Progetto grafico Uno

Incatenati alla corona

«La tirannia più temibile non è quella che assume la forma di arbitrio, è quella che viene coperta dalla maschera della legalità»
A. Libertad, 1907
 
Con l’epidemia passeggera di Covid-19 che si propaga nel mondo e le drastiche misure che si susseguono le une dopo le altre dalla Cina all’Italia, una delle prime questioni che vengono in mente è chiedersi chi, fra la gallina dell’autorità e l’uovo della sottomissione, stia facendo attualmente i maggiori danni. Questa brusca accelerazione statale di controlli, divieti, chiusure, militarizzazione, obblighi, bombardamenti mediatici, zone rosse, definizione delle priorità dei morti e delle sofferenze, requisizioni, confinamenti di ogni genere — tipici di qualsiasi situazione di guerra o di catastrofe — non cade infatti dal cielo. Prospera su un terreno ampiamente arato dalle successive rinunce dei coraggiosi sudditi dello Stato ad ogni libertà formale in nome di una sicurezza illusoria, ma prospera anche sullo spossessamento generalizzato di ogni aspetto della nostra vita e sulla perdita della capacità autonoma degli individui di pensare un mondo completamente diverso da questo.
Come cantilenava un anarchico quasi due secoli fa, essere governato equivale per principio ad «essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, recintato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato», e questo «con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale». Che la dittatura sia opera di uno solo, di un piccolo gruppo o della maggioranza, non cambia nulla; che essa sia animata dal vizio o dalla virtù nemmeno; che si sia in tempi di epidemia di domesticità tecnologica o più banalmente in tempi di influenza cittadinista o poliziesca neppure. Quali che siano le apparenze protettive adottate dal governo degli uomini e delle cose del momento, quali che siano i pretesti securitari su cui si basa, ogni governo è per sua natura nemico della libertà, e non sarà la situazione in corso a smentirci. A questa banalità di base che delizia gli adoratori del potere in alto e fa brillare gli occhi di quelli che lo anelano in basso, aggiungiamo che non esistono neanche pastori senza greggi: se l’esistenza stessa di un’autorità centralizzata sotto forma di Stato consente certo l’improvvisa imposizione degli arresti domiciliari su una scala inedita a interi settori della popolazione qui e là, è comunque una servitù volontaria largamente integrata, preparata e costantemente rinnovata a rendere questo genere di misure possibili e soprattutto efficaci. Ieri in nome della guerra o del terrorismo, oggi in nome di un’epidemia, e domani in nome di qualsivoglia catastrofe nucleare o ecologica.
L’emergenza e la paura sono in materia le uniche consigliere per i dormienti terrorizzati che, una volta privati di ogni mondo interiore che sia proprio, si rifugeranno in un riflesso condizionato verso la sola cosa che conoscono: nelle braccia muscolose di Papà-Stato e sotto le gonne rassicuranti di Mamma-la-Scienza. Un lavoro quotidiano effettuato non solo da diversi decenni di repressione dei refrattari all’ordine del dominio (del salariato, della scuola, della famiglia, della religione, della patria, del genere) a partire dall’ultimo tentativo di assalto al cielo negli anni 70, ma anche dall’insieme degli autoritari e dei riformisti che non smettono di voler trasformare gli individui in greggi, in accordo con un mondo che coniuga perfettamente atomizzazione e massificazione.
 

«Per l’individuo, non esiste alcuna necessità dettata dalla ragione di essere cittadino. Anzi. Lo Stato è la maledizione dell’individuo. Bisogna che lo Stato scompaia. È una rivoluzione alla quale parteciperei volentieri. Distruggete integralmente lo stesso concetto di Stato, proclamate che la libera scelta e l’affinità spirituale sono le condizioni uniche e sole importanti di qualsiasi associazione e otterrete un principio di libertà che varrà la pena di godere»

H. Ibsen, 1871
 
Una decina di anni dopo aver fatto questa constatazione in una lettera inviata a un critico letterario, il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, che pur viveva ufficialmente di rendita, scrisse un’opera teatrale che avrebbe infiammato certi anarchici: Un nemico del popolo. La storia si svolge in un villaggio le cui acque sono contaminate da un batterio letale, provocando una lite tra i due fratelli, medico e prefetto, che hanno fondato lo stabilimento termale del luogo. Bisogna mettere sì o no in discussione il loro ricco avvenire realizzando le disastrose opere del sistema idrico del villaggio, avvisando gli abitanti del pericolo? Dopo essere ad un palmo dal convincere la folla a fermare tutto, il buon dottore vedrà quest’ultima rivoltarglisi contro sotto la pressione dei notabili e l’influenza del giornale locale, e finirà solo contro tutti. Ma che non ci si inganni. In quest’opera, Ibsen non intendeva lodare la verità della scienza di fronte all’oscurantismo o al mercato (quello stesso anno, il 1882, usciva in francese la critica postuma di Bakunin sulla rivolta della vita contro la scienza), bensì denunciare la tirannia della «maggioranza compatta», di quella massa versatile che ondeggia in base agli interessi dei potenti.
È passato più di un secolo da questo successo teatrale che sembra ormai di un’altra galassia, e il matrimonio tra ragione di Stato e scienza della ragione ha da allora ampiamente dimostrato tutto l’orrore di cui era capace, dai massacri industriali, militari e nucleari di massa dentro e fuori le frontiere, fino all’avvelenamento duraturo dell’intero pianeta e alla connessione irreggimentata delle relazioni umane. In un mondo globalizzato dove gli umani sono continuamente in preda a ristrutturazioni tecno-industriali che sconvolgono ogni percezione sensibile (dalla vecchia separazione tra ciò che si produce e la sua finalità fino al significato stesso del reale), cosa resta allora agli spossessati quando sopraggiunge l’ignoto di un nuovo virus mortale? Aggrapparsi a statistiche fluttuanti che sostengono che circa il 70% della popolazione sarà interessato dal Covid-19, che solo il 15% delle persone colpite soffriranno di sintomi più o meno gravi, e che il 2% morirà in base all’età avanzata e alle precedenti condizioni di salute? Seguire come al solito gli ordini del potere che regola già ogni sopravvivenza dalla nascita alla morte, tra il ricatto della fame e quello del carcere, nell’attesa come per il clima che siano gli stessi gestori delle cause a risolvere le conseguenze? Interrogarsi sulla differenza tra la sopravvivenza e la vita, tra la quantità di una vita che diminuisce inesorabilmente fino alla sua estinzione da quando si nasce, e la sua qualità, ciò che vogliamo farne qui e ora, a prescindere dalla sua durata che non si conosce in anticipo? Una qualità che si può anche mettere in discussione quando è separata da ogni aspirazione alla libertà, quando è disposta alla reclusione volontaria con un semplice schiocco di dita del capo-branco.
Giacché, piuttosto che stupirsi della gestione cinese autoritaria e tecnologizzata dell’epidemia di Covid-19, è proprio così che 60 milioni di italiani hanno rinunciato dall’oggi al domani, la sera di un certo 9 marzo, al minimo spirito critico accettando l’«Io resto a casa», decretato dallo Stato per almeno quattro settimane dopo aver testato l’istituzione di un’immensa zona rossa che tagliava il paese in due. Nel momento in cui scriviamo, questo genere di misure di rigorosa quarantena su così vasta scala si è esteso alla Spagna (47 milioni di abitanti), mentre Portogallo, Romania, Serbia e Stati Uniti hanno appena dichiarato lo stato di emergenza, con tutto ciò che questo comporta in termini di coercizione di fronte agli irresponsabili che osassero sfidare la grande reclusione regolata con tanto di permesso di circolare tra ciò che in definitiva costituisce la base: casa-lavoro-supermercato. Per dare un’idea del seguito, l’esercito assistito da droni è stato appena schierato in Spagna nelle stazioni e nelle strade delle grandi città (polizia militare e membri dell’Unidad Militar de Emergencias, UME), idem in Italia con i 7000 soldati che non le hanno mai lasciate dopo l’operazione Strade Sicure del 2008, e altrettanti che sono in massima allerta in previsione di disordini quando il picco di contagio raggiungerà il sud della penisola. Ogni paese potrà anche conservare per il momento le sue piccole peculiarità in termini di permessi di luoghi pubblici «non essenziali» al fine di mantenere un briciolo di facciata democratica — edicole e profumerie in Italia, commercianti di vino e hotel in Francia, mercati e parrucchieri in Belgio —, ma senza alcuna illusione circa la sua durata.
Stiamo assistendo a un movimento di unità nazionale che tocca la maggior parte degli ambiti della vita (sopravvivenza) attorno ad un ordine che si è dato carta bianca, e questo ad un livello senza precedenti nella maggior parte dei paesi occidentali dalla seconda guerra mondiale. Un esercizio di servitù volontaria che era stato bene preparato e rodato su piccola scala dalle diverse emergenze di «terrorismo» o di «catastrofi naturali» in  questi ultimi anni in vari luoghi, ma mai così a lungo e con tale intensità. E non v’è dubbio che questo esercizio rischia di durare molto più di quanto annunciato, aprendo a nuove situazioni ancora difficili da anticipare o prevedere.
 
«L’aria è immobile. Come sono lontani gli uccelli e le fonti! Non può esserci che la fine del mondo, più in là»
A. Rimbaud
 
Di fronte a ciò che il gregge sa fare meglio, eseguire le consegne, resta anche un certo numero di individui che non intendono sottomettersi così facilmente, per vari motivi, altri che cercheranno sicuramente di trovare falle nei dispositivi di confinamento una volta dissipato l’effetto disorientamento (e con l’ausilio della noia dell’autoreclusione), oltre a quegli animi valenti che intendono continuare la loro incessante opera per minare il dominio o cogliere le opportunità che si aprono.
In fondo, perché mai il virus dell’autorità dovrebbe fare a meno di utilizzare la paura come ha sempre fatto, anche a costo di esacerbarla o di crearla in base alla necessità, non solo per intensificare il suo controllo sui corpi e le menti, ma soprattutto per rafforzare il veleno di una sottomissione di fronte ad un imprevisto che, sfuggendogli, può rimescolare le carte?
Cosa c’è di più sicuro per il potere di una guerra in cui unione sacra, religione e sacrifici saldano attorno ad esso gran parte della popolazione? ma anche di più aleatorio di una guerra persa o che non è in grado di condurre, con un iniziale malcontento non di opposizione ma di contestazione per una cattiva gestione o un prezzo troppo pesante da pagare, che a sua volta può portare ad una messa in discussione più globale, se i tentativi rivoluzionari successivi alla prima guerra mondiale negli imperi sconfitti (Germania, Russia, Ungheria) vi dicono ancora qualcosa. Ci verrà replicato che i tempi sono cambiati e che allora esisteva almeno un’utopia sostitutiva dell’esistente. Ma ciò non toglie che uno Stato occidentale contemporaneo sopraffatto dal panico di sopravvivenza, da una rabbia di fronte a tassi di mortalità più elevati per via di un sistema sanitario che era stato largamente smantellato, da un virus che può immobilizzare momentaneamente dal 20 al 30% di qualsiasi professione (110 celerini di Grasse sono confinati dal 12 marzo, così come tutti gli sbirri del commissariato di Sanary-sur-Mer dal 14 marzo, o i loro 400 colleghi parigini della Brigade des réseaux franciliens) creando occasioni, o da rivolte di determinate aree o categorie della popolazione, e tutto ciò all’interno di una economia indebolita*, si trova davanti ad una situazione nuova che potrebbe anche sfuggirgli di mano.

In materia di pacificazione sociale come di conflittualità, è alquanto comodo per chiunque vedere le cose come gli conviene o solo ciò che gli si presenta davanti al proprio naso, e ancor più quando le informazioni diffuse dai portavoce del potere si fanno sempre più avare, cosa più evidente in tempi di crisi o d’instabilità dove tutti serrano i ranghi. Ma chi ha mai pensato che i giornali o i social network fossero il riflesso della realtà, o che quando non dicono nulla dell’antagonismo in corso, tranne che per trasformarne il significato o vantarsi di qualche arresto, non è successo niente? Pur sapendo che si è solo all’inizio di un nuovo periodo che si apre e potrebbe durare mesi, senza seguire alcuna traiettoria in linea retta, uno dei primi segnali di rivolta è arrivato dalle carceri italiane, e in che modo!
 In seguito alle misure prese dallo Stato contro la diffusione del Covid-19 e riguardanti anche le carceri (divieto dei colloqui, soppressione della semi-libertà e delle attività all’interno), i primi ammutinamenti sono scoppiati il 7 marzo e si sono estesi ad una trentina di carceri da nord a sud nello spazio di tre giorni. Almeno 6000 prigionieri si sono ribellati: guardie o personale presi in ostaggio, apertura di celle e devastazione di sezioni o addirittura di intere prigioni (come quella di Modena, inutilizzabile), vari incendi e occupazione di tetti, ma anche evasioni come a Foggia dove in 77 sono riusciti a scappare (quattro sono ancora liberi) forzando l’accesso verso l’uscita dopo aver distrutto tutti gli schedari ed i documenti relativi alla loro identità, e almeno una dozzina di morti hanno segnato questa prima ribellione.

In un altro ordine di idee, a seguito del grande confinamento decretato oltralpe, dove ogni individuo che si trovi fuori casa deve essere munito di autocertificazione (una dichiarazione sulla parola) che ne attesti il motivo, spuntando la casella tra lavoro, salute e un altro molto limitato relativo alle sole necessità autorizzate dallo Stato (come fare la spesa o portare a spasso il cane, ma unicamente da soli e nel proprio quartiere), quest’ultimo ha reso noti i dati relativi ai primi giorni del coprifuoco: su 106.000 persone controllate, quasi 2.160 sono state multate per violazione dello stato di emergenza (11 marzo), poi su 157.000 controllati, è toccato ad altri 7.100 (13 marzo). I casi più disparati vanno dagli impertinenti che hanno osato incontrarsi per bere una birra in un parco agli impudenti che hanno approfittato della spiaggia deserta per provare un beach volley, fino a un padre di famiglia andato a comprare una playstation per il suo figliolo bloccato a casa o una coppia che preferiva litigare faccia a faccia piuttosto che a distanza al telefono, fino al tentativo di festeggiare un compleanno tra amici o di giocare a carte tra vicini, nonostante il decreto imponga che ognuno stia a casa in base alla residenza dove è registrato e che possa uscire uno alla volta, giustificandosi ad ogni controllo. Molte grandi città (Milano, Bologna, Torino, Roma) hanno chiuso così parchi, giardini, piste ciclabili o altrove le spiagge, per impedire ai recalcitranti di ritrovarsi approfittando del bel tempo.
Tuttavia, non si può fare a meno di pensare che questi timidi atti di trasgressione siano attualmente più legati alla improvvisa moltiplicazione di divieti che ad una ribellione contro queste misure. Se molti dispongono ormai di più tempo libero, essendo lontani dalla scuola o dal lavoro, si ritrovano pur sempre ingabbiati allo stesso modo di prima: secondo le modalità del potere. Disobbedire ad un ordine perché modifica troppo in fretta un’abitudine radicata non è affatto la stessa cosa che rifiutare che una qualsiasi autorità possa dare ordini, o strappare volontariamente il tempo e lo spazio al dominio per trasformarli in altro. Si chiami esso Santa economia o Bene comune.
Infine, poiché siamo solo all’inizio di questa ondata presto mondiale di misure che vietano anche le manifestazioni di strada, precisiamo che l’Algeria che le ha appena vietate in nome del Covid-19 ha dovuto affrontare violazioni di massa il 13 marzo, in particolare in Cabilia, in occasione della 56° settimana di proteste contro il potere; che in Cile, dove la rivolta è ripresa all’inizio di marzo dopo la fine delle vacanze, il ministro della Sanità ha annunciato che il paese sta per entrare nella fase 3 con l’istituzione di una quarantena di massa; e che in Francia, dove lo Stato aveva deciso il 13 marzo di abbassare da 1000 a 100 persone la soglia limite per i raduni, le manifestazioni di strada risultano ancora un’eccezione «utile alla vita della nazione», tollerata per timore di reazioni troppo violente, e si confida che i sindacati cessino loro stessi di organizzarle (a Lione, il 13 marzo, 3000 giovani hanno ad esempio sfilato cantando «Non è il corona che ci avrà, è lo Stato e il clima», per non parlare della manifestazione parigina dei gilet gialli del 14 marzo che si è scontrata con la polizia lasciando sulla sua scia diverse carcasse di auto bruciate).
Da parte dei nemici dell’autorità, infine, molti rischiano fortemente di essere colti alla sprovvista se non hanno pensato alla questione in anticipo, quando scoppia questo genere di situazione: non quella di una rivolta inaspettata, ma di un improvviso e brutale inasprimento dei margini di manovra, ad esempio in termini di spostamento come accaduto all’inizio della rivolta in Cile con il coprifuoco, o da una settimana in Italia e poi in Spagna con la messa in quarantena di tutto il paese. E ciò non solo per via della moltiplicazione dei controlli, ma anche a causa della collaborazione dei cittadini che disertano su comando lo spazio pubblico lasciando allo scoperto i refrattari o moltiplicando le denunce, occupati come sono ad annoiarsi dietro la loro finestra di confinamento volontario e desiderosi di far rispettare misure che considerano protettive.
Pensare alla questione quando non è ancora stata posta, significa ad esempio conoscere i passaggi che conducono da casa verso posti più propizi, o avere già identificato quali occhi dello Stato appollaiati in alto siano da bucare per aprirne di nuovi, ma anche come uscire dalla città con agilità (questa volta con le maschere consigliate dal potere!) o quali sentieri di campagna imboccare per poter anticipare nuovi controlli e posti di blocco all’orizzonte. Significa anche, altra difficoltà del grande confinamento, immaginare come e dove procurarsi qualche mezzo per agire in caso di carenza di rifornimenti anticipati (molti negozi non alimentari sono chiusi). Ciò può anche essere una agevole occasione per riconfigurare il problema della comunicazione non mediata dalla tecnologia tra complici più o meno dispersi, la cui circolazione può improvvisamente diventare più complicata, e — perché no? — trovarne di nuovi che, per proprie ragioni, avvertono le stesse esigenze di sfuggire all’invasione di controlli di strada (la grande reclusione volontaria ha questo di particolare, che mette ancora più a nudo l’insieme di individui che non intendono piegarsi). Altrettante questioni da affrontare con urgenza, quindi, e occasioni per ripensare, osservare e cambiare il proprio sguardo su un territorio ieri noto, ma nel quale gli spazi ed i margini possono anche diminuire drasticamente qui ma allargarsi altrove, o venire trasformati dai nuovi imperativi del potere in materia di gestione dei soli flussi epidemici casa-lavoro-supermercato.

Da parte del potere, la maggior parte dei piani di crisi messi in atto nei diversi paesi (in Italia e Spagna, con Germania o Francia ancora bloccate dalle prossime elezioni amministrative) fino ad ora fanno emergere alcune costanti che sarebbe pure un peccato ignorare.

Per esempio, è l’occasione per il capitalismo di spingere verso un’accelerazione di quella che alcuni chiamano da un po’ di tempo la quarta rivoluzione industriale (dopo quella del vapore, dell’elettricità e dell’informatica), ovvero l’interconnessione digitale totale in tutti gli ambiti della vita (dalla fisica alla biologia o l’economia). Pensiamoci: centinaia di milioni di studenti dalle elementari all’università che oscillano improvvisamente in diversi paesi su corsi permanenti a distanza in seguito alla chiusura di tutti i luoghi fisici d’insegnamento; altrettanti lavoratori che da parte loro vengono messi al telelavoro (dal 20 al 30% in media), indipendentemente dal fatto che vi siano abituati; la moltiplicazione su scala di massa di diagnosi tramite schermo interposto in seguito alla saturazione degli studi medici; l’esplosione dei pagamenti con carta di credito per paura di essere contaminati attraverso la manipolazione di monete e banconote. E se a tutto questo aggiungiamo il fatto che le popolazioni confinate si dedicano volentieri a tutto ciò che impedisce loro di pensare o di sognare, buttandosi sugli acquisti on line, sulle serie televisive, sui giochi in streaming o sulla comunicazione virtuale tra umani, diventa chiaro che le antenne delle reti di telefonia mobile, i cavi in fibra e gli altri nodi di connessione ottica (NRO) o più semplicemente le reti energetiche che alimentano tutto ciò, assumono un’importanza ancora decuplicata. Non solo per la produzione o i passatempi, ma semplicemente come principale cordone ombelicale tra i lazzaretti individuali e il mondo vivente, in effetti più che mai derealizzato.
Allora, sapendo che una bella antenna, un trasformatore, un palo elettrico o un cavo in fibra diventano più che mai determinanti nel contempo per trascorrere il tempo dell’auto-reclusione, per il lavoro e l’educazione di massa a distanza, ma anche per la trasmissione delle consegne del potere in camice bianco e per il pedinamento tecnologico del controllo (e non solo in Cina o in Corea del Sud), ciò non apre piste interessanti per spezzare questa nuova normalità da cui trae pieno beneficio il potere? Per non parlare del possibile effetto valanga, visto l’aumento più che conseguente del traffico Internet e telefonico, come della minor disponibilità di tecnici causa malattia…

Il secondo punto che sembra costante nei piani d’emergenza europei, è la priorità data al mantenimento minimo dei trasporti, al fine di condurre i lavoratori non confinati verso le industrie e i servizi definiti critici, di perpetuare il flusso di merci su camion o ferrovia verso questi ultimi, così come il rifornimento delle città le cui riserve sono notoriamente limitate a pochi giorni. Anche qui, si tratta di un’occasione da non trascurare per chi volesse destabilizzare i settori economici che il governo intende preservare ad ogni costo e che diventano più visibili (in Catalogna si parla 
attualmente di creare corridoi speciali di lavoratori sani e di beni verso determinati luoghi di produzione).
 

In tempi d’emergenza e di crisi a questi livelli, in cui tutti i rapporti sociali vengono messi brutalmente a nudo (in termini di spossessamento come di priorità dello Stato e del capitale), in cui la servitù volontaria guidata dalla paura può rapidamente trasformarsi in incubo, in cui il dominio deve a sua volta adattarsi senza tuttavia controllare tutto, saper agire in territorio nemico non è solo una necessità per chi non intende soffocare nella sua piccola gabbia domiciliare, ma è anche un momento importante per lanciare nuove bordate contro i dispositivi avversari. In ogni caso, quando ci si batte per un mondo completamente altro verso una libertà senza misura.
 
 


* A titolo di esempio, numerose industrie cominciano ad essere rallentate a causa dell’interruzione delle catene di approvvigionamento provenienti dalla Cina, 
mentre la Germania ha appena annunciato prestiti alle aziende garantiti dallo Stato per un valore di 550 miliardi di euro, ossia un piano di aiuti ancora più forte 
di quello messo in atto durante la crisi finanziaria del 2008. Molti cominciano a parlare di un periodo di recessione mondiale.
 
 
[Avis de tempêtes, n. 27, 15 marzo 2020, traduzione di Finimondo]

MUNDO COVID-19: Las epidemias en la era del Capitalismo

La explotación de los recursos naturales del planeta está llevando a la humanidad al borde de la autodestrucción, vivimos en medio de epidemias causadas en su mayoría por la propagación continua de productos químicos (pesticidas, insecticidas, disruptores endocrinos, etc.) y nocivos para nuestra salud al mismo tiempo vivimos rodeados de una atmosfera con niveles tan altos de contaminación como para desarrollar alergias y enfermedades en gran parte de la población. Esta explotación de los recursos naturales lleva consigo igualmente la devastación del territorio por parte de tecno industria: el Mediterráneo convertido en una alcantarilla, el sudeste asiático en un desierto químico, África en un gran vertedero, etc.

La aparición del virus conocido como Covid-19 es consecuencia de la civilización industrial, para nosotros lo importante no es si el virus ha mutado de un murciélago debido posiblemente a la industrialización de su hábitat o de si es un ataque de EEUU a la economía China , para nosotros lo importante es que es la consecuencia de un sistema que mercantiliza cada proceso, objeto o ser vivo sobre la tierra, es la codicia de un sistema que persigue la aniquilación de todo lo vivo para artificializar el mundo. No podíamos pensar que nuestra forma de vida basada en el crecimiento continuo en un planeta que en realidad es finito no iba a traer estas consecuencias y otros desastres que vendrán. Cientos de productos químicos presentes en nuestra cotidianidad modifican los procesos naturales dando lugar a cientos de “catástrofes” (epidemias, cambio climático, etc.), son los mismos productos que en China producen un millón y medio de muertos al año y que no salen en las noticias, que no producen ni alarma social, ni confinamientos, ni estado de alarma. En España son 10.000 los que mueren al año por contaminación y no cunde el pánico, son parte de las víctimas necesarias para que el mundo industrial pueda seguir funcionando, lo importante es que el progreso y su codicia no se detengan.

En principio, el Covid 9 (aunque lo continúan investigando) es una gripe con síntomas similares a la gripe común y ambas afectan más a personas que sufriesen patologías anteriores y especialmente a la población de mayor edad, ambas gripes se diferencian en la rápida propagación y capacidad de contagio de la primera que es lo que ha levantado la alarma sanitaria. En el momento de escribir este texto son casi 300 las personas que han muerto a causa del Covid9, sin embargo, la gripe común causó en España el año pasado más de 6.000 muertes y en 2018 llego a las 8000. Ante esto nos preguntamos a que es debida esta situación excepcional, de alarma social creada en gran parte por los medios de comunicación y por la opacidad de la información que transmiten aquellos que gestionan nuestras vidas.

Como forma de acabar con la pandemia el Estado ha decretado el “Estado de alarma” que conlleva las prohibiciones de movimiento, el confinamiento, el aumento del control, suspensión de reuniones y de la vida pública en general, control de los medios de transporte y quién sabe si dentro de poco de la distribución de alimentos. En este proceso vemos como el Estado deviene en ecofascista donde el gobierno se verá cada vez más obligado a actuar para administrar los recursos y el espacio cada vez más “enrarecidos” dando lugar a que la preservación de los recursos más necesarios solamente puedan garantizarse sacrificando otra necesidad: la libertad.

A falta de un enemigo interior o exterior el Estado ha encontrado un enemigo ante el cual mostrar todo su potencial bélico y al mismo tiempo acentuar el sometimiento a la población mediante el miedo y la represión mientras se erige como la única posibilidad de salvación ante el terror producido por la epidemia. Para nosotros la solución no es un estado más autoritario es la desaparición de toda forma de autoridad. A partir de ahora posiblemente los estados de alarma, de emergencia… se sucedan como consecuencia de la devastación ecológica y social del mundo porque estamos seguros que las catástrofes seguirán ocurriendo. No exageramos cuando hablamos de potencial bélico: ya estamos viendo al ejército tomando posiciones en lugares estratégicos, la policía controlando más las calles y drones con cámaras vigilando los movimientos de la población. Las medidas del estado de alarma no persiguen únicamente acabar con la pandemia de la gripe sino que persiguen también extender otra pandemia: la de la servidumbre voluntaria de la población mediante la obediencia a las leyes ante el peligro de la pandemia, acabar con las críticas al Estado y al Capitalismo ante el miedo y los posibles riesgos. Esta servidumbre voluntaria sería imposible sin el sometimiento a nuestros aparatos tecnológicos y a la forma de vida que crean. Ante situación de pandemia o cualquier otro desastre quedamos sometidos a tecnócratas, especialistas, expertos, científicos, etc., a aquellos gestores del espacio y del tiempo que lo tienen todo planificado en sus racionales cálculos.

Igualmente las consecuencias de esta epidemia, o de cualquier otro desastre industrial, serán económicamente devastadoras, ya estamos viendo la situación crítica de miles de personas que se verán abocadas al paro o la precarización de sus trabajos, como siempre el empeoramiento de las condiciones de vida la sufrirán las capas más desfavorecidas de la sociedad que ya llevan años soportando las duras embestidas de la “crisis capitalista” y sus recortes. Por lo contrario, seguramente reportara grandes beneficios a las clases altas, como por ejemplo, a los propietarios de las grandes farmacéuticas.

Ante la epidemia, la confinación industrial en la que vivimos se agiganta, nos encierran en nuestras jaulas de ladrillo y hormigón de donde solo podremos escapar virtualmente de la agobiante realidad través de nuestros aparatos tecnológicos. Los mismos aparatos que nos someten y perpetúan la alienación ante la forma de vida industrial. Aquellos aparatos que nos deshumanizan y modelan nuestras percepciones, nuestro cerebro, nuestros sentimientos, etc. que rediseñan la forma de vernos a nosotros mismos y al mundo. Enganchados al mundo virtual nos mantenemos alejados de la realidad de un mundo hostil, de una epidemia o de una catástrofe nuclear. Desde aquellos que gestionan nuestras vidas no reclaman responsabilidad intentándonos hacer partícipes de las catástrofes del capitalismo industrial, curioso porque una de las características de la posmodernidad es la falta de responsabilidad en los actos de cada uno ya que participamos en la máquina “ajenos” a sus efectos. Para nosotros los únicos responsables son la organización técnica de la vida y quienes la gestionan.

CONTRA TODA NOCIVIDAD

MARZO 2020

[ANÁLISIS] MUNDO COVID-19: Las epidemias en la era del Capitalismo

Italia – Contra la cuarentena de las pasiones, la epidemia social

En estos días se extiende una nueva pesadilla: el contagio del llamado Coronavirus. 10 pueblos en el área de Lodi, considerada como el brote de la infección, y otro pueblo en la región de Veneto, donde ocurrió la primera muerte por el virus, han ido puestos bajo cuarentena. Esto significa que no hay posibilidad para la gente de moverse por los alrededores ni de salir de sus casas. A través de Lombardía, el poder obliga a la gente a limitar su movilidad social. Del cierre de los lugares de encuentro al toque de queda hay un paso muy corto. Preses de elles mismes y de algo imperceptibles al ojo humano, el gobierno pastoral incluso ha ordenado a través de un decreto relámpago cerrar las calles y reforzar la guarnición de la policía y del ejército, insinuando que si alguien no cumple con las órdenes del Estado también podría enfrentarse al arresto. Una epidemia social, a la que el poder solo puede responder con represión y vigilancia. La caza del que unge ha comenzado.

Un nuevo espectro se cierne a nuestro alrededor y su fuerza es su presunta veracidad médica y el poder de borrar en un instante todos los demás espectros invisibles para el ojo humano. Curiosamente, cuando hablamos de muerte rápida, la epidemia social se vuelve urgente. Cuando la muerte se establece en la vida, todo vuelve al mundo de la catástrofe. ¿No hay una emergencia cuando los lugares donde vivimos se vuelven irrespirables por la industrialización y el mundo-máquina?

¿No hay emergencias cuando las necroculturas transgénicas devastan el aire que respiramos y la comida que comemos? ¿No hay emergencia ni siquiera cuando seguimos comiendo del suelo radioactivo contaminado por el desastre nuclear de 1986? ¿Y Fukushima, donde les técnicos en el área anuncian que la única manera de parar la radioactividad en progreso es arrojando los residuos al océano?

Con esta epidemia, parece que las certezas de les expertes han colapsado en 24 horas. Y cuando las certezas caen, el caos está a la vuelta de la esquina.

Aforismos sobre el desastre

Esta es la primera epidemia globalizada. Atención, no global, sino globalizada. Siempre ha habido epidemias que han cruzado continentes, que se extendieron como incendios forestales, y causaron muerte y dolor.

Esta, sin embargo, es la primera epidemia vírica que cruza un mundo en el cual les individues son cada vez más similares unes a otres, donde las condiciones de vida son cada vez más estandarizadas y los hábitos de consumo cada vez más homologados.

¿Cuál es el rol ecológico de la enfermedad? En esta era de expertos, donde el lugar principal está reservado para la supuesta ciencia médica, poca cosa se está haciendo sobre esta cuestión. Donde la COP21 ha fracasado, el CoVid19 podría tener éxito. Solo se escapa de la enfermedad y la muerte que de él resultan en un mundo que ha hecho mitología de la perpetuación de sí mismo. Nadie puede pensar que en lugares donde miles de personas viven amasadas, abusando de antibióticos y comida basura, no ocurra este fenómeno. La cuestión ecológica también encuentra una solución en la disminución cuantitativa de seres humanos, así como en la necesaria transformación cualitativa de sus vidas.

Después de todo, ¿en qué nos diferenciamos del Pinne nobilis? Estos amables parientes de los mejillones vivían felices en las inmensas praderas submarinas de Posidonia ocenanica. El ser humano destruyó las praderas donde vivían, los pescó como recuerdos y abrió nuevas formas de comunicación a través de los mares (Canal de Suez). Ahora una bacteria está exterminando a los pocos individuos restantes.

¿O somos como las patatas irlandesas, todes iguales, creciendo en un monocultivo intensivo? Hectáreas de patatas, clones de otras patatas, con las mismas características, los mismos puntos débiles. Todo lo que hace falta es un solo parásito para eliminarlas a todas.

El genetista Lewontin se pregunta en su vídeo Biology as Ideology: “¿fue una bacteria la que causó la explosión de tuberculosis en el Siglo XIX o fueron las condiciones de vida en las fábricas?”

Nos dicen que no salgamos de casa, que no abracemos a las personas que amamos, a través de qué fronteras o caminos no podemos cruzar. Nos dicen que arriesgamos nuestras vidas. Pero ¿qué vidas? ¿Tal vez la no-vida que ya habíamos soportado anteriormente, en la cual la cuarentena era la cabina de nuestra furgoneta parada en la circunvalación de la carretera? ¿O fue el aislamiento en el apartamento, la celda misma de una enorme colmena de cemento?

Cuando es posible que solo el teletrabajo y la socialización pasen completamente a través de Internet, las antenas y lo que las alimenta se convierten en una condición necesaria para mantener el orden social frente al desorden de los sueños.

Eduardo De Fillipo, en Millionaire Naples, escribió que para recuperarse de la guerra era necesario sobrevivir a la guerra. Adda pasó la noche, murmuró, refiriéndose a su esposa enferma. Nosotres también vivimos en medio de una enfermedad, un tumor creciente que afecta a las relaciones entre seres humanes y el medio natural que les rodea. El Estado, el Capital, el Sistema Técnico. La fiebre es la reacción del cuerpo a una invasión externa. ¿Puede una posibilidad de liberación pasar de la fiebre?

Cuando escuches balar al lobo, si eres una oveja preocúpate. Al poder no le preocupa nuestra felicidad, le preocupa que continuemos produciendo, viviendo dentro de los patrones de explotación y supervivencia. Cuando el Estado nos pida cooperación que encuentre una deserción maravillosa.

Muchas civilizaciones han sido destruidas por la enfermedad. Cuanto más compleja es una civilización y cuanto más impone la disciplina con el fin de sobrevivir, más frágil se vuelve. Mientras el ejército y la policía vigilan a les enfermes, los nervios siguen descubiertos. Bloquear esta sociedad, interrumpir sus líneas de suministros, es un gesto muy comprensible y deseable: frente al abismo del desastre ecológico y la aniquilación cotidiana, las posibilidades siguen siendo deseos que finalmente podemos encontrar una manera de expresar. Y bloquear nuestro rol social de no ser capaces de hacer nada con ello.

¿Qué queda cuando el Estado falla? ¿Qué queda cuando se pierde la verdad del Estado? ¿Qué queda cuando el Estado tiene que disparar a sus sujetos porque no quieren ser encerrades en áreas de cuarentena? ¿Qué pasa cuando el Estado se muestra incapaz de gobernar y proteger? La posibilidad. Caracremada corrió solo en los Pirineos persiguiendo la posibilidad del derrocamiento de la dictadura franquista, algún día podríamos encontrarnos encerrades con otras personas para enfrentar la enfermedad por un lado y al Estado por el otro.

Reapasionar la vida

El lenguaje que ya no puede expresarse sigue siendo entendible. Interrumpe el olvido. Enfrentades con el más desalentador de los desiertos, el bosque del conocimiento y la perspectiva. Cada construcción es un simulacro de escombros y su forma no es nada nuevo. Por esta razón, las formas deben ser destruidas.

Launtréamont dijo que la poesía podría ser hecha por todes, no por uno solo. La ciencia, sin embargo, solo puede ser el baluarte de los expertos. Es por eso que la poesía es el rechazo absoluto de la ciencia. Y este es un paso fundamental para ir en busca del oro del tiempo contra la mercantilización de la supervivencia en cuarentena, restaurándole su espontaneidad al pensamiento. Más allá del horror, todo es imaginable.

[Texto] Italia – «Contra la cuarentena de las pasiones, la epidemia social»

Le fratture del Dominio

Questa epidemia sta mostrando, in Italia, come diversi elementi costituenti il nostro mondo abbiano interessi e priorità divergenti. Capitale, Stato e Sistema Tecnico affrontano lo stesso problema (la stabilità sociale ed il mantenimento del loro potere e la loro influenza sulla vita delle persone) da prospettive diverse e con obiettivi diversi, talvolta in aperto conflitto. In queste riflessioni darò per scontate tutta una serie di premesse riguardo alle differenze tra le componenti del Dominio e su dove queste differenze o distinzioni iniziano e finiscono (Cfr. Diario di bordo da un mare inesplorato, Editrice Cirtide 2020 per maggiori dettagli). La situazione in continua trasformazione chiaramente non permette di fare una fotografia precisa, quanto di andare ad individuare alcune tendenze di massima.

Anche perché crisi non è sinonimo di crollo, quanto di riassetto, trasformazione. E se sappiamo che la più grande capacità del Dominio è quello di rimandare i problemi al futuro, nell’attesa di poterli risolvere o di poterli nuovamente rimandare perché non più al centro dei riflettori (chi in questi giorni sa cosa sta succedendo nei campi profughi greci dopo che Erdogan ha chiesto più soldi all’UE per tenere le frontiere chiuse?), sappiamo anche che guardare oltre fa parte dello spirito che permette di poter contrastare lo stato di cose esistente.

Lo Stato

Ad essere colpita da questa epidemia è la popolazione, ovvero quel concetto che, insieme al territorio, costituisce fondamento e motivazione dell’esistenza stessa dello Stato. Insieme alla difesa dell’integrità dello spazio incluso nei propri confini, lo Stato si pone anche come garante della vita pacifica e pacificata della propria popolazione, volgendosi ad un suo aumento quantitativo che va di pari passo con l’aumento della sua potenza.

Attualmente lo Stato nazionale incontra difficoltà nell’esercizio del suo potere dovendosi confrontare con fenomeni di convergenza e concentrazione del potere a livello globale o continentale.

Il partito politico che in questo momento, in Italia, si sta facendo maggiormente portavoce delle istanze dello Stato è la Lega di Salvini, anche attraverso i suoi diversi presidenti di regione (Zaia, Fontana). Fin dal primo momento l’idea chiave è che attraverso l’epidemia si sarebbe potuto agire sull’equilibrio dei poteri in favore del ruolo dello Stato nazionale (chiusura delle frontiere, controllo dello spazio, misure stringenti sulla vita delle persone, blocco totale della macchina produttiva).

Egli inoltre sa che essendo all’opposizione la responsabilità delle misure non sarà sua e che, puntando al collasso dell’economia globalizzata, la vulgata già è pronta a ripetere il mantra del Made in Italy e dell’economia sovranista-autarchica, soprattutto dopo l’evidenza di come la globalizzazione e le supply chain siano anche profondamente fragili ed esposte a perturbazioni localizzate (In Italia mancano ad esempio alcune filiere produttive per le dotazioni di sicurezza individuale – leggi mascherine ).

Anche per quel che riguarda il decreto economico del governo la posizione dell’opposizione è quella di spingere ossessivamente sulle partite IVA (protagoniste negli ultimi mesi di alcune proteste sotto il parlamento) e per il blocco del pagamento delle tasse, disinteressandosi delle logiche di bilancio a fronte dell’emergenza, come se la questione contingente di pericolo per lo Stato e per la sanità pubbliche, di fronte alle necessità del mondo economico, siano decisamente prioritarie. E non ci venga ripetuto che allo Stato interessa la salute delle persone.

Le rivolte nelle carceri ed il bisogno di incrementare il controllo sociale hanno già spostato alcuni equilibri, come l’affidamento della qualifica di agenti di pubblica sicurezza a tutti i militari e non solo a quelli dell’Operazione Strade Sicure. Nei prossimi giorni potrebbero essere aggravate le restrizioni ed aggiunto il monitoraggio degli spostamenti delle persone attraverso il controllo delle celle telefoniche.

Il Capitale

Il mondo economico produttivo e quello dei mercati internazionali è in grande difficoltà. Conte sta cercando di mediare tra le istanze di una Confindustria che cerca di non far chiudere le industrie del paese e lo Stato profondo che invece sbava all’idea di poter mettere in atto un accentramento dei poteri ed un esperimento di controllo sociale di massa contro un nemico perfetto, invisibile e scientificamente al di sopra di ogni opinione chiudendo tutto.

La diminuzione della domanda di materie prime legate all’arresto della crescita cinese sia per quel che riguarda la domanda interna (-78% del mercato cinese dell’auto) che l’esportazione di merci finite e semilavorati crea ripercussioni sul prezzo del petrolio e le stime di crescita. Prezzo che crolla a causa del mancato accordo tra OPEC e Russia.

Le misure americane di bloccare i voli Schengen-USA, quindi una misura di ricostituzione di confine, ha ripercussioni sui mercati e la fiducia nell’andamento futuro dell’economia. Una BCE che si pone in maniera distante rispetto alle sfide e le scelte degli Stati di chiudere i paesi e fermare la produzione, intervenendo forzatamente sul piano degli ammortizzatori sociali e della creazione di debito, contribuisce alla complessiva crisi di fiducia.

Lo spazio Schengen chiude, e l’idea stessa di Comunità economica europea vacilla. La forma economica di una produzione just in time mostra i suoi limiti nel momento in cui vengono meno le strutture logistiche e la richieste di determinate merci diventa statisticamente imprevedibile. La scomparsa del magazzino e dello stoccaggio rischia di accelerare i tempi della crisi distributiva, svuotando gli scaffali dei supermercati.

Inoltre quando qualcuno paventa ricapillarizzazione della produzione e la ri-nazionalizzazione del lavoro non fa i conti con quello che ha fatto andare via la produzione: margini di profitto evidentemente troppo bassi tra costo del lavoro “eccessivo”, tasse ed infrastrutture “carenti” (vedi TAV o TAP da costruire a tutti i costi). Già ora si stanno moltiplicando le ferie forzate (prodromo di licenziamenti?) o il licenziamento in tronco con tanti saluti per chi era in nero… cosa accadrà in futuro? Una spinta verso l’automazione pe risparmiare sulla forza lavoro?

Il Sistema Tecnico

Ad uscire rafforzato e sempre più centrale per la vita delle persone è il Sistema Tecnico tanto nella sua componente ideologica (il pensiero scientifico) che nella sua componente materiale (l’infrastruttura tecnologico-digitale).

A fronte di una bassissima conoscenza di quello che è effettivamente questo virus e sui modi per affrontarlo, l’attributo di verità è affidato al pensiero scientifico atto a sostenere e giustificare le pratiche e le scelte di governo a livello globale. Esso inoltre diventa anche la fonte di una speranza di soluzione attraverso l’ideazione della soluzione ex machina del vaccino o della cura.

Ogni forma di relazione, comunicazione e trasmissione di informazione è affidato al sistema mediatico virtuale dei social network ed alla rete di videosorveglianza. La massiccia raccolta di informazioni ed il tracciamento degli spostamenti e delle relazioni è stata utilizzata anche in alcuni paesi, come la Corea del Sud, per impostare ed applicare il processo di sorveglianza ed isolamento delle persone.

Durante questo periodo di quarantena forzata si stanno spostando nel mondo telematico alcuni ambiti fondamentali della vita, come il lavoro (smart working) e la scuola (scuola digitale). Questo ha portato ad un aumento compreso tra il 30 ed il 50% del traffico sulle reti.

Tuttavia sta facendo anche emergere nel dibattito pubblico l’importanza del cablaggio delle cosiddette zone bianche per l’arrivo della banda larga e, per le scuole, l’intervento di fondazioni private o aziende come Google nel fornire strumenti di didattica e/o spazio sui server per informazioni e materiali educativi.

Appare evidente come la migrazione delle relazioni sociali sul web, sugli smartphone e sui social cambia completamente il modo in cui comunicano le persone all’interno della società, tanto aumentando indescrivibilmente il potere degli svariati GAFA quanto spingendo alla digitalizzazione anche delle pratiche di governo: (voto digitale, chiusura del parlamento. burocrazia telematica).

Le fratture del Dominio

Trieste – Ai morti di Modena e ai suoi rivoltosi – uno scritto dal carcere

Ai morti di Modena e ai suoi rivoltosi

È passata poco più di una settimana dalla rivolta nel carcere di Modena e i media si son già dimenticati del massacro avvenuto in quel carcere e negli altri dove la rivolta è divampata pochi giorni fa. Nove morti solo a Modena.

Chi scrive, alcuni di loro li ha conosciuti perché se li è trovati nella cella a fianco fino ad un mese fa e in questi giorni, ci ha perso il sonno nel pensarli.

Uomini con i quali si cercava di discutere su cosa si potesse fare per migliorare la situazione che si stava creando nel periodo precedente.

Per molti cominciava a pesare quel clima creato dalla nuova direttrice Maria Martone la quale, per ordine del DAP, stava risistemando i detenuti in modo restrittivo. “C’è bisogno di posto” si diceva in febbraio “dovete venirci incontro”, il tutto condito da minacce neanche troppo velate di possibili trasferimenti o altro nel caso in cui i detenuti non collaborassero passivamente alle necessità della nuova direzione. Questo clima si intrecciava ai classici problemi di ogni luogo di restrizione: le negligenze e le angherie degli uomini in divisa, della burocrazia del sistema carcere, del cibo pessimo, della mancanza di una copertura sanitaria seria che non fosse la famosa terapia nonché la totale solitudine e disperazione di persone abbandonate e senza nessun aiuto da fuori. La paura del virus, può essere stata una miccia in un calderone pieno di rabbia e disperazione, ha dato voce ai corpi e alle gole degli oppressi, che per colpa di questa società si trovano rinchiusi dentro le galere. Troppe cose, troppe, sono state dette sulla rivolta del carcere di Modena sputando addosso ai morti e ai prigionieri tutti di quel carcere. Quasi nessuno si interroga seriamente e in profondità sul perché tutto questo sia accaduto,. Non c’è bisogno di nessuna regia occulta per capire che è causa del mondo stesso del carcere con tutti i problemi delle persone recluse. Nel momento della rabbia, la diffidenza e lo scetticismo cadono e una massa di individui si unisce, ognuno con il suo dolore, con la sua voglia di riscatto e trovano la forza di far sentire con decisione e coraggio anni di repressione di Stato pagata sulla propria pelle. Chi non ha mai dormito dentro una cella, dalla parte del blindo del prigioniero, non può capire cosa voglia dire stare dentro al carcere. Tutti quelli che si son riempiti la bocca come avvoltoi con questi fatti non meritano ascolto perché non sanno di cosa parlano, tanto i morti sono tutti “tunisini tossici”, monnezza dice qualcuno. C’è chi parla di aprire forni, di bruciarli vivi. Chi scrive ha visto si persone che usavano le maledette terapie, non tutti riescono a vivere il carcere in modo lucido, ma dire che è stata assaltata l’infermeria e che c’è stato un abuso di farmaci a noi questo non ci interessa. Il nostro giudizio a riguardo è come la bussola che indica il Nord anche quando la scuoti, il nostro indice indica sempre la stessa direzione, la colpa di quelle morti è dello Stato: dall’ultima guardia carceraria alla volontaria che giustifica l’operato della direzione e chiede quiete e sicurezza, dalle stellette del comandante, al Ministro Bonafede, a chi come Salvini diceva “ve l’avevo detto”. Anchenoi diciamo “ve l’avevamo detto”, ma in un verso completamente contrario al suo. Noi lottiamo per la libertà di tutti e tutte, lontani un abisso da lui che vuole un carcere militarizzato. Si lamenta che le guardie avevano pochi mezzi, ma se è stato sparato del piombo e si vede benissimo una delle guardie del magazzino con il mitra in mano che mira ad altezza uomo?! Quali mezzi mancano? I blindati? I mitra? I manganelli? Gli idranti? Gli elicotteri? Le richieste dei detenuti non solo vengono sminuite, ma vengono cancellate le rivendicazioni prettamente politiche delle loro richieste, quello che è successo non è solo disperazione. Anzi, il rimbalzo tra carceri delle proteste fa capire che proprio chi ha limitata la libertà è l’unico che ad oggi sia riuscito a dare una risposta collettiva alle restrizioni imposte dallo Stato per l’emergenza coronavirus. Da qui non si tornerà indietro si dice spesso in questi giorni, è vero anche per il carcere. Queste rivolte faranno si che da Roma verranno presi provvedimenti sempre più restrittivi perché è l’unica lingua che una struttura come il DAP comprende, le rivolte prossime future verranno represse e intanto le notizie si susseguono di continui pestaggi di massa dei detenuti indipendentemente se uno ha partecipato o no alle rivolte.

L’unica comunicazione da parte del Ministero sono le botte in modo tale che tutti e tutte si ricordino di non osare più ribellarsi perché lo spavento provato una volta tanto dagli aguzzini è stato tanto e lo Stato italiano ha fatto una brutta figura a livello internazionale. Intanto i detenuti sono sballati in ogni dove, si sa che da Modena i rivoltosi sono partiti mezzi nudi e gonfi di colpi e le famiglie ancora attendono preoccupate un contatto diretto con i propri cari.

Il rapporto di forza per pochi giorni si è capovolto, i detenuti hanno trovato la forza di unirsi, non tutti, va bene ma questo poco importa, per far uscire la loro voce come da tanti anni non si vedeva in questo paese, i media hanno già messo nel cantuccio le notizie che in realtà si susseguono tramite i familiari delle persone recluse. Non è finita qui, si capisce bene, c’è chi invoca più carceri razionali che non si sa cosa voglia dire, chi chiede l’esercito fuori dalle galere, chi chiede di blindare i prigionieri nelle celle, e tutto questo non fermerà né il dolore né la rabbia di uomini e donne recluse perché è la stessa struttura che alimenta lo scoppio, spesso imprevisto, di rivolte come queste. Troppe cose sono state sopportate in questi anni e le ulteriori restrizioni hanno tolto opacità al malessere diffuso in ogni galera e noi sappiamo che, anche chi non ha partecipato alle rivolte in

cuor suo ha sorriso, perché non c’è gioia più bella per un galeotto che quella di sapere che un carcere è stato chiuso tramite una rivolta e che qualcuno sia fuggito, perché sa bene cosa voglia dire stare in una maledetta cella. E gli sfruttati che oggi subiscono passivamente questo periodo di assenza totale di libertà, di totale asservimento allo Stato e ai tecnici, in futuro si ricorderanno chi all’inizio aveva lottato. Gli sfruttati tutti pagheranno quello che lo Stato sta cercando di placare con vari decreti, manovre economici e non solo. Siamo solo all’inizio di una nuova e lunga lotta da fare e da prendere di petto.

A noi fuori spetta dar voce e solidarietà a queste lotte facendo comprendere agli sfruttati che il loro senso non è per nulla irrazionale. E c’è una parola che di solito viene usata con parsimonia ma che alla luce dei fatti successi richiede di essere innalzata sul pennone delle future lotte contro il carcere, la parola è vendetta. Il silenzio su quegli uomini assassinati dal sistema carcere è diventato assordante. Meritano di essere ricordati oggi e in futuro per far si che tutto quello che sta accadendo abbia un significato profondo.

16.03.2020

Trieste

https://roundrobin.info/2020/03/ai-morti-di-modena-e-ai-suoi-rivoltosi-uno-scritto-dal-carcere/

The Worst Virus Ever… Authority…

The Worst Virus Ever… Authority…

About COVID-19, authoritarian delusions and the shitty world we live in…

The macabre death toll increases day by day, and in the imagination of each person takes place the sensation, at first vague then always a little stronger, of being more and more threatened by the Great Grim Reaper. For hundreds of millions of human beings, this imagining is certainly not new, that of death that can strike anyone, at any time. Just think of the damned of the earth sacrificed daily on the altar of power and profit: those who survive under State bombs, in the midst of endless wars over oil or mineral resources, those who coexist with invisible radioactivity caused by accidents or nuclear waste, those who cross the Sahel or the Mediterranean and are locked up in concentration camps for migrants, those who are reduced to pieces of flesh and bone by the misery and devastation caused by agro-industry and the extraction of raw materials…And even in the lands that we inhabit, in times not very long ago, we have known the terror of butcheries on an industrial scale, bombings, extermination camps… always created by the thirst for power and wealth of States and bosses, always faithfully set up by armies and police.

But no, today we are not talking about those desperate faces that we constantly try to keep away from our eyes and minds, nor about a history that is now past. Terror is beginning to spread in the cradle of the kingdom of commodities and social peace, and it is caused by a virus that can attack anyone – although of course, not everyone will have the same opportunities to cure themselves. And in a world where people are used to lying, where the use of figures and statistics are one of the main means of media manipulation, in a world where truth is constantly hidden, mutilated and transformed by the media, we can only try to put the pieces together, to formulate hypotheses, try to resist this mobilization of minds and ask the question: where are we going?

In China, and then in Italy, new repressive measures were imposed daily, until they reached the limit that no State had dared to cross yet: the ban on leaving one’s home and on moving around the country except for work reasons or absolute necessity. Not even during war would there have been consent to the acceptance of such far-reaching measures by the population. But this new totalitarianism has the face of Science and Medicine, of neutrality and common interest. Pharmaceutical, telecommunications and new technology will find the solution. In China, the use of geo-locating to report any movement and any case of infection, facial recognition and e-commerce are helping the State to ensure that every citizen is locked up in their own home. Today, the same states that have based their existence on confinement, war and massacre, including of their own population, impose their “protection” through prohibitions, borders and armed men. How long will this situation last? Two weeks, a month, a year? We know that the state of emergency declared after the attacks [translation note: originally imposed in 2015 following the Islamic State terrorist attacks in Paris] has been extended several times, until the emergency measures were definitively incorporated into French law. What will this new emergency lead us to?

A virus is a biological phenomenon, but the context in which it originates, its spread and its management are social issues. In the Amazon, Africa or Oceania, entire populations have been exterminated by viruses brought by settlers, while the settlers imposed their domination and way of life. In the rain forests, armies, merchants and missionaries pushed the people – who previously occupied the territory in a scattered way – to concentrate around schools, in villages or towns. This greatly facilitated the spread of devastating epidemics. Today, half the world’s population lives in cities, around the temples of Capital, and feeds on the products of agro-industry and intensive livestock farming. Any possibility of self-sufficiency has been eradicated by States and the market economy. And as long as the mega-machine of domination continues to function, human existence will be increasingly subjected to disasters that are not very “natural”, and to a management of them that will deprive us of any possibility of determining our lives.

Unless… in an increasingly dark and disturbing scenario, human beings decide to live as free beings, even if it is just for a few hours, days or years before the end – rather than shutting themselves up in a “natural” world, of fear and submission. As did the prisoners in 30 Italian prisons, faced with the ban on visiting rooms imposed because of Covid-19, by revolting against their jailers, demolishing and burning their cages and, in some cases, managing to escape.

NOW AND ALWAYS FIGHTING FOR FREEDOM!

 

https://325.nostate.net/2020/03/16/france-the-worst-virus-ever-authority/

Le pire des virus… l’autorité

À propos de COVID-19, délires autoritaires et le monde de merde dans lequel on vit…

Le décompte macabre des décès augmente de jour en jour, et dans l’imaginaire de chacun prend place la sensation, d’abord vague puis toujours un peu plus forte, d’être toujours plus menacé par la Grande Faucheuse. Pour des centaines de millions d’êtres humains, cet imaginaire n’est certainement pas nouveau, celui de la mort qui peut s’abattre sur n’importe qui, n’importe quand. Il suffit de penser aux damnés de la terre sacrifiés quotidiennement sur l’autel du pouvoir et du profit : ceux et celles qui survivent sous les bombes des États, au milieu de guerres infinies pour le pétrole ou pour les ressources minières, ceux et celles qui cohabitent avec la radioactivité invisible provoquée par des accidents ou des déchets nucléaires, ceux et celles qui traversent le Sahel ou la Méditerranée et qui sont enfermés dans des camps de concentration pour migrants, ceux et celles qui sont réduits à des morceaux de chair et d’os par la misère et la dévastation générées par l’agro-industrie et l’extraction de  matières premières… Et même dans les terres que l’on habite, à des époques pas très lointaines, on a connu la terreur des boucheries à échelle industrielle, les bombardements, les camps d’extermination… toujours créés par la soif de pouvoir et de richesse des États et des patrons, toujours fidèlement mis en place par des armées et des polices…

Mais non, aujourd’hui on ne parle pas de ces visages de désespérés que l’on cherche constamment à garder loin de nos yeux et de nos têtes, ni d’une histoire désormais passée. La terreur commence à se diffuser dans le berceau du royaume des marchandises et de la paix sociale et elle est provoquée par un virus qui peut attaquer n’importe qui – bien que, évidemment, tout le monde n’aura pas les mêmes possibilités de se soigner. Et dans un monde où l’on est habitué au mensonge, où l’usage de chiffres et de statistiques est l’un des principaux moyens de manipulation médiatique, dans un monde où la vérité est constamment cachée, mutilée et transformée par les médias, on ne peut que tenter de mettre ensemble les morceaux, de
faire des hypothèses, tenter de résister à cette mobilisation des esprits et se poser la question: dans quelle direction est-on en train d’aller?

En Chine, puis en Italie, de nouvelles mesures répressives ont été imposées jour après jour, jusqu’à arriver à la limite qu’aucun État n’avait encore osé franchir : l’interdiction de sortir de chez soi et de se déplacer sur le territoire sauf pour des raisons de travail ou de nécessité stricte. Même la guerre n’aurait pu consentir l’acceptation de mesures d’une telle portée par la population. Mais ce nouveau totalitarisme a le visage de la Science et de la Médecine, de la neutralité et de l’intérêt commun. Les entreprises pharmaceutiques, celles des télécommunications et des nouvelles technologies trouveront la solution. En Chine, l’imposition de la géolocalisation pour signaler tout déplacement et tout cas d’infection, la reconnaissance faciale et l’e-commerce aident l’État à garantir l’enfermement chez soi de chaque citoyen. Aujourd’hui les mêmes États qui ont fondé leur existence sur l’enfermement, la guerre et le massacre, y compris de leur propre population, imposent leur “protection” à travers des interdictions, des frontières et des hommes armés. Combien de temps durera cette situation? Deux semaines, un mois, un an? On sait que l’État d’urgence déclaré après les attentats a été renouvelé plusieurs fois, jusqu’à l’intégration définitive des mesures d’émergence dans la législation française. À quoi nous mènera cette nouvelle urgence?

Un virus est un phénomène biologique, mais le contexte où il naît, sa propagation et sa gestion sont des questions sociales. En Amazonie, en Afrique ou en Océanie, des populations entières ont été exterminées par les virus apportés par les colons, pendant que ces derniers imposaient leur domination et leur manière de vivre. Dans les forêts tropicales, les armées, les com-
merçants et les missionnaires poussèrent les gens – qui auparavant occupaient le territoire de manière dispersée – à se concentrer autour des écoles, dans des villages ou des villes. Cela facilita énormément la diffusion d’épidémies ravageuses. Aujourd’hui la moitié de la population mondiale habite en ville, autour des temples du Capital, et se nourrit des produits de l’agro-industrie et de l’élevage iintensif. Toute possibilité d’autonomie a été éradiquée par les États et l’économie de marché. Et tant que la méga-machine de la domination continuera de fonctionner, l’existence humaine sera toujours plus soumise à des désastres qui n’ont pas grand chose de “naturel”, et à une gestion de ceux-la qui nous privera de tode toute possibilité de déterminer notre vie.

À moins que… dans un scénario toujours plus sombre et inquiétant, les êtres humains décident de vivre comme des être libres  même si c’est juste pour quelques heures, quelques jours, ou quelques années avant la fin – plutôt que de s’enfermer dans un
trou de peur et de soumission. Comme l’ont fait les prisonniers de 30 prisons italiennes, face à l’interdiction de parloirs imposée à cause du Covid-19, en se révoltant contre leurs geôliers, dévastant et brûlant leurs cages et, dans certains cas, réussissant à s’évader.

MAINTENANT ET TOUJOURS EN LUTTE POUR LA LIBERTÉ !

Le pire des virus… l’autorité

Virus e prove di tecno-mondo

Virus e prove di tecnomondo

Gli accadimenti di quest’ultimo periodo sono una sintesi di ciò che probabilmente vedremo in un futuro non troppo lontano; in poche parole, il cambiamento di queste settimane mette in luce una ristrutturazione ben più profonda e duratura di un’espansione virale.
Tre elementi sono intrecciati l’uno con l’altro come l’ossatura di questa nuova società che ci troviamo sotto i piedi.

LA DE-GLOBALIZZAZIONE

Quando la notizia del virus è iniziata a circolare e la Cina ha iniziato a prendere i primi provvedimenti di chiusura, qualcosa di assolutamente nuovo si stava realizzando: una delle principali potenze produttrici, soprattutto uno dei luoghi che assicura a multinazionali di mezzo mondo di poter produrre, si è fermata. Questa situazione ci ha dato la possibilità di vedere nel vivo una tendenza in atto negli ultimi tempi, in cui i rapporti tra le economie capitaliste stanno cambiando.
Fino a poco tempo fa il sistema capitalista si basava su quel processo che è stato definito globalizzazione, poiché globale era il sistema di sfruttamento con la possibilità di produrre in ogni parte del mondo e dove convenisse di più. La globalizzazione portava però con sé un problema, ossia l’interdipendenza tra potenze: la produzione di un determinato paese, anche potente come ad esempio gli Stati Uniti, iniziava a dipendere da un altro paese, ad esempio la Cina; i suoi approvvigionamenti in termini di materiali per la creazione di beni, piuttosto che di materie prime, erano legati da un rapporto con un altro Stato. La fragilità di questo rapporto è emersa quando dietro il commercio di servizi e beni tecnologici si è vista la mano lunga del controllo su dati e informazioni nel proprio paese. Ecco allora che negli ultimi anni un paese come gli Stati Uniti, che hanno fatto dell’imperialismo la loro bandiera identitaria, preme affinché tutti gli stati chiudano le porte alla Huawei per la creazione della rete 5G e dall’altra investe miliardi di euro nella ricerca di fonti di approvvigionamento di materie prime nel proprio suolo, oppure impone dazi sulle merci provenienti da un paese come la Cina. In altre parole, una delle potenze maggiori da un punto di vista economico e politico inizia a de-globalizzarsi, a riportare lo sfruttamento in casa propria perché forse il tempo della globalizzazione è avviato verso il suo declino.
In un’intervista del 2018 pubblicata su Il Sole 24 ore, l’ex premio Nobel per l’Economia M. Spence diceva:”La de globalizzazione è rischiosa, ma il mondo va riconfigurato”. Secondo l’economista negli ultimi anni c’è un’inversione di marcia, necessaria poiché “eravamo su un sentiero che per la gente non funzionava”. In poche parole, per le persone era ormai evidente che la globalizzazione non aveva portato i benefici promessi e soprattutto una distribuzione omogenea di questi. Cosa può fare allora il
Sistema se non offrire una soluzione ai suoi stessi problemi? E questo, continua l’economista, è possibile perché nel frattempo “abbiamo imparato un sacco di cose”, in modo particolare l’intelligenza artificiale e la centralità della tecnologia come strumento di modificazione radicale.

AUTOMAZIONE DEL LAVORO E MANODOPERA RICATTABILE

All’interno, dunque, di questo nuovo modello di de-globalizzazione come si ristrutturerà lo sfruttamento interno necessario per mandare avanti il modello produttivo-industriale?
La creazione di un mercato di manodopera a basso costo e sopratutto ricattabile, come ad esempio i migranti, è una prima risposta. Le ultime politiche internazionali basate sulla chiusura delle frontiere e le politiche apparentemente di respingimento hanno un grande effetto: allargare il mare dei “clandestini”, dei senza documenti, in poche parole di persone ancora più ricattabili. Tutti gli Stati sanno che i flussi di persone, soprattutto quando queste fuggono da una via senza ritorno, non possono fermarsi; ma sanno benissimo che più si applicano politiche repressive e di chiusura, più quelle persone che riusciranno ad entrare saranno senza legge e ancor più ricattabili. Queste persone saranno il bacino di manodopera a costo zero o quasi.
La seconda risposta è l’automazione del lavoro: le grandi aziende, pensiamo ad Amazon, stanno da tempo investendo nell’automazione del lavoro; in parte la macchina sostituisce il lavoratore (ad esempio un drone può sostituire un corriere) e dall’altra la macchina controlla e comanda l’uomo (ad esempio con i braccialetti dotati di sensore per misure il battito cardiaco e capire se e quando il lavoratore sta facendo il suo dovere nei tempi giusti). Non è più l’uomo a dire alla macchina cosa fare, ma la macchina, sostenuta da calcoli algoritmici per la valutazione dell’efficacia e rilevatori di prestazione, a dire e controllare l’uomo in ciò che fa.
In altre parole, la produzione del mercato, in parte rientrata nei confini nazionali, sarà economicamente sostenibile sia grazie alla robotizzazione-automazione del lavoro che ridurrà i posti di lavoro (poiché avrà bisogno di meno uomini) e renderà la produzione più efficiente sia grazie al bacino di manodopera da ricattare(1)
.
Questa riduzione dei posti di lavoro e la robotizzazione del lavoro non potrà forse portare con sé qualche disagio sociale, qualche malessere pronto a esplodere?

IL CONTROLLO SOCIALE

Quando il Governo cinese ha disposto la chiusura di intere zone e la limitazione di movimento ha usato un interessante sistema: le persone avevano un sistema a semaforo, un codice basato sui colori il quale ha permesso agli agenti dislocati nelle stazioni ferroviarie e altri posti di controllo di stabilire chi poteva passare e chi no. Quelle informazioni sulle persone venivano ricavate in modo particolare da due applicazioni (Alipay e Wechat) che negli ultimi anni hanno quasi sostituito il contate in Cina. In altre parole, le applicazioni tecnologiche già in possesso dalla maggior parte dei cittadini cinesi (soprattutto nelle aree urbane) e allo stesso tempo i sensori di controllo ugualmente presenti sul territorio hanno rappresentato la struttura su cui il Governo ha potuto controllare i movimenti delle persone e costruire un vasto sistema di controllo. Il semplice possesso di un’applicazione, scaricata in tempi non sospetti di coronavirus e soprattutto liberamente accettata e scelta dai cittadini, è stato uno strumento efficace per mappare, monitorare e controllare un enorme massa di persone.
La creazione in luoghi più vicini a noi come la rete 5G, le smart cities, l’internet delle cose sono tutte basate sull’installazione di sensori su tutto il territorio, gli oggetti stessi dovranno comunicare tra loro e con noi, attraverso i dispositivi di cui a breve potremmo difficilmente fare a meno, come lo smartphone o tutte le altre cose “intelligenti”. E’ questo lo scheletro su cui ogni Stato potrà garantirsi un capillare controllo del territorio, nel caso in cui la ristrutturazione di cui abbiamo accennato prima creasse qualche piccolo problema di ordine pubblico.
Il banco di prova in cui al momento siamo immersi, però, ci fa vedere anche qualcosa di più rispetto a questo controllo. La possibilità di intervenire nella modalità repressiva più classica è da intendersi per gli Stati come un’ultima soluzione nel caso non bastassero gli strumenti applicati quotidianamente.
Se pensiamo a questi giorni quali sono state le soluzioni adottate nei diversi ambiti? Lavoro da casa tramite internet, didattica online nelle scuole, restrizione nelle proprie case con possibilità illimitata di comunicare purché via etere, colloqui skype per le carceri in rivolta, chiusura di tutti i luoghi di aggregazione. In altre parole tutti i luoghi dove, volenti o nolenti, vi sono delle relazioni sono stati chiusi. In questo “la tecnologia ha avuto un grande compito: eliminare l’incontro dalla società”(2). Quei
luoghi che spesso attraversiamo e che per lo più sono luoghi di sfruttamento e asservimento, come il nostro posto di lavoro, la scuola o il circolo dove ci rintaniamo a bere, sono nonostante tutto luoghi di incontro, di relazione, di scambio. Possiamo scoprire che anche il nostro vicino di bancone vive il mio stesso disprezzo per i padrone, che il mio compagno di banco può essere mio alleato, che l’amico al bar è incazzato quanto me. Insomma, quei luoghi di annichilimento, la storia ci ha insegnato, sono stati e sono anche luoghi di possibile ribellione perché ancora vi è la possibilità di socializzare. Ma se un domani ci verrà proposto di lavorare da casa al PC, o di studiare da casa su una piattaforma online..non vorremmo forse che quel domani fosse già oggi? In poche parole lo Stato avrà già fatto un grande passo in avanti nel controllo delle genti, poiché avrà disgregato piano piano i luoghi di incontro e con essi di
possibili rivolte.
Quando tutto questo in parte finirà, potrebbe delinearsi un possibile scenario:
– la retorica unitaria nazional-statalista: ci diranno e ci diremo che stiamo stati bravi, che abbiamo sconfitto il virus, ma che ora più che mai dobbiamo stare uniti perché il baratro della crisi è sotto i nostri piedi. La manovra finanziaria di questi ultimi giorni e soprattutto le prossime manovre che si muoveranno a livello europeo e internazionale saranno fondamentali per capire i possibili scenari.
Eppure in tutto questo, un pensiero va alla Grecia e al meccanismo con cui BCE e FMI hanno reso completamente dipendente uno Stato dall’economia di mercato. La Grecia, si disse allora, rappresentava un esperimento, quello con cui si doveva mostrare come poter piegare gli interessi ritenuti ancora statali ad entità economiche superiori. Tutto il patrimonio statuale greco venne messo all’asta, il modello economico e le decisioni politiche vennero di fatto assunte da chi aveva elargito i prestiti. A quel tempo qualcuno disse che i prossimi esperimenti sarebbero stati Italia e Spagna, poiché rappresentavano condizioni economiche e sociali simili tali da consentire uno stesso processo di smantellamento sociale. Quando tutto ciò avvenne, la questione era ben al centro dell’ordine del giorno: scioperi, manifestazioni, azioni dirette ecc mostrarono la risposta dei greci. Ora che invece gli schermi nostrani parlano solo di virus, ora che la retorica dell’unità nazional-statale fa da padrona, non c’è nessuna discussione in atto sulle misure economiche attuate e soprattutto sulle sue conseguenze.
Ecco perché, soprattutto quando tutto ciò si sarà in parte ridimensionato, il discorso dell’unità nazionale farà da padrone, a meno che non salti qualche pulce all’orecchio..
– la salvezza della tecnologia: l’impiego massiccio di supporti tecnologici, soprattutto in ambito lavorativo e scolastico, ha mostrato che il Sistema può fare a meno dei luoghi di aggregazione e di relazione. Se la retorica che passerà sarà quella che in parte siamo potuti andare avanti grazie alla tecnologia, avremo aperto le porte a quel processo di automazione e controllo sociale di cui abbiamo parlato prima (3)
.
Ciò che è in atto, forse, non è semplicemente il controllo sociale o l’applicazione di un regime poliziesco. E’ la visione più chiara che possiamo avere di una ristrutturazione in atto, che travolge in modo trasversale tutti i continenti. I momenti di crisi, si dice, sono sempre dei momenti da sfruttare perché ci mostrano le lesioni di quel muro che ogni giorno ci sembra quasi imperturbabile.
Capire ciò che accade ora, ci deve forse far ragionare su cosa accadrà domani e non farci trovare del tutto impreparati.

Fischer-A

1 A livello mondiale, il 74% delle installazioni di robot industriali si concentra in 5 Paesi: Cina, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e Germania.

2 Citazione da un interessante articolo pubblicato su I giorni e le notti.

3 Alcuni spunti interessanti su cambiamenti futuri del sistema si trovano nell’articolo Nazionalismo duepuntozero, Vetriolo

Cremona – Spaccate, notte di danni e razzie

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di laprovinciacr.it

Il titolare del Kandoo: «Siamo in autoisolamento, questi delinquenti se ne approfittano»

Negli ultimi giorni, per la strade di Cremona si è registrato un drammatico boom dei furti con spaccata sulle auto in sosta. Nella cornice di una città spopolata a causa dell’epidemia di Covid-19, le vetture parcheggiate negli stalli all’aperto diventano obiettivi particolarmente facili – specialmente nelle ore notturne – per i saccheggiatori, che possono muoversi pressoché indisturbati. Tra le vittime dell’ultimo blitz c’è anche il titolare del ristorante Kandoo di piazza Cadorna – per tutti Gianni -, che ha postato su Facebook la sua denuncia pubblica: «Cari amici e clienti, questa notte mi sono ritrovato la vettura danneggiata» ha scritto il noto ristoratore a commento di due fotografie che parlano da sole. «Visto che siamo in autoisolamento, questi delinquenti si approfittano del fatto che c’è poca gente in giro. Vi suggerisco di prestare più attenzione su tutto. È un momento molto difficile, ma spero che presto torni presto per tutti la normale quotidianità». Inoltre il ristoratore cinese ha annuncia che la scorsa settimana è stata rubata l’auto ad uno dei suoi amici. Solo un altro dei numerosi reati commessi in quest’ultimo periodo.

https://www.laprovinciacr.it/news/cronaca/242919/spaccate-notte-di-danni-e-razzie.html