(Non) Ci sono paragoni?

«Tra l’11 giugno 1940 e il 1 maggio 1945, durante la seconda guerra mondiale, a Milano persero la vita sotto i bombardamenti 2 mila civili, in 5 anni; per il coronavirus, in due mesi, in Lombardia ci hanno lasciato 11.851 civili, 5 volte di più… Un riferimento numerico clamoroso»

Domenico Arcuri, 18 aprile 2020

In effetti, ha proprio ragione. Il riferimento numerico avanzato ieri mattina dal commissario all’emergenza è davvero clamoroso. Pure noi ne siamo rimasti impressionati. Va da sé che lo scopo del funzionario, come dei vari mass-media che ne hanno ripreso ed amplificato le parole, è solo quello di aggiungere paglia sul fuoco della retorica bellica con cui il governo intende raggiungere un’unità nazionale altrimenti impensabile. Ma questo confronto fra i bombardamenti del passato e la pandemia del presente è interessante da molti punti di vista, oseremmo quasi dire rivelatore. Ecco perché vale la pena soffermarvisi un attimo. Ma solo un attimo, sia chiaro. Sul bordo del baratro, troppe vertigini potrebbero fare male.
Già incaponirsi a descrivere un’emergenza sanitaria come se fosse un conflitto militare è imbarazzante. Essendo stato detto e ripetuto fino allo sfinimento che questo virus non è un’arma biologica e non è stato creato in qualche laboratorio segreto, si può escludere che a seminare morte negli ospedali e nelle case di riposo lombarde sia stata l’improvvisa aggressione di un esercito straniero. L’inevitabile destino è stato semmai accelerato dal prolungato predominio dell’economia su ogni aspetto dell’esistenza umana. Migliaia di anziani e malati sono morti perché oramai il profitto è diventato al tempo stesso la ragione sociale delle imprese, la ragione politica degli Stati e la ragione di vita degli esseri umani, al cospetto del quale tutto è deperibile, dalle misure di sicurezza agli affetti familiari. Ma poiché il rimedio pratico a questa ovvietà non si limiterebbe a sospendere il tran-tran quotidiano per un periodo, bensì a porvi fine per sempre, il solo modo per ripristinare la normalità è quello di attribuire alla natura invisibile responsabilità di uno Sviluppo portato avanti da precise persone che rivestono un ruolo sociale specifico ed hanno nome, cognome e indirizzo.
È stupefacente come chi è preso dal clamore di questo riferimento storico-numerico non si renda conto che paragonare i bacilli di un virus ai piloti alleati non è esattamente una brillante trovata. Né lo è paragonarne le vittime. I bombardamenti che colpirono Milano tra il 1940 e il 1945 furono realizzati dalle forze inglesi ed americane allo scopo di colpire il governo fascista, all’epoca alleato col nazismo. L’intento era spingere la popolazione alla rivolta contro Mussolini. A quale mente bacata può venire in mente di paragonare quella guerra con questa pandemia? All’epoca sotto le macerie di una città morirono migliaia di uomini, donne e bambini, dilaniati dalle bombe. Si possono paragonare con le vittime oggi conteggiate in un’intera regione solo per via del risultato, per altro dall’esito sempre incerto, di un tampone? I 200 bambini sicuramente vittime del bombardamento che nell’ottobre del 1944 fu effettuato per tentare di distruggere la fabbrica Breda, possono mai essere paragonati ai 160 anziani morti in parte per un virus al Pio albergo Trivulzio?
Il riferimento numerico del commissario all’emergenza non è perciò solo clamoroso, è soprattutto aberrante. Ma c’è un particolare che lo rende quasi comico. Infatti, se quella contro il virus è una guerra perché in Lombardia in due mesi si dice abbia prodotto cinque volte le vittime dei bombardamenti di Milano durante la seconda guerra mondiale, allora in Germania cosa dovrebbero dire? Che si stanno proteggendo contro le zanzare? In fondo cosa sono per quella nazione le oltre 4.000 vittime odierne attribuite al virus, paragonate alle centinaia di migliaia di esseri umani periti in quegli anni fra le macerie di Amburgo, Dresda, Berlino…?
Inoltre, c’è da rimarcare che un’ottantina di anni fa il morale della popolazione civile italiana è stato oggetto di continue discussioni tra i vertici politici e militari inglesi, i quali erano certi che l’Italia sarebbe stato l’unico paese in Europa a crollare rapidamente sotto i bombardamenti. Nell’agosto 1940 Anthony Eden, segretario di Stato per la guerra, scrisse a Churchill: «È mia convinzione che sia di importanza primaria sviluppare la nostra offensiva contro gli italiani nel Mediterraneo via terra, mare e aria. L’Italia è il partner debole [dell’Asse], e abbiamo più possibilità di buttarla fuori dalla guerra bombardandola rispetto a quante ne abbiamo con la Germania». Quattro mesi dopo, una riunione al ministero della Guerra concluse che l’Italia non aveva bisogno di bombardamenti particolarmente violenti, poiché il temperamento emotivo degli italiani era talmente debole da piegarsi anche ad attacchi minori; la «psicologia degli italiani» era considerata «non adatta alla guerra». La paura provocata in tutto il Belpaese dal bombardamento su Genova avvenuto il 9 febbraio 1941 sembrò confermare la considerazione del governo inglese sul coraggio italiota, avendo osservato una fonte d’intelligence: «per quanto il reale impatto del bombardamento sia stato limitato, i suoi effetti morali e psicologici sono enormi». Dopo i bombardamenti avvenuti alla fine del 1941 su alcune città del nord Italia, fra cui Milano, il capo dell’aeronautica inglese Arthur Harris notò che, sebbene fossero stati più leggeri rispetto a quelli che colpirono la Germania, «l’effetto sul morale italiano fu enorme e completamente sproporzionato».
Come dire che durante la seconda guerra mondiale gli italiani erano considerati non solo dei cialtroni che avevano dato il potere a un buffone come Mussolini, ma pure dei codardi che andavano in panico per un nonnulla. Talmente abulici da non essere in grado né di rovesciare il proprio regime che li opprimeva da vent’anni, né di prendersela con chi ora li stava bombardando («Uno degli aspetti più sorprendenti rispetto allo stato dei sentimenti in Italia è la relativa assenza di ostilità nei confronti dei britannici e degli americani. Questo atteggiamento non sembra esser stato seriamente intaccato dai recenti pesanti attacchi aerei sulle città italiane», scriveva nel 1943 Eden, divenuto ministro degli esteri).
Insomma, verrebbe pure da ridere a considerare gli odierni virologi alla stregua dei vecchi gerarchi in camicia nera — per quanto, un Burioni criminale di guerra… —, ma se proprio vogliono che paragoniamo il vile credere-obbedire-combattere di chi faceva il saluto fascista al pavido credere-obbedire-vaccinarsi di chi si confina volontariamente in casa, come non accontentarli?

Lo Stato con la mascherina

Miguel Amorós

L’attuale crisi ha provocato un notevole inasprimento del controllo sociale statale. Gli elementi essenziali in questo ambito erano già in atto poiché le condizioni economiche e sociali oggi prevalenti lo esigevano. La crisi ha solo accelerato il processo. Veniamo obbligati a partecipare come massa di manovra ad una prova generale di difesa dell’ordine dominante da una minaccia globale. Il Covid-19 serve da pretesto per riarmare il dominio, ma una catastrofe nucleare, un vicolo cieco climatico, un movimento migratorio inarrestabile, una rivolta persistente o una bolla finanziaria senza controllo sarebbero servite allo stesso modo.
Tuttavia la vera causa più importante è la tendenza mondiale alla concentrazione del capitale, ciò che i dirigenti chiamano indifferentemente globalizzazione o progresso. Questa tendenza è correlata al processo di concentrazione del potere, quindi al rafforzamento degli apparati di mantenimento dell’ordine, di disinformazione e di repressione dello Stato. Se il capitale è la sostanza dell’uovo, lo Stato ne è il guscio. Una crisi che mette in pericolo l’economia globalizzata, una crisi sistemica come si dice adesso, provoca una reazione difensiva quasi automatica, e riattiva meccanismi disciplinari e punitivi già esistenti. Il capitale passa in secondo piano, ed è allora che lo Stato si palesa in tutta la sua pienezza. Le leggi eterne del mercato possono andare in vacanza senza che la loro validità ne sia inficiata.
Lo Stato pretende di presentarsi come l’ancora di salvezza a cui la popolazione deve aggrapparsi quando il mercato si addormenta nella tana della banca e della Borsa. Mentre lavora per tornare al vecchio ordine, vale a dire, come dicono gli informatici, mentre cerca di creare un punto di ripristino del sistema, lo Stato svolge il ruolo del protagonista protettore, sebbene in realtà sia più simile a un giullare magnaccia. Malgrado tutto, e checché ne possa dire, lo Stato non interviene a difesa della popolazione, tanto meno delle istituzioni politiche, ma per difendere l’economia capitalista, e quindi il lavoro dipendente e il consumo indotto che caratterizzano lo stile di vita determinato da quest’ultima. In certo qual modo, si protegge da una eventuale crisi sociale derivante da una crisi sanitaria, difendendosi cioè dalla popolazione. La sicurezza che conta davvero per lo Stato non è quella delle persone, ma quella del sistema economico, quella solitamente definita sicurezza «nazionale». Di conseguenza, il ritorno alla normalità non sarà altro che il ritorno al capitalismo: ai quartieri alveari e alle seconde case, al rumore del traffico, al cibo industriale, ai trasporti privati, al turismo di massa, al panem et circenses… Finiranno le forme estreme di controllo come il confinamento e il distanziamento tra gli individui, ma il controllo continuerà. Niente è transitorio: uno Stato non disarma volontariamente né rinuncia di buon grado alle prerogative che la crisi gli ha concesso. Si accontenterà di «congelare» quelle meno popolari, come ha sempre fatto. Teniamo a mente che la popolazione non è stata mobilitata, ma immobilizzata, quindi è logico pensare che lo Stato del capitale, in guerra più contro di essa che contro il coronavirus, tenti di curarne la salute imponendole condizioni di sopravvivenza sempre più innaturali.
Il nemico pubblico designato dal sistema è l’individuo disobbediente, l’indisciplinato che ignora gli ordini unilaterali impartiti dall’alto e rifiuta il confinamento, che non accetta di restare in ospedale e non mantiene le distanze. Colui che non è d’accordo con la versione ufficiale e che non crede alle sue cifre. È ovvio che nessuno rimprovererà ai responsabili di aver lasciato il personale sanitario e curante senza dispositivi di protezione e gli ospedali con un numero insufficiente di letti e di unità di terapia intensiva, né ai pezzi grossi di essere responsabili della mancanza di test diagnostici e di respiratori, né ai dirigenti amministrativi di aver trascurato gli anziani nelle case di riposo. Non verrà puntato il dito nemmeno contro gli esperti della disinformazione, o gli uomini d’affari che speculano sulle serrate, o gli assicuratori avvoltoi, o coloro che hanno beneficiato dello smantellamento della sanità pubblica o che commerciano con la salute e le multinazionali farmaceutiche… L’attenzione sarà sempre deviata, o meglio telecomandata verso altri aspetti: l’interpretazione ottimistica delle statistiche, l’occultamento delle contraddizioni, i messaggi governativi paternalistici, l’istigazione sorridente alla docilità da parte dei personaggi dei media, i commenti umoristici delle banalità che circolano sui social network, la carta igienica, ecc. L’obiettivo è che la crisi sanitaria sia compensata da un livello più elevato di addomesticamento. Che il lavoro dei dirigenti non venga messo in discussione per un nonnulla. Che si sopporti il male e che s’ignorino coloro che l’hanno scatenato.
La pandemia non ha nulla di naturale; è un fenomeno tipico dello stile di vita malsano imposto dal turbocapitalismo. Non è il primo e non sarà l’ultimo. Le vittime non sono dovute tanto al virus quanto alla privatizzazione dell’assistenza sanitaria, alla deregolamentazione del lavoro, allo spreco delle risorse, all’aumento dell’inquinamento, all’urbanizzazione galoppante, alla ipermobilità, al sovraffollamento metropolitano e al cibo industriale, in particolare quello proveniente dai macro-sfruttamenti, luoghi in cui i virus trovano il miglior focolaio di riproduzione. Tutte condizioni ideali per le pandemie. La vita che deriva da un modello di industrializzazione in cui comandano i mercati è di per sé isolata: polverizzata, limitata, tecno-dipendente e soggetta a nevrosi, tutte qualità che favoriscono la rassegnazione, la sottomissione e il cittadinismo «responsabile». Sebbene siamo guidati da inutili, incompetenti e incapaci, l’albero della stupidità governativa non deve impedirci di vedere la foresta della servitù cittadina, la massa impotente disposta a sottomettersi incondizionatamente e a rinchiudersi per perseguire l’apparente sicurezza promessa dall’autorità statale. La quale non usa premiare la fedeltà, ma diffida degli infedeli. E per essa, siamo tutti potenzialmente infedeli.
In un certo senso, la pandemia è una conseguenza della spinta del capitalismo di Stato cinese nel mercato mondiale. Il contributo orientale alla politica consiste principalmente nella sua capacità di rafforzare l’autorità dello Stato fino a livelli inimmaginabili grazie al controllo assoluto delle persone tramite la totale digitalizzazione. A questo genere di abilità burocratico-poliziesca si può aggiungere la capacità della burocrazia cinese di mettere la stessa pandemia al servizio dell’economia.
Il regime cinese è un esempio di capitalismo tutelato, autoritario e ultra-produttivista generato dalla militarizzazione della società. È in Cina che il dominio avrà la sua futura età d’oro. Ci saranno sempre ritardatari pusillanimi a lamentarsi del declino della «democrazia» che comporta il modello cinese, come se ciò che definiscono così fosse la forma politica di un periodo obsoleto, che corrispondeva alla compiacente partitocrazia a cui partecipavano volentieri fino a ieri. Ebbene, se il parlamentarismo comincia ad essere impopolare e maleodorante per la maggioranza dei governati, e se di conseguenza diventa sempre meno efficace come strumento di addomesticamento politico, ciò è in gran parte dovuto alla preponderanza che in questi nuovi tempi il controllo poliziesco e la censura hanno acquisito sugli intrighi dei  partiti. I governi tendono ad usare lo stato d’allarme come abituale mezzo per governare, poiché le relative misure sono le sole che funzionano correttamente per il dominio nei momenti critici. Tuttavia esse mascherano la vera debolezza dello Stato, la vitalità della società civile e il fatto che non è la forza a sostenere il sistema, ma l’atomizzazione dei suoi sudditi scontenti. In una fase politica in cui la paura, il ricatto emotivo e i big data sono indispensabili per governare, i partiti politici sono assai meno utili di tecnici, comunicatori, giudici e gendarmi.
Ciò che ora dovrebbe preoccuparci di più è che la pandemia non solo è il culmine di alcuni processi che arrivano da lontano, come quello della produzione alimentare industriale standardizzata, della medicalizzazione sociale e della irreggimentazione della vita quotidiana, ma avanza anche notevolmente nel processo di informatizzazione sociale. Se il cibo-spazzatura come dieta alimentare mondiale, l’uso generalizzato di rimedi farmaceutici e la coercizione istituzionale costituiscono gli ingredienti di base della torta della vita quotidiana postmoderna, la sorveglianza digitale (coordinamento tecnico delle videocamere, riconoscimento facciale e tracciamento dei cellulari) ne è la ciliegina. Si raccoglie quel che si semina.
Quando la crisi sarà passata, quasi tutto sarà come prima, ma il sentimento di fragilità e d’inquietudine durerà più a lungo di quanto vorrebbe la classe dominante. Questo disagio della coscienza minerà la credibilità della vittoria di ministri e portavoce, ma resta da vedere se ciò potrà buttarli giù dalla poltrona in cui si sono installati. Qualora conservassero il proprio posto, il futuro del genere umano rimarrebbe nelle mani di impostori, perché una società capace di prendere in mano il proprio destino non potrà mai formarsi all’interno del capitalismo e in uno Stato. La vita delle persone non potrà percorrere il cammino della giustizia, dell’autonomia e della libertà, senza staccarsi dal feticismo della merce, senza rinnegare la religione statalista, senza disertare gli ipermercati e le chiese.

Milano – Risposta solidale

Pochi minuti fa una quindicina di persone è passata per le vie del quartiere Ticinese a Milano entrando nei cortili dei palazzi per gridare ciò che stava succedendo a Torino. Inoltre, pochi giorni fa, nello stesso angolo di corso Giulio Cesare nel quale sono avvenuti i fermi oggi, veniva fermata una persona violentemente con l’uso del taser.
L’importanza di scendere in strada e difendersi a vicenda dalla polizia è ora importante più che mai. Non possiamo non reagire di fronte alle rivolte nelle carceri represse dai pestaggi, agli sfratti e sgomberi che continuano ad essere effettuati, alla situazione di miseria aggravata dallo stato d’emergenza e le regole stringenti che ancora una volta ci rendono sempre più impossibilitati di scegliere su noi stessi.
A Torino 200 persone sono scese in strada per dimostrare la propria rabbia. Essere solidali con chi si ribella non può ridursi a un post su facebook. Sfidiamo i divieti quando é il momento!

Italia – Violenze contro le divise

29 marzo 2020

Potenza. Fermato per un controllo, ferisce i due carabinieri con un bastone.

2 aprile 2020

Città di Castello (PG). Si oppone ad un controllo e sputa in faccia ai carabinieri, dopo averne ferito uno con un bastone. Altra fonte della notizia

3 aprile 2020

Udine.  Dopo una soffiata alla polizia un ragazzo di 25 anni viene arrestato per aver sputato in faccia ad un Carabiniere

10 aprile 2020

Massarosa (LU). Porta a passeggio il cane ma lo fermano i carabinieri perchè troppo lontanto da casa (600 metri). Si rifiuta di dare i suoi documenti e ne spedisce alcuni in pronto soccorso. Altro link sulla sua versione rilasciata alle Iene

13 aprile 2020

Neviano (LE). Abbassa la mascherina ad un carabiniere e gli sputa in faccia.

 

Tolosa (Francia) – Guerra alla guerra! Aspettando il giorno dopo…

Nella notte fra il 14 ed il 15 aprile 2020, è stato incendiato l’ingresso della banca Caisse d’Eparge, in rue d’Agde, a Tolosa.

Mentre la gente è rinchiusa in casa (quando ne ha una), mentre è vietato passeggiare in montagna o sul bordo di fiumi e canali, mentre è deplorevole sedersi su una panchina e mentre le tasche si svuotano, le banche, loro, si vedono gratificare di piani di salvataggio del valore di diversi miliardi di euro.

Se c’è una guerra, si tratta di quella che alcuni porci insaziabili fanno contro il resto dell’umanità.

Non ci sarà alcuna fine del confinamento, né alcun giorno dopo, non più di quanto non ci sarà alcun sole dell’avvenire. Loro si stanno già organizzando, non aspettiamo che sia troppo tardi per ribellarci.

Guerra alla guerra!

[Testo tradotto ricevuto via e-mail, rivendicazione francese pubblicata in attaque.noblogs.org].

Roma – Aggiornamenti CPR di Ponte Galeria

17 Aprile
Dai contatti con alcune persone recluse nel CPR di Ponte Galeria sappiamo che nella sezione femminile sono ancora detenute almeno tre donne. Per quanto riguarda la sezione maschile non si hanno notizie dirette, ma il numero dei reclusi sta diminuendo anche lì, non registrandosi nuovi ingressi. Essendo bloccati i voli di rimpatrio per l’emergenza da Covid-19, le persone  vengono liberate con un foglio di espulsione per scadenza dei termini (45 giorni per chi viene dal carcere e 180 per tuttx lx altrx), per esiti positivi dei ricorsi inoltrati dagli/dalle avvocatx o, come nel caso riportato oggi dalla Legal Clinic di Roma Tre, per rigetto da parte del Tribunale delle richieste di proroga avanzate dalla Questura.
Seppur l’obiettivo dichiarato dei Centri Per il Rimpatrio sia la deportazione delle persone senza documenti, ed essendo questo venuto meno per l’impossibilità di effettuare i voli di rimpatrio verso i Paesi di origine dex reclusx a causa della pandemia, i Cpr continuano ad esistere e a far lucrare chi guadagna dalla detenzione amministrativa: lo Stato, le cooperative che lo gestiscono. Ciò rende palese il fatto che in realtà la funzione dei Cpr sia tutt’altra: essere una forma di ricatto costante per chi non è in regola con i documenti, acuire la distinzione tra migranti “buoni” – che hanno una giusta motivazione per richiedere il permesso di soggiorno, seguono le regole che vengono loro imposte nei centri di accoglienza, svolgono forme di lavoro volontario chiamate tirocini per l’integrazione – e migranti “cattivi”, la fetta indesiderata e intollerabile della società, marginalizzata, che vive nella costante condizione di poter essere imprigionata più e più volte, rimpatriata nei luoghi dai quali scappa o che nemmeno conosce . Il confine tra le due condizioni è molto labile, in quanto basta perdere il lavoro e i requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno per finire tra lx indesideratx, o ribellarsi alla situazione infantilizzante e oppressiva che si vive nei centri di accoglienza per essere condannatx, imprigionatx nelle carceri e nei Cpr.
Il virus che da anni ci impensierisce è lo Stato, con tutte le sue strutture detentive.
L’unico antidoto lo conosciamo bene e ancor di più lo conoscono le persone che da sempre si ribellano a quella prigionia: il fuoco.
Per la libertà di tuttx,
fuoco ad ogni gabbia, galera e CPR!
Nemiche delle frontiere
——————————————————————————————–
riportiamo in seguito il commento della Legal Clinic
COMMENTO ALLE ULTIME DECISIONI IN MATERIA DI TRATTENIMENTO
Negli ultimi giorni, il Tribunale di Roma conferma l’interpretazione già proposta in precedenza in materia di trattenimento di richiedenti asilo nel CPR di Ponte Galeria nel contesto dell’emergenza sanitaria Covid-19 e rigetta cinque richieste di proroga della Questura di Roma, disponendo l’immediata liberazione delle persone trattenute.
Nel provvedimento allegato al post, il Tribunale motiva sulla base del diritto alla salute del trattenuto, che prevale sulle esigenze di controllo dell’immigrazione che giustificano il trattenimento, e sul venire meno della ratio stessa della misura – così come definita dalla “Direttiva Rimpatri” – alla luce dell’impossibilità di procedere al rimpatrio delle persone trattenute.
Il Tribunale, inoltre, evidenzia le posizioni assunte da diversi organismi internazionali che si sono espressi in favore della liberazione dei migranti trattenuti nei centri di detenzione e sui rischi per la salute delle persone connessi al protrarsi delle misure di limitazione della libertà personale.
Le decisioni del Tribunale di Roma e di altri organi giurisdizionali sul territorio nazionale confermano quanto la Clinica – insieme a diverse realtà associative e sociali – afferma dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Il trattenimento delle e dei migranti si pone oggi in palese contrasto con l’obbligo delle autorità di tutelare la salute delle persone migranti e in aperta contraddizione con la sua funzione – comunque a nostro avviso illegittima – di agevolare l’adozione di misure di rimpatrio nei paesi di origine.
Ribadiamo quindi ancora una volta la necessità e l’urgenza di chiudere i CPR, di liberare le persone trattenute e di offrire misure alloggiative adeguate a chi non ha una casa dove stare in sicurezza.
Legal Clinic Roma Tre

Sardegna – Riprendono a breve le esercitazioni militari a Quirra e Capo Frasca

A Foras: «Ora è ufficiale: a fine aprile riprendono le esercitazioni a Quirra e Capo Frasca. La smentita dell’Aeronautica è durata solo un paio di giorni. Dopo Pasqua lanceremo una mobilitazione e una campagna per chiederne lo stop immediato e il reinvestimento dei soldi risparmiati nel potenziamento della sanità pubblica. Stiamo a casa, ma non stiamo zitti»

Qualche giorno fa avevamo denunciato il rischio che riprendessero in Sardegna le esercitazioni militari, anche approfittando dell’azzeramento del traffico aereo civile sui cieli dell’isola. Dall’Aeronautica Militare era arrivata, a mezzo agenzia, una secca smentita.

Ieri la conferma definitiva: le esercitazioni ci saranno. Dal 22 al 30 aprile si sparerà nel Poligono di Quirra e sono già state rese note le ordinanze di sgombero. Dal 20 al 30, la notizia la apprendiamo dalla stampa ma ancora non sono state pubblicate le relative ordinanze, a Capo Frasca. Probabilmente l’attività nei due poligoni si svolgerà in coordinamento, grazie all’istituzione dei tre corridoi aerei da cui è partita la nostra denuncia dei giorni scorsi.

Quest’atteggiamento è del tutto irrispettoso nei confronti della crisi sanitaria ed economica che sta colpendo la Sardegna in queste settimane e delle quali, al momento, non è possibile intravvedere la fine.

Centinaia di migliaia di euro verranno sperperati, per giocare alla guerra con i caccia e i bombardieri sulle nostre teste. Mentre centinaia di migliaia di sardi rischiano di perdere il lavoro e di sprofondare nell’abisso della crisi economica più nera.

Non siamo stupiti, sappiamo che per i vertici militari italiani questa terra non è altro che uno scacchiere dove addestrare le truppe ed esercitare la propria potenza distruttiva. Ma non staremo zitti, neanche stavolta.

Da dopo Pasqua lanceremo una campagna per chiedere l’immediato stop delle esercitazioni e il reinvestimento dei soldi risparmiati nel potenziamento della sanità pubblica isolana. Invitiamo fin da ora tutti i sardi e le realtà politiche che hanno a cuore il destino di questa terra a tenersi pronti, perché non possiamo lasciar passare sotto silenzio questo ennesimo affronto.

Sardegna. Riprendono a breve le esercitazioni militari a Quirra e Capo Frasca

War games. Usa e Nato ai tempi del Coronavirus

Non vanno mai in vacanza le guerre e neanche in quarantena. Guai poi a  sospendere i war games o la produzione dei sistemi di morte. In tempo di pandemia, il massimo concesso da generali e ammiragli è quello di “rimodulare” o “ridimensionare” le maxi-esercitazioni previste in primavera nel cuore d’Europa. E’ quanto accade in questi tragici giorni con Defender Europe 2020, presentata come la più

“massiccia mobilitazione” delle forze Usa e Nato degli ultimi venticinque anni e che solo dopo l’esplosione del coronavirus a livello mondiale e la defezione delle forze armate dei paesi più colpiti è stata ipocritamente trasformata in un’operazione militare di routine delle artiglierie terrestri al confine con la “cattiva” Russia. “In risposta all’odierna esplosione del virus COVID-19 e alle recenti linee guida del Segretario della Difesa, abbiamo modificato l’esercitazione Defender Europe in dimensioni e scopo”, ha annunciato il 15 marzo scorso il Comando delle forze armate Usa in Europa. “Sono stati bloccati tutti i trasferimenti di personale e mezzi dagli Stati Uniti all’Europa. La salute e la sicurezza dei nostri militari, civili e familiari è la nostra prima preoccupazione. Abbiamo fatto gli appropriati aggiustamenti così non si terranno più le esercitazioni collegate a Defender Europe come Dynamic Front, Joint Warfighting Assessment, Saber Strike e Swift Response. Anticipiamo che la brigata da combattimento già schierata in Europa condurrà esercitazioni a fuoco e altri addestramenti con gli Alleati nell’ambito dell’esercitazione modificata Allied Spirit. Le altre unità schierate nel continente faranno ritorno negli Stati Uniti. Con questa decisione, continueremo a preservare l’efficienza delle nostre forze armate, massimizzando i nostri sforzi a favore dei nostri alleati e partner”.

Nonostante il “ridimensionamento” a sparare nei poligoni di Germania, Polonia e Repubbliche baltiche resteranno 6.000 militari statunitensi più i 3.000 carri armati giunti via mare dagli Usa a partire da gennaio e altri 9.000 tra pezzi d’artiglieria, blindati e mortai provenienti dai depositi “pre-posizionati” nel vecchio continente (tra essi anche l’hub di Camp Darby in Toscana). A metà marzo neanche US Air Force si è lasciata intimorire dal coronavirus: rispettando il cronogramma addestrativo programmato, alcuni bombardieri strategici B-2 “Spirit” a capacità nucleare sono stati trasferiti dagli Stati Uniti negli scali di Lajes Fied nelle Azzorre (Portogallo) e Fairford (Gran Bretagna). Per Washington e alleati Nato, Defender Europe doveva essere un test chiave per saggiare l’efficienza e la tenuta delle grandi reti infrastrutturali dell’Europa nord-centrorientale (porti, aeroporti, autostrade e ferrovie) in caso di dispiegamento di un imponente numero di uomini e mezzi per “contrastare” una potenziale aggressione da parte di un nemico esterno (leggi Russia). “I convogli di Defender Europe si muoveranno agilmente lungo 4mila chilometri perché l’Ue, la Nato e il Comando europeo degli Stati Uniti hanno lavorato insieme per migliorare le infrastrutture”, ha dichiarato il generale Tod D. Walters, comandante supremo alleato in Europa. Quello della massima efficienza della mobilità per fini militari è uno dei temi cardine della sempre più stretta alleanza tra Unione europea e Nato. “Bruxelles, tramite l’Agenzia Europea della Difesa (EDA), sta lavorando sulla mobilità militare e Defender Europe aiuta in parte a capire dove sono necessari ulteriori investimenti”, ha spiegato a Rai News Andrea Gilli, senior researcher del Nato Defense College. Nel 2014 l’EDA si è assunta il compito di sviluppare un progetto finalizzato ad “armonizzare” le procedure che consentono alle truppe e all’equipaggiamento militare di “attraversare facilmente” l’Europa. Si tratta dell’EU Multimodal Transport Hub, sostenuto economicamente da 14 membri Ue e che nei prossimi anni dovrebbe comportare investimenti per svariati miliardi di euro per “promuovere reti e infrastrutture di trasporto dual-use” (civili e militari) nel vecchio continente.

Proprio la concezione stessa di “libera mobilità” delle forze armate in tempi di pandemia ha sollevato fondati allarmi tra la popolazione. Le immagini pubblicate sui social da Comandi Nato e Usa documentano come gli sbarchi di uomini e mezzi in Belgio, Germania e Olanda siano avvenuti senza alcun minimo accorgimento o protezione anti-coronavirus (l’uso di mascherine è stato inesistente). Non si sono contanti gli abbracci e le strette di mano tra i militari e i capi di stato e i diplomatici che li hanno accolti all’arrivo in Europa e, peggio ancora, l’allarme epidemia influenzale non ha fermato il tour melle piazze e nei teatri della Polonia della rock band dell’esercito Usa. Comportamenti irresponsabili e del tutto inspiegabili anche alla luce delle preoccupazioni manifestate pubblicamente dagli alti comandi dell’Alleanza. La schizofrenia al potere: da una parte nessuna volontà di cancellare tout court le grandi manovre in Europa; dall’altra, per ragioni di “massima sicurezza” sono state annullate a poche ore dal loro inizio le due grandi esercitazioni programmate dal Pentagono nel continente nero: African Lion (con oltre 3.800 militari provenienti dai reparti d’èlite come la 173rd Airborne Brigade di stanza a Vicenza e il 31st Fighter Wing di Aviano e altre 5.000 unità di una decina di paesi tra cu Marocco, Senegal, Tunisia, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Spagna) e Obengame Espress nel Golfo di Guinea.

Nessuno stop invece per l’esercitazione aerea multinazionale che si tiene annualmente in Nevada (Red Flag). Così, mentre il nostro paese veniva sottoposto a pesantissime limitazioni negli spostamenti, il ministero della Difesa ha autorizzato il trasferimento negli Stati Uniti dei reparti dell’Aeronautica militare di stanza nelle basi di Pisa, Grosseto, Pratica di Mare, Amendola e Trapani-Birgi. “Il deployment operativo e logistico in Nevada è stato portato avanti dalla nostra Forza Armata come pianificato, nonostante i concomitanti sforzi organizzativi in campo nazionale nell’ambito delle attuali azioni di contrasto e gestione dell’emergenza COVID-19”, ha sfacciatamente rivendicato lo Stato maggiore dell’Aeronautica.

Nessun problema neanche per l’esercitazione Dynamic Manta che la Nato ha effettuato nelle acque del mar Ionio e del Mediterraneo centrale dal 24 febbraio al 6 marzo per “garantire l’interoperabilità costante tra le forze aeree, di superficie e subacquee nella lotta anti-sommergibile”. Ai war games hanno partecipato ben cinque sottomarini, sette unità da guerra e cinque velivoli per il pattugliamento aereo di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Turchia, Canada, Spagna, Stati Uniti e Turchia. Principale base operativa l’immancabile stazione aeronavale di Sigonella, ma è stato rilevante pure il ruolo di altre importanti installazioni ospitate in Sicilia (i porti di Catania e Augusta, lo scalo aereo “civile” di Fontanarossa). “Nelle ultime due settimane potreste aver notato un aumento del numero di personale della Nato a Sigonella, specificamente a NAS I, intorno al flightline e a cena nel nostro ristorante Bella Etna”, ha scritto il 14 marzo il tenente Karl Schonberg sul profilo ufficiale facebook della base siciliana. Una massiccia affluenza di militari alleati che ha comportato il tutto esaurito nei locali pubblici di Sigonella. Bar e ristoranti che, come documentano i video postati sullo stesso profilo, non sono mai stati chiusi nonostante le rigide disposizioni del governo italiano. Se il coronavirus non conosce confini, Washington difende a denti stretti l’extraterritorialità delle proprie basi d’oltremare.

Articolo pubblicato in Mosaico di pace, n. 4, aprile 2020

War games. Usa e Nato ai tempi del Coronavirus

Bentruxu / 16 – 18 Aprile

tratto da Bentruxu

16 Aprile
Riceviamo e pubblichiamo un contributo:

La fuga verso il tramonto
Da quando abito a Cagliari, quando ho troppi pensieri e la testa è piena di voci che parlano tutte insieme, ho preso l’abitudine di andare a trovare il mare e, quando posso, vado a trovare il mare e il tramonto.
Da cinque settimane ormai (in realtà da quattro, ma questo non diciamolo a Paoletto) il mare non sono più andata a trovarlo, e mi manca, mi manca moltissimo. Allora ho deciso di andare a trovare almeno il tramonto.
Leggins, scarpe da ginnastica, cuffiette e sembro proprio una runner, anche se correre mi fa schifo. Pochi passi in salita e sono sotto le mura di Castello: inizio a scorgere le nuvole rosa, il cuore batte forte per il fiatone, e per l’emozione. Mi accovaccio tra le siepi per il mio appuntamento segreto con la Laguna di Santa Gilla, i monti di Capoterra e il sole che si nasconde veloce dietro. Tempo 20 minuti e il cielo ha dei colori indescrivibili.
Con la musica nelle cuffie (o con l’accompagnamento musicale dei Dj di Sa Domu!) aspetto che piano piano si accendano le luci della città. Mi stendo per terra. Lo sai che si vedono le stelle se ti sdrai per terra? E poi non si vedono le case quindi puoi pensare di essere in mezzo alla natura.
Per un attimo sogno di essere sotto il cielo stellato del Supramonte, quando facciamo campo e stiamo in silenzio col naso all’insù per ore, anche se la sveglia il giorno dopo suona prestissimo. Dai, restiamo ancora un attimo.
Il freddo inizia a farsi sentire, è pur sempre Aprile e il sole è andato a letto da un po’. Mi rialzo, riprendo a camminare, do uno sguardo veloce a Piazza Indipendenza. Ok, passo dal Bastione e torno a casa.
Manco questa volta ce l’avete fatta a beccarmi, stronzi. Villanova è il mio quartiere.

17 Aprile
Riceviamo e pubblichiamo un contributo su esercizi di ginnastica alternativa:

Workout da lockdown! Eh? Poba. In questo tripudio di attività fisiche solitarie e virtuali, in questo brulicare di panificazioni, sfide domestiche alla masterchef e ordini a domicilio, non sono solo i nostri culi a rischiare di ingrossarsi, non sono solo i nostri corpi che stanno iniziando ad arrugginirsi.
A maggior ragione, visti i prolungamenti di queste misure…
è giunto il momento di fare veramente GINNASTICA!
vi suggerisco una scheda base (integrabile e variabile) da praticare quotidianamente che potrebbe aiutarvi ad allenare testa, cuore e paure.
Attenzione: pericolo di alto rilascio di endorfine.
1- scegliere un’attività commerciale autorizzata situata dall’altra parte del vostro comune che giustifichi il vostro lunghissimo spostamento. Recarvi sino a lì ed acquistare uno o più articoli non deperibili che non potete reperire altrove.
Negli allenamenti successivi non sarà necessario ripetere l’acquisto, sarà sufficiente scegliere una zona intermedia dai vostri domiciliar… dal vostro domicilio all’attività prescelta portandosi dietro l’acquisto fatto in precedenza.
2- Tra una videochiamata, una videoconferenza, una chattata, un contatto virtuale e l’altro iniziate a sondare gli umori degli amici. Partite da quelli più vicini in termini di distanza. Alla seconda settimana di allenamento proseguite con gli amici più lontani. In base alla disponibilità proponetegli in sequenza:
a) di fare la spesa insieme
b) di venire a prendersi un caffè a casa (nel caso la vostra casa sia accessibile) / di farvi offire un caffè a casa loro (nel caso casa loro sia accessibile).
Dopo la prima settimana sostituire il caffè con un pranzo.
c) di sedervi ad un metro di distanza su una panchina in una zona che vi lascia tranquilli a chiacchierare dal vivo.
NB: attività da fare 1 a 1. Percarità!
3- infilatevi la canadese più fluo che avete, uscite ed iniziate a correre sforando almeno di due metri i famosi duecento cari a Solinas. Aumentare progressivamente i metri illegali.
4- individuate il punto più panormaico che avete nei dintorni di casa. all’approssimarsi del tramonto recatevi lì e godetevelo.
Autocertificazione: sanità mentale.
Variante possibile: darsi appuntamento con qualche amico già coinvolto nell’esercizio 2.
Per fasi avanzate: trovare punti distanti da casa.
5- In una delle file quotidiane a scelta provare ad attaccare bottone con uno dei vostri vicini. Mantenendo le distanze, chiaro.
Parlare del Covid-19 va bene.
Sforzarsi di parlare di qualche altro argomento futilmente utile è meglio es. “sarebbe proprio da andare al mare oggi!”.
Per i già allenati: commentare le ultime ordinanze comunali/regionali/dpcm a scelta.
6- Se proprio non resistete alla tentazione di panificare e cucinare come se non ci fosse un domani, preparare qualcosa in più e impachettatela. Sentite l’amico più in paranoia che avete, quello che mai avreste pensato sarebbe stato preso dal furore del distanziamento sociale, e consegnategli il prodotto a domicilio…
ovviamente con tutti i dispositivi di sicurezza individuale correttamente indossati!
ESERCIZIO EXTRA PER FASI AVANZATISSIME
7- Scegliere un amico domiciliato in comune altro ma vicino a al proprio. Verificate che il suddetto amico sia disponibile a coadiuvarvi nell’allenamento. Individuare una motivazione valida e articolata e compilare l’apposita autocertificazione (è molto importante assicurarsi di avere l’ultima versione disponibile). Andare a trovare il suddetto amico.
Ripetere l’allenamento quotidianamente, vi stupirà quanto velocemente sarete in grado di integrare attività nuove, responsabilmente “furbettamente” crescenti.
Ma soprattutto vi meraviglierà come la paura inzierà a rispondere ai vostri comandi.
(così, poi, magari, nella vostra testa ci sarà anche spazio per sentire che sta iniziando a rodervi il culo)

18 Aprile
Ed ecco il nuovo tormentone: la Fase 2
Abituiamoci, perché probabilmente nei prossimi mesi vivremo fase 3 – 4 – 5 – 6 e chissà fin dove arriveremo.
Solinas nonostante le statistiche regionali rimangano basse, ha varato un pacchetto di restrizioni fra le più severe, probabilmente voleva far sentire il polso fermo dell’uomo al comando, poi quando ha visto il suo collega e compagno di partito Zaia riaprire i mercati all’aperto è andato in crisi. Ma ormai le librerie e le spiagge erano chiuse, tornare indietro sarebbe stata un’ammissione di stupidità troppo grande. Anche riaprire i parchi era troppo, sarebbe andato contro il suo fedele Truzzino, tutto preoccupato invece di trovare un modo per celebrare Sant’Efisio.
Quindi mentre noi siamo chiusi nei nostri isolati a consumare i marciapiedi e ad abbronzarci dalle finestre, i burattinai dell’economia cercano soluzioni di tutti i tipi su come far riprendere il lavoro e salvare il salvabile, mentre i politici tirano i dadi per capire che provvedimenti prendere.
Tutti avranno sentito la fantastica proposta del plexiglass in spiaggia, manca la specificazione se dovremo portarcelo anche in acqua…
In poche parole le contraddizioni vengono lentamente al pettine, le produttive regioni del nord cercano di nascondere le incredibili pressioni di Confindustria&soci che riaprirebbero tutto, ma devono salvare la faccia, e quindi traccheggiano tra i cantieri e le cartolerie.
Il governo si appresta ad aprire il rubinetto per la prima innaffiata di bonus e spera che queste misere centinaia di euro plachino gli animi più nervosi e scalpitanti, ma in realtà non sa cosa dire e probabilmente neanche cosa fare per il futuro, immediato e non.
La Fase 2 però la stiamo attraversando anche noi nelle nostre intime esperienze di questa vita. La paura in molti viene scavalcata dall’insofferenza, il distanziamento dalla voglia di abbracci, cene, incontri e tanto altro. Ci ritroviamo schiacciati tra misure nuove – come l’obbligo di mascherine e guanti – nel momento in cui i contagi diminuiscono, dichiarazioni contrastanti delle compagini scientifiche – chi dice che il peggio è passato, chi si aspetta un altro picco e così via – che creano solo confusione, e quella strana cosa che per fortuna o purtroppo sopraggiunge nella nostra vita per ogni cosa: l’abitudine. Sembra proprio che siano bastati due mesi per ritrovarcela addosso, nelle conversazioni, nelle scelte quotidiane, non è strano e non è una critica, mi sembra di poter dire che è un dato di fatto, al quale siamo appunto abituati.
Negli anni ci siamo abituati a tutto, bello o brutto, e ci abitueremo anche a queste nuove convivenze,
dalle più strette di mascherine e guanti, alle più lente file fuori dai negozi.
Ci abitueremo a limiti di capienza nei locali, ad App sanitarie e ad altre strane novità.
Se l’abitudine si può considerare un virtù, perché ci rende capaci di saper convivere anche con le difficoltà più grandi, dovremo fare attenzione a non farla seguire dalla rassegnazione, infida compagna che cementa le note stonate anziché combatterle.
La rassegnazione è la più solida base su cui si può appoggiare la soppressione di alcune libertà, la diffusione di spregevoli abitudini come la delazione o l’abbandono di desideri o divertimenti.
Che ci dovremo abituare a questo nuovo stato di cose, alla convivenza con un’emergenza sanitaria è ormai certo, sta a noi però decidere come farlo, se propositivi, tenaci e battaglieri, o rassegnati e timorosi.