3. L’uomo per se stesso è nulla
Voi ridete sempre, e molto a sproposito, permettete che ve l’osservi. Non capite nulla! Nella comune di tali funzioni non ce ne sono. La comune è organizzata appunto perché di tali funzioni non ce ne siano. Nella comune questa funzione cambierà completamente il suo carattere attuale e ciò che qui è stupido là diventerà intelligente […]. Tutto dipende dalle condizioni e dall’ambiente in cui si trova l’uomo. Tutto deriva dall’ambiente e l’uomo per se stesso è nulla.
Rinchiusi dalla paura, poco dopo Weimar (ma sembravano passati anni), con le sinapsi blindate dal cortisolo, dal paracetamolo, dal ghiaccio al polo, polizia su polizia, paura su paura: l’ambiente e le condizioni in cui si trovarono le persone erano di fatto legati, a meno di non infrangere la legge, all’uso di un sistema tecnologico sovradeterminante e controllato; inoltre, si consideri il moltiplicarsi delle diagnosi, delle prescrizioni, della medicalizzazione in un mondo desertificato dalla vita e nocente di radiazioni e polveri, disseminato di megalopoli inumane votate al distanziamento sociale – sembra stupido, invece è sano.
Lontane dai precetti di Salute e Verità, più che da quelli di Intelligenza e Stupidità, le attuali comuni veleggiano verso orizzonti di utopie ben più misere di quelli sognati nelle loro antenate, perché oggi è utopia uscire di casa, avere relazioni sociali, esprimere dissenso; così il rifiuto di attaccarsi alla macchina basta a rendere l’uomo effettivamente comunità, ed è sufficiente non delegare all’apparato chimico-farmacologico e all’expertise tecnico-scientifico il totale controllo del proprio corpo e della propria vita per ritrovarsi all’improvviso un pezzo avanti, anche grazie alla paura che ha frattanto innescato la velocissima marcia indietro di tutto il resto.
Exempla ficta. Sapere che la luce non è solo quella dei monitor, dei lampioni o dei fari, delle auto, delle insegne o delle finestre accese; sentire spesso sulla pelle la pioggia il sole il vento, o il contatto di qualcun altro; riempirsi le orecchie e la testa di suoni che non escono da altoparlanti o sono prodotti da un motore; alzarsi tardi la mattina, o tornare a letto a fare l’amore; prendersi il tempo di parlare di cose sbagliate inutili folli o di tacere quanto si vuole.
Insomma dopo Weimar in pochissimi potevano godersi un’intera giornata senza dispositivi elettronici, e quei pochissimi erano quasi tutti nelle comuni. E anche solo per questo pochissimo, per quei pochissimi, le maglie del Reich si allentano, di pochissimo; e quel pochissimo di libertà è preziosissimo, e tutti vogliono goderlo e comunicarlo, ma in primis ovviamente vogliono tutti tutelarlo e proteggerlo, sì, tenerselo stretto e non perderlo.
L’utopia del fortino, più o meno barricadera, nella migliore delle ipotesi si alimenta di gioiose certezze: un certo grado di autonomia, forse di riconoscimento, relazioni e affetti reali, solide motivazioni; si alimenta sempre anche di molte incognite o assunzioni aprioristiche, quali ad esempio (come nell’infuriare di una tempesta, vela al minimo e incrociare le dita) l’idea che il trascorrere del tempo possa dare in qualche modo un vantaggio diverso da quello di condurre a termine la propria vita individuale in un modo o in un altro.
Ma ai tempi del totalitarismo di Verità e Salute è noto che non s’abbisogna del Controllo di Stato per assumere quotidianamente il terrore del conformismo, delle code e delle mascherine, del collasso economico ed ecologico, e non è nemmeno necessario che si sperimenti quotidianamente la realtà appena descritta: in effetti, anche chi godesse e tutelasse un fortino fastoso efficiente affiatato quanto si voglia non saprebbe esimersi dal gelido contatto di quel terrore, di quella paura, altamente contagiosa, che nell’aria stantìa dei dopo-festa al fortino potrebbe diffondersi in modo esponenziale.
E ciò, indubbiamente, sarebbe terribile.