Canarie – Chiamata allo Sciopero dell’Affitto 1 Aprile

Dall’Unione degli inquilini di Gran Canaria chiediamo a tutta la classe lavoratrice e affituaria di sostenere lo Sciopero Generale e Indefinito degli Affitti che dichiariamo a partire da questo 1° aprile 2020.

La situazione attuale non potrebbe essere più allarmante, e non solo a livello sanitario, ma anche economico e sociale. Le misure adottate dall’esecutivo in relazione allo “Stato di Emergenza” decretato a causa del Covid-19, sono misure marcatamente antioperaie* e che toccano soltanto la superficie (con una moratoria limitata sui mutui) ignorando le basi: migliaia di famiglie che vivono alla giornata, che sopravvivono con lavori senza stipendio fisso, che sono state licenziate in maniera fraudolenta e nelle cui case non entra alcun reddito a causa del confinamento, sono esposte all’impossibilità di affrontare il pagamento dell’affitto.

Le fasce più povere della popolazione, come gli inquilini, i migranti, i senzatetto, i lavoratori domestici, i precari, sono stati completamente relegati e ignorati, come sempre.

Per tutti questi motivi, invitiamo tutti i collettivi, le piattaforme e i sindacati a sostenere questo Sciopero dell’affitto, chiamato anche a livello internazionale (dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Regno Unito, dalla Svezia, dal Cile e da quelli che seguiranno).

Le nostre richieste di base sono chiare:

1. Sospensione immediata del pagamento dell’affitto, soprattutto per gli affituari in situazioni di vulnerabilità e per chi affitta da multi-proprietari o entità giuridiche (invitiamo alla minoranza di propietari che non soddisfa questi requisiti a rivendicare un Reddito di base Universale). Non pagheremo fino a quando questo provvedimento non sarà adottato, senza un reddito sufficiente e regolare.

2º Che le case abbandonate in mano a fondi, enti finanziari e bancari (soprattutto quelli che sono stati salvati con denaro pubblico) siano socializzate e messe a disposizione delle migliaia di persone e famiglie che oggi sono senza casa.

Ci sono fin troppi motivi per proclamare lo Sciopero Generale e Indefinito dell’Affitto a partire dal primo aprile!

NON GUADAGNIAMO, NON PAGHIAMO.

* In Spagna il governo ha facilitato alle imprese l’applicazione degli ERTE (Expediente de Regulación de Empleo Temporal), che consentono la sospensione del contratto di lavoro.

Per maggiori informazioni (in spagnolo):

Unione delle inquiline di Gran Canariahttps://sindicatodeinquilinasgc.noblogs.org/

Federazione Anarchica di Gran Canariahttps://anarquistasgc.noblogs.org/

Cile – isolamento completo nel Carcere di Alta Sicurezza

Venerdì 27 marzo 2020 il Carcere di Alta Sicurezza, ha sospeso a tempo indeterminato le visite e la corrispondenza, lasciando praticamente completamente isolati i diversi prigionierx che si trovano ostaggi dello Stato.
Non possiamo comprendere queste misure in modo diverso da un’azione repressiva, che lungi dal cercare una “quarantena” o misure sanitarie, lasciando i nostrx compagnx prigionierx in balia dei loro carcerieri senza la possibilità di comunicazione e ricevere elementi di base per igiene e sussistenza.
Ricordiamo che in questa prigione ci sono prigionieri rapiti e sequestrati, scontanodo sentenze come Juan Aliste, Marcelo Villarroel, Juan Flores, Joaquín García, Mauricio Hernandez Norambuena e alcuni prigionieri della rivolta.
Oggi i cittadini ottengono “permessi di transito” per fare il pieno nei supermercati e andare a produrre, anche nei comuni con quarantena totale.
Non accettiamo questo isolamento totale travestito da misura sanitaria!

Non permetteremo ai nostri compagni di essere sepolti in prigione!

Contributo su repressione e tecnologia

DAL MICROSCOPIO ALLE TELECAMERE:

 lente sul laboratorio repressivo in atto

Da settimane ormai le news che scatenano il panico di un’epidemia mortale, dell’economia al collasso e della sanità che non regge e le immagini sui giornali di piazze vuote, mascherine e posti di blocco dilagano aumentando la tensione e la paura di un nemico sconosciuto. In questo clima emergenziale sorge spontanea la voglia di provare a fornire degli spunti di riflessione sul tenore di controllo attuato, e, partendo dalla realtà attuale, tentare di far luce sulle possibilità che il sistema neoliberale capitalista potrebbe cavalcare per rafforzarsi, proprio nel momento in cui le sue contraddizioni emergono più forti che mai.

Crediamo sia importante condividere riflessioni, analisi e ricerche  in questo momento storico, per cercare di comprendere come muoversi.

Il contesto chiamato “pandemia” apre di fronte a noi scenari del tutto nuovi: da un lato il sistema stato e l’economia capitalista dimostrano di avere un’ossatura più fragile di quanto sembri; dall’altro un contesto come questo può portare ad una maggiore legittimazione di legislazioni speciali e repressione, e le restrizioni imposte possono portare ad uno sgretolamento dei rapporti umani, favorendo l’isolamento e rendendo ancora più difficoltosa la presenza nelle strade.

Non è intenzione di questo scritto concentrarsi sulla questione prettamente sanitaria, quanto più riflettere sulle dinamiche di “contenimento”, che di fatto si traducono in misure di controllo, più fitte e diffuse, ancora più evolute e sulle conseguenze che potrebbero avere.

LA MACCHINA DEL CONTROLLO SI EVOLVE: COME L’EPIDEMIA DIVENTA POSSIBILITA’ DI CRESCITA PER L’INDUSTRIA DELLA SORVEGLIANZA

Innanzitutto è interessante provare ad osservare cosa è accaduto e sta continuando ad accadere in altri paesi per quanto riguarda il controllo attuato durante l’emergenza coronavirus, che sempre di più si concretizza in sorveglianza tecnologica, e chi sta guadagnando dalla situazione attuale.

Da alcuni siti di controinformazione (vedi lundi.am e hurriya.noblogs) giungono testimonianze interessanti circa il contesto repressivo in Cina, dove ora il governo sta avviando una campagna di propaganda per riacquisire credibilità dopo che le prime misure, nonostante la censura, sono state ampiamente criticate su internet.  Dietro l’immagine di uno stato forte che ha saputo contenere l’epidemia, citata e ripresa da politicanti nostrani, si celano le morti degli infermieri che non avevano mezzi per proteggersi dal contagio, si celano i suicidi di persone che per paura di contagiare i propri cari, consapevoli del fatto che in ospedale i rimedi non sarebbero stati sufficienti per tutti, si sono tolte la vita. Si cela la paura nelle strade, dove la polizia minaccia con le armi chi non porta la mascherina. Il paese ha nascosto la notizia della diffusione del coronavirus, che il medico Lin Wenliang aveva già provato a diffondere a fine dicembre. Il medico è morto. Di coronavirus, ovviamente.

In sostegno agli stati in materia di controllo di fronte a “nuove catasrofi”, appare l’ industria della sorveglianza.

Proprio in Cina, paese leader nella sperimentazione di nuove tecnologie, dove negli ultimi anni  si sono sviluppate forme di controllo sociale basate sul riconoscimento facciale, funzionali a stabilire il profilo morale di una persona e constatandone la propria “affidabilità” in quanto cittadino,
l’industria della sorveglianza e delle intelligenze artificiali  applicate al “contenimento del virus” hanno trovato terreno fertile.

Tra i metodi più usati per contenere l’epidemia vige il monitoraggio dei gps dei telefoni cellulari tra i contatti di chi è stato infettato, ma non solo; ad ogni triage allestito i medici sono tenuti a consultare gli smartphone di chi si reca anche solo per farsi misurare la temperatura per controllare gli ultimi spostamenti. Oltre a camionette e blindati della polizia droni e robot sono stati utilizzati per controllare le interazioni sociali e per limitarle, per controllare che le norme venissero rispettate. I robot sono stati utilizzati (oltre che a un ingente dispiegamento di polizia) anche per pattugliare le strade.

Il monitoraggio dei telefoni cellulari (non in forma anonima ma risalendo ai proprietari) è stato ampiamente utilizzato anche in Corea del Sud e in Taiwan. I movimenti dei pazienti, i loro contatti  e  le loro condizioni di salute sono in mano alla polizia. Un’applicazione assegna alle persone il colore verde, giallo o rosso, a seconda che siano autorizzate ad entrare negli spazi pubblici o che debbano entrare in quarantena in casa loro.

In Corea del sud, inoltre,  sono state attentamente attenzionate le farmacie, i cui archivi sono stati consultati dagli sbirri, così come i movimenti delle carte di credito.

La tecnica di controllo della popolazione tramite i big-data per il contenimento del coronavirus è stata messa in atto anche da Israele. Un interessante articolo di Wu-ming riporta che  sul sito dell’expo (iHLS InnoTech Expo) in materia di sorveglianza e intelligenze artificiali che si terrà a Tel Aviv  a novembre 2020 , appare un articolo che recita: “ In una mossa senza precedenti, in Israele sarà implementato il monitoraggio cellulare dei potenziali pazienti affetti da coronavirus, per assicurare che non stiano infrangendo le condizioni di quarantena e per scoprire con chi erano in contatto. Per la prima volta, Israele applicherà un’ampia localizzazione cellulare di cittadini che non rientrano nel contesto di un’indagine terroristica. La mossa riflette le misure adottate da Taiwan, che è riuscita a far fronte alla diffusione del virus.” Inoltre gli organizzatori dell’expo sfruttano l’occasione per invitare caldamente alla partecipazione tutti gli organi interessati ad approfondire le conoscenze in materia di intelligenze artificiali volte a contrastare “disastrosi scenari”…

Il 18 marzo sono apparsi i primi articoli sulle testate giornalistiche italiane circa l’utilizzo dei dati gps per  verificare quanto le misure imposte sulla circolazione vengano rispettate. Il 17 marzo  la regione Lombardia ha dichiarato di aver monitorato gli spostamenti dei cellulari da cella a cella, quindi di aver registrato quanti telefoni si sono collegati ad una determinata antenna “senza essere risaliti ai proprietari”, ma che se sarà necessario verrà applicato il modello della Corea del Sud, ovviamente “garantendo il trattamento dei dati esclusivamente a fini medici”…
(https://www.corriere.it/tecnologia/20_marzo_18/coronavirus-controlli-celle-telefoniche-tracciamento-privacy-223ea2c8-6920-11ea-913c-55c2df06d574.shtml)

Sempre per monitorare le destinazioni delle persone, otto operatori telefonici (tra cui Telecom e Vodafone) il 23 marzo hanno firmato un accordo con la Commissione Europea per condividere i dati relativi alla localizzazione degli utenti. Per difendersi di fronte ad accuse di violazione della privacy, dal Parlamento Europeo hanno affermato che “i dati saranno resi anonimi prima della trasmissione e saranno cancellati una volta finita l’emergenza”…
https://www.punto-informatico.it/covid-19-operatori-tracciano-movimenti/

Sempre il 23 marzo è uscito un articolo su Repubblica che annuncia che le polizie di alcuni comuni hanno usato droni per controllare i movimenti e che ora l’Enac (ente nazionale per l’aviazione civile), ha concesso un’autorizzazione ai comandi di polizia locale fino al 3 aprile per l’utilizzo di droni in questo senso. (https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/23/news/coronavirus_l_enac_da_il_via_libera_all_uso_dei_droni_per_i_controlli-252086528/)

Ma l’industria della sorveglianza non si esaurisce in droni e big data: essa si arricchisce anche attraverso le videocamere smart, le macchine biometriche da usare nei checkpoint e nei termoscan che si sono installati anche negli aereoporti e nelle stazioni italiani.

Insomma, cosa meglio di un’emergenza sanitaria, perfetto pretesto che legittima l’attuazione di un maggiore controllo, può creare grandi opportunità per i nuovi padroni di veder crescere l’ammontare del proprio capitale, proprio in un momento storico in cui l’industria delle intelligenze artificiali muove grandi passi in avanti? Sempre di più l’industria della sorveglianza si evolve e diventerà funzionale alla repressione; essa è già preziosa alleata dei governi, per esempio, nell’ambito del controllo frontaliero, dove macchinari per la raccolta dei dati biometrici saranno sempre più diffusi per lo schedaggio della popolazione.

E così, se da un lato il contesto creatosi con il Coronavirus mette in luce la crisi del sistema capitalista, dall’altro offre nuovi spunti e possibilità allo stesso di riconfigurarsi e ripensarsi.
Sempre di più ci imbatteremo in strade in cui la tecnologia sarà preponderante.

SULLO STATO D’EMERGENZA e il bisogno di securitarismo

Il 31 gennaio il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per motivi sanitari per sei mesi. Il potere centrale acquisice ancora più forza; alcune funzioni prima gestite da enti locali ora possono essere gestite direttamente dal governo centrale.
Lo stato dispiega ora maggiormente la sua forza militare in nome del’esigenza di contenere il contagio.
Sebbene finora c’è stato chi ancora ha deciso di uscire a piedi, per passeggiare, correre, fare sport, per le strade la presenza dello stato si fa ogni giorno più imponente, e nuove ordinanze sono state emanate per limitare le attività all’aperto.

Le rivolte nelle carceri diffuse e simultanee hanno fatto impallidire i ranghi del potere, che si prepara a calmare la rabbia sociale. Lo stato ha già annunciato che si sta mettendo in moto per preparare piani volti a fermare gli eventuali disordini che si potranno creare come conseguenza al disastro economico a cui questa crisi sanitaria sta portando e che “è necessario prepararsi in tempo, e cominciare a pensare piani d’azione per le forze dell’ordine e, nel caso, l’esercito”.
Le regioni  hanno invocato a gran voce l’intervento dell’esercito per far rispettare le misure, ora i militari pattugliano le strade, insieme a polizia e carabinieri. L’immagine di questi ultimi giorni è uno scenario di guerra.

Lo stato d’emergenza non è una proclamazione dello stato, è una condizione su cui si regge il potere. Quanto sta accadendo non è che il peggioramento di una condizione che è l’essenza dello stato stesso, una condizione di cui ha bisogno per giustificare la sua esistenza, la sua forza, le sue subdole propagande di odio. Diventa però un’occasione per riconfigurare il proprio potere di fronte a quella parte dei cittadini che ancora in esso nutre una speranza; gli sfruttati e le sfruttate, coloro che non hanno i mezzi per potersi curare, o per poter accedere alla sanità privata, visto che quella pubblica è allo sfacelo, potrebbero restare quella parte di popolazione dimenticata, quelli che per primi moriranno di fronte alle nuove epidemie che anche in futuro si potranno verificare e che probabilmente, visto i disastri ecologici di cui il capitalismo è responsabile, sempre più spesso si verificheranno.

La paura è un’arma in pugno a stati e governi, da sempre il potere si nutre del panico collettivo, che sia verso “l’immigrato” o in questo caso la malattia. Cosa di più della paura della morte può essere sfruttata dal potere?
Non è intenzione negare l’epidemia, nè puntare il dito contro chi sceglie di non uscire per timore di contagiare il prossimo; quanto più di porre il dubbio su quanto le misure adottate siano efficienti o siano la soluzione più rapida (e funzionale) per lo stato che si è ritrovato in un caos a cui ora cerca di sopperire. E’ chiaro che per esso sia più importante la propria sopravvivenza che quella delle persone.  E provare a dare una spinta per riflettere noi stess* su quali sono i metodi che possono essere funzionali ad evitare il contagio, in autogestione, senza farsi risucchiare dalla paranoia.  Il pericolo è che tutti gli spazi di confronto anche su quelli che sono i metodi per evitare di contagiarsi sono negati, perchè la verità è in mano allo stato, che diffonde l’idea che non ci sia altra soluzione che quella della repressione.

Le denunce per inottemperanza alle nuovi disposizioni hanno raggiunto numeri stratosferici;
ora sono state sostituite da ammende che arrivano fino a 3000 euro e non cadono nel pensale ma rimangono amministrative. La giustizia non ce l’avrebbe fatta a reggere il numero imponente di processi; per la cassa, comunque, c’è sempre spazio. Tali misure hanno colpito molto e continuano a colpire i senzatetto e chi non ha una possibilità di rientrare in casa, perchè una casa non ce l’ha.
Ascoltando una diretta su Radio Blackout, per esempio, qualcun* spiegava che per i senzatetto a Torino sono molte le denunce arrivate e che in particolare le misure hanno colpito chi è stato trovato in uno stato “alterato”.
Sui giornali si parla ad esempio di quanto nel centro delle città le persone rispettino le misure mentre nelle periferie gli assembramenti sono più problematici. Certo, nelle periferie dove magari non tutti hanno la possibilita di chiudersi in un appartamento. Dove è più possibile che la gente che vive di espedienti e che vive e lavora in strada, per sopravvivere non possa fare a meno di restarci. E anche il contesto dell’epidemia si prefigura come un’occasione per una guerra ai poveri.
Le denunce penali magari mai avranno un seguito, a meno che non verrà scelto di sfruttarle ad hoc, quindi di portare avanti i procendimenti, o aggiungerle come peso giudiziario, per chi ha già precedenti penali, o a chi lotta contro questo sistema.

Lo stato italiano, che si deve ora mantenere forte e mantenere la propria credibilità, dopo aver mostrato le proprie falle per quanto riguarda la gestione del servizio sanitario, ora attua un regime di controllo più serrato, perchè altrimenti non è in grado di contenere un’epidemia. Con la minaccia della pandemia gli stati ora si è guadagnano il consenso di un’intera popolazione di fronte a misure restrittive della libertà, e quando questo finirà la legittimazione al controllo avrà le basi per sussistere.

Le misure speciali adottate nel contesto dell’emergenzialità finiranno una volta contenuta l’epidemia ? Oppure lo stato sfrutterà la situazione di panico diffuso per permettersi di continuare nel tempo ad adottare misure sempre più restrittive, di fronte ad un qualsiasi pericolo minacci la sicurezza nazionale?

Una situazione molto simile a quella creatasi in Francia nel 2015, dove comunque l’agitazione sociale è continuata nel tempo, quando lo stato d’emergenza venne proclamato in seguito agli attentati di Charlie Hebdo e il Bataclan, potrebbe configurarsi; lo stato de’emergenza dura tutt’ora, e anzi, con la nuova legge securitaria del 2017 è diventato “parte integrante dello stato di diritto”, le frontiere sono terreno di inseguimenti da parte di sbirri e militari alla caccia di chi non ha i documenti “ validi”, le stazioni dei treni e le strade sono ipercontrollate, le guardie sempre in caccia dello straniero potenziale terrorista …di fronte a quest’epidemia e a quelle future forse la caccia sarà destinata ai presunti untori e forse, il divieto d’assembramento, che si traduce immediatamente in divieto di manifestare, sarà mantenuto per evidare il diradarsi di ulteriori epidemie, rendendo ancora più semplice per il governo reprimere chi prova a stare in strada, modalità che peraltro negli ultimi anni si sta consolidando sempre di più, coronavirus a parte.

(https://lundi.am/L-art-de-la-repression).

Come al solito, i primi a pagare il prezzo della situazione in cui ci troviamo sono coloro che la società rifiuta. I primi a pagare le conseguenze della gestione dell’epidemia sono i/le detenut*, carne da macello.
La rabbia per le misure adottate è già esplosa in moltissime carceri, dove le persone rimangono stipate nelle celle senza alcuna prevenzione al contagio, dove sbirri e personale girano ed entrano senza mascherina, mentre l’ora d’aria ed i colloqui sono stati vietati.
Una situazione simile è vissuta anche dalle persone riunchiuse dei centri di detenzione.
Dei reclusi nei CPR italiani non si hanno molte notizie, in alcuni centri le comunicazioni con l’esterno sono state interrotte, ma possiamo ben immaginare quali siano le condizioni a cui sottoposti, stipati nelle celle con scarsissime prevenzioni e senza neanche la possibilità di telefonare all’esterno, come accade a Torino. A Roma si apprende che nessun membro di una qualunque associazione entra nel centro, nè avvocati e che alcune detenute si sono chiuse in stanza per timore di essere contagiate, mentre una è stata portata in ospedale dopo aver ingerito della candeggina.
Uno sciopero dello fame invece è in corso al Cpr di Palazzo San Gervasio, dove i detenuti affermano che nessuna protezione contro il coronavirus è adottata dalle guardie, dove non c’è il riscaldamento e nulla viene igienizzato.
Dalla Francia ci giungono le stesse notizie; in molti dei CRA nemmeno il personale di pulizia entra più e le condizioni igieniche si fanno ancora più scarse durante l’epidemia. In molti dei Cra si sono già verificate rivolte e sono in corso scioperi della fame.
(https://hurriya.noblogs.org/post/2020/03/20/la-situazione-in-diversi-cra-in-francia-allepoca-del-coronavirus/)
Proprio dai luoghi di prigionia arriva un barlume di speranza. Le rivolte che si sono verificate mostrano una rabbia che non è relativa solo alla situazione del coronavirus, ma alle condizioni di merda in cui i detenuti si ritrovano a vivere tutti i giorni. Le rivolte mostrano una sete di libertà che è irrefrenabile, mostrano la rabbia verso la gestione di quest’epidemia, che vede ovviamente gli ultimi come prime vittime sacrificali.

LA CRISI COME POSSIBILITA’ D’AZIONE

In questo scenario quasi apocalittico ma tremendamente reale, che sembra cambiar di giorno in giorno spiragli di dissenso andrebbero colti e alimentati.
Quest’epidemia lascerà una crisi economica fortissima e moltissime persone si ritroveranno in condizioni critiche. E forse, chissà che la rabbia che si è manifestata all’interno delle gabbie per un sistema che ci sfrutta e ci uccide, un sistema che è il reale reponsabile delle catasftrofi, riesca ad uscire da quelle mura e scaldare l’aria circostante. Forse le pessime condizioni in cui tant* si ritroveranno chissà se possono portare ad una presa di coscienza più generale del fatto che il problema non è rendere migoliore questo sistema ma che questo sistema non deve più esistere.
Probabilmente la maggior parte delle persone non vede e non vuole vedere le contraddizioni in cui viviamo che emergono ora più forti che mai, anzi, come citato prima, si fa abbindolare dall’azione dello stato che si prefigge come unico dio salvatore, maestro di competenza ed affidabilità.
In tant* ci siamo trovati impreparat* di fronte a questo complesso fenomeno, Non è per nulla semplice fare luce sulle strade che ci si parano davanti e capire quale sia la più opportuna da percorrere, nè quale sia il modo più corretto di comportarsi nella specificità di questa situazione e per questo pensiamo che sia utile sfruttare questo momento per riflettere e cercare di comprendere come portare avanti le lotte, per riflettere su quali sono state le mancanze della passato che ora fanno ‘sì che non riusciamo a reagire prontamente di fronte a quello che ci si para davanti ed uscire da quest’empasse, come lo sono stati la mancanza di riflessioni sulla questione della sanità, su quali metodi alternativi possiamo costruire per delegare totalmente la nostra vita al sistema sanitario e all’industria farmaceutica.

Dobbiamo riflettere, innanzitutto per capire come affrontare questa situazione senza affidare la nostra vita e la nostra salute ad un sistema che cerca di salvare se stesso  e prepararci a quello che lascerà quest’epidemia, a come fare fronte ai nuovi contesti repressivi, riflettere su come agire , in uno scenario che si prefigura ostile e sempre di più governato dalla tecnologia.

 

https://roundrobin.info/2020/03/contributo-su-repressione-e-tecnologia/

Spoleto – …per un vero sciopero generale!

Nel mentre ci impongono di stare tutti a casa, nel mentre mettono i sigilli ai parchi, nel mentre fioccano denunce, ammonimenti e sanzioni, c’è chi è costretto ad andare a lavorare. Se le stesse mappe che diffondono i media mainstream dei focolai di Coronavirus indicano chiaramente come questi si intensifichino presso i principali centri industriali, non possiamo non accusare Stato e padroni di questa situazione. La sedicente scomparsa del mondo del lavoro è giunta a verità: anche in piena emergenza esiste qualcuno che è necessario alla produzione, qualcuno senza il quale tutto verrebbe giù. E allora tiriamolo giù!
In un lontano passato, lo “sciopero generale” aveva un significato catartico. Nelle sue varie tendenze – soreliane, individualiste, utopiste – il sindacalismo rivoluzionario immaginava lo sciopero generale come una battaglia fondamentale del processo rivoluzionario, se non addirittura del momento stesso della rivoluzione. Nello sciopero generale, gli sfruttati avrebbero sciolto le dinamiche capitaliste e avrebbero fondato una nuova società. Per alcuni, questo sarebbe stato un momento sublime e definitivo. Altri, meno utopisti, erano consapevoli di come per vivere durante lo sciopero i proletari avrebbero dovuto appropriarsi di che campare, sarebbero dunque arrivati i soldati e ci sarebbe stata battaglia.
Negli anni, le parole “sciopero generale” hanno perso questa aurea mitica. Lo sciopero generale è diventato il rito d’autunno, poi il rito di un autunno particolarmente caldo. Talvolta usato dalle burocrazie dei grandi sindacati riformisti per indebolire un governo ostile e favorirne uno “amico”. Ancora più imbarazzanti, le posizioni di chi continua a proclamare lo sciopero generale e lo proclama finanche radicale, senza avere la forza né che esso sia davvero generale né che esso sia davvero radicale.
In questo momento la nostra società appare vecchia e malata. Non è questo lo spazio per analisi, che alcuni di noi stanno facendo e faranno altrove. Possiamo però individuare alcune costanti in tutto l’Occidente: sospensione del regime liberale, forti limitazioni alle libertà degli individui, fine sostanziale dell’Unione Europea e delle sue leggi finanziarie, ma continuità delle produzioni che lo Stato ritiene strategiche (e non sono solo quelle sanitarie, ma anche metallurgia, militare, energetica ed estrattivistica). Stato e capitale tornano al centro della scena, chi si ribella è un untore e un traditore. Alcuni paesi, come il Portogallo, hanno sospeso per due settimane il diritto di sciopero.
Ora più che mai sono gli sfruttati che mandano avanti la baracca. Lo fanno al prezzo della loro sicurezza e della loro libertà. Altri sfruttati, invece, si trovano in una condizione di indigenza. I soldi promessi non arrivano, i padroni non pagano nemmeno i vecchi stipendi precedenti all’emergenza e non si attivano perché arrivi loro la cassaintegrazione. Che questa condizione possa essere di incubazione per un percorso di nuova radicalizzazione. Che si diffonda come una pandemia la convinzione che senza di noi tutto può venire giù. Che, come diceva Durruti, sappiamo che alla fine della sua storia la borghesia lascerà solo macerie; ma noi non abbiamo paura delle macerie, perché siamo noi che abbiamo prodotto ogni cosa e che potremmo ricostruire tutto nel mondo nuovo. Quel mondo cresce già ora.
A farci particolarmente schifo è la retorica di guerra. Siamo in guerra e dobbiamo fare sacrifici – ci dicono. Noi invece vi diciamo: fermatevi, non sarete i martiri di nessuno! Quando usciremo da questa emergenza la gente vorrà solo dimenticare, dimenticare in fretta.
Auspichiamo dunque a un vero sciopero generale spontaneo e di nuova forma. Che scavi la fossa al vecchio mondo.

CIRCOLACCIO ANARCHICO – SPOLETO

https://roundrobin.info/2020/03/spoleto-per-un-vero-sciopero-generale/

Cronache dallo stato d’emergenza (numero 2)

Le responsabilità a rovescio

Le quotidiane cronache della paura cancellano le responsabilità generali e specifiche dell’epidemia in corso, per rovesciarle interamente su chi non sta chiuso in casa, “untore” contro cui chiedere misure sempre più repressive (militari con funzioni di polizia, tracciamenti informatici della popolazione, inviti alla delazione, autorizzazione a usare i droni…). Chi ha smantellato la Sanità per logiche di profitto, aggravando così una situazione affrontabile in modo ben diverso? Chi ha tenuto aperte le fabbriche? Chi ha chiuso le scuole il 20 febbraio e i centri commerciali solo il 12 marzo? Chi è stato? Forse chi passeggia per strada o cammina su ciclabili e sentieri? E ancora: sono singoli “sciacalli” o un sistema a far sì che il prezzo delle mascherine per gli ospedali sia aumentato fino al 600 per cento?

Quale sicurezza?

Sono decenni che ci perforano i timpani con il grido “Sicurezza!”. Più telecamere, più controlli, più polizia, più carcere! Poi arriva un’epidemia di virus ed emerge tra le pieghe della coscienza e i non-detti della televisione che, se si fermassero l’autotrasporto e la logistica, nel giro di alcuni giorni nei supermercati non ci sarebbe più niente da mangiare. Che sicurezza possono avere degli esseri umani che dipendono da un sistema tecnologico e produttivo di cui non controllano più niente? Non si vive di tele-lavoro! Approfittiamo di questa “pausa” per riflettere. Senza riprenderci la terra e autogestire le fonti del nostro sostentamento alimentare, rinunceremo, assieme alla libertà e all’autonomia, anche alla sicurezza.

Telelavoro

Una delle sperimentazioni in corso, oltre al controllo poliziesco e militare, riguarda il lavoro: quanto e come può andare avanti l’economia senza che la gente esca di casa? Che cos’è, oggi, il “lavoro”? Ad approfittare di tutte le forme di telelavoro (che siano imposte agli impiegati o agli insegnanti) sono innanzitutto le multinazionali che possiedono le piattaforme informatiche e le diverse applicazioni. Da ogni attività online – gratuita o a pagamento poco importa – i “giganti del web” ricavano un’impressionante quantità di dati personali che analizzano e vendono. Tutto è un “dato” che si può processare e trasformare in merce: i gusti, le opinioni, il tono della voce, la mimica facciale, il libro citato dall’insegnante, le notizie relative alla salute, le paure, la reazione a certe notizie, il livello di attenzione degli studenti ecc. Nel migliore dei mondi possibili, anche un’epidemia – cioè milioni di persone chiuse in casa ma sempre connesse – diventa un ottimo affare. E un’occasione per giustificare l’introduzione della rete 5G, la cui funzione non è certo quella di permettere i contatti in caso di emergenza sanitaria, ma di generalizzare industria, macchine, telecamere e sensori smart. La paura è un sentimento ideale per spingerci ancora di più verso un mondo in cui gli esseri umani sarebbero governati da “oggetti intelligenti” e da chi li programma.

Telesorveglianza

Ha fatto un po’ di scalpore la notizia che il quaranta per cento dei milanesi è stato scovato lontano dalle proprie case attraverso il controllo delle celle telefoniche attivate dai cellulari. Qual è la notizia? Che le compagnie della telefonia mobile realizzino quotidianamente una schedatura di massa è un fatto noto (per quanto pochi ne traggano delle conseguenze). La novità è che si coglie l’occasione di un’emergenza sanitaria per giustificare apertamente qualcosa che esiste ben al di là dell’emergenza e che solleva, o dovrebbe sollevare, non pochi interrogativi etici e sociali. Ma non basta. Da giorni siamo sottoposti a una martellante propaganda finalizzata a introdurre anche in Italia “misure alla coreana”, cioè la schedatura dei contatti tra le persone a partire dal controllo incrociato di smartphone, wi-fi e Bluetooth (per localizzare gli “utenti” non in un determinato quartiere, ma casa per casa, negozio per negozio). I dati “pubblici” sarebbero archiviati e analizzati dalle autorità, quelli “nascosti” (che ogni applicazione sugli smartphone crea, anche quando la si disattiva) alimenterebbero le “macchine intelligenti” con cui si controllano i nostri comportamenti e si studiano le nostre “intenzioni di acquisto”. Felice il governo, felice il capitalismo digitale. E noi?

Che cosa è “essenziale”?

Ciò che non può essere fermato durante un’epidemia ci rivela, indirettamente, quali sono le basi della società in cui viviamo: l’infrastruttura informatica e la guerra. Per questo tutte le fabbriche di armi devono restare aperte. Per questo, mentre siamo chiusi in casa davanti agli schermi, il progresso tecnologico accelera e si installano di nascosto nuove antenne 5G. A conferma di come infrastruttura digitale e guerra siano sempre più intrecciate, Tim “sta insegnando” all’esercito le potenzialità del 5G e dell’intelligenza artificiale per la guerra del “nuovo mondo”. Rimane da chiedersi se quello che non riusciamo a vedere non sia solo un virus che si muove nell’aria, ma il mondo che ci stanno apparecchiando.

Alcune proposte sensate

Sembrano quelle suggerite dalle scritte tracciate sulle vetrate di diversi supermercati di Trento e Rovereto fra il 24 e il 25 marzo: “Sciopero generale”, “Chiudere le fabbriche”, “Abbassare i prezzi”.

Intanto…

Il 25 marzo, c’è stata un’ampia partecipazione allo sciopero generale indetto nel settore della logistica e delle fabbriche. Il 26 marzo, in un supermercato di Palermo, alcune persone hanno riempito i carrelli e cercato di uscire senza pagare. Carabinieri e Celere sono intervenuti sul posto e hanno presidiato, nei giorni successivi, l’entrata di diversi supermercati della città.

Sui social network si moltiplicano gli appelli a non pagare più.
Con il prolungarsi dell’emergenza, magari dopo mesi senza salario, sempre più persone si troveranno davanti al problema di soddisfare i propri bisogni materiali. Situazioni come quella di Palermo forse non saranno così rare: l’esigenza di prendersi ciò che ci serve per vivere sarà ben chiara a chi, semplicemente, non potrà più pagare.

Versione pdf: Cronache2

Chile – aislamiento completo en la Cárcel de Alta Seguridad

El viernes 27 de marzo del 2020 la Cárcel de Alta Seguridad suspende de forma indefinida las visitas y encomiendas dejando en la práctica completamente aislados a los distintos presos que se encuentran rehenes del Estado. No podemos entender estas medidas de forma distinta a una acción represiva que lejos de buscar una “cuarentena” o medidas sanitarias deja a nuestrxs compañerxs presos a merced de sus carceleros sin la posibilidad de comunicación ni ingresos de elementos básicos para la higiene y la subsistencia.
Recordemos que en esta prisión se encuentran secuestradxs cumpliendo condena Juan Aliste, Marcelo Villarroel, Juan Flores, Joaquín García, Mauricio Hernandez Norambuena y algunos prisionerxs de la revuelta.
Hoy la ciudadanía consigue “permisos de tránsito” para abarrotarse en los supermercados e ir a producir, aún en las comunas con cuarentena total.
¡No aceptamos este aislamiento total disfrazado de medida sanitaria!
¡No dejaremos que sepulten a nuestrxs compañerxs en prisión!

 

 

Chi è dentro è dentro

Negli ultimi giorni c’è stato un susseguirsi di dichiarazioni e analisi sulla situazione d’emergenza in cui versano le carceri attualmente dopo che il Covid19 ha iniziato a diffondersi tra i prigionieri, le guardie e il personale che lavora al loro interno. Già questa mole di parole, pronunciate spesso da pezzi grossi delle istituzioni, dà la cifra di quanta preoccupazione aleggi nelle stanze dei governanti, riguardo la possibilità che un’altra ondata di rivolte si scateni dopo quella di alcune settimane fa. Se poi, oltre a svariati magistrati di sorveglianza, sentiamo il Procuratore capo di Trieste, il capo del Csm e addirittura il Presidente della Repubblica  invocare l’amnistia, criticare i provvedimenti del governo perchè troppo blandi nello svuotare le carceri o mostrare una qualche empatia verso le problematiche dei detenuti, il quadro diventa ancora più chiaro.

Del resto per capire che la situazioe sia peggiorata rispetto alle settimane scorse non serve certo un’analista dei servizi di sicurezza interna: l’epidemia come dicevamo si sta diffondendo e il livello di cotagio con ogni probabilità sarà ben maggiore di quello che trapela all’esterno visto l’interesse delle autorità a mantenere una fitta cappa sull’argomento; le misure adottate dal governo non hanno poi in alcun modo intaccato il sovraffollamento e rischiano anzi di accendere ulteriormente gli animi per l’odore di presa per il culo che emanano a grande distanza.

A parte le concessioni fornite a semiliberi e a chi gode di permessi premio, che rappresentano una porzione molto esigua di chi è recluso, possono andare agli arresti domiciliari solo quei detenuti cui restano da scontare meno di 18 mesi di detenzione – e neanche tutti viste le numerose eccezioni – , quelli che però hanno ancora un residuo pena superiore a 6 mesi possono uscire solo dotati di braccialetto elettronico. Braccialetti elettronici che però non sono assolutamente sufficienti al pur esiguo numero di potenziali beneficiari, come sottolinea anche Fastweb, l’azienda che nel 2017 ha ricevuto l’incarico di produrli e gestirli. Una misura il cui sadismo è amplificato dalla lungaggine di questo gioco dell’oca organizzato dal governo, prima di rischiare di tornare alla casella VIA è necessario infatti fare istanza al magistrato di sorveglianza e attendere la sua risposta con tutto il carico d’ansia e incertezza che questa lunga attesa è inevitabilmente destinata a generare. Per completare il quadro vanno sottolineate poi le numerose eccezioni segnalate nel decreto, accanto a chi ha commesso reati gravi che rientrano nell’art. 4 bis, troviamo chi non ha un domicilio – e data la situazione non può ususfruire delle strutture che in precedenza assolvevano almeno in parte a questo compito -, tutti i prigionieri in attesa di giudizio – che la sospensione dell’attività dei tribunali lascia in questa condizione sine die – e i detenuti ritenuti responsabili delle rivolte – una qualificazione che persino alcuni direttori delle carceri non sanno bene come attribuire visto che sono ancora in cors gli accertamenti a riguardo- .

Nel frattempo, è bene ricordarlo, le visite con i familiari continuano ad essere del tutto bloccate.

Una situazione esplosiva che preoccupa certamente anche il governo. A pesare parecchio nella scelta di non prendere misure che provino in qualche modo a stemperare la tensione ci sono di certo considerazioni di carattere squisitamente elettorale – non cedere terreno e non offrire angoli d’attacco, dal punto di vista sicuritario, all’opposizione -: il carattere forcaiolo di questo governo, del resto, non lo scopriamo certo ora. Ma ancor più forte è la preoccupazione di indebolire il sistema carcerario che è uno dei pilastri su cui si regge la baracca, e assieme a questo scalfire la credibilità statale, che mai quanto ora si regge sulla capacità dello Stato di controllare la popolazione e quindi punire chi contravviene alle leggi. L’unico terreno su cui stanno seriamente ragionando, per far fronte a un’eventuale nuova ondata di rivolte, è dunque quello militare. Le stesse modalità adottate alcune settimane fa, programmate questa volta con una certa meticolosità per non farsi trovare impreparati. In questa direzione vanno le richieste di poter schierare l’esercito o dotare i secondini di taser, in caso di nuovi disordini.

A guidare i passi dei governanti è dunque una logica, in senso tecnico, assassina. Che ha preventivamente messo in conto di poter lasciare sul terreno altri morti tra i detenuti, oltre a quelli già lasciati sul selciato nelle settimane passate. Un dato da tenere bene a mente, anche quando quest’emergenza magari terminerà, specie per coloro che hanno sostenuto e continuano a sostenere a vario titolo l’operato del M5S, su scala nazionale come locale.

 

 

Se le righe di cui sopra si sono soffermate principalmente sulla situazione italiana, rivolte nelle carceri sono esplose un po’ ovunque nel mondo e ci è sembrato quindi utile fornirne una cronologia abbastanza approfondita, anche se probabilmente non completa, con i relativi link in lingua per capire cosa è accaduto precisamente.

Riguardo la situazione italiana vi consigliamo invece questo contributo audio realizzato da Radiocane sulla rivolta di San Vittore.

 

Francia

15\03 carcere di Metz-Queuleu

17\03 carcere di Grasse, Draguignan, Aix-en-provence, Maubeuge, Douai, Perpignan, Nancy, Valence, Saint-Etienne, Angers, Toulon, Maux,Argentan, Nantes, Carcassonne.Aiton, Angers, Douai, Epinal,La Santé, Lille-Sequedin, Montauban et Varennes-le-Grand, Longuenesse, Meaux, Moulins, Limoges, Rennes-Vezin, Saint-Malo, Nice, Fleury-Mérogis.

17/03 – 23/03 elenco carceri e CRA in rivolta in Francia

22\03 carcere di Uzerches

 

Spagna

15\03 carcere di Brians

15\03 carcere di Alcalà de Henares, Fontcalent, Castellon, Albolote

 

Brasile

17\03 carceri di San Polo, Mongaguà, Trememebè, Porto Feliz e Mirandòlis

 

Belgio

16\03 carcere di Nivelle

Perù

19\03 carcere di Piura

 

Cile

19\03 carcere di Santiago

 

Venezuela

18\03 carcere di San Carlos

 

Mauritius

19\03 carcere di Beau-Bassin

 

Sri Lanka

21\03 carcere di Anuradhapura

 

Uganda

22\03 carcere di Arua

 

India

21\03 Calcutta prigione di Dum Dum

 

Colombia

22\03 carceri di Ibague, Jamundi, Combita, Medellin, Bogotà

 

Samoa

23\03 carcere di Tanumalala

 

USA

24/03 carcere di Washington

 

Iran

16\03 carcere di Parsylon Khorramad
20\03 carcere di Aligoodarz

21/03 carcere di Khorramabad

Chi è dentro è dentro

Madrid Cuarentena City – Publication pour la guerre sociale en temps d’État d’Alerte n°1 (mars 2020)

Traduction de deux textes extraits de Madrid Cuarentena City, publication pour la guerre sociale en temps d’État d’Alerte n°1, deuxième quinzaine de mars 2020

Vers des eaux inconnues

Nous sommes en état d’urgence depuis plus d’une semaine. La capacité destructrice du virus n’est pas questionnable. Mais nous aimerions faire quelques remarques sur ses conséquences non cliniques et sur ses origines.

Savoir si le Covid-19 est apparu à travers une chauve-souris ou à cause d’une tentative étasunnienne, partie en vrille, de déstabiliser l’économie chinoise nous semble peu pertinent maintenant. Ce virus, comme d’autres dans l’histoire qui ont auparavant décimé des populations entières dans l’Amazonie, en Amérique Centrale, en Afrique et en Océanie, est un phénomène biologique. Mais le contexte où il naît, la manière dont il se propage et dont il est géré sont des questions sociales. Ce virus est le résultat d’un système qui marchandise chaque processus, chaque objet, chaque rapport ou tout être vivant sur la terre. Il se répand rapidement de par l’énorme concentration de main d’oeuvre et de corpus consumériste dans les grandes villes, qui s’alimente de l’agro-industrie et de l’élevage intensif. Un flux constant de biens humains (5000 millions de personnes volent chaque année autour de la planète) à des vitesses effrénées qui se reflètent en 200 caractères et 5000 likes.

C’est précisément cet acharnement à arficialiser tout, y compris nos émotions, en basant tout sur le profit, en voyant le monde à travers un écran, en laissant notre esprit être colonisé par l’“efficacité” qui nous a mené à la perte progressive de l’“humain”, du “vivant”. Cela a facilité le fait que des mesures aussi extrêmes qui n’autorisent à sortir de chez soi que pour deux motifs (travailler et consommer) soient passées de manière assez peu traumatique. En même temps, on nous propose comme voie de sortie les mêmes dynamiques technophiles qui nous ont conduit au désastre. Si nous ajoutons à cela la peur, le gouvernement de la peur, nous finissons par perdre le nord et par réinterpréter des concepts tels que la responsabilité ou la solidarité.

Tu te feras traiter d’irresponsable, par exemple si tu ne te soumets pas à l’assignation à résidence volontaire. Sacrée perversion du sens qui n’est en réalité rien d’autre que l’accolade entre le coeur et la tête, entre l’analyse, la décision et l’action. En te criant par la fenêtre au minimum “inconscient-e” si tu passes dans la rue main dans la main avec ton compagnon-ne, on te gueule en réalité “Obéis à la norme!”. C’est aussi ce qui se passe avec les appels à la solidarité qui se traduisent par une servitude volontaire collective en se transformant en un acritique #yomequedoencasa [je resteàlamaison].

Qu’en est-il des centaines de personnes qui s’accumulent à Antocha ou Chamartin [1] entre 6h30 et 8h30 du matin ? Pourquoi les chantiers de construction n’ont-ils pas été arrêtés dans une ville qui dispose d’un excédent exorbitant de logements ? Les personnes entassées dans le parc des expositions IFEMA [2] ne sont-elles pas des personnes ? C’est éprouvant de passer une semaine enfermée ? Et l’être 5, 10, 15, 30 ans, à présent sans même pouvoir recevoir une visite, un parloir intime, alors que dans de nombreux cas les appels téléphoniques et le courrier sont tout-à-fait restreints ? Pour ne citer que quelques exemples qui font mal.

Pour les personnes sans domicile, toute survie anonyme est désormais impossible puisqu’elles ne peuvent plus passer inaperçues quand la jungle de verre s’est transformée en désert de béton. Elles sont, plus encore qu’avant si possible, interdites de séjour. Dans le meilleur des cas, elles seront menées en troupeau dans des enclos comme l’IFEMA. L’impunité policière, déjà exacerbée en tant que telle, s’est aussi déchaînée contre les autres prohibé-e-s, celles et ceux qui ne peuvent accréditer par des papiers bureaucratiques leur statut de personnes de “pleins droits” ou dont la physionomie ou la couleur de peau induit les bourreaux en uniforme à penser que ce n’est pas le cas. (La presse officielle fait état de nombreuses agressions policières dans les quartiers de Lavapiés, dans le centre et dans d’autres villes). Parce qu’une pandémie reste une question de classe, de privilèges, de morts pas si aléatoires.

On ne nous a pas accordé le pouvoir de divination comme à Cassandra, mais par contre la malédiction d’Appollon si. C’est-à-dire que nous n’avons pas la certitude que ces pronostics se réaliseront, (même s’il y a des signes peu trompeurs de vers où le pouvoir veut aller et des preuves, déjà irréfutables, de ce genre de mesures) tout en craignant d’être difficilement écouté-e-s. Nous pensons que toutes ces mesures de contrôle deviendront permanentes, comme cela s’est déjà produit avec les lois anti-terroristes après le 11 Septembre, ou qu’elles se répèteront; il ne nous étonnerait guère d’être rappelé-e-s au confinement à l’avenir, dans des circonstances comme des tempêtes, des ouragans, et toutes sortes de crises climatiques qui arriveront sûrement, ou encore de vieilles et nouvelles épidémies qui viendront à nouveau frapper à nos portes. Traçage des mouvements par le téléphone, contrôles biométriques et de température, limitation des déplacements en fonction de cela … sont déjà une réalité et sont destinés à rester. Il faudrait ajouter à cela la précarisation généralisée qui ne tardera pas à arriver, la socialisation de la pauvreté …

À ce stade, nous voulons partager l’idée que le présent, ou plutôt le passé, le monde tel que nous le connaissons, fondé sur la domination, avec ses structures perpétuant la misère, son orthodoxie, son zèle liberticide … ne nous satisfait pas. Et nous ne souhaitons en aucune manière y revenir.

Commençons à la tenter. En tenant compte du fait que nous n’aimerions pas infecter certaines personnes, brisons l’isolement. Agissons si besoin au niveau individuel. Dans cette réalité, même en frappant à l’aveuglette, il est très facile de tomber pile. Communiquons, parlons, faisons tourner l’information et soyons critiques; forçons les couvre-feu, cartographions le contrôle (où et quand les patrouilles ont lieu, quels espaces ont été interdits, où il y a de l’approvisionnement … )

Fomentons les grèves et la fermeture des entreprises. Nous ne voulons pas une gestion de la crise. Nous voulons expérimenter, choquer, lutter, porter le conflit …

Efforçons-nous d’intervenir dans le présent, même si nous ne voyons pas l’horizon lorsque nous levons les yeux. La clef se trouve peut-être précisément là, laissons derrière nous vérités, certitudes et sécurités, naviguons avec passion pour l’aventure vers des eaux inconnues, vers des aurores de liberté et de révolte.


NdT:
[1] Grandes gares ferroviaires de Madrid.
[2] Réquisitionné pour en faire un hôpital de campagne]

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Revenir où ? Revenir à quoi ?

L’état d’alerte nous arrache la normalité de nos vies pour tous nous placer à un moment vital avec davantage d’incertitude que de réponses. Et il fait entrer la plupart d’entre nous dans un scénario que nous n’avions jamais vécu. Quelque chose de nouveau.

Et à la télé, à la radio, dans les journaux, nous les voyons répéter certaines formules comme des mantras pour nous transmettre la tranquillité : tout va bien se terminer, nous nous en sortirons et nous reviendrons à la normalité.

Avec pour seul horizon celui de revenir au point où nous en étions avant le début de la pandémie, nous sortons sur les balcons pour applaudir, avec nos bourreaux, notre nouvelle condition d’esclaves. Nous applaudissons notre confinement.

Et il semble que l’incertitude et l’enfermement nous aient fait oublier en quoi consiste la normalité. Ils nous ont fait oublier la soumission quotidienne et d’une vie entière à des boulots aliénants qui nous précipitent dans le vide existentiel, que les flics ne sont pas nos amis mais l’institution chargée de maintenir l’ordre social que les riches lancent contre les pauvres.

Ils nous ont fait oublier la misère, l’exploitation, la précarité, la répression, les expulsions locatives, les mensonges des politiques et des entrepreneurs, le désastre permanent auquel l’industrie condamne la planète. Ils nous ont même fait oublier l’urgence climatique!

Face à cette normalité, il ne faudrait se souvenir que de la haine.

Ne nous voilons pas la face, l’état d’alerte était déjà latent dans nos vies. Cette crise a seulemeent fait tomber les masques avec lesquels l’Etat cache ses véritables intentions : le contrôle et son extension totale sur nos corps, nos pensées et nos sentiments.

Comme toujours, c’est à nous de payer les pots cassés de leur désastre. Profitons de cette occasion pour renoncer à la normalité, pour la dépasser et déborder ses marges. Que la seule épidémie qui se répande soit celle des passions. Dirigeons notre haine contre tous ceux qui nous condamnent à une normalité en état d’urgence permanent : contre tes chefs, contre les flics, contre les politiques, contre la passivité.

Reprends ta vie en main, ne reviens pas à la normalité.

Pour l’anarchie.

Sur l’attaque portée à nos relations

“Je suis scotché à la mienne et toi à la tienne. Ecoute ta montre, son tic-tac est un murmure”

Le confinement a des conséquences sur l’un des fondements les plus importants de notre vie: les liens entre individus. Ceux-ci sont contraints de s’éloigner, de se rompre, de remplacer le contact de chair et d’os par l’isolement des débits et des écrans. Ce n’est pas comme lorsque quelque’un que l’on aime traverse des situations essentielles dans un pays éloigné, où on a la certitude que, même si ce lien est sûrement poussiéreux, il sera intact à son retour, ou qu’il vivra dans la mémoire; mais là, on a le soutien de toutes les autres relations sur lesquelles on compte dans notre vie quotidienne. Cette situation de quarantaine a interrompu de force le cours de nos interactions sociales du jour au lendemain, a confiné nos vies en un module d’isolement.

Il y a celles et ceux qui ont de la chance et au moins (au moins parce que cela ne remplit absolument pas le vide laissé par les liens à distance) peuvent passer le confinement avec des personnes qui s’aiment et qui se soutiennent mutuellement, mais qu’en est-il des personnes qui vivent seules? Qui entendra leurs appels à l’aide lorsqu’un suicide alimenté par l’anxiété frappent à leur porte? Et les femmes qui ont leur propre maton à la maison? On dit que la police est à l’affut d’appels pour violences sexistes, mais nous ne pouvons pas nous attendre à ce que la police résolve ces problèmes, encore moins lorsqu’on sait que les flics contribuent la plupart du temps à la maltraitance et à l’humiliation des femmes violentées. De plus, en étant vraiment enfermé.e avec une personne qui vous domine, est-il possible de prendre le téléphone? De sortir du domicile? Les chiffres des violences et meurtres sexistes nous montrent que ce n‘est pas le cas. Et celles et ceux qui n’ont pas d’endroit où vivre? Celles et ceux que les militaires “aideront” et “déplaceront”. Nous ne devons absolument pas faire confiance à ce que l’armée dit vouloir faire quand on est en train de regarder parce que nous sommes enfermé.e.s chez nous.

Et pour en remettre une couche, la panique sociale a non seulement fait que les gens ont individuellement rompu leurs liens, mais qu’ils cherchent également à briser ceux des personnes qui tentent de résister. En invectivant de leur balcon pour avoir marché ensemble dans la rue, pour s’être donné la main, s’être fait des câlins, s’être embrassé.e.s… Angoisse collective sur la base de “Je reste à la maison et toi tu te fous de nous”. Mais parler sur whatsapp, skype, les réseaux sociaux et d’autres alternatives fournies par la technologie n’est même pas valable pour sortir du bourbier d’anxiété dans lequel nous avons été plongé.e.s. On a besoin de contact, on a besoin de marcher avec quelqu’un pour maintenir des liens et ne pas sombrer dans l’hystérie, sans avoir à penser qu’une patrouille de flics va nous mettre une amende.

Que se passera-t-il lorsque nous pourrons retourner dans la rue et que nous serons incapables d’interagir en groupe, de vis-à-vis sur une place? Lorsque l’anxiété sociale sera généralisée et qu’il faudra s’unir pour lutter contre ce monde de merde dans lequel nous vivons?

Ne laissons pas la panique sociale et le contrôle étatique détruire ce que nous avons de plus précieux, renforçons nos liens pour qu’ils soient indestructibles et qu’ils balayent la domination.

Sur l’attaque portée à nos relations

https://sansattendre.noblogs.org/post/2020/03/29/madrid-cuarentena-city-publication-pour-la-guerre-sociale-en-temps-detat-dalerte-n1-mars-2020/

Rébellion en période de couvre-feu

Nous nous trouvons dans une situation totalement inédite pour tout le monde : nos libertés formelles sont réduites au minimum comme en temps de guerre ou de condamnation pénale, sauf que cette fois, « l’ennemi » est invisible et la prison est notre domicile. Catastrophe, état d’urgence, couvre-feu, pandémie, bombardement médiatique, panique, inquiétude et isolement… A ce stade, il ne s’agit pas de relativiser ou d’évaluer les conséquences du Coronavirus – Il m’est impossible de juger cela d’un point de vue médical. Mais ce que je cherche, c’est à critiquer la forme autoritaire en cours, autrement dit la situation de guerre décrétée par l’État et ses conséquences pour nous et pour la société. Alors qu’on laisse passer chaque projet de loi et décret avec l’appui des experts compétents du moment, et que personne ne peut prédire à quoi ressemblera la situation dans une semaine, nous n’avons besoin d’aucun expert pour savoir que l’état d’urgence en temps de crise et de guerre devient bien trop vite une normalité (qui se souvient encore de la « guerre contre le terrorisme » ou « la crise des réfugiés »?).

La misère sociale : solitaire, numérique et docile

Dans cette société toujours en mouvement, la rapidité et l‘omniprésence des informations atteint un palier supplémentaire : dans le suivi mis à jour en direct, on peut observer les chiffres des personnes contaminées et notre insécurité grandit d’autant plus vite… La peur vis-à-vis de la personne contaminée, du malade, du semblable, du voisin.

Pendant ce temps-là, les politiciens se tiennent en première ligne dans la guerre contre l’ennemi en nous assurant qu’ils savent ce qui est le mieux à faire. « Rester à la maison ! Rester tranquilles ! » serait tout ce que nous aurions à faire. Faire preuve d’unité et suivre les ordres, car après tout, « ce n’est pas le moment de critiquer ». Et nous nous retrouvons très vite dans un scénario totalitaire de société de contrôle : on ne devrait plus quitter son domicile et en plus dénoncer celles et ceux qui n’obéissent pas à ce décret. Le brave citoyen prend conscience de sa responsabilité et compose le 110 si il soupçonne les voisins de faire la fête. Pendant ce temps-là, l’utilisation d’internet atteint un nouveau sommet, car on nous fait avaler qu’il y aurait un autre monde vers lequel on pourrait fuir quand il n’est plus possible de faire confiance à ce qui nous entoure : le monde numérique. Car plutôt que de se déplacer et de maintenir des contacts, la vie passe au numérique. Plutôt que de sortir et de rencontrer des potes, on peut bien chatter ensemble, regarder des séries, travailler à la maison, se faire tout livrer devant la porte, regarder des pornos, exprimer des critiques sur internet ou tout simplement jouer à des jeux. Dans cette frénésie numérique, la vie devient artificielle et aliénée, et en fin de compte toute possibilité de transformer quoi que ce soit dans la réalité disparaît. Stressés, inactifs, dépassés en glandant entre quatre murs, les yeux éberlués, ce serait donc ça le futur ? Enfermés en permanence et effrayés par des infos horrifiantes, le nombre de personnes qui décident de mettre fin à une vie pareille augmente en général dans de telles circonstances ; tout comme la violence entre les personnes et dans les familles qui, le plus souvent, est exercée par des hommes sur les femmes.

Vers une période sans fin dans la prison à ciel ouvert

Pendant que j’écris ce texte, une voiture de police continue de patrouiller dans quelques rues parallèles, avec les haut-parleurs annonçant haut et fort que nous devons rester à la maison. Dans le même temps, quelques politiciens puissants siègent ensemble et réglementent dans quelle mesure les assignations à résidence doivent être harmonisées. L’antenne-relais dressée sur le toit de l’immeuble du voisin collecte les données de contact et de mouvement de tous les portables qui se trouvent dans son périmètre. Puis les opérateurs Telekom et Vodafone les transmettent afin de pouvoir analyser avec qui les personnes contaminées ont été en contact et dans quelle mesure la limitation de sortie est respectée. Dans quelques jours, l’État va probablement entériner l’assignation à résidence et suspendre les droits tels que le secret postal et l’inviolabilité du domicile. Ainsi, il va éplucher en continu qui est en contact avec qui et où, qui habite et séjourne où, et ainsi catégoriser, ranger et classer voire diviser les sujets de l’État. Par ailleurs, à travers l’appel à une obéissance totale, on aboutit à une militarisation globale de la société sans précédent. Frontières fermées, soldats se préparant à intervenir dans les rues, interdiction de tout rassemblement de personnes et hélicoptère à leur recherche à l’aide de caméras thermiques. Le fait que la Chine soit considérée comme un État modèle dans la lutte contre l’épidémie montre vers où on va : des drones qui planent au-dessus de nos têtes en nous donnant des ordres, des codes-barres sur nos smartphones qui nous autorisent à aller aux supermarchés selon des algorithmes incompréhensibles ou de nous mettre en quarantaine par la force, des villes entières bouclées et des barrages à chaque carrefour. Le fait qu’un « expert » en Italie ait déjà proposé de mettre des bracelets électroniques aux chevilles des personnes mises en quarantaine afin de pouvoir être sûr qu’elles ne quittent pas leurs domiciles signifie que la ville a désormais été transformée en prison à ciel ouvert et que les méthodes de discipline, de contrôle, de gestion, de punition et de surveillance s’appliquent à l’ensemble de la population. Ceux qui dorénavant se contentent d’attendre durant cette brève période d’assignation et de s’amuser sur internet se contrefoutent non seulement de la liberté, mais ils ne comprennent pas non plus que cette situation durera bien plus que quelques jours.

La normalité est la véritable crise

Du point de vue politique des dominants sur la population, maintenir cet état d’urgence uniquement pendant deux semaines n’a vraiment aucun sens. Pour ceux qui veulent figer la société, il faudrait le faire pendant au moins un an du point de vue de virologues afin de stopper le virus. Et même si les restrictions sont assouplies ou levées, les conséquences seront énormes : ceux qui vivent seuls par le numérique et l’obéissance, adoptent aussi ce comportement. Alors que nous avons vu il y a quelques mois encore des explosions de révoltes et de soulèvements partout dans le monde, les moyens de contre-insurrection et d’abrutissement social laisseront de profondes cicatrices : ceux qui vivent isolés et dans le monde numérique se font également priver de toute possibilité et moyen de discuter, de se révolter et de s’auto-organiser avec leurs amis. Pendant que l’État se met en scène en tant que protecteur des corps et des vies, il nous interdit toute vie sociale. Mais nous savons ce que sont l’État et son industrie qui tuent en permanence, couvrant ce monde de guerres, laissant les réfugiés mourir aux frontières, détruisant et exploitant la terre depuis des siècles. L’État se la joue gardien du bien commun mais en réalité, il veut nous voir comme des esclaves du travail et des soldats obéissants qui produisent pour son industrie polluante et sont prêts à mourir dans ses guerres. L’État protège en premier ressort les riches et s’il venait à l’idée de quiconque, dans cette crise économique, d’aller prendre ce qui lui manque, ses larbins n’hésiteront pas à tirer sur les pilleurs et les voleurs. Le capitalisme et l’État ont besoin des crises et des états d’urgence afin d’accroître et durcir leur pouvoir sur nous – le virus n’étant pas la raison mais l’élément déclencheur. L’État nous appelle à prendre nos responsabilités, mais il nous empêche de nous auto-organiser, de nous rencontrer et de s’entraider. On nous somme de rester assis devant l’écran, de dire « oui » et « amen », mais l’État nous déclare la guerre quand nous abandonnons ce rôle de sujet.

Si l’État veut contrôler et empêcher chacun de nos mouvements et chacune de nos relations, il est nécessaire de chercher des moyens pour nous déplacer et nous rencontrer malgré tout. Si ce qui est nécessaire pour vivre se raréfie, il est primordial d’aller le prendre là où il y en a en abondance. Si nous sommes enfermés et séparés les uns des autres, on ne peut pas se considérer comme des concurrents ou des ennemis, mais comme des personnes avec lesquelles s’associer – comme de potentiels soutiens et complices. Si les yeux de l’État se font de plus en plus omniprésents et si l’étau du capitalisme nous étrangle de plus en plus, il est nécessaire de chercher des moyens de les crever et de les briser.

« Être gouverné, c’est être gardé à vue, inspecté, espionné, dirigé, légiféré, réglementé, parqué, endoctriné, prêché, contrôlé, estimé, apprécié, censuré, commandé, par des êtres qui n’ont ni le titre, ni la science, ni la vertu…

Être gouverné, c’est être, à chaque opération, à chaque transaction, à chaque mouvement, noté, enregistré, recensé, tarifé, timbré, toisé, coté, cotisé, patenté, licencié, autorisé, apostillé, admonesté, empêché, réformé, redressé, corrigé.

C’est, sous prétexte d’utilité publique, et au nom de l’intérêt général, être mis à contribution, exercé, rançonné, exploité, monopolisé, concussionné, pressuré, mystifié, volé ; puis, à la moindre résistance, au premier mot de plainte, réprimé, amendé, vilipendé, vexé, traqué, houspillé, assommé, désarmé, garrotté, emprisonné, fusillé, mitraillé, jugé, condamné, déporté, sacrifié, vendu, trahi, et pour comble, joué, berné, outragé, déshonoré. Voilà le gouvernement, voilà sa justice, voilà sa morale ! Le gouvernement de l’homme par l’homme, c’est la servitude !Quiconque met la main sur moi pour me gouverner est un usurpateur et un tyran ; je le déclare mon ennemi. »

[Tiré et traduit de Zündlumpen Nr. 58 – Anarchistisches Wochenblatt – München, den 23. März 2020]


NdT : La Bavière a été le premier Land d’Allemagne à décréter le confinement. Markus Söder, chef de la CSU et ministre-président du Land, a décrété à partir de minuit samedi 21 mars l’assignation à résidence pour l’ensemble de la population. Cette mesure est appliquée pour une durée de 14 jours, c’est-à-dire jusqu’au 3 avril minuit. Elle sera certainement reconduite à partir de cette date.
L’armée a été déployée dans les rues pour épauler les patrouilles de keufs pour maintenir l’ordre et veiller au confinement. Toute personne violant l’interdiction de sortie est passible d’une amende pouvant aller jusqu’à 25 000 euros, selon le ministre de l’intérieur Joachim Herrmann.
Les quelques autorisations de sortie sont presque les mêmes qu’en France. Il est autorisé de sortir pour aller au travail, dans les commerces considérés comme « essentiels » ou retirer de l’argent à la banque (DAB), pour aller chez le médecin ou à la pharmacie, rendre visite à son/sa conjoint.e ou faire de l’aide à domicile à un proche ou autres…. Bars, restaurants, musées et théatres, commerces « non essentiels » sont fermés.

https://sansattendre.noblogs.org/post/2020/03/29/rebellion-en-periode-de-couvre-feu/