Cronache dallo stato d’emergenza (numero 2)

Le responsabilità a rovescio

Le quotidiane cronache della paura cancellano le responsabilità generali e specifiche dell’epidemia in corso, per rovesciarle interamente su chi non sta chiuso in casa, “untore” contro cui chiedere misure sempre più repressive (militari con funzioni di polizia, tracciamenti informatici della popolazione, inviti alla delazione, autorizzazione a usare i droni…). Chi ha smantellato la Sanità per logiche di profitto, aggravando così una situazione affrontabile in modo ben diverso? Chi ha tenuto aperte le fabbriche? Chi ha chiuso le scuole il 20 febbraio e i centri commerciali solo il 12 marzo? Chi è stato? Forse chi passeggia per strada o cammina su ciclabili e sentieri? E ancora: sono singoli “sciacalli” o un sistema a far sì che il prezzo delle mascherine per gli ospedali sia aumentato fino al 600 per cento?

Quale sicurezza?

Sono decenni che ci perforano i timpani con il grido “Sicurezza!”. Più telecamere, più controlli, più polizia, più carcere! Poi arriva un’epidemia di virus ed emerge tra le pieghe della coscienza e i non-detti della televisione che, se si fermassero l’autotrasporto e la logistica, nel giro di alcuni giorni nei supermercati non ci sarebbe più niente da mangiare. Che sicurezza possono avere degli esseri umani che dipendono da un sistema tecnologico e produttivo di cui non controllano più niente? Non si vive di tele-lavoro! Approfittiamo di questa “pausa” per riflettere. Senza riprenderci la terra e autogestire le fonti del nostro sostentamento alimentare, rinunceremo, assieme alla libertà e all’autonomia, anche alla sicurezza.

Telelavoro

Una delle sperimentazioni in corso, oltre al controllo poliziesco e militare, riguarda il lavoro: quanto e come può andare avanti l’economia senza che la gente esca di casa? Che cos’è, oggi, il “lavoro”? Ad approfittare di tutte le forme di telelavoro (che siano imposte agli impiegati o agli insegnanti) sono innanzitutto le multinazionali che possiedono le piattaforme informatiche e le diverse applicazioni. Da ogni attività online – gratuita o a pagamento poco importa – i “giganti del web” ricavano un’impressionante quantità di dati personali che analizzano e vendono. Tutto è un “dato” che si può processare e trasformare in merce: i gusti, le opinioni, il tono della voce, la mimica facciale, il libro citato dall’insegnante, le notizie relative alla salute, le paure, la reazione a certe notizie, il livello di attenzione degli studenti ecc. Nel migliore dei mondi possibili, anche un’epidemia – cioè milioni di persone chiuse in casa ma sempre connesse – diventa un ottimo affare. E un’occasione per giustificare l’introduzione della rete 5G, la cui funzione non è certo quella di permettere i contatti in caso di emergenza sanitaria, ma di generalizzare industria, macchine, telecamere e sensori smart. La paura è un sentimento ideale per spingerci ancora di più verso un mondo in cui gli esseri umani sarebbero governati da “oggetti intelligenti” e da chi li programma.

Telesorveglianza

Ha fatto un po’ di scalpore la notizia che il quaranta per cento dei milanesi è stato scovato lontano dalle proprie case attraverso il controllo delle celle telefoniche attivate dai cellulari. Qual è la notizia? Che le compagnie della telefonia mobile realizzino quotidianamente una schedatura di massa è un fatto noto (per quanto pochi ne traggano delle conseguenze). La novità è che si coglie l’occasione di un’emergenza sanitaria per giustificare apertamente qualcosa che esiste ben al di là dell’emergenza e che solleva, o dovrebbe sollevare, non pochi interrogativi etici e sociali. Ma non basta. Da giorni siamo sottoposti a una martellante propaganda finalizzata a introdurre anche in Italia “misure alla coreana”, cioè la schedatura dei contatti tra le persone a partire dal controllo incrociato di smartphone, wi-fi e Bluetooth (per localizzare gli “utenti” non in un determinato quartiere, ma casa per casa, negozio per negozio). I dati “pubblici” sarebbero archiviati e analizzati dalle autorità, quelli “nascosti” (che ogni applicazione sugli smartphone crea, anche quando la si disattiva) alimenterebbero le “macchine intelligenti” con cui si controllano i nostri comportamenti e si studiano le nostre “intenzioni di acquisto”. Felice il governo, felice il capitalismo digitale. E noi?

Che cosa è “essenziale”?

Ciò che non può essere fermato durante un’epidemia ci rivela, indirettamente, quali sono le basi della società in cui viviamo: l’infrastruttura informatica e la guerra. Per questo tutte le fabbriche di armi devono restare aperte. Per questo, mentre siamo chiusi in casa davanti agli schermi, il progresso tecnologico accelera e si installano di nascosto nuove antenne 5G. A conferma di come infrastruttura digitale e guerra siano sempre più intrecciate, Tim “sta insegnando” all’esercito le potenzialità del 5G e dell’intelligenza artificiale per la guerra del “nuovo mondo”. Rimane da chiedersi se quello che non riusciamo a vedere non sia solo un virus che si muove nell’aria, ma il mondo che ci stanno apparecchiando.

Alcune proposte sensate

Sembrano quelle suggerite dalle scritte tracciate sulle vetrate di diversi supermercati di Trento e Rovereto fra il 24 e il 25 marzo: “Sciopero generale”, “Chiudere le fabbriche”, “Abbassare i prezzi”.

Intanto…

Il 25 marzo, c’è stata un’ampia partecipazione allo sciopero generale indetto nel settore della logistica e delle fabbriche. Il 26 marzo, in un supermercato di Palermo, alcune persone hanno riempito i carrelli e cercato di uscire senza pagare. Carabinieri e Celere sono intervenuti sul posto e hanno presidiato, nei giorni successivi, l’entrata di diversi supermercati della città.

Sui social network si moltiplicano gli appelli a non pagare più.
Con il prolungarsi dell’emergenza, magari dopo mesi senza salario, sempre più persone si troveranno davanti al problema di soddisfare i propri bisogni materiali. Situazioni come quella di Palermo forse non saranno così rare: l’esigenza di prendersi ciò che ci serve per vivere sarà ben chiara a chi, semplicemente, non potrà più pagare.

Versione pdf: Cronache2

Chi è dentro è dentro

Negli ultimi giorni c’è stato un susseguirsi di dichiarazioni e analisi sulla situazione d’emergenza in cui versano le carceri attualmente dopo che il Covid19 ha iniziato a diffondersi tra i prigionieri, le guardie e il personale che lavora al loro interno. Già questa mole di parole, pronunciate spesso da pezzi grossi delle istituzioni, dà la cifra di quanta preoccupazione aleggi nelle stanze dei governanti, riguardo la possibilità che un’altra ondata di rivolte si scateni dopo quella di alcune settimane fa. Se poi, oltre a svariati magistrati di sorveglianza, sentiamo il Procuratore capo di Trieste, il capo del Csm e addirittura il Presidente della Repubblica  invocare l’amnistia, criticare i provvedimenti del governo perchè troppo blandi nello svuotare le carceri o mostrare una qualche empatia verso le problematiche dei detenuti, il quadro diventa ancora più chiaro.

Del resto per capire che la situazioe sia peggiorata rispetto alle settimane scorse non serve certo un’analista dei servizi di sicurezza interna: l’epidemia come dicevamo si sta diffondendo e il livello di cotagio con ogni probabilità sarà ben maggiore di quello che trapela all’esterno visto l’interesse delle autorità a mantenere una fitta cappa sull’argomento; le misure adottate dal governo non hanno poi in alcun modo intaccato il sovraffollamento e rischiano anzi di accendere ulteriormente gli animi per l’odore di presa per il culo che emanano a grande distanza.

A parte le concessioni fornite a semiliberi e a chi gode di permessi premio, che rappresentano una porzione molto esigua di chi è recluso, possono andare agli arresti domiciliari solo quei detenuti cui restano da scontare meno di 18 mesi di detenzione – e neanche tutti viste le numerose eccezioni – , quelli che però hanno ancora un residuo pena superiore a 6 mesi possono uscire solo dotati di braccialetto elettronico. Braccialetti elettronici che però non sono assolutamente sufficienti al pur esiguo numero di potenziali beneficiari, come sottolinea anche Fastweb, l’azienda che nel 2017 ha ricevuto l’incarico di produrli e gestirli. Una misura il cui sadismo è amplificato dalla lungaggine di questo gioco dell’oca organizzato dal governo, prima di rischiare di tornare alla casella VIA è necessario infatti fare istanza al magistrato di sorveglianza e attendere la sua risposta con tutto il carico d’ansia e incertezza che questa lunga attesa è inevitabilmente destinata a generare. Per completare il quadro vanno sottolineate poi le numerose eccezioni segnalate nel decreto, accanto a chi ha commesso reati gravi che rientrano nell’art. 4 bis, troviamo chi non ha un domicilio – e data la situazione non può ususfruire delle strutture che in precedenza assolvevano almeno in parte a questo compito -, tutti i prigionieri in attesa di giudizio – che la sospensione dell’attività dei tribunali lascia in questa condizione sine die – e i detenuti ritenuti responsabili delle rivolte – una qualificazione che persino alcuni direttori delle carceri non sanno bene come attribuire visto che sono ancora in cors gli accertamenti a riguardo- .

Nel frattempo, è bene ricordarlo, le visite con i familiari continuano ad essere del tutto bloccate.

Una situazione esplosiva che preoccupa certamente anche il governo. A pesare parecchio nella scelta di non prendere misure che provino in qualche modo a stemperare la tensione ci sono di certo considerazioni di carattere squisitamente elettorale – non cedere terreno e non offrire angoli d’attacco, dal punto di vista sicuritario, all’opposizione -: il carattere forcaiolo di questo governo, del resto, non lo scopriamo certo ora. Ma ancor più forte è la preoccupazione di indebolire il sistema carcerario che è uno dei pilastri su cui si regge la baracca, e assieme a questo scalfire la credibilità statale, che mai quanto ora si regge sulla capacità dello Stato di controllare la popolazione e quindi punire chi contravviene alle leggi. L’unico terreno su cui stanno seriamente ragionando, per far fronte a un’eventuale nuova ondata di rivolte, è dunque quello militare. Le stesse modalità adottate alcune settimane fa, programmate questa volta con una certa meticolosità per non farsi trovare impreparati. In questa direzione vanno le richieste di poter schierare l’esercito o dotare i secondini di taser, in caso di nuovi disordini.

A guidare i passi dei governanti è dunque una logica, in senso tecnico, assassina. Che ha preventivamente messo in conto di poter lasciare sul terreno altri morti tra i detenuti, oltre a quelli già lasciati sul selciato nelle settimane passate. Un dato da tenere bene a mente, anche quando quest’emergenza magari terminerà, specie per coloro che hanno sostenuto e continuano a sostenere a vario titolo l’operato del M5S, su scala nazionale come locale.

 

 

Se le righe di cui sopra si sono soffermate principalmente sulla situazione italiana, rivolte nelle carceri sono esplose un po’ ovunque nel mondo e ci è sembrato quindi utile fornirne una cronologia abbastanza approfondita, anche se probabilmente non completa, con i relativi link in lingua per capire cosa è accaduto precisamente.

Riguardo la situazione italiana vi consigliamo invece questo contributo audio realizzato da Radiocane sulla rivolta di San Vittore.

 

Francia

15\03 carcere di Metz-Queuleu

17\03 carcere di Grasse, Draguignan, Aix-en-provence, Maubeuge, Douai, Perpignan, Nancy, Valence, Saint-Etienne, Angers, Toulon, Maux,Argentan, Nantes, Carcassonne.Aiton, Angers, Douai, Epinal,La Santé, Lille-Sequedin, Montauban et Varennes-le-Grand, Longuenesse, Meaux, Moulins, Limoges, Rennes-Vezin, Saint-Malo, Nice, Fleury-Mérogis.

17/03 – 23/03 elenco carceri e CRA in rivolta in Francia

22\03 carcere di Uzerches

 

Spagna

15\03 carcere di Brians

15\03 carcere di Alcalà de Henares, Fontcalent, Castellon, Albolote

 

Brasile

17\03 carceri di San Polo, Mongaguà, Trememebè, Porto Feliz e Mirandòlis

 

Belgio

16\03 carcere di Nivelle

Perù

19\03 carcere di Piura

 

Cile

19\03 carcere di Santiago

 

Venezuela

18\03 carcere di San Carlos

 

Mauritius

19\03 carcere di Beau-Bassin

 

Sri Lanka

21\03 carcere di Anuradhapura

 

Uganda

22\03 carcere di Arua

 

India

21\03 Calcutta prigione di Dum Dum

 

Colombia

22\03 carceri di Ibague, Jamundi, Combita, Medellin, Bogotà

 

Samoa

23\03 carcere di Tanumalala

 

USA

24/03 carcere di Washington

 

Iran

16\03 carcere di Parsylon Khorramad
20\03 carcere di Aligoodarz

21/03 carcere di Khorramabad

Chi è dentro è dentro

Santiago (Chile) – La solidarietà è il virus che il capitalismo teme

Un giorno di furti nelle catene di grande distribuzione per distribuire ai senzatetto. Materiale audiovisivo registrato nelle strade di Santiago, Cile, durante la quarantena ed il coprifuoco sotto il pretesto del virus Covid-19.

Background music: Golpebalabeso/Niña Debacle/Paniko. Recorded in Chauri Chaura Studio.

Tutte le misure sanitarie per evitare di danneggiare le persone nelle strade in termini di igiene e virus sono state prese, ma l’uso di tute bianche rappresenta un gesto di ribellione e azione contro il potere qui nel territorio governato dallo Stato cileno. Molte scuole superiori resistono ed attaccano la polizia dalle loro scuole galera mentre indossano questi vestiti che la polizia odia e teme. Qui un video, per coloro che non lo sapevano, che da l’idea del contesto.

Lunga vita alla guerra violenta contro l’autorità e lo Stato!

Fintanto che ci sarà miseria ci sarà ribellione!

Prigionieri di guerra nelle strade!

https://325.nostate.net/2020/03/28/santiago-chile-solidarity-is-the-virus-that-capitalism-fears/

You’ll never riot alone

C’è un’altra pandemia oggi in corso in tutto il pianeta. L’OMS non se ne occupa minimamente, non essendo di sua competenza, e i media cercano di farla passare sotto silenzio o di minimizzarla. Ma i governi del mondo intero sono preoccupati del rischio che comporta. Questa pandemia si sta diffondendo sulla scia del virus biologico che oggi sta riempiendo gli ospedali. Passa dove passa il Covid-19, insomma. Anch’essa toglie il fiato. La paura del contagio sta infatti provocando il contagio della rabbia. I primi sintomi di malessere tendono ad aggravarsi, trasformandosi prima in frustrazione, poi in disperazione, infine in rabbia. Rabbia per la scomparsa, su decreto sanitario, delle ultime briciole di sopravvivenza rimaste.
È significativo che all’annuncio delle misure restrittive prese dalle autorità per prevenire il dilagare dell’epidemia, una sorta di arresti domiciliari volontari, siano stati proprio coloro che la reclusione dietro quattro mura la soffrono già quotidianamente per costrizione — i detenuti — a dare fuoco alle polveri. Vedersi privare dei pochi contatti umani loro rimasti, per di più col rischio di fare la fine dei topi in trappola, è sfociato in ciò che non si verificava da anni. L’immediata trasformazione della rassegnazione in furore.
Tutto è iniziato nel paese occidentale più colpito dal virus, l’Italia, dove lo scorso 9 marzo sono scoppiate sommosse in una trentina di prigioni subito dopo la sospensione dei colloqui con i familiari. Nel corso dei disordini dodici detenuti sono morti — quasi tutti «per overdose», secondo le infami veline ministeriali — innumerevoli altri sono stati massacrati. In una città, a Foggia, 77 detenuti sono riusciti ad approfittare dell’occasione per evadere (anche se per molti di loro, purtroppo, la libertà è durata troppo poco). Una notizia simile non poteva che fare il giro del mondo e chissà che non abbia ispirato le proteste che, a partire da quel momento, si sono diffuse fra i segregati vivi dei quattro continenti: battiture, scioperi della fame, rifiuto di rientrare in cella dopo l’aria… Ma non solo.
In Asia, la mattina del 16 marzo gli agenti delle squadre anti-sommossa fanno irruzione in due delle maggiori carceri del Libano, a Roumieh e Zahle, per riportare la calma; alcuni testimoni parlano di inferriate divelte, di colonne di fumo, di detenuti feriti. In America Latina, il 18 marzo, avviene un’evasione di massa dal carcere di San Carlos (Zulia), in Venezuela, nel corso di una sommossa scoppiata anche là subito dopo l’annuncio delle misure restrittive: 84 detenuti riescono ad evadere, 10 vengono abbattuti durante il tentativo. Il giorno dopo, 19 marzo, anche alcuni prigionieri del carcere di Santiago, in Cile, tentano la fuga. Dopo aver preso il controllo del loro settore, dato fuoco al posto di guardia ed aperto i cancelli del corridoio, si scontrano con le guardie. Il tentativo di fuga fallisce e viene duramente represso. In Africa, il 20 marzo, c’è un altro tentativo di evasione di massa dal carcere Amsinéné di N’Djamena, capitale del Ciad. Ancora in America Latina, il 22 marzo sono i detenuti del carcere La Modelo di Bogotà, in Colombia, ad insorgere. È un massacro: 23 morti e 83 feriti fra i detenuti. Di nuovo in Europa, il 23 marzo un’ala del carcere scozzese di Addiewell finisce in mano ai rivoltosi, e viene devastata. Negli Stati Uniti, quello stesso giorno 9 detenute scappano dal carcere femminile di Pierre (South Dakota) lo stesso giorno in cui una loro compagna di sventura è risultata positiva al tampone (quattro di loro verranno catturate nei giorni seguenti). Sempre il 23 marzo, 14 detenuti evadono da un carcere della contea di Yakima (Washington DC) poco dopo l’annuncio del governatore sull’obbligo di rimanere in casa. Ancora in Asia, la liberazione «provvisoria» di 85.000 detenuti per reati comuni in Iran non serve a placare la rabbia che cova in molte galere; il 27 marzo una ottantina di detenuti evadono dal carcere di Saqqez, nel Kurdistan iraniano. Due giorni dopo, 29 marzo, un’altra rivolta esplode in Thailandia nel carcere di Buriram, nel nord-est del paese, dove alcuni detenuti riescono a fuggire. E non solo le carceri, anche i centri in cui vengono reclusi gli immigrati clandestini sono in agitazione, come dimostrano i disordini scoppiati al Cpr di Gradisca d’Isonzo, in Italia, il 29 marzo.
Ma se le galere a cielo chiuso sovraffollate di dannati della terra sembrano oggi più che mai delle bombe ad orologeria che via via deflagrano, che dire delle prigioni a cielo aperto? Per quanto tempo ancora la paura della malattia avrà la meglio sulla paura della fame, paralizzando i muscoli ed offuscando le menti? In America Latina, il 23 marzo 70 persone assaltano una grande drogheria a Tecámac, in Messico; due giorni dopo in 30 saccheggiano un supermercato di Oaxaca. Lo stesso giorno, 25 marzo, dall’altra parte dell’oceano Atlantico, in Africa, la polizia deve disperdere a colpi di lacrimogeni la folla presente al mercato aperto di Kisumu, Kenya. Ai poliziotti che li esortano a chiudersi in casa, venditori e clienti rispondono: «sappiamo del rischio del coronavirus, ma noi siamo poveri; abbiamo bisogno di lavorare e di mangiare». Il giorno dopo, 26 marzo, la polizia italiana comincia a presidiare alcuni supermercati a Palermo, dopo che in uno di questi un gruppo di persone ha cercato di uscire con i carrelli pieni senza fermarsi alle casse.
Né si può dire che gli arresti domiciliari imposti a centinaia di milioni di persone abbiano fermato del tutto la determinazione di chi è intenzionato a sabotare questo mondo mortifero. Nella notte fra il 18 e il 19 marzo a Vauclin, nell’isola di Martinica, viene incendiato un locale tecnico della compagnia telefonica Orange, tagliando le linee telefoniche ad un paio di migliaia di utenti. In Germania poi, dove le misure di contenimento scattano il 16 marzo, gli attacchi notturni continuano inarrestabili. Il 18 marzo, mentre a Berlino vanno in fumo alcuni veicoli dei concessionari Toyota e Mercedes, a Colonia vengono infrante le vetrate della società immobiliare Vonovia. All’alba del 19 marzo viene attaccata un’agenzia bancaria ad Amburgo, mentre a Berlino viene incendiata l’auto di una impresa di sicurezza. Nella notte fra il 19 e il 20 viene data alle fiamme un’auto di militari riservisti a Norimberga in segno di protesta contro la crescente militarizzazione, a Werder vengono incendiati tre yacht, e Berlino perde un’altra automobile di una ditta preposta alla sicurezza. Nella notte fra il 20 ed il 21 marzo, a Lipsia viene incendiata l’ennesima auto di un’impresa legata a tecnologie di sicurezza. Quella stessa notte sia in Germania che in Francia c’è chi tenta di staccare la spina dell’alienazione. Il tentativo fallisce a Padernon, dove i teutonici pompieri salvano per un soffio un’antenna telefonica in procinto di venire avvolta dalle fiamme. La fortuna non arride nemmeno agli autori del danneggiamento di alcuni cavi di fibre ottiche nei pressi di Bram, in Francia. Parte del borgo rimarrà sì senza internet e telefono per diversi giorni, ma i responsabili saranno arrestati grazie a una soffiata di alcuni testimoni. La notte successiva, quella del 22 marzo, nei pressi di Amburgo l’auto di un doganiere va in cenere. Chi ha compiuto questa azione diffonderà un testo dove si può leggere: «È proprio in questo periodo di pandemia che si accompagna alla stretta e alla restrizione della libertà di movimento, che è ancora più importante preservare la propria capacità di azione e mostrare a se stessi, come ad altri sovversivi, che la lotta contro le costrizioni di quest’epoca continua, anche se appare folle e difficile. Se ci arrendiamo all’auspicio dello Stato di isolarci, se ci accontentiamo di scrollare le spalle di fronte alla minaccia del coprifuoco, gli diamo l’opportunità di continuare le sue macchinazioni…». Si tratta di un pensiero che scalda le teste in tutto il pianeta, se è vero che in quella stessa notte fra il 22 e il 23 marzo l’aeroporto internazionale della Tontouta, a Païta, Nuova Caledonia è stato preso di mira (vetrate infrante e veicoli doganali vandalizzati) da chi evidentemente non è d’accordo con le parole del presidente del Senato tradizionale, secondo cui «le decisioni prese nell’emergenza dalle autorità pubbliche senza una spiegazione immediata non devono incitare alla violenza».
Ma il fatto che più di altri potrebbe lasciare un segno profondo, brace che cova sotto le coltri del totalitarismo e da cui potrebbero scaturire scintille, è la sommossa (l’unica di cui sia arrivata una qualche notizia) scoppiata il 27 marzo non lontano da Wuhan, epicentro dell’odierna pandemia, al confine fra le province di Hubei e di Jiangxi. Migliaia di cinesi appena usciti da una quarantena durata due mesi hanno espresso tutto il loro apprezzamento e gratitudine per le misure restrittive imposte dal governo, attaccando la polizia che cercava di bloccare il passaggio sul ponte del fiume Yangtze.
Da un mese a questa parte, il mondo così come lo abbiamo sempre conosciuto vacilla. Nulla è più come prima e, come vanno dicendo in tanti pur di opinioni diverse, nulla sarà più come prima. A mettere in discussione la sua quieta riproduzione non è venuta affatto l’insurrezione, bensì una catastrofe. Reale o percepita che sia, non fa differenza. Non c’è dubbio che i governi faranno di tutto per approfittare di questa situazione e spazzare via ogni libertà rimasta, che non sia quella di scegliere quale merce consumare. Non c’è dubbio nemmeno che abbiano tutte le carte tecniche in mano per chiudere la partita, ed imporre un ordine sociale senza più sbavature. Ciò detto, è risaputo che perfino i meccanismi più solidi e precisi possono andare a catafascio per un nonnulla. Il loro calcolo dei rischi preventivati, ed accettati, potrebbe rivelarsi errato. Drammaticamente errato e, una volta tanto, soprattutto per loro. Sta anche ad ognuno di noi fare in modo che ciò accada.
[30/3/20]

Cile – Aggiornamenti sulla situazione di salute del nostro compagno Juan Aliste

compagne e compagni,
abbiamo la felice opportunità di comunicare che dopo piú di due anni dalla crisi epilettica causata dalla Malformazione Arteriovenosa
parietale destra del cervello c’è stato un progresso efficace nella soluzione clinica della MAV (malformazione).

La mattina dello scorso 19 marzo del 2020, nel bel mezzo di un nuovo “stato di eccezione”, Juan è stato trasferito dal Carcere di Alta Sicurezza (Santiago del cile) e sottoposto a una radiochirurgia, che attraverso i raggi gamma intervengono verso malformazione stessa.

Questa procedura è stata la risposta del team sanitario che dall’inizio ha valutato gli enormi rischi che comportava un’operazione celebrale convenzionale.
Questo intervento é stato eseguito grazie alla salute e alla forza fisica con le quali il nostro compagno ha saputo affrontare questi anni di reclusione, resistendo in particolare agli effetti di un epilessia sintomatica.

Ora siamo all’inizio della fine del processo, nonostante la grande tecnologia che è stata implementata e il successo dell’intervento, i risultati non saranno percettibili prima di un anno.

Anche in condizione di ostaggio dello Stato Terrorista e in vista di questa posizione presa dal potere, é stata motivo fondamentale la decisione da parte di Juan, di combattere per la sua vita e la sua integrità, di non smettere in nessun momento di pretendere l’attenzione medica necessaria. Questo si aggiunge alle volontá individuali che si sono potenziate con la gestione e la perseveranza degli ambienti piu vicini, come anche l’instancabile dedizione tradotta in azioni di solidarietá concreta, complicità e contributi ricevuti da questo e altri territori.

Attraverso queste parole è anche necessario riconoscere al team di neurologia e al personale medico, esterno alla gendarmeria che hanno ignorato le misure di ritardo sempre applicate dalle carcerieri.
L’abbandono da parte delle istituzioni è consuetudine, anche dal punto di vista sanitario, con chi viene incarcerato, tanto più con chi si dichiara nemico dello stato e dedica i suoi giorni e i suoi sforzi a combatterlo; il personale medico ha fatto il suo lavoro e ha impiegato le sue energie contro corrente, ci riteniamo fortunati ad esserci imbattuti in questo gruppo di persone che hanno baipassato saggiamente le differenti e orribili misure di sicurezza imposte dalla gendarmeria e polizia varia.

É per noi impossibile trascurare il contesto attuale di pandemia e le invivibili condizioni penitenziarie.

Sappiamo che per qualsiasi prigionierx, un contagio sarebbe una condanna a morte, pur mantenendo la certezza che le misure sanitarie non possano tradursi in isolamento e/o incomunicazione dex nostrx compagnx incarceratx.
Sappiamo che lo Stato assassino, violentatore e mutilatore mai cercherà di proteggerci.
Oggi nuove lotte per la vita e la liberazione si aprono in un percorso tra le sbarre, contro l’insalubritá, le restrizioni e il controllo sociale.

FINCHÉ ESISTRÁ MISERIA CI SARA RIBELLIONE!

Ovunque siamo e in qualsivoglia situazione, sempre:
Nemicx dello Stato!

-Amicx, compagnx e familiari di Juan Aliste Vega-

Marzo 2020