici o da una dimensione non individualistica delle relazioni -vedi i più poveri che tendono a organizzare più collettivamente i propri bisogni, spostamenti o altro),

* che ha generalmente una piccola unità familiare e non troppe relazioni significative all’infuori da quella (perciò può ritirarsi nell’isolamento del privato senza cambiare di molto la qualità dei propri rapporti)

per questo soggetto ideale, cittadino ideale, collaboratore ideale del governo dell’emergenza, il disagio personale sarà accettabile, ma e’ evidente che non per tutti il disagio sarà tale, e non per tutti sarà accettabile, anzi per molti evidentemente non lo è e non può essere diversamente.

I più vecchi, i più precari, i più poveri, i senzatetto, i migranti, i reclusi, i disabili,i lavoratori senza tutele-protezioni sono tutti coloro per i quali le misure di contenimento del virus possono significare letteralmente morire più facilmente, dato che non dispogono di un salvagente privato o pubblico (di un qualche residio di welfare familiare o di stato). Per loro, il disagio sarà inaccettabile, o meglio sarà un dramma.

Per cui si ammaleranno maggiormente i più ricattabili, chi lavora senza protezioni adeguate inizia a scioperare (vedi Amazon), per molti non sarà neanche possibile astenersi da un lavoro a rischio dato che l’alternativa è la fame,lo sfratto, l’abbandono totale. Se sopravviveranno poi saranno comunque quelli che pagheranno maggiormente i costi di questa emergenza.

Ci serve innanzitutto rigettare questa stucchevole retorica da unità nazionale, ci serve una narrazione di parte e un’azione di parte.