The Plague And The Fire

The Plague And The Fire

Passeggiando sull’orlo… un tuffo nel nulla

I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati.
(Albert Camus, La peste)

Caos… o no?

L’arrivo dell’epidemia in Italia è il punto di partenza di uno stravolgimento non ancora conosciuto. L’economia sta crollando. Centinaia di miliardi di euro sono spariti. Gli esercizi commerciali chiudono. Uffici pubblici, scuole, palestre… tutto è bloccato. Solo i supermercati e i negozi di prima necessità restano aperti e vengono giornalmente svuotati. Le persone per lo più escono di casa solo per fare la spesa. Spaventate, non parlano tra loro, ognuno cerca di fare il più in fretta possibile. Sembra quasi uno scenario pre-apocalittico, qualcuno potrebbe pensare che questo sia il preludio di un periodo di caos. Eppure la situazione odierna è tutto meno che caotica: milioni di persone rinunciano a uscire di casa in nome di una responsabilità collettiva farcita di patriottismo, lo Stato ordina e i cittadini obbediscono, chi per paura, chi per evitare ritorsioni; le relazioni per lo più sono mediate da supporti informatici e il contatto umano è divenuto oltraggio alla salute collettiva. L’economia si orienta sulle piattaforme via web, grosse multinazionali gestiscono interamente il traffico di merce e catene di supermercati diventano il principale punto di riferimento per soddisfare i bisogni. L’istruzione avviene tramite connessione a distanza, di certo ora le aule saranno silenziose… Cosa ci sarebbe di caotico in tutto ciò?
Certo, la situazione negli ospedali è tutto meno che sotto controllo, ma perché dovrebbe poi così stupire, lo Stato si è forse mai preoccupato della salute delle persone? La malattia più che una minaccia è un’opportunità di profitto o controllo.

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Eppure sappiamo anche che nel loro ordine, appena sotto la superficie, cova il disordine, si nasconde la ribellione, la sensazione di vita negata, più o meno raggiungibile e comprensibile dalle singole coscienze. Esiste un potenziale inespresso in termini di desiderio. Questo potenziale più viene bandito e negato più acquista pericolosità, perché potrebbe prendere fuoco in qualsiasi momento. O forse no, forse già tutto è perduto, solo noi (noi chi?) proviamo ancora passioni e desideri?
Eppure se nessuna delle due possibilità cambia la scelta individuale di continuare l’attacco al potere, cambia profondamente il modo in cui possiamo rifiutare l’idea dell’ineluttabile eterna riproduzione del presente stato di cose. Diamo forza, cercando di percepire la tensione soffocata, all’idea che un mondo altro sia possibile, e che questo non sia il migliore dei mondi, l’unico mondo possibile.

Alternativa o cogestione?

Come accade tuttavia in molti momenti storici in cui non è minata alla radice l’autorità del sistema sociale regnante, l’alternativa difficilmente riesce ad imboccare le strade dell’alterità, per ritrovarsi più spesso impantanata nella miseria della cogestione.
Cosa significa oggi aiutare a distribuire mascherine? Significherebbe o che viene concertata e coordinata la propria azione con la Protezione Civile ed il Comune oppure che è dietro l’angolo la repressione da parte di militari e poliziotti perché vengono violate le leggi ed i decreti che vietano di uscire di casa.
Questo sistema sociale ha creato un mondo dove vivono 7-8-9 miliardi di persone. Come diceva Huxley nel suo profetico romanzo “Il Mondo Nuovo”:

“La stabilità. Non c’è civiltà senza stabilità sociale. Non c’è stabilità sociale senza stabilità individuale.
La macchina gira, gira, e deve continuare a girare, sempre. E’ la morte se si arresterà. Un miliardo di persone formicolavano sulla terra. Le ruote cominciarono a girare. In centocinquant’anni ce ne furono due miliardi.
Fermate tutte le ruote. In centocinquanta settimane non ne rimane, ancora, che un miliardo; mille migliaia di migliaia di uomini e donne sono morti di fame. Le ruote devono girare regolarmente, ma non possono girare se non sono curate. Ci devono essere uomini per curarle, uomini costanti come le ruote sul loro asse, uomini sani di mente, uomini obbedienti, stabili nella loro soddisfazione. Gridando: ‘Bambino mio, madre mia, mio unico, unico amore’; gemendo: ‘Mio peccato, mio Dio terribile’; urlando per il dolore, rabbrividendo per la febbre, piangendo la vecchiaia e la povertà, come possono curare le ruote? E se non possono curare le ruote… Sarebbe arduo seppellire o bruciare i cadaveri di mille migliaia di migliaia di uomini e di donne.”

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Quali sono i nostri problemi e quali sono quelli del Dominio?
Dobbiamo forse risolvere il problema dell’inquinamento? Non ci iscriviamo a biologia, abbattiamo un traliccio dell’alta tensione per spegnere una fabbrica.
Dobbiamo forse risolvere il problema della povertà? Non fondiamo una banca etica, la rapiniamo e cerchiamo di distruggere il mondo del commercio ed anche quello della sua falsificazione “equosolidale”.
Dobbiamo forse risolvere il problema delle malattie? Non studiamo medicina, cerchiamo di abbattere questo sistema sociale. Perché l’azione rivoluzionaria non ristruttura la prigione, non la migliora. L’abbatte per creare il vuoto, per dare la possibilità alla vita di sbocciare.
L’alterità può infatti nascere solo dove non esiste il potere dello Stato, e soffoca se questi spazi in cui prova a germogliare non si allargano ma restano circoscritti a piccole sacche controllate.
Purtroppo i morti sono causati da questo mondo, dalle nostre scelte collettive di vita – anzi, di sopravvivenza. Non dalle nostre scelte individuali di lotta. Ed una rivoluzione è lastricata di sangue e di morti, perché questa è la condizione in cui questo sistema sociale ha messo l’umanità: non poter più esistere senza di esso. Come potrebbe esistere l’umanità senza la scienza del nucleare, dal momento in cui la prima centrale è stata accesa e la prima scoria prodotta? Il prezzo delle scelte di chi è vissuto prima di noi ricadrà sul futuro ancora per molti anni, ma non cominciare già da ora a pagare il debito di sofferenze non fa che aumentare le sofferenze complessive.

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Il freno d’emergenza è un pericolo.
Se non lo tiriamo, però, il Dominio continuerebbe ad approfondirsi, andando a cambiare ed a dominare anche materialmente le nostre esistenze. Per questo non è possibile accettare cogestione, né rinviare la conflittualità che dovrebbe essere permanente: perché il disastro è il loro e loro devono pagarlo. E deve finire.
Chi vuole un mondo di libertà non è responsabile dei massacri del Dominio, neppure di quelli che avverranno domani o dopo il suo crollo. Chiaramente non bisogna perdere di vista la conseguenza tra mezzi e fini, ma occorre anche saper guardare al mondo con un certo distacco.

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Tuttavia, è anche vero che il ritmo di questi giorni è forsennato, e la coscienza del disastro diventa sempre più lampante ai più. Che accadrà quando la paura lascerà il campo al desiderio di speranza o alla speranza del desiderio?
Un mondo inaspettato
E allora? Una situazione di questo tipo coglie impreparati.
Come amanti della libertà, aspiriamo a vedere le trame di questo regime d’emergenza sfaldarsi a causa di un’ingestibile focolaio di passioni. Eppure ci domandiamo anche come cambiano le possibilità di intervento quando tutta una serie di garanzie, soprattutto le più materiali, vengono negate o semplicemente diventano non più garantite dal sistema sociale e dal suo funzionamento. Come continuare ad avere rapporti e organizzarsi, per di più se si vive a grandi distanze? Come è possibile diffondere idee senza disperderle nel regno virtuale dell’opinione, se difficilmente è possibile comunicare al di fuori di uno schermo?
Per di più, se le comunicazioni e la memoria vengono affidate esclusivamente ai social network, che hanno il potere di eliminare e censurare tutto all’improvviso, come conservare il ricordo di ciò che accade, bombardati come siamo dalle notizie prodotte dall’eterno presente? Con quali mezzi è possibile farlo autonomamente quando stamperie e tipografie sono chiuse per decreto? E quali rischi comporta il tentativo di rompere questo macabro silenzio?

Guardando al passato

Uno sguardo al passato, in questo periodo, potrebbe essere un buon punto di partenza per cercare di orientarsi sulle scelte da compiere. Senza però distogliere la mente dal presente, che ci offre una prospettiva inedita ed unica.
Esperienze passate di individui e gruppi anarchici potrebbero illuminarci riguardo all’importanza del possesso di diverse capacità, conoscenze e mezzi che hanno permesso di dare del filo da torcere allo Stato e ai suoi mezzi repressivi.
Anche in tempi di guerra o dittatura militare, in cui le condizioni di precarietà erano ben più radicali di quelle attuali, c’è chi è riuscito a continuare a lottare, diffondendo idee di rivolta e mettendole in pratica. Ma quali sono questi fantomatici mezzi e quelle capacità di cui si parlava prima? Un esempio che può sembrare tanto banale quanto lampante è la possibilità di stampare autonomamente del materiale cartaceo in grandi quantità e in tempi brevi da poter diffondere.
Nel novecento era una pratica comune che chi redigesse un giornale avesse anche le conoscenze e i mezzi materiali a propria disposizione affinché fosse possibile stampare le copie da distribuire. In molte città erano diffuse tipografie clandestine dove era possibile per i compagni stampare i propri volantini, manifesti, opuscoletti, libri e così via. Così era ad esempio in molte città della Russia ai tempi del regima zarista e di quello bolscevico, o in Argentina sotto la dittatura di Uriburu, dove un Severino di Giovanni – da latitante – poteva passare in breve tempo dal rapinare banche a stampare libri ed opuscoli.
Altre possibilità sono relative alla conoscenza approfondita del territorio in cui si vive e del sapersi muovere in esso inosservati. Pensate a un Caracremada che per decenni è riuscito a compiere sabotaggi in territorio franchista, in compagnia o da solo, varcando i Pirenei ogni volta per tornare in Francia solo settimane più tardi. Se di certo le forme di controllo assumono sembianze diverse nella storia, riflettere sulle condizioni di chi le ha eluse in passato potrebbe essere propedeutico a sviluppare forme di evasione nel presente. Come si combina la conoscenza del territorio con la propensione contemporanea al nomadismo ed al continuo spostamento nello spazio? E se le attuali restrizioni imposte fossero di stimolo ad imparare a muoversi intelligentemente su un territorio, dovendo in qualche modo evitare di essere fermati?
Eppure è solo col tempo, e non nell’immediato, che è possibile far ciò. Ed ora che scenari ci si prospettano?

Guardando al domani

Semplificando, forse all’eccesso, ci si aprono solo due alternative. Ovviamente possiamo intervenire con la nostra azione, non siamo in balia degli eventi o in attesa che la Storia faccia il suo corso. La nostra volontà ha un peso ed un ruolo in ciò che avviene, tanto vicino a noi che in lontananza. La prima possibilità è che il Dominio riesca a trovare una propria nuova stabilità, normalizzando la situazione e continuando a riprodurre il suo mondo e le relazioni da lui prodotte. L’altra è che questo Dominio cominci a perdere pezzi, ad avvitarsi su se stesso in una sempre maggiore instabilità, crollare inesorabilmente.
I tempi potrebbero essere, per qualsiasi scenario, tanto rapidi quanto inaspettati.

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Nel primo caso occorrerebbe comprendere che cosa significa vivere in uno stato d’emergenza come questo e trovare il modo per non farsi in futuro bloccare nella propria azione da simili limitazioni esterne. C’è sempre una prossima volta.
Pensiamo a cosa accadrebbe se venissero in futuro oscurati e filtrati determinati siti. O se venissero disattivate le nostre SIM dei cellulari. Saremmo muti. Oggi più che mai, dato che non abbiamo nemmeno modo di stampare in quanto dipendiamo da aziende di stampa e copisterie e magari non abbiamo più nemmeno gli indirizzi delle persone con cui vorremmo comunicare. Pensiamo anche a tutti quegli elementi di conoscenze ed abilità che è necessario sviluppare nel tempo e non nell’emergenza. Oggi abbiamo ciò che abbiamo, i nostri limiti e la nostra ignoranza. O forse altri individui si sentono invece pronti? Ed un domani, come vogliamo sentirci? E cosa vorremmo saper fare?

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Nel secondo caso dovremmo essere in grado in primo luogo di sopravvivere e in secondo luogo di fare in modo che il Dominio non si ripresenti sotto altre spoglie. La città è facilmente isolabile e non è in grado di autosostenersi: necessita di rifornimenti che vengano portati dall’esterno per poter continuare ad esistere.
La città è fondamentalmente un luogo che potrebbe rivelarsi all’improvviso inospitale perché costruito ad immagine e somiglianza dei poteri che l’hanno plasmata ed è quindi funzionale solo ad essi. Le reti di relazioni potrebbero venir distrutte in un battito d’ali dalla fuga verso luoghi in cui è ancora possibile la sussistenza, dove non esiste solo cemento. Con l’impossibilità di procurarsi benzina e magari non poterci telefonare o scrivere mail, vivere insieme diventa necessario per poter vivere bene e cospirare insieme. Scegliere le persone con cui stare, se vogliamo stare con altre persone, perché il futuro potrebbe essere incerto. Se ci auguriamo che le antenne saranno bruciate e le infrastrutture crollate, occorrerà capire come reinventarci la vita, e dove. E forse conviene cominciare a porsi questi interrogativi, anche se abbiamo sempre pensato che il problema della distruzione fosse così enorme da non dover mai porci, nelle nostre vite, altre questioni. E cominciare a seminare qualcosa, perché non è detto che, con la produzione just in time, esistano ancora depositi di pasta da assaltare o magazzini da saccheggiare vicino a dove abitiamo(1). Il cibo potrebbe finire anche prima che sboccino i fiori.
Forse la Comune di Parigi sarebbe durata più a lungo se dalle campagne fossero insorti gruppi di rivoluzionari che in ordine sparso avessero attaccato le retrovie dell’esercito repubblicano rompendone l’accerchiamento.

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Quale di questi due scenari pensiamo che potrebbe essere più plausibile? A seconda dei luoghi e delle sensibilità le risposte potrebbero essere differenti.

Senza ricette, ma con le idee chiare

Usciamo dall’illusione che il crollo dello stato e del Dominio possa essere un processo uniforme. Su tutto il territorio mondiale le dinamiche e le tempistiche saranno diverse, a macchia di leopardo, rendendo in breve tempo più caotica e confusa la situazione.
Forse non avremmo mai pensato di scriverlo davvero, rassegnati come ormai siamo all’ineluttabile realtà del nostro mondo. Ma potremmo davvero riuscire a vedere la nascita di forme di vita altre. Sarà difficile giudicare, come eravamo abituati a fare, le diverse situazioni da lontano. 30 km potrebbero distanziare esperienze e modi di vita differenti, separati da un cordone sanitario di militari e polizia.
Non si possono dare ricette, oggi meno di ieri. Occorre intelligenza, generosità, sfrontatezza ed intuizione per capire cosa fare, dove e come, con che tempi. Quali sono i tempi della distruzione e della costruzione non è faccenda uniforme per tutte le sensibilità. Tuttavia una sola cosa potrà rendere traducibili le esperienze e comunicabili le intuizioni: la chiarezza di intenti. E che, in questo periodo di trasformazione, resti ben ferma la volontà di distruggere ogni forma di potere dal mondo in cui viviamo, dentro e fuori di noi.

Per l’Attacco, qui e ora.
Per la Vita, qui e ora.

Amici di penna

(1)  Riportiamo alla memoria questo vecchio contributo di A.M. Bonanno sulle prospettive insurrezionali e su alcune sue riflessioni rispetto alle capacità organizzative, mentali e fisiche che occorre sviluppare (cfr. ad esempio pg 21): https://collafenice.files.wordpress.com/2013/09/trascizione-incontro-23-giugno.pdf

La situazione in diversi CRA in Francia all’epoca del coronavirus

Mentre la gestione dell’emergenza dell’epidemia di coronavirus si diffonde in tutta la Francia, con l’imposizione dell’isolamento e i controlli di polizia nelle strade, all’interno dei luoghi di prigionia la violenza e la repressione dello Stato si fanno sempre più dure. E a essere toccate più duramente saranno le persone più vulnerabili: quelle che vivono per strada e/o che non hanno documenti.

Nelle prigioni e nei centri di detenzione amministrativa vi è la sospensione dei colloqui e di ogni altra attività collettiva, misure sanitarie ridicole e nessuna informazione data alle persone recluse. Tutto questo anche se dopo la diffusione massiva del Covid-19, molti paesi hanno chiuso le loro frontiere ai voli provenienti dalla Francia, impedendo i rimpatri e rendendo i CRA delle prigioni a tutti gli effetti.

Nei tribunali, mentre la maggior parte delle udienze è stata annullata e la maggior parte dex avvocatx ha smesso di andarci, JDL [giudicx per la libertà e la detenzione] lavorano e le convocazioni immediate continuano ad avere luogo, la prova che i sogni di prigionia dello Stato vanno ben al di là dell’isolamento per contenere il virus.

Alcune associazioni umanitarie che lavorano nei centri (Cimade, Assfam, France Terre d’Asile, Forum Réfugiée, l’Ordre de Malte) hanno smesso di venire nei Cra. Il personale addetto alle pulizie non è più nei centri, e in molti edifici non c’è più sapone disponibile per le persone prigioniere. Nella maggior parte dei centri di detenzione non c’è più o quasi più l’OFFI dunque non si possono più comprare sigarette o ricariche telefoniche. Infermierx e dottorx continuano a disprezzare le persone detenute, gli sbirri si tengono a metri di distanza da loro, nonostante sia evidente che gli unici che escono dai centri e che possono portare il virus all’interno sono loro…

Di fronte a tutto ciò le persone prigioniere non smettono di lottare e resistere in molti modi diversi. Il 16 Marzo, lunedì, a Vincennes, Mesnil-Amelot, Lyon e Lille-Lesquin le persone prigioniere hanno iniziato lo sciopero della fame. In alcuni centri sono anche stati appiccati incendi, vi sono state evasioni collettive, blocchi e ogni genere di sommossa (Metz).

Le persone detenute denunciano la mancanza di igiene, nessuna maschera né guanti per gli sbirri né per loro stessx, la violenza da parte della polizia e il disprezzo dex medicx, e chiedono la liberazione di tuttx.

Ecco diversi comunicati e testimonianze pubblicati dopo lunedì 16 Marzo, da far circolare il più possibile!

Comunicato dei prigionieri di Mesnil-Amelot:
CRA2
https://abaslescra.noblogs.org/de-toute-facon-le-resultat-pour-nous-cest-la-misere-communique-de-prisonnier-du-cra2-du-mesnil-amelot/
CRA3
https://abaslescra.noblogs.org/vraiment-on-nous-a-oublie-ici-comminuque-de-greve-de-la-faim-des-retenus-mesnil-amelot/
Comunicato dei prigionieri del centro di detenzione di Lille-Lesquin :
https://abaslescra.noblogs.org/on-prefere-mourir-de-faim-que-de-cette-merde-communique-des-prisonniers-du-centre-de-retention-de-lille-lesquin-du-15-mars/
Comunicato dei prigionieri del CRA1 di Vincennes del 16 Marzo :
https://abaslescra.noblogs.org/greve-de-la-faim-et-foutage-de-gueule-paroles-de-linterieur-du-cra-de-vincennes/
Testimonianza di un prigioniero di Lyon St Ex il 17 Marzo:
https://crametoncralyon.noblogs.org/temoignage-au-cra-de-lyon-st-ex-greve-de-la-faim-face-a-la-suppression-des-visites-et-des-audiences-et-la-crainte-des-prisonnier-es-face-au-coronavirus/

Dopo la grande giornata di lotte del 16 Marzo la situazione resta calda. La buona notizia è che dopo martedì un discreto numero di persone prigioniere in diversi centri sono state liberate, specialmente le persone comparse davanti al giudice, quelle che hanno potuto pagarsi un avvocato e quelle che sono in contatto con le associazioni che lavorano nei centri e che hanno chiesto la liberazione dex prigionierx. Ma le altre persone prigionierx sono rimaste rinchiuse in condizioni che erano disgustose già prima del virus, e come se la situazione non fosse già abbastanza grave, gli sbirri continuano a provocare x prigionierx, fanno circolare voci, lx fanno innervosire.

Gli sbirri hanno fatto spesso circolare delle voci riguardo la liberazione di tutti i prigionieri a Vincennes (e in altri CRA) questo lunedì, prima di smettere di parlarne. Da ciò che dicono le persone prigioniere del CRA di Vincennes, ci sono ancora una trentina di prigionierx laggiù. Se da un lato in alcuni centri vi sono delle liberazioni, in altri continuano le espulsioni verso delle destinazioni per cui siano ancora disponibili i voli o si continuano persino a rinchiudere altre persone: al Mesnil-Amelot il 16 e il 17 Marzo, di mattina, sono arrivate ancora nuove persone. Apparentemente sono sopratutto persone che escono dalla galera e vengono inviate direttamente al CRA. Così la pena per coloro che non hanno documenti è prolungata per altri tre mesi, con in più il rischio di contrarre il virus!

A Bordeaux un’azione giudiziaria collettiva ha permesso la liberazione di tutte le persone detenute del CRA, lo stesso per i CRA di Nimes e Montpellier che stanno per svuotarsi! A Tolosa un’azione dello stesso tipo sarebbe in corso per 62 prigionierx. A Rennes tutte le domande di messa in libertà sono state rifiutate mercoledì 18 Marzo. A Palaiseau, Strasburgo, Hendaye, Oissel, Plaisir le persone cominciano a uscire, visto che con la chiusura delle frontiere non possono più essere deportate. In alcuni CRA, a Hendaye come a Strasburgo, delle persone sono state trasferite da un centro all’altro.

In alcuni centri la situazione resta tesa, a Calais l’amministrazione del centro è contro le liberazioni, dicendo che è sia per proteggere le persone che per evitare che le persone prigioniere una volta uscite scappino in Inghilterra o in Belgio. Qualche persona è stata liberata tra martedì e mercoledì ma restano moltx prigionierx all’interno. Nel weekend scorso vi sono state delle retate, delle persone sul posto dicono che è il delirio totale, il CRA è sovraffollato, i materassi nelle celle sono messi a terra, 2 algerini sono stati deportati verso l’Algeria e un congolese verso la Repubblica del Congo. L’amministrazione blocca l’accesso ai dossier e rifiuta di comunicare la lista delle persone presenti e gli arrestati. Il tribunale libera col contagocce…

Aldilà dei CRA, anche nelle prigioni iniziano lotte e forme di resistenza, dopo la sospensione dei colloqui e delle attività collettive le persone prigioniere sono state trasferite in sedici prigioni in tutta la Francia, a Metz Epinal, Grasse Perpignan, La Santé, Angers, Nancy, Varennes le grand, Montauban, Aiton, Sequedin, Maubeuge, Douai, Valance, Saint-Etienne, Toulon. Mercoledì 18, al mattino, un prigioniero malato risultato positivo al coronavirus è morto nella prigione di La Santé, mentre i sindacati di polizia invitano le famiglie a calmare i loro parenti detenutx.

Più informazioni sulla situazione nelle prigioni qui:

Le Covid-19 : la prison dans la prison – video

Le rivolte e le lotte dex prigionierx ci indicano le responsabilità dello Stato nella crisi attuale.
L’unica soluzione: liberazione immediata di tutte e tutti i prigionierx, chiusura e scomparsa immediata dei CRA!

Più che mai è importante chiamare le cabine nei CRA (i numeri qui https://abaslescra.noblogs.org/numeros-des-cra-cabines-et-associations-mis-a-jour/), far circolare le parole delle persone prigioniere e quello che accade all’interno, e di mostrare solidarietà all’esterno!!

Fonte: hurriya.noblogs.org

La situazione in diversi CRA in Francia all’epoca del coronavirus

 

Italia – Nei centri per il rimpatrio nessuna protezione contro il coronavirus

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“Gridavamo libertà, libertà”, dice Ylian, con la voce spezzata dalle lacrime, mentre racconta di aver protestato il 18 marzo dietro alle grate del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma, chiedendo di essere rilasciata, perché teme per la sua salute insieme a una quarantina di donne, rinchiuse da settimane nel Cpr in una situazione di promiscuità mentre fuori la pandemia avanza.

“Qui dormiamo in camere da sei o da quattro, mangiamo tutte insieme, usiamo gli stessi servizi. Non tutte rispettano le norme igieniche e di sicurezza”, racconta la donna di 26 anni, che è rinchiusa nel centro di detenzione da più di un mese. Nel centro sono ospitate in tutto circa 120 persone, tra settore femminile e settore maschile.“Vediamo in televisione quello che sta succedendo fuori e abbiamo paura”, continua. È arrivata in Italia sei mesi fa con un visto turistico, poi alla scadenza del visto è rimasta nel paese da irregolare, dice di essere vittima di tratta e di non poter tornare nel suo paese, Cuba, per timore di essere perseguitata. Ha fatto domanda di asilo ed è in attesa di una risposta, ma in ogni caso è rinchiusa in un centro di detenzione, perché non ha un permesso di soggiorno valido, è una sans papier, un’irregolare.

Senza un protocollo
Nonostante la maggior parte dei voli di rimpatrio sia stata sospesa a causa dell’epidemia di coronavirus, i centri di detenzione per il rimpatrio italiani continuano a funzionare a pieno regime, senza che sia previsto nessun protocollo di sicurezza, né per gli ospiti né per gli operatori e i poliziotti che ci lavorano.

Sono circa quattrocento le persone rinchiuse nei Cpr italiani in un regime di detenzione amministrativa e se qualcuno dovesse risultare positivo al test del coronavirus, non ci sarebbe una procedura stabilita per affrontare la situazione. “Nessuno rispetta la distanza di sicurezza di un metro, non ci sono né mascherine, né guanti, né disinfettanti”, racconta la donna. “Chiediamo che ci facciano stare recluse in casa o che ci tengano nelle comunità, nei centri di accoglienza, ma non qui dentro, dove la sicurezza è impossibile”.

Mentre l’Italia sta vivendo la più grave emergenza sanitaria della sua storia, in alcuni contesti come i Cpr o le carceri, non valgono le stesse regole esistenti all’esterno e questo alimenta tensioni e paure. Per gli stranieri, ma anche per gli operatori. “Ogni volta che entra un nuovo o una nuova, siamo terrorizzati anche da un semplice raffreddore”, spiega Ylian. “Ho smesso di mangiare per la paura di prendermi la malattia negli spazi comuni come la mensa”, conclude.

“Gli ingressi non sono bloccati, ma la maggior parte dei voli di rimpatrio è sospesa”, conferma il direttore del Cpr di Roma, Enzo Lattuca. “Non ci sono possibilità reali di rimpatrio per il momento”, continua il funzionario. Il prefetto ha mandato tre circolari sulla salute degli ospiti dei Cpr, tuttavia non ci sono protocolli nazionali prestabiliti, né per gli operatori, né per gli ospiti e tutto è affidato al buon senso dei gestori. “Abbiamo preso delle misure: abbiamo sospeso le visite delle associazioni come quelle antitratta per evitare che il centro sia sovraffollato, abbiamo comunicato con dei cartelli in tutte le lingue la necessità di prendere precauzioni”.

Ma nessun documento ufficiale, né tantomeno il decreto governativo Cura Italia menziona le misure necessarie da adottare per garantire sicurezza in questo tipo di realtà. L’operatrice antitratta Francesca De Masi conferma che da due settimane sono sospese le visite delle associazioni come la sua nel centro, per ragioni di sicurezza.

“Come fai a imporre il distanziamento sociale in una struttura dove le persone dormono in moduli ristretti?”

“A differenza degli istituti di pena italiani, dove il governo ha diramato delle direttive, per quanto riguarda i Cpr non c’è stata un’iniziativa da parte del ministero dell’interno. In alcuni casi sono stati gli stessi enti gestori a chiedere dei chiarimenti alle prefetture per il Covid-19”, conferma Elena Adamoli dell’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

In tutta Europa
Tra dicembre e gennaio i centri per il rimpatrio sono stati protagonisti di proteste e rivolte per via delle condizioni di vita dei reclusi e molte strutture sono state danneggiate o ridimensionate. Tuttavia, nonostante l’emergenza sanitaria delle ultime settimane, non è stata disposta una loro definitiva chiusura. “Tutte le inadeguatezze di queste strutture che abbiamo sempre denunciato in questa situazione appaiono in maniera ancora più eclatante. Come fai a imporre il distanziamento sociale in una struttura in cui le persone dormono in moduli ristretti e usano gli stessi bagni?”, chiede Adamoli.

“Un caso positivo potrebbe scatenare situazioni di disordine e rivolte, di questo sono coscienti anche i poliziotti e gli operatori”, continua. “I momenti di frizione si hanno proprio quando arriva un nuovo ospite nel centro”. I nuovi ingressi sono sottoposti a un isolamento di 48 ore, che però non sembra sufficiente a garantire la sicurezza. Il garante nazionale in due lettere inviate al ministero dell’interno ha sollevato la questione della legittimità del trattenimento di queste persone che non hanno nessuna prospettiva di essere rimpatriate.

“Siamo in una situazione di pandemia, tutte le frontiere sono chiuse, i voli sono sospesi, e questa situazione andrà avanti per almeno altri due mesi. Per questo tra l’altro abbiamo chiesto al ministero di rilasciare tutti quelli che sono vicini alla scadenza: è illegittimo trattenerli in queste condizioni”, afferma Adamoli. Il ministero dell’interno non ha mai risposto alle lettere del garante nazionale. “Il presupposto stesso dell’esistenza dei Cpr, cioè la possibilità del rimpatrio, è venuta meno. Quindi ci si chiede quale sia la legittimità dell’apertura di questi centri”.

Inoltre nei Cpr c’è un certo numero di richiedenti asilo che sono in attesa di una risposta da parte delle commissioni territoriali, che tuttavia hanno sospeso le loro attività per via del coronavirus. “Abbiamo un illegittimo trattenimento dei richiedenti asilo in questo momento”, continua la funzionaria. “In qualche modo bisognerà valutare la possibilità di ridurre le presenze all’interno di questi centri”.

Anche il Legal team Italia, gli attivisti della campagna Lasciatecientrare e l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), hanno chiesto in un appello di sospendere gli ingressi nei Cpr. “Quello che si rileva principalmente riguardo ai Cpr è che le misure di contenimento previste non appaiono adeguate sia per i limiti strutturali che impediscono il mantenimento delle distanze di sicurezza sia per l’assenza dei dispositivi di prevenzione e delle misure igieniche previste dalle disposizioni e raccomandazioni nazionali di tutela sanitaria”, spiega Anna Brambilla dell’Asgi.

A tutto ciò si aggiunge che i rimpatri non sono di fatto possibili con il conseguente rischio di dilazione dei termini del trattenimento. “Per tutti questi motivi chiediamo che sia disposta l’immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei Cpr, che siano disposte le misure alternative al trattenimento e che si proceda con la massima tempestività alla progressiva chiusura dei centri”, conclude Brambilla.

Anche in altri paesi europei come la Francia e il Regno Unito ci sono stati appelli simili. In Francia il 18 marzo diverse associazioni hanno chiesto il rilascio immediato delle circa 900 persone trattenute nei centri di detenzione francesi, perché in queste strutture nulla è cambiato mentre nel resto del paese sono state adottate misure drastiche per arginare la pandemia.

“Nei centri di detenzione le condizioni sono all’opposto di quanto raccomandato dal governo”, ha dichiarato David Rohi, responsabile della Cimade, un’associazione francese attiva all’interno dei centri di detenzione, che tuttavia negli ultimi giorni ha sospeso le sue attività. In seguito alle proteste diversi giudici, da Parigi a Bordeaux, hanno deciso di rilasciare i reclusi, spiegando che non c’erano le condizioni sanitarie adeguate per lasciarli in detenzione. Tuttavia il governo francese non ha per ora risposto alle richieste delle associazioni. Anche nel Regno Unito e in Spagna ci sono stati appelli simili. A Barcellona è stato chiuso il centro di identificazione e rimpatrio, dopo che gli ultimi cinque stranieri sono stati rilasciati con l’autorizzazione del giudice.

di Annalisa Camilli (Fonte: Internazionale.it)

Italia – Nei centri per il rimpatrio nessuna protezione contro il coronavirus

Torino – Militari e ordinanze sabaude

Come abbiamo già detto pochi giorni fa, chi ci governa non sta capendo granché circa la diffusione del contagio e gli scenari clinici che potrebbero perdurare, aggravarsi o vedere un miglioramento. Il rapido succedersi, con ritmo quasi quotidiano, delle ordinanze è evidentemente figlia di questa incapacità come mostrano le dichiarazioni dei vari amministratori locali che, ad appena qualche giorno di distanza dall’applicazione di queste misure sbraitano inferociti: “Le misure finora adottate non sortiscono alcun effetto!”.

A completare il quadro il tentativo di scaricare le responsabilità dell’inefficacia di questi provvedimenti su chi continua a mettere il naso fuori di casa e specialmente sui furbetti del jogging, nel tentativo di far sfogare in tanti l’ansia e il malcontento crescenti sui propri vicini di casa. Un altro terreno su cui si affastellano dichiarazioni e misure contradditorie, con ritmo quasi quotidiano, è quello del lavoro. La vaghezza delle disposizini è fortemente voluta così da permettere, quando i rapporti di forza tra lavoratori e padroni sono particolarmente favorevoli a questi ultimi, di continuare l’attività. Riguardo alcuni comparti dell’economia ritenuti realmente strategici  le disposizioni sono invece di una chiarezza cristallina, arrivando ad invocare la precettazione. Confindustria si è fatta sentire e il governo ha già allargato la lista di attività produttive concesse, allegate all’ultimo decreto. Da segnalare come gli scioperi stiano nel frattempo continuando, in giro per l’Italia come nei dintorni di Torino.

Ciò che non dicono è che tutti gli strumenti per capire quanto è diffuso il contagio e quindi quanto realmente queste misure stiano sortendo effetto gli sono sfuggiti di mano, senza contare che ogni misura ha bisogno di tempo per mostrare dei risultati e sbraitare tre giorni dopo è perlomeno da mentecatti. Per questo, allo stato attuale, l’analisi degli spostamenti della popolazione tracciati tramite Istagram più che manifestare un presente distopico votato al controllo, per cui la controparte probabilmente non dispone ancora dei mezzi necessari, ci pare un tentativo di giustificazione ex post delle restrizioni adottate e in via di attuazione. Per non parlare poi delle ultime notizie di poche ore fa, che attesterebbero una tenue flessione della curva dei contagi giornalieri. Basta paragonarla all’altrettanta diminuzione dei tamponi giornalieri effettuati, almeno delle regioni più colpite, per capire che non si può assolutamente gridare al “picco”. Meno tamponi si fanno…meno contagi si trovano, per tagliare la questione con l’accetta.

Un altro motivo per cui stringere a dismisura e mettere un po’ di militari in strada  è che l’epidemia si sta insinuando nei palazzi del potere, negli organi burocratici e tra le forze di polizia. Sentire di non essere in grado di controllare un fenomeno che può mettere in quarantena non solo una popolazione, ma anche la sua classe di governo e sopratutto gli individui che compongono la macchina del comando, non può che mettergli una certa ansietta. Dotarsi di tutti gli strumenti per mantenere il controllo con le forze che hanno, è di prioritaria importanza. Checché ne dica l’ex comandante Alfa del Gis riguardo alla eccessiva confusione di questi decreti , auspicando la legge marziale per chi si fa una passeggiatina in spiaggia, ci pare che proprio le zone grigie che lasciano potranno essere un punto di forza per modulare l’intervento delle forze di polizia e dei militari e la loro durezza.

Cerchiamo ora di calarci brevemente nella nostra dimensione torinese e vedere gli sviluppi di questi primi giorni di misure a briglia sciolta. Dai palazzi della Regione è stata emessa un’ordinanza che avrà validità fino al 3 aprile, che aggiunge alcuni elementi all’ultimissimo decreto nazionale:

  • l’accesso agli esercizi commerciali sarà limitato ad un solo componente del nucleo familiare, salvo comprovati motivi di assistenza ad altre persone;
  • vietata la sosta e l’assembramento davanti ai distributori automatici “h24” che distribuiscono bevande e alimenti confezionati;
  • ove possibile, dovrà effettuarsi la rilevazione sistematica della temperatura corporea presso i supermercati, le farmacie e i luoghi di lavoro; disposto il fermo dell’attività nei cantieri, ad eccezione di quelli di interesse strategico;
  • vietato l’assembramento di più di due persone nei luoghi pubblici;
  • i mercati aperti sono sospesi fino a che non verranno elaborate misure per controllarne l’affluenza.

Con un salto nel recente passato ricompaiono i militari nelle strade, come ai tempi in cui Strade Sicure era in vigore sul suolo sabaudo. Solo che questa volta al posto dei gipponi ci sono i mezzi corazzati, che in coppia si aggirano per i quartieri dove viviamo accompagnati da Carabinieri o sbirri in borghese. Militari che a quanto pare non pattuglieranno tutta la città ma solo alcuni quarteri, Madonna di Campagna e Barriera di Milano, in continuità con le misure di controllo del territorio adottate negli ultimi mesi prima dell’emrgenza Covid. Che queste misure non abbiano del resto obiettivi sanitari, ma propagandistici e di controllo sociale, non lo sostengono solamente dei testardi bastian contrari come noi ma anche il locale questore De Matteis.

Come se non bastasse in questo back to the future, fanno capolino anche vecchie e accanite cariatidi: l’ex PM Antonio Rinaudo è stato nominato responsabile dell’Area Legale dell’Unità di crisi, e direttore della sede Eurspess sezione Piemonte-Valle d’Aosta.

Un altro elemento che dà la cifra della crescente tensione sociale e delle modalità variegate che verranno utilizzate per contrastarla e mistificarne le ragioni è l’aumento dei TSO: in una città dove il numero dei Trattamenti Sanitari Obbligatori è sicuramente già alto, con una media di meno di uno al giorno, si è già toccato il record di 9 casi in 24 ore.

Nel frattempo si palesano anche qui le prime, e per ora timide, avvisaglie di guerra civile. Tramite gruppi facebook molti abitanti segnalano la presenza di persone che fanno jogging o che sono troppo vicine le une alle altre. I pennivendoli delle testate giornalistiche riprendono video postati sui social per fomentare la situazione. Che importa poi se procrastinano anche false informazioni sanitarie, pur di nascondere le inadempienze dei governanti o le criticità strutturali, come ad esempio la tesi che le mascherine monouso possono essere lavate e riutilizzate. Cosa smentita dallo stesso Istituto Chimico Farmaceutico Militare, autore della ricerca, che ha negato qualsiasi “evidenza sperimentale”.

A Casale Monferrato, nell’alessandrino, un uomo di 65 anni in quarantena domiciliare è stato segnalato dai vicini di casa mentre usciva per fare la spesa, a nulla è valsa la giustificazione davanti alla Polizia (l’uomo avrebbe dichiarato di vivere solo e non sapere come provvedere ai propri bisogni) venendo così denunciato per delitto colposo contro la salute pubblica. Interessanti da questo punto di vista i numeri snocciolati sempre dal questore torinese di una media di 600 telefonate al giorno ricevute dalla Polizia di Stato che, solo mercoledì scorso, avrebbe accertato la veridicità di 220 segnalazioni su 395.

La guerra continua, insomma. Da Torino, per ora, è tutto

Macerie

 

Non arrendiamoci a “tacere e obbedire”

Sembra che tutta la responsabilità sia dei cittadini. Dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? La scienza non ha tutte certezze, quanto durerà la “temporanea” limitazione della libertà?

Ho letto su Facebook un messaggio molto eloquente: “Sì è vero, lo stato di diritto sta saltando; sì è vero, le nostre libertà sono decurtate al massimo. Ma si tratta di scegliere: o la vita o la libertà; e ancora più, o il sacrificio per gli altri o la nostra libertà”. Dopo questo post, leggo il comunicato del governatore lombardo, che di fronte ai numeri dei contagi che non scendono, minaccia misure ancora più restrittive. Come mio padre si rivolgeva a me bambina, così Fontana si rivolge ai lombardi: “Amici, se non la capite con le buone bisognerà essere più aggressivi. I numeri non si riducono […]. Per ora lo chiediamo, se si dovesse andare avanti chiederemo al governo di emanare provvedimenti più rigorosi”. Che provvedimenti saranno quelli “più rigorosi”? Che cosa c’è di “più rigoroso” dell’uscita con autocertificazione solo per i casi concessi?

Sembra di capire che la responsabilità di tutto ricada sui cittadini – abituati alla loro libertà, che reclamano il bisogno di fare un po’ di moto. E dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? Vi è amnesia delle scelte prese in un recente passato, scelte che hanno maltrattato e indebolito il sistema sanitario pubblico? Parliamo, per esempio, delle scelte della Regione Lombardia. Secondo i dati del Ministero della Salute (consultabili sul web) l’anno 2017 mostra questo: i ventilatori polmonari erano 1 ogni 4.130 abitanti in Lombardia; 1 ogni 2.500 in Emilia-Romagna; 1 ogni 2.250 abitanti in Toscana, e 1 ogni 2.550 abitanti in Veneto. Il rischio di collasso del sistema è già contenuto in questi numeri.

La responsabilità è l’arma che i cittadini nelle democrazie costituzionali hanno e che le norme, anche quelle che regolano un’emergenza come questa, presumono – non ci sono altre misure. Non si cono scorciatoie. Non c’è posto per la repressione militare e lo stato di polizia. In aggiunta, la nostra responsabilità non è illimitata e non può essere contrastata con la minaccia di maggiori repressioni. Ma vi è anche un risvolto etico in questa politica della minaccia: non possiamo come cittadini accettare di portare sulle nostre spalle tutto il peso dei limiti del sistema sanitario – del resto deleghiamo le funzioni di governo, non governiamo noi direttamente. E le scelte dei governi, nazionali e regionali, devono essere contemplate nell’attribuzione dei livelli di responsabilità. E invece, non abbiamo sentito ancora una parola di autocritica.

Non dovremmo vergognarci di mettere in dubbio questa logica di un’escalation della repressione. Se la nostra libertà è il problema, allora c’è poco altro da dire.

Ci viene detto che reprimere e chiuderci in casa è una soluzione temporanea. Ma quanto durerà il “temporaneo”? Gli scienziati non sembrano sicuri di saper dare una risposta certa – e sulle loro certezze si basano, invece, le scelte dei nostri governanti. Non conoscono ancora bene il modo in cui il virus si diffonde e come e se muta e spesso dissentono tra loro prendendosi anche a male parole in pubblico, come fanno i politici. Se la scienza sulla quale questo intero sistema di limitazione delle nostra libertà non ha certezza, perché scandalizzarsi tanto con noi profani che ci ostiniamo a cercare il sole e l’aria, e che stiamo lentamente andando in depressione? Dobbiamo per caso attendere il vaccino prima di uscire di casa? E dobbiamo sentirci in colpa per la resilienza di questo virus o subire reprimende da parte di chi ci governa per sollevare questi dubbi?

Più delle norme emergenziali, si deve temere l’espansione di questa mentalità dispotica, che vorrebbe neutralizzare dubbi e domande. Tacere e obbedire. Ma non è un male fare le pulci al vero se, sosteneva J.S. Mill, il vero si atteggia a dogma – se poi è un ‘vero’ in costruzione, allora i dubbi e le domande sono perfino un bene!

Fonte Huffington post

Andrà tutto bene. Solo se niente tornerà come prima…

Ci ha presi alla sprovvista, ci si aspettava più un’inondazione da scongelamento del circolo polare artico o un inaridimento globale piuttosto che interminabili acquazzoni tropicali o magari la fine delle risorse petrolifere. Qualcuno era più per una guerra nucleare o un’impennata globale di controllo totalitarista in nome di una qualche sicurezza sovranista.
Forse quasi nessuno si immaginava che prima di tutti sarebbe arrivata la pandemia di un virus poco letale, niente di eclatante tipo ebola o peste, ma un banale virus influenzale che se trova un terreno fertile (ovvero già indebolito) riesce a far collassare il sistema respiratorio. Un virus che uccide pochi ma che rende necessario l’avvalersi a macchinari e cure specifiche se il corpo da sè non ce la fa, sovraccaricando così il sistema sanitario, dato che si trasmette facilmente attraverso i cosiddetti portatori sani. Così subdolo da essere sottovalutato… ancora ai giovani delle zone meno colpite fa sorridere perchè presumono che al massimo gli verrà la febbre.
Insomma, una situazione sgradevole dato che ci ritroviamo a diventare cavie dei signor scienziati, non avendo ancora trovato una cura e c’è la possibilità che mai la troveranno poichè si tratta di un virus con capacità di mutazione notevole.
Comunque niente di che, eppure il sistema neoliberista non è in grado di reggere, sta sfiorando il collasso. Siamo chiusi in casa per questo dicono. Per evitare di portare il sistema sanitario al collasso.
E non è un problema solo di mala sanità (anche se gli sperperi dello stato in spese militari sono veramente imbarazzanti), nè un problema legale (prendere misure per evitare che il virus dilaghi è buon senso e altruismo, sperimentare meccanismi di controllo di massa è totalitarismo), è un problema complessivo, di cui ormai in molti da tempo parlano (mai purtroppo poi molto pochi agiscono):  questo sistema, questo stile di vita, questo modello economico e culturale capitalista, estrattivista, predatorio, ci sta portando all’estinzione.È da tempo che ne abbiamo le avvisaglie ma incoscienti continuiamo a vivere come accecati, pensando che questa (quella del progresso e dello stato “democratico”) sia l’unica strada possibile, l’unico modo di stare al mondo. Ogni volta riabbassiamo la testa e continuiamo la nostra vita fatta di piccole cose, piccole soddisfazioni (la carriera, il benessere), piccoli eventi nella nostra piccola rete di affetti (che esclude empatia e attenzione per tutto il resto).La situazione è chiara: lo Stato non è in grado di gestire l’emergenza ma non ci aspettavamo niente di diverso. Come possiamo pensare che si possano trovare soluzioni soddisfacenti da parte di un apparato che ci vuole asserviti e produttivi? Com’è che noi continuiamo a permettergli di prevedere misure per 60 milioni di persone che penalizzano chi non rientra nella classe privilegiata, isolando ancor di più nella paura i carcerati, gli operai, i migranti e senzatetto? La svolta autoritaria mira forse a proteggere e consolidare lo status quo dello stato-nazione? Certo fa rabbrividire pensar di riporre fiducia a chi millanta l’interesse della salute di tutta la popolazione, quando spende fondi pubblici per la militarizzazione del territorio ed il controllo sociale chiedendo però donazioni per finanziare la gestione dell’emergenza sanitaria poichè tutt’ora vi è una mancanza di tamponi, mascherine, respiratori, posti in terapia intensiva e così via.
Al contempo, nella logica del “far buon viso a cattivo gioco” trova spazio l’applicazione di misure strettissime per tutti, al fine di contenere il contagio. Il fatto che lavoratori della logistica nei settori concernenti i beni di prima necessità continuino a lavorare, alimentano dubbi e perplessità sulla gestione dell’emergenza in questione.
Ma non si riesce a trovare logica nel fatto che stiamo pagando il prezzo delle conseguenze degli errori commessi dalla classe dirigente (tagli all’istruzione e alla sanità per finanziare la difesa). Ma non abbiamo mai cercato nello Stato la soluzione ai problemi, non succederà oggi.

I mass media hanno fatto la rincorsa allo scoop, generando paranoia e terrore, tanto più ora con l’isolamento, milioni di persone saranno incollate agli schermi con sempre meno possibilità di confronto. La qualità delle notizie è pessima, la fondatezza delle informazioni dubbia, l’uso di tecniche di manipolazione è sempre più evidente. E’ scientificamente dimostrato che il nostro sistema immunitario si indebolisce quando siamo sottoposti a stati di stress e paura prolungati. Non oso pensare cosa possa succedere dopo settimane di isolamento e continua esposizione ad un certo tipo di informazioni.

L’assalto ai supermercati, alle farmacie, lo shopping online, la segregazione famigliare o individuale casalinga ci ricordano come l’organizzazione della nostra società sia suscettibilissima ad ogni cambiamento imprevisto e l’unica risposta che i molti produttori/consumatori possono dare è il mero cambio di stile di produzione e consumo (servizi online e smart working). Ci siamo spogliati di qualunque competenza e capacità di autosufficienza e ora che i punti di riferimento del nostro mondo vacillano non possiamo che affidarci di nuovo alle aziende di turno.
Questo come compagni dovrebbe farci riflettere molto: come possiamo pensare di costruire alternative se non sappiamo nemmeno occuparci di noi stessx e dei nostri bisogni primari?
Perchè non siamo statx in grado di costruire delle strutture al di fuori dello stato che ci potessero permettere di vivere fuori dal capitalismo? Ambulatori popolari, media liberi, scuole libertarie, orti collettivi, fattorie, centri di ricerca indipendenti, pensiamo di dover aspettare l’insurrezione per vederli fiorire? Saremmo in grado poi, su due piedi, di reinventarci la vita, senza strumenti e senza competenze?

Il capitalismo, affermata religione da ormai 60 anni ci ha completamente spogliatx di ogni autonomia e capacità se non quelle specialistiche che ci servono per lavorare per i padroni, impedendoci di prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari, recidendo ogni forma di solidarietà e mutuo appoggio. Lo lasciamo continuare a fare?
Ci vogliamo accodare all’assalto ai supermercati per mangiare la merda che ci fa ammalare? Vogliamo continuare ad affollare gli ospedali della malasanità, dove siamo numeri in una scala di priorità? Vogliamo continuare a lavorare per uno stato che opprime e reprime, che fa le veci solo degli imprenditori? O per aziende e multinazionali che ci lasciano a casa e ci rimpiazzano come fossimo pedine di un gioco di ruolo?

Gli scenari che ci si prospettano li stiamo già assaporando tutti: aumento del controllo sociale tramite la tecnologia e la militarizzazione, diminuzione delle libertà di spostamento, ancora più manipolazione mediatica, sfaldamento dei rapporti sociali, delega totale della gestione della salute a speciailisti che lavorano sui grandi numeri (con aumento degli studi genetici per prevenire l’insorgere di malattie).

Stamattina uno dei primi articoli che ho trovato casualmente nelle mie ricerche è stato questo:

https://www.milanofinanza.it/news/non-torneremo-piu-alla-normalita-ecco-come-sara-la-vita-dopo-la-pandemia-202003181729195935?fbclid=IwAR0tKsp-7y3teV_cDqPQ1S6SelUZt_MyQEyqndY6gaLl4RuR-hFQzGsYayo

Uno studio di Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review (il magazine della prestigiosa università americana) delinea un futuro ancora più distopico di quello che stavo immaginando (da notare la testata in questione..): in poche parole dice che il virus  non verrà debellato completamente con le quarantene visto che si è già diffuso in molti paesi. Quando saranno terminate le varie misure continuerà a diffondersi anche attraverso gli spostamenti tra i vari stati. Quindi per controllarne la diffusione verranno utilizzate delle misure di sicurezza tecnologiche come il controllo degli spostamenti tramite i cellulari, controllo sistematico della temperatura nei luoghi molto frequentati, richiesta di una specie di carta che dimostri di essere immuni al virus all’ingresso dei luoghi di lavoro, di aggregazione.
Inoltre, ciclicamente, ogni qual volta si avrà un picco di ricoveri verranno riapplicate le restrizioni. Qui sotto il grafico con le previsioni.

Non solo, si parla anche di “distanza sociale” che dovrà essere adottata in maniera permanente, i ricercatori la definiscono così: “Tutte le famiglie riducono del 75% i contatti al di fuori della famiglia, della scuola o del posto di lavoro”.

Prevede Lichfield “Ci si adatterà anche a queste misure, così come ci si è adattati ai sempre più severi controlli di sicurezza aeroportuale in seguito agli attacchi terroristici. La sorveglianza invasiva sarà considerata un piccolo prezzo da pagare per la libertà fondamentale di stare con altre persone.
Come al solito, però, il vero costo sarà sostenuto dai più poveri e dai più deboli. Le persone che hanno meno accesso all’assistenza sanitaria, o che vivono in zone più esposte alle malattie, saranno ora più frequentemente escluse dai luoghi e dalle opportunità aperte a tutti gli altri. I gig-worker, quelli che fanno lavoretti e sono molto in giro, come autisti, idraulici, istruttori di yoga freelance,  vedranno il loro lavoro diventare ancora più precario. Gli immigrati, i rifugiati, i clandestini e gli ex detenuti dovranno affrontare l’ennesimo ostacolo all’ingresso nella società.”.

Questo sarebbe piccolo prezzo da pagare?
Un altro articolo che mi ha sopresa oggi è pubblicato su Huffington Post.
Si intitola “Non arrendiamoci a tacere e obbedire” e denuncia la scarsità e la scarsa qualità delle informazioni che stiamo ricevendo e la manipolazione che stiamo subendo a fronte di limitazioni troppo strette.
“Non conoscono ancora bene il modo in cui il virus si diffonde e come e se muta e spesso dissentono tra loro prendendosi anche a male parole in pubblico, come fanno i politici. Se la scienza sulla quale questo intero sistema di limitazione delle nostra libertà non ha certezza, perché scandalizzarsi tanto con noi profani che ci ostiniamo a cercare il sole e l’aria, e che stiamo lentamente andando in depressione? Dobbiamo per caso attendere il vaccino prima di uscire di casa? E dobbiamo sentirci in colpa per la resilienza di questo virus o subire reprimende da parte di chi ci governa per sollevare questi dubbi?
Più delle norme emergenziali, si deve temere l’espansione di questa mentalità dispotica, che vorrebbe neutralizzare dubbi e domande.  Tacere e obbedire. Ma non è un male fare le pulci al vero se, sosteneva J.S. Mill, il vero si atteggia a dogma – se poi è un ‘vero’ in costruzione, allora i dubbi e le domande sono perfino un bene!”
Che dire?
Per fortuna gli articoli dei giorni scorsi sugli animali che ritornano a popolare porti, strade e canali e le immagini dell’inquinamento atmosferico che si riduce ci ricordano che il mondo continuerà anche senza gli umani e sarà un posto migliore e con meno sofferenza.

Nel frattempo almeno chi ha ben chiaro che la vita nel capitalismo non è vita e che la situazione non può che peggiorare esponenzialmente si potrebbe prendere un pò più sul serio e potrebbe provare ad organizzarsi…

Italia – Si defilano gli umani, ritornano gli animali selvatici

La reclusione domiciliare in seguito al coronavirus non causa solo isolamento e liti domestiche.
Da qualche giorno infatti una marea di animali selvatici hanno ripreso a vivere quei luoghi che fino a due settimane fa gli erano totalmente inospitali. Non che si possano considerare ospitali per l’umano, però è lui che li vive e li mantiene.
E così se qualcuno potesse dare una sbirciata fuori dalla propria casa-cella potrebbe incrociare una lepre, un capriolo, un lupo.. O ancora ammirare due anatre in una fontana, acque di nuovo limpide e delfini a solcarle.

I primi effetti positivi del rallentamento di questa società si iniziano a scorgere.

Italia – Ovunque potranno svolazzare droni caccia-trasgressori

Estesa, senza bisogno di un’autorizzazione specifica, ad ogni comune la possibilità di utilizzare droni per scovare chi dovesse uscire di casa senza permesso.
Al momento i comuni che li utilizzano sono Roma, Bari, Siena e San Severino, mentre a Monreale potrebbero arrivare a breve.

La domanda è sempre la solita: queste misure emergenziali verranno mai ritirate o diventeranno permanenti?