Aggiornamento sulla situazione alla frontiera tra Italia e Francia

Ciao a tutt*. Veloce aggiornamento dalla frontiera. Negli ultimi giorni sono statee respinte alla paf alcune persone con documenti italiani; tra di loro, una persona con contratto e le altre che cercano di oltrepassare per cercare lavoro stagionale. Hanno tutt* avuto il foglio di “refus d’entrée” (rifiuto di entrare) in territorio francese.  La motivazione del respingimento è che non si è ancora scesi ad accordi per il flusso di lavoratori stagionali, e gli sbirri hanno aggiunto che forse sarà consentito il passaggio solo a persone qualificate.Ancora non si capisce il perché di questa selezione: un’altra compagna è passata in macchina senza problemi, mostrando giusto il foglio. Se questo passo diventa sempre più blindato univocamente, abbiamo notizie di come altra gente da spagna e inghilterra siano passate tranquillamente.
Ormai passare per la montagna diventa quasi più semplice dello spostarsi in macchina; da qualche giretto in montagna abbiam visto un controllo a tappeto delle auto in direzione bri, ovviamente non delle merci…. In direzione opposta invece molti meno controlli. In paese iniziano ad arrivare i primi turisti, che non hanno alcun problema a passare la frontiera, manco per venirsi a prendere le sigarette a claviere.
La chiusura razzista della frontiera sta diventando sempre più stringente, con aleatorie giustificazioni (aggravate da interdizioni giuridiche) che non si riescono a comprendere.
Voilà.
Paf la paf.

 

fonte: email

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero9)

18 Maggio 2020

La voce del padrone

Qualche settimana fa, il presidente di Confindustria Trento Fausto Manzana, nel presentare il «Report Sostenibilità», ha affermato la necessità di rilanciare l’economia garantendo il rispetto dell’ambiente: «Ma questa priorità – ha aggiunto – non può prescindere dal prendere atto che le grandi opere debbono essere realizzate, sia a livello nazionale, per connettere meglio il nostro Paese con il resto dell’Europa, che nella nostra Provincia». Facendo poi esplicito riferimento alla Valdastico (con lo sbocco a nord), alla terza corsia di Autobrennero, alle tangenziali di Trento e Rovereto, alle opere collegate al Tunnel del Brennero. Che il capo degli industriali, nel pretendere di realizzare Grandi opere dall’impatto disastroso sul territorio (e sui cambiamenti climatici), parli di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente è indicativo di come logica del profitto e asservimento del linguaggio procedano sempre di pari passo. Senso del limite, coinvolgimento delle popolazioni, cambiamento negli stili di vita, ripensamenti suscitati dalla quarantena e le altre storielle con cui gli opinionisti ci hanno intrattenuto sui giornali, in televisione o alla radio durante le scorse settimane di arresti domiciliari? Eccole riassunte da Manzana: «Sarà la ricerca a trovare soluzioni, sarà il mercato a trovare la strada».

Il lavoro dei servi

E la ricerca le risposte le trova, eccome se le trova. Con un piccolo dettaglio: mai interrogarsi sul senso delle domande. L’impatto dei gas serra ci sta portando al collasso ecologico. Fermiamo la corsa? Macché. Proviamo con la “Gestione della Radiazione Solare” (Srm), ossia con l’iniezione tramite aerosol di solfati nell’atmosfera per deflettere parte dei raggi solari nello spazio e contrastare così il surriscaldamento globale. Il surriscaldamento provoca l’acidificazione degli oceani, la quale a sua volta causa la distruzione della barriera corallina? Al Politecnico di Milano si è approntato un sistema per alcalinizzare artificialmente le acque, al fine di contenere gli effetti dell’emissione industriale di CO2.

Monitor

La guida TV che viene distribuita settimanalmente insieme al quotidiano «l’Adige» è un piccolo esempio di come si possa riprodurre l’ideologia dominante anche in un simile formato. Seguendo l’aria che tira, nelle ultime settimane «Monitor» ha dedicato qualche articoletto al 5G, alle auto a guida assistita e a quelle a guida autonoma. In entrambi i casi, si segnala negli occhielli che queste formidabili innovazioni contengono delle «criticità» e sollevano «molti interrogativi». Cose di cui negli articoli, ben prodighi degli elogi più servili, il lettore non trova traccia. Scoprirà così, leggendoli, che con il 5G potrà scaricarsi un film sullo smartphone in pochi minuti, ma non – neanche per sbaglio, nemmeno con la formula «i più maligni e prevenuti sostengono…» – che verrà sorvegliato ovunque né che avrà molte più probabilità di beccarsi il cancro. Della auto a guida autonoma apprenderà che gli permetteranno di «leggere, mangiare, guardare la tv, telefonare e – perché no – dormire». E i molti interrogativi? Richiedono città informatizzate disseminate di sensori, condizionano tragitti, soste, acquisti, polizze assicurative, ampliano la cattura delle nostre vite da parte di giganti come Google… No, eccoli «i molti interrogativi»: «occorre che le vetture dimostrino di essere sicure al 100% e su questo fronte la strada da compiere è ancora lunga».

«Non permettiamo al mondo senza contatto di instaurarsi»

Con questo titolo – il sottotitolo è Appello al boicottaggio dell’applicazione Stop-COVID19 – è uscito qualche settimana fa in Francia un testo sottoscritto da qualche decina di persone, associazioni e collettivi. Vale la pena di riportare alcuni degli inviti con cui tale appello si conclude:

«In questi giorni, sembra che molte persone lascino il proprio smartphone a casa quando si allontanano dal proprio domicilio. Invitiamo alla generalizzazione di questo genere di gesti e al boicottaggio delle applicazioni private o pubbliche di tracciamento elettronico. Più in generale, invitiamo ciascuno e ciascuna a riflettere seriamente sulla possibilità di abbandonare il proprio telefono intelligente, e di ridurre in modo massiccio il proprio uso delle tecnologie di punta. Torniamo finalmente alla realtà».

«Invitiamo le popolazioni a informarsi sulle conseguenze economiche, ecologiche e sanitarie del dispiegamento pianificato della rete chiamata “5G”, e ad opporvisi attivamente. In modo più ampio, invitiamo ciascuno e ciascuna a informarsi sulle antenne di telefonia mobile che esistono già, e ad opporsi all’installazione di nuove antenne-ripetitori».

«Un’altra battaglia essenziale per l’avvenire della società è il rifiuto della scuola digitale. Il periodo critico che stiamo vivendo è messo a profitto per normalizzare l’insegnamento a distanza tramite Internet, e soltanto una vigorosa reazione degli insegnanti e dei genitori potrà impedirlo. Malgrado tutte le critiche che si possono fare da diversi punti di vista all’istituzione scolastica, il periodo attuale dovrebbe illustrare agli occhi di molti che è sensato imparare stando insieme e che è prezioso per i bambini essere in contatto con degli insegnanti in carne ed ossa».

«… Alcuni di noi denunciano da anni l’informatizzazione del lavoro; è evidente che l’estensione del telelavoro obbligatorio è un processo da arginare con nuove forme di lotta, di boicottaggio, di diserzione».

Proprio adesso

«Proprio adesso che internet e smart working sono così importanti», si è lamentato il sindaco di Rovereto dopo che degli anonimi, nella notte fra il 14 e il 15 maggio, hanno sabotate cinque (o sei, non si capisce) cabine per l’interscambio delle telecomunicazioni. Sarebbero state forzate le casette in lamiera e tagliati i fili che portano la linea alla cabina e dalla cabina alle case. Il “blackout” avrebbe coinvolto duemila utenze, portando in città “un mezzo esercito di tecnici” per ripristinare il servizio, il che dovrebbe richiedere una settimana di lavoro. «Liberiamoci dalle gabbie tecnologiche», una delle scritte lasciate dagli anonimi sabotatori.

Ottanta anni fa, qualcuno…

Giaime Pintor, intellettuale antifascista morto a ventiquattro anni dilaniato da una mina tedesca, scriveva negli anni Quaranta: «Oggi in nessuna nazione civile il distacco tra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi dichiarare lo stato di emergenza». Oggi che la morsa – tra la produzione industriale di disastri ecologico-sanitari e le soluzioni tecnologiche che ne aggravano gli effetti – ci sta stritolando, tocca a noi rendere effettivo lo stato di emergenza.

Versione pdf: Cronache9

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero9)

Ribellula n. 3 – Oroscopo e Aguzza la Vista

 

Spagna – Sciopero della fame e della sete del prigioniero politico basco Patxi Ruiz

Da alcuni giorni un prigioniero politico basco sta combattendo una durissima battaglia per la vita, contro la repressione carceraria e per alcuni diritti minimi nel contesto di una crisi sanitaria globale che colpisce duramente le carceri. Si tratta di Patxi Ruiz, imprigionato nel carcere di Murcia II, perseguitato fino allo sfinimento dal direttore di quel carcere e dalle guardie penitenziarie. Patxi Ruiz si è procurato lesioni per protestare contro una catena di aggressioni sistematiche, è stato portato d’urgenza in infermeria, lì ha subito insulti da parte del medico e dell’infermiera della prigione che non lo hanno assistito adeguatamente, cosicchè quando è tornato in cella ha deciso di iniziare uno sciopero della fame e della sete a tempo indeterminato, la risposta più estrema che un prigioniero politico o sociale possa fare. In questo sciopero, il prigioniero mette in gioco la sua vita. Quali sono le sue richieste: a) la libertà dei detenuti malati e di coloro che hanno quasi scontato la pena, b) che si possano effettuare visite, c) di ricevere materiale per non essere infettati dal virus (maschere, guanti, ecc.), c) di far eseguire il test su detenuti e carcerati, d) in caso di morte di un parente, di avere la possibilità di partecipare al funerale, cosa che allo stesso Ruiz era stata negata in una precedente occasione in cui era morto suo padre. A causa della sua misura estrema, Ruiz ha smesso di urinare per sei giorni e soffre di forti dolori ai reni. Ci si potrebbe chiedere, quindi, fino a che punto arriva la sofferenza in prigione perchè un uomo giovane compia una tale scelta? Le carceri spagnole sono, come tante altre, luoghi di distruzione e annientamento della persona, per questo l’unica e drammatica protesta deve essere quella di ribellarsi e continuare a combattere in qualsiasi modo.
In solidarietà con Patxi Ruiz e le sue richieste, un altro prigioniero politico basco, Mikel San Sebastián, ha appena iniziato uno sciopero simile, e altri si sono chiusi nelle celle a tempo indeterminato e rifiutano il cibo. In diversi paesi alcuni compagni hanno iniziato uno sciopero della fame e ci sono mobilitazioni di protesta in diverse città. I genitori che, attraversando tutta la Spagna, sono andati a Murcia da Euskadi per accertarsi delle sue condizioni, all’uscita dal carcere sono stati fermati e multati dalla Guardia Civil per non avere rispettato le regole del confinamento.

La vita di Patxi è appesa un filo, potrebbe morire da un momento all’altro.
Lottiamo per porre fine alla violazione dei diritti nelle carceri, che i duecento prigionieri politici baschi possano tornare a casa.

https://ilrovescio.info/2020/05/18/spagna-sciopero-della-fame-della-sete-del-prigioniero-politico-basco-patxi-ruiz/

Spagna: Sciopero della fame e della sete del prigioniero politico basco Patxi Ruiz

Riceviamo e diffondiamo questa notizia e invitiamo a farla girare:

Da alcuni giorni un prigioniero politico basco sta combattendo una durissima battaglia per la vita, contro la repressione carceraria e per alcuni diritti minimi nel contesto di una crisi sanitaria globale che colpisce duramente le carceri. Si tratta di Patxi Ruiz, imprigionato nel carcere di Murcia II, perseguitato fino allo sfinimento dal direttore di quel carcere e dalle guardie penitenziarie. Patxi Ruiz si è procurato lesioni per protestare contro una catena di aggressioni sistematiche, è stato portato d’urgenza in infermeria, lì ha subito insulti da parte del medico e dell’infermiera della prigione che non lo hanno assistito adeguatamente, cosicchè quando è tornato in cella ha deciso di iniziare uno sciopero della fame e della sete a tempo indeterminato, la risposta più estrema che un prigioniero politico o sociale possa fare. In questo sciopero, il prigioniero mette in gioco la sua vita. Quali sono le sue richieste: a) la libertà dei detenuti malati e di coloro che hanno quasi scontato la pena, b) che si possano effettuare visite, c) di ricevere materiale per non essere infettati dal virus (maschere, guanti, ecc.), c) di far eseguire il test su detenuti e carcerati, d) in caso di morte di un parente, di avere la possibilità di partecipare al funerale, cosa che allo stesso Ruiz era stata negata in una precedente occasione in cui era morto suo padre. A causa della sua misura estrema, Ruiz ha smesso di urinare per sei giorni e soffre di forti dolori ai reni. Ci si potrebbe chiedere, quindi, fino a che punto arriva la sofferenza in prigione perchè un uomo giovane compia una tale scelta? Le carceri spagnole sono, come tante altre, luoghi di distruzione e annientamento della persona, per questo l’unica e drammatica protesta deve essere quella di ribellarsi e continuare a combattere in qualsiasi modo.
In solidarietà con Patxi Ruiz e le sue richieste, un altro prigioniero politico basco, Mikel San Sebastián, ha appena iniziato uno sciopero simile, e altri si sono chiusi nelle celle a tempo indeterminato e rifiutano il cibo. In diversi paesi alcuni compagni hanno iniziato uno sciopero della fame e ci sono mobilitazioni di protesta in diverse città. I genitori che, attraversando tutta la Spagna, sono andati a Murcia da Euskadi per accertarsi delle sue condizioni, all’uscita dal carcere sono stati fermati e multati dalla Guardia Civil per non avere rispettato le regole del confinamento.

La vita di Patxi è appesa un filo, potrebbe morire da un momento all’altro.
Lottiamo per porre fine alla violazione dei diritti nelle carceri, che i duecento prigionieri politici baschi possano tornare a casa.

Due fogli sullo “Stato di emergenza”: “La Zattera” e “Scirocco”

Perché La Zattera?

Comunicare in questi giorni infiniti di emergenza Coronavirus è difficile, quasi impossibile. Però proprio in questo momento c’è bisogno di discutere, di ragionare con lucidità, di trovare modi per uscire assieme da questa situazione, in cui il primo contagio a dilagare è quello della paura e dell’egoismo.

Troppe persone si stanno chiudendo prima ancora che nelle mura di casa nella convinzione che chiunque ne sia al di fuori rappresenti una minaccia e non meriti alcuna solidarietà.

Intanto la logica dell’emergenza che tutto giustifica e tutto consente ha portato a un’innegabile svolta autoritaria, a uno stato d’eccezione e a uno Stato di polizia in cui tutto sembra possibile: dal tracciamento dei dati informatici all’impiego dei droni per sorvegliarci, dallo schieramento dei militari alle denunce di massa. “Questa limitazione della libertà è necessaria per la salute di tutti”, dicono.

Ma ancora adesso la maggior parte delle attività produttive viene tenuta aperta nonostante sia chiaro che proprio i luoghi di lavoro sono i potenziali focolai del contagio.

Ci hanno dovuto pensare i lavoratori a tutelare la propria salute con scioperi, osteggiati dal governo, da Confindustria e pure dai sindacati confederali.

Dai piani alti dicono “siamo tutti sulla stessa barca”.

Conviene allora chiederci quale sia stata la rotta che ci ha portato in questa situazione, come le evidenti responsabilità di un’intera classe politica nello smantellamento della sanità pubblica.

E conviene ricordarci che come nei peggiori film al cinema quando la nave affonda a salire sulle scialuppe di salvataggio sono solamente quelli che hanno pagato il biglietto di prima classe.

Solo attraverso una zattera di pensiero critico potremmo restare a galla, affrontare la tempesta e andare verso migliori approdi.

Qui per scaricare i numeri:

https://lazattera.tracciabi.li/

Editoriale del primo numero di “Scirocco”

È passato più di un mese da quando è stato approvato il decreto “io resto a casa”, un periodo abbastanza lungo per trarre un bilancio. Non ci stiamo riferendo qui alla triste conta dei morti, degli infetti e dei guariti che i telegiornali quotidianamente ci propinano con effetto terrorizzante. Quello che ci auguriamo è il ri-sorgere di uno sguardo autonomo sulle vicende eccezionali che stiamo vivendo: è la presa di parola dal basso. Un processo che non è iniziato con l’emergenza, ma che ha subìto un’accelerazione con essa, è la definitiva soppressione della voce di tutto ciò che è considerato marginale, come il nostro territorio e le persone che lo abitano. A trionfare è la voce arrogante di chi comanda, sempre pronto a fomentare odio e guerra tra poveri, mai a riconoscere le proprie responsabilità.
Cominciamo quindi a rompere il silenzio, e a porci qualche domanda.
Come mai tutti i territori (compreso il nostro) hanno subìto lo stesso livello di repressione, controllo e confinamento a casa, a prescindere dai livelli di contagio registrati?
Quanto potrà reggere la situazione economica di chi “lavora a nero” e quindi non può uscire di casa per comprovate esigenze lavorative?

Quanto ci fa ammalare l’essere costretti a rimanere a casa, uscire solo per fare la spesa, non vedere gli amici?

Quali saranno le conseguenze, sul piano della solidarietà, di questo clima forcaiolo in cui tutti siamo chiamati a denunciare il passante o il vicino?

Rispondere ad alcune di queste domande è semplice. Il livello di sofferenza psicologica di molte persone è al limite del sopportabile. Così pure sul piano economico: molte persone si trovano senza reddito e nella difficoltà di pagare affitto, bollette ecc.

Un’altra domanda che ci si potrebbe fare è questa: quanto durerà l’elemosina di Stato per farci mangiare? A cos’altro siamo disposti a rinunciare?

Le questioni in ballo in questo momento sono tante, su tutte è quella della sopravvivenza a pesare di più. Continueremo a delegare tutte le decisioni a chi non ha pensato ad altro che a peggiorare le condizioni del lavoro, a costruire discariche e inceneritori? A chi oggi, senza vergogna, si spaccia per salvatore della salute pubblica?Oppure sceglieremo di auto-organizzarci per fare fronte in maniera solidale alle sfide che questo futuro incerto ci riserva? Questo giornalino vuole essere un piccolo contributo in questo senso.

Al suo interno troverete tanto interventi critici sulla società quanto consigli, prospettive e visioni dalla e della vita per cui vogliamo lottare. L’emergenza ci mette di fronte ad una scelta. Il potere ci dice che “nulla sarà come prima” che si traduce, per chi sta peggio, nella necessità di sgobbare ancora di più per tirare a campare. Perché allora non pensare insieme ad un modo di uscire dal mondo delle emergenze e dei divieti, della fame e dell’isolamento? Perché non tornare a pensare che la vita vada vissuta e non temuta?

Qui per scaricare i numeri:

https://sciroccomadonie.noblogs.org/

 

Tanto rumore per nulla di nuovo: il differimento pena per motivi di salute era già previsto

A proposito delle 376 persone detenute che hanno usufruito di una misura alternativa al carcere, partirei con una precisazione. Già prima dell’emergenza Covid era previsto il differimento pena, in base al quale la pena poteva essere sospesa per gravi motivi di salute e il detenuto mandato a casa o in una struttura sanitaria dove avrebbe potuto usufruire delle cure adeguate. Il magistrato di sorveglianza nel frattempo avrebbe effettuato delle verifiche e quando la persona malata fosse stata bene avrebbe predisposto il ritorno in carcere.

L’ostativitá

Il decreto che prevede misure alternative a fronte dell’emergenza sanitaria (ovvero i domiciliari con braccialetto elettronico per le persone con pena residua dai 6 ai 18 mesi, i domiciliari senza braccialetto per chi ha pena residua sotto i 6 mesi) esclude categoricamente le persone detenute per reati ostativi. Ci si riferisce al famoso articolo 4 bis che sicuramente riguarda le persone detenute in circuiti di Alta Sicurezza e nel regime di 41bis. Chi sono quindi le 376 persone detenute in regimi differenziati che hanno usufruito di questa sorta di differimento pena? Intanto solo 3 sono sottoposte al regime 41bis. Una è una persona di 78 anni con 23 anni di condanna, il cui fine pena è previsto per Dicembre 2020. Di questi 23 anni di condanna, li ha quasi tutti scontati in regime 41bis, quindi in isolamento totale. Questa persona soffre di serissime patologie cardiologiche e respiratorie. L’altra persona è un detenuto di 60 anni del carcere di Sassari cui sono stati dati 5 mesi di domiciliari. Il suo fine pena é previsto per il 2023, si è costituito spontaneamente nel 2007 e nel 2015 gli è stata revocata la sorveglianza speciale, venendo quindi a cadere la pericolosità sociale. Per questo detenuto era stato già richiesto dal magistrato di sorveglianza il trasferimento da Sassari verso un’altra regione perché in tutta la Sardegna non esistono centri clinici penitenziari e questa persona aveva assoluta necessità di cure oncologiche. Consideriamo che le strutture sanitarie penitenziarie in Italia sono pochissime: in totale tre, ovvero il San paolo a Milano, Belcolle a Viterbo, il Pertini a Roma. Il Dap non ha mai risposto alla richiesta di trasferimento del magistrato di sorveglianza ed è previsto che in caso di silenzio il magistrato possa provvedere con un’ordinanza, cosa che appunto ha ritenuto di fare. Peraltro già nel 2017 il garante nazionale dei detenuti aveva invitato il Dap a provvedere alla mancanza di strutture sanitarie penitenziarie in Sardegna.Gli altri 373 detenutistavano in sezioni di AS ed evidentemente avevano finito di pagare per il reato ostativo, visto che il decreto esclude esplicitamente chi deve scontare un reato di questo tipo. E, per inciso, non è difficile incappare nell’ostativitá visto che, ad esempio, lo sono reati come rapina e traffico di stupefacenti. Evidentemente se queste persone sono state mandate ai domiciliari l’ostativitá si era estinta con l’espiazione della pena per il reato considerato ostativo. Uno può avere una condanna di 15 anni di cui 4 ostativi e il resto no, e spesso avviene che comunque si viene lasciati in AS.Nessuno ha parlato delle tantissime richieste fatte e respinte, ad esempio quella di un boss mafioso accusato, è vero, di un reato orribile, ma pur sempre una persona di 87 anni detenuta in 41bis. Se non è vendetta questa, che cosa è? Questa persona è evidentemente un capro espiatorio e deve morire in carcere. Il 41bis è servito a rafforzare le misure al resto del carcere, basti pensare ai processi in videoconferenza che sono stati man mano estesi ad altri detenuti.

Come eludere una sentenza ce lo insegna proprio il Ministro della
Giustizia!

La risposta di Bonafede al polverone mediatico sui mafiosi scarcerati è arrivata con un decreto in cui ha previsto il parere obbligatorio della DDA al magistrato di sorveglianza (prima era già prevista un’informativa). Questo farà sì che i magistrati saranno ancora più reticenti a concedere misure alternative. Non solo, la Corte Costituzionale aveva assunto la decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo sulla illegittimità dell’ergastolo ostativo, che legava l’accesso ai benefici alla collaborazione con gli inquirenti (art 58ter). Ed ecco il gioco democratico delle parti: se il parere della DDA è negativo la persona continuerà a restare in carcere nonostante l’ergastolo ostativo sia stato dichiarato illegittimo. Con questo trucchetto le cose non si muoveranno e l’ergastolo ostativo rientra dalla finestra proprio in periodo di emergenza sanitaria.Bonafede, integerrimo ministro giustizialista accusato di strizzare l’occhio alla mafia, ha così cercato di ributtare dentro tutte le persone che hanno usufruito delle misure alternative prevedendo una verifica obbligatoria daparte del magistrato. Verifica da farsi ogni 15 giorni col parere della DDA e sentita la Regione sullo stato del contagio e il Dap su eventuali posti liberi in strutture sanitarie. Ma queste persone non sono uscite per l’emergenza sanitaria, ma per il loro stato di salute incompatibile con la sanità in carcere!

Dove la politica tace, i magistrati si paralizzano e arrivano i procuratori

I magistrati non sono conosciuti per essere di manica larga e la politica ha fatto con loro un gioco sporco delegando loro tutte le decisioni, poi quando hanno deciso in un modo che alla politica non andava bene sono piovute accuse e rimbrotti. La decisione doveva avvenire a livello governativo e si dovevano prendere decisioni chiare, dare indicazioni precise. Se, ad esempio, avessero aumentato i giorni di liberazione anticipata a 75 giorni e, ancora prima, se li avessero dati questi giorni visto che ci sono liberazioni anticipate da anni in attesa di risposte… sarebbe stato meglio.

Invece cosa è uscito dai geni del Dap il 21 marzo? Una circolare con un elenco di una decina di patologie serie in cui si invitano le direzioni delle carceri a segnalare le persone con quelle patologie al magistrato di sorveglianza che avrebbe dovuto decidere. Non è una questione legata al Covid, ma al pericolo che questi malati avrebbero corso in carcere. Questa circolare era del tutto insufficiente e lo segnalava il 6 maggio anche il presidente dell’associazione medici penitenziari che ha scritto un documento in cui dichiara che il carcere è patogeno, sottolinea l’insalubrità delle condizioni già normali a causa del sovraffollamento e l’assenza di strutture sanitarie adeguate. Inoltre aggiunge molte altre malattie a quelle indicate nella circolare e conclude scrivendo che “La circolare inviata dal DAP in data 21 Marzo 2020 non corrisponde concretamente alle reali esigenze e risulta poco esplicativa. Vengono tralasciati importanti quadri patologici che invece individuano in termini assoluti la valutazione di incompatibilità con lo stato di carcerazione”. A riprova che il Dap non adotta mai misure a favore dei detenuti e quando ogni tanto i magistrati di sorveglianza sono pro reo saltano teste, si solleva un polverone, cascano poltrone, ecco che arrivano a capo del Dipartimento due procuratori. Quindi il detenuto si ritrova dentro a seguito di un’indagine di un procuratore e poi a seguire l’esecuzione della sua pena c’è sempre una persona formata per buttare in carcere e certo non per far uscire. Il documento del medico è molto condivisibile, peccato che è scritto da uno che non fa più quel lavoro e quindi si espone poco. Mentre svolgono il loro lavoro la verità non la dicono mai.

La sanità penitenziaria dal carcere alle Asl. Tutto cambia perché nulla
cambi

Quando il medico scrivente questa denuncia era presidente dell’associazione dei medici penitenziari si era prima del 2008, anno in cui la sanità penitenziaria è passata dal Ministero di Giustizia (all’epoca Grazia e Giustizia) alle Asl. Noi all’epoca da detenute sostenevamo questo passaggio perché pensavamo che rispetto ad un medico dipendente dalle tasche dal Ministero della Giustizia e quindi formato non certo a tutela delle persone detenute fosse meglio avere a che fare con personale medico “civile” più autonomo. Purtroppo le aspettative sono presto crollate perché ovviamente incide molto l’istituzione per cui lavori. Per cui se il carcere fa pressioni perché sei troppo attento alla salute dei detenuti, se sei immerso in un ambiente di lavoro in cui senti dire le cose peggiori sul conto dei detenuti, non puoi che esserne influenzato anche come medico. Ed ecco, ad esempio, cosa c’è dietro le morti “improvvise” in carcere. Quando un detenuto sta male e chiama la guardia, la guardia arriva e cerca di capire se lo sta fregando, poi va a chiamare l’infermiere che a sua volta cerca di capire se lo sta fregando… Se poi superi questo test di verità finalmente chiamano il medico, sempre se nel frattempo non é successo il peggio. E
immaginiamoci quanto possono dilatarsi i tempi se il malore avviene di notte… Prima del 2008 la tachipirina era la panacea per ogni male del detenuto e ha continuato ad esserlo anche dopo. Così in caso di pestaggio di un detenuto sia prima che dopo il 2008 mancano referti del personale sanitario sulle cause dei lividi e delle ossa rotte, nei casi migliori. Il direttore sanitario del carcere è presente anche durante i consigli di disciplina e spetta a lui dichiarare l’idoneità all’isolamento. Vi ricordate il trasferimento dal carcere di Modena a Bologna e San Gimignano di alcuni detenuti dopo un primo tampone negativo per poi scoprire col secondo che erano positivi e che quindi avevano portato il virus nel nuovo carcere? Possibile che il direttore sanitario non abbia potuto fermarli fino al secondo tampone? Possibile che noi fuori non ci possiamo spostare neanche all’interno del Comune senza un valido motivo e loro spostano da regione a regione in modo così superficiale?Il 17 marzo la Direzione salute e integrazione socio sanitaria della regione Lazio ha diffuso alcune raccomandazioni per prevenire il contagio. Chi ha vissuto la galera sa bene che sono tutte prescrizioni impossibili da attuare in carcere, dove ad esempio non esistono posti in cui poter essere isolato con bagno privato. Bisognerebbe avere una mascherina, non quell’assorbente che hanno dato alle persone detenute. Per nonparlare dei rapporti con le guardie e con il personale che entra ed esce… Un distanziamento sociale all’interno delle carceri non è possibile realizzarlo e mi domando come fa il personale sanitario a ignorarlo. Le guardie, che lo sanno bene, più volte hanno sobillato i detenuti incitandoli a farsi sentire per poi mazzolarli, perché non hanno neanche il coraggio di fare delle proteste serie per rivendicare il loro diritto alla salute e mandano avanti i detenuti, quando questi già non si incazzano da soli.Proprio ieri è morto un altro detenuto a Bologna per Covid19. A riprova che la curva dei contagi che fuori scende, dentro non sembra affatto scendere. In una lettera (perché noi crediamo alle persone detenute che scrivono più che ai freddi numeri di Garante e compagnia bella) un detenuto nel carcere di Bologna parla di 4 intere sezioni in quarantena. Ci sono 52 persone in ogni sezione… Perché il personale sanitario non si assume l’onere (e direi anche l’onore, se seguissero l’etica) di riferire loro i numeri delle persone che stanno male? Mi è venuto anche un dubbio. Come sappiamo, gli studi e le conclusioni sul Covid sono spesso contraddittorie. C’è chi dice che è molto letale, c’è chi dice che lo è solo per chi ha serie patologie pregresse o età avanzata… Fermo restando il rispetto dell’enorme preventive, non è che il personale sanitario in carcere magari pensa che questo Covid non sia poi così letale, per cui non ritengono importante doversi spendere per la salute dei detenuti? Magari pensano che tutto sommato non succederà niente. Non credo, penso che la realtà sia ben altra, la realtà è quella che i detenuti hanno provato a raccontare con le loro proteste che sono state sedate con il sangue (e nessuna poltrona è saltata per questo) e con le loro agghiaccianti testimonianze. Penso che ci sono dei momenti nella vita in cui di fronte a gravissime ed evidenti ingiustizie se si resta innocenti guardando dall’altra parte, si commette un delitto gravissimo. Spero che ogni singolo individuo riprenda una propria etica e dignità e faccia quello che è giusto per tutti non pensando solo al proprio portafoglio.

 

https://ilrovescio.info/2020/05/18/tanto-rumore-per-nulla-di-nuovo-il-differimento-pena-per-motivi-di-salute-era-gia-previsto/

Ritorno alla normalità: altri anarchici arrestati

Questa notte, sette compagni e compagne sono stati arrestati e altri cinque sottoposti all’obbligo di dimora a Bologna. L’ennesima inchiesta per “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. Da quello che si capisce, a questi compagni si contesta di aver preso parte alla lotta contro i lager della democrazia (i CPR), di aver sostenuto le rivolte scoppiate in molte carceri italiane nel mese di marzo e – a qualcuno di loro – di aver incendiato nel 2018 un ripetitore televisivo in solidarietà con i prigionieri. Alla radio hanno parlato di “presunti anarchici” che stavano conducendo una “campagna anti-Stato”. In genere, nelle veline di Questura si dice anarchici e “presunti terroristi” – ora si lascia ad intendere che l’accusa sia proprio quella di essere anarchici. D’altronde, non c’è bisogno di alcuna inchiesta del ROS per stabilire che qualsiasi gruppo di anarchici porta avanti delle pratiche anti-Stato. Dopo aver messo agli arresti domiciliari milioni di persone, ora, tornata la normalità (per chi?), torna veloce anche la repressione selettiva contro i rompiscatole. Contro coloro che, persino nel periodo della quarantena, non hanno voluto lasciar soli i ribelli nelle carceri. In meno di due mesi – e mentre nelle galere si diffonde l’epidemia nel silenzio più totale – lo Stato presenta il conto a chi ha sfidato i suoi divieti. Come monito per la Fase 2, 3, 4… D’altronde, sulla natura preventiva di questa operazione la Procura di Bologna non poteva essere più esplicita: «In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica». Ma lasciamo magistrati, carabinieri e giornalisti, perché ben altro abbiamo voglia di dire.

Questi compagni e queste compagne li conosciamo bene. Sono compagni seri, leali, generosi. Li abbiamo sempre avuti a fianco nelle lotte e ci sono stati particolarmente vicini quando anche qui in Trentino lo Stato ci ha strappato sette amici e compagni con l’operazione “Renata”.

Non essendo dei politici né dei lestofanti, non abbiamo alcun imbarazzo quando arrestano alcuni dei nostri. Non solo perché li amiamo e li stimiamo, ma perché le azioni di cui sono accusati sono per noi giuste. Impedire l’apertura o il funzionamento dei CPR è giusto. Solidarizzare con chi si rivolta nelle galere è giusto (l’unico rimprovero, semmai, è quello di non averlo fatto abbastanza). Sabotare i mezzi del condizionamento sociale è giusto – e forse ora, dopo aver sperimentato fin dove lo Stato e i tecnocrati si possono spingere nella sorveglianza di massa, un po’ di persone in più possono capire il senso di certe azioni.

Per quanto ci riguarda, questi arresti sono un motivo in più per dichiarare guerra alla normalità, alla miseria e alle ingiustizie che permette e nasconde. I rapporti più belli che abbiamo sono la nostra arma migliore.

Elena, Guido, Zipeppe, Nicole, Duccio, Stefi, Leo, Martino, Emma, Tommi, Otta, Angelo liberi!

13 maggio 2020

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

Transfer of Gabriel Pombo Da Silva Portugal – Spain

Our comrade was handed over to the Spanish State this morning (May 13th, 2020) and is currently in the prison in Badajoz (Extremadura region). He is well and strong as ever. Surely he will have to stay 14 days in compulsory quarantine and then, we think, be transferred to another prison. So more information will follow.

Although there is no guarantee that the post office will work regularly, it is obvious that a virus will not be responsible for the fact that he may not receive letters from his loved ones and comrades in solidarity. It would be better to send registered letters (also considering some recent problems in the prison of the Oporto Judicial Police where only by documenting the registered mail Gabriel was able to receive the correspondence).

This is the current address:

Gabriel Pombo Da Silva
Carretera de Olivenza, km 7.3
06001 Badajoz — España

Freedom for Gabriel!
Freedom for everyone!
Long live anarchy!

We also report the bank account opened in support of the comrade:

Accountholder: Elisa Di Bernardo
Bank: Bankinter
Iban: ES06-0128-0180-3601-0009-8696
Bic/Swift code: BKBKESMMXXX

Below is a link where you can listen to a recording of the comrade Elisa about Gabriel’s situation: https://www.ivoox.com/monografico-pombo-da-silva-n-xxiv-segunda-epoca-audios-mp3_rf_50693190_1.html