La vigilanza estrema dei cittadini in Cina, effetto collaterale del Coranavirus che è venuto per rimanere

Negli ultimi due mesi, i cittadini cinesi hanno dovuto adeguarsi a un nuovo livello di intrusione del governo.

Entrare nel proprio appartamento o nel proprio posto di lavoro richiede la scansione di un codice QR, l’annotazione del proprio nome e numero di carta d’identità, della temperatura e della storia recente dei viaggi.

Gli operatori telefonici stanno monitorando i movimenti delle persone e i social network come WeChat e Weibo hanno aperto delle hotline per segnalare altri possibili malati. In alcune città, la gente viene addirittura ricompensata per aver denunciato un vicino malato.

Allo stesso tempo, le aziende cinesi stanno impiegando tecnologie di riconoscimento facciale in grado di distinguere dalla folla chi ha la febbre o chi non indossa la maschera. Esistono diverse applicazioni che, sulla base dei dati sanitari di ciascun cittadino, avvisano gli altri quando vengono avvicinati da qualcuno che è infetto o che è stato a stretto contatto con una persona infetta.

Oltre a chiudere intere città, le autorità statali hanno adottato una miriade di misure di sicurezza per contenere l’epidemia di coronavirus. Tutti coloro che devono far rispettare le regole, dagli alti funzionari ai dipendenti comunali, ripetono lo stesso ritornello: “questo è un tempo straordinario (feichang shiqi) che richiede misure straordinarie”.

Dopo aver infettato più di 80.000 persone e ucciso circa 3.000, il numero di nuove infezioni da coronavirus in Cina è già in calo, ma i cittadini e gli analisti si chiedono quante di queste misure straordinarie diventeranno ordinarie.

“Non so cosa succederà quando l’epidemia finirà, né oso pensarci”, dice Chen Weiyu, 23 anni. Impiegata a Shanghai, deve fare un controllo medico giornaliero alla sua azienda. Per poter andare al parco uffici deve scansionare un codice QR e registrarsi: “Il controllo era già ovunque, l’epidemia ha appena reso trasparente questa sorveglianza, che in tempi normali non si vede”.

Altri, come l’attivista di Guangzhou Wang Aizhong, sono più risoluti sul futuro. “Non c’è dubbio che questa epidemia abbia dato al governo un motivo in più per tenere d’occhio la gente, non credo che le autorità cancellino il livello di sorveglianza dopo l’epidemia”, dice. “Possiamo sentire un paio di occhi che ci guardano in continuazione non appena usciamo o soggiorniamo in un hotel, siamo completamente esposti alla sorveglianza del governo”.

Secondo gli esperti, il virus emerso a dicembre a Wuhan ha fornito alle autorità la scusa perfetta per accelerare la raccolta massiccia di dati personali e rintracciare i cittadini, una prospettiva pericolosa data la mancanza di leggi severe sull’uso dei dati personali.

La missione mira a salire lentamente per rimanere, dice Maya Wang, ricercatrice senior cinese di Human Rights Watch. Secondo lei, è probabile che utilizzino il virus come catalizzatore per aumentare il regime di sorveglianza di massa, proprio come le Olimpiadi di Pechino del 2008 o l’Expo di Shanghai del 2010: “Dopo questi eventi, le tecniche di sorveglianza di massa sono diventate più permanenti. **

“Con lo scoppio del coronavirus, la limitazione della libertà di movimento e il punteggio di rischio per tutti sono diventati presto una realtà”, dice Wang. “Con il passare del tempo vediamo un uso sempre più invadente della tecnologia e una minore capacità di resistenza da parte dei cittadini.”

“La sorveglianza invasiva è ora il nuovo standard”

Per molte persone in Cina, i nuovi livelli di sorveglianza pubblica sono ostacoli burocratici supplementari, più frustranti che sinistri, e una dimostrazione dell’incapacità del governo di gestire l’epidemia. Anche se gli alti funzionari ne parlano con orgoglio, il sistema di sorveglianza cinese è pieno di lacune. Ci sono state molte critiche al caso di un ex paziente infetto che è riuscito a viaggiare da Wuhan a Pechino a febbraio, molto tempo dopo l’entrata in vigore della quarantena.

L’attenzione del pubblico si concentra sull’applicazione del “Codice sanitario” Alipay. Utilizzata in più di 100 città, l’app distingue gli individui con uno dei tre colori in base ai loro recenti viaggi, al tempo trascorso nelle zone infette e alla vicinanza a possibili portatori del virus. Presto, i numeri identificativi saranno inseriti nel programma per consentire ad ogni persona di controllare il colore degli altri.

Un utente di Internet si è lamentato sul social network Weibo che il suo colore era cambiato da verde a giallo (che richiede la quarantena) solo per aver girato in macchina a Hubei, senza fermarsi. “Non posso nemmeno uscire a comprare pane o acqua”, ha detto un altro nella provincia di Jiangsu, dopo che il suo codice è inspiegabilmente cambiato in giallo dopo un viaggio di lavoro.

Molti lamentano che la domanda è solo “per la galleria” (xingshi zhuyi), un modo per i funzionari di livello inferiore di impressionare i loro superiori imponendo restrizioni ai cittadini. “Ho un codice sanitario, un pass per il mio complesso residenziale e un altro certificato sanitario, e non posso ancora entrare in casa mia”, ha scritto qualcuno nella sezione commenti. “È una cosa stupida, per favore, muoviamoci”, scrisse un altro.

Tra le misure ci sono soluzioni tecnologiche avanzate e soluzioni più comuni. Un esercito di dipendenti pubblici è stato dispiegato in spazi pubblici per sorvegliare i punti di ingresso, chiedere ai pedoni di scrivere i loro dettagli o interrogare le persone sui loro ultimi movimenti. I luoghi di culto, come le moschee, sono stati chiusi, e in molte città e regioni sono stati vietati incontri e persino cene per poche persone.

A febbraio, i dipendenti del governo della provincia del Sichuan hanno sciolto un gruppo di 10 persone che si erano riunite a una festa mahjong e li hanno costretti a leggere ad alta voce le scuse che hanno registrato in video. “Abbiamo fatto un errore, promettiamo che non ci sarà una prossima volta e terremo d’occhio anche gli altri”, si sente dire nel video, con la testa leggermente chinata.

Altri video pubblicati su Internet hanno visto funzionari locali legare un uomo a un palo o gettare la gente a terra per non aver indossato una maschera. Recentemente, sono stati licenziati gli agenti di polizia di Wuhan che sono stati ripresi mentre picchiavano un uomo per vendere verdura in strada.

L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua la scorsa settimana ha ricordato ai cittadini che chi viola le misure di prevenzione e controllo può essere condannato da tre a sette anni di carcere*, se si tratta di un caso particolarmente grave, come previsto dal codice penale cinese.

“La sorveglianza invasiva è già la ‘nuova normalità'”, ha detto Stuart Hargreaves, specializzato in diritto della privacy e dell’informazione presso la Law School dell’Università cinese di Hong Kong. “La domanda per la Cina è quale livello di sorveglianza, se esiste, la popolazione si rifiuta di tollerare”, aggiunge.

Alcuni temono che, in parte, le misure continuino perché i cittadini vi si sono abituati. Da Chengdu, Alex Zhang, 28 anni, lo collega alla teoria dello stato di emergenza del filosofo italiano Giorgio Agamben, che ha scritto sulla continuazione delle misure adottate durante le emergenze.

“Questo tipo di gestione e di pensiero per affrontare l’epidemia può essere utilizzato anche in altri settori, come i media, il giornalismo locale o i conflitti etnici”, dice Zhang. “La gente accetterà il metodo perché è già stato usato, diventerà la norma.”

NOTE AGGIUNTE:

* in italia 6 anni, no?

** stupisce un pò leggere questo sulla stampa borghese. Ormai, in tutto il mondo, I grandi eventi di questo genere (Olimpiade, Mondiaie, Grandi Expo…), sono serviti da pretesto per distruggere vita popolare e imporre nuove misure, nuovi sistemi….

Adesso, queste ristrutturazioni verranno presentate dal potere non più in nome del progresso, ma come indispensabili e per il nostro bene, per proteggerci…

Perché si deve andare a lavorare, ma non si può andare a correre?

Anche parti dell’informazione di Stato lasciano trapelare i dubbi dietro la facciata dell’unità nazionale

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La situazione “è gestita in modo schizofrenico”, dice il giuslavorista Valerio De Stefano che spiega che se da un lato c’è stata la limitazione delle libertà individuali, dall’altro si possono tenere aperte le fabbriche

L’eccezionalità dell’epidemia italiana di coronavirus corrisponde all’eccezionalità della sua gestione “schizofrenica”: da un lato la compressione estrema di alcune libertà individuali, dall’altro la discrezionalità per i titolari di impresa “di mantenere aperte le fabbriche”. La riflessione è del professor Valerio De Stefano, Research Professor of Labour Law all’università di Lovanio – una delle più antiche d’Europa – che ne ha parlato con l’AGI.

Nella crisi causata dal coronavirus, a detta dell’esperto, “la gestione politica ha lasciato alle imprese in modo unilaterale la possibilità di decidere di rimanere aperte”. Un diritto che “stride con una compressione delle libertà dei cittadini senza precedenti in nessuna democrazia e forse nemmeno nei regimi autoritari: si sta sostanzialmente mettendo un’intera popolazione agli arresti domiciliari e allo stesso tempo costringendone una fetta ad andare a lavorare”. Dal punto di vista del giuslavorista, in questo momento in Italia si sta verificando uno sbilanciamento di diritti egualmente garantiti dalla Costituzione: “Da un lato quelli alla libertà e alla salute, dall’altro quello al lavoro: in questa situazione di emergenza i primi due sono più importanti e non si può protendere verso il secondo”.

L’accusa dello studioso è infatti quella di aver “commissariato un intero Paese pensando alla gestione della crisi economica, mentre siamo ancora nel pieno di quella sanitaria”. La soluzione è “mettere in lockdown tutte le attività, mantenendo aperte soltanto quelle essenziali o la cui produzione non può essere fermata, come per esempio gli altiforni”.

Al contrario le misure che vietano le passeggiate o le corse al parco “rispondono all’esigenza di cercare capri espiatori in una situazione già gravissima: si impone alle persone di non uscire, anche se rispettano la social distancing, si espongono i runners al ‘social shaming’, mentre una buona fetta di persone è costretta ad uscire per andare a lavorare”. E’ questo il motivo per cui “il blocco dei trasporti peggiorerebbe la situazione” ad avviso dell’esperto: “Finirebbe per impedire anche a chi lavora in settori essenziali come quello sanitario o alimentare di svolgere un impiego essenziale per la collettività”.

Secondo De Stefano, inoltre “mancano controlli effettivi sul fatto che tutte le imprese abbiano seriamente implementato il lavoro agile, quando potevano farlo”. Infine lo studioso pone una domanda sulla geografia del contagio. L’epidemia ha colpito in modo più forte le regioni più produttive del Paese e in particolare le province Bergamo e Brescia che da sole concentrano gran parte della produzione con almeno mezzo milione di lavoratori attivi (il 73% delle imprese non ha chiuso, stando ai dati forniti dagli stessi industriali):  “Sono i sindaci ormai a implorare la chiusura delle attività. Dovremmo chiederci perché il contagio abbia corso così veloce in quelle regioni dove il tessuto produttivo non si è fermato. Non è di certo successo perché le persone vanno al parco”.

Da questo punto di vista si riscontra anche una carenza informativa a livello centrale: “Dovremmo ricevere ogni giorno, oltre al conteggio di contagiati e morti, anche i numeri su quale sia la percentuale delle imprese che hanno chiuso, altrimenti non abbiamo modo di capire che cosa stia davvero succedendo”.

AGI

Coronavirus, in Lombardia check sulle celle telefoniche: nonostante i divieti, il 40% non resta a casa

Se il modello è Wuhan, che è riuscita a bloccare undici milioni di abitanti, allora che lo sia davvero. «Vi controlliamo attraverso le celle telefoniche. Non uscite di casa, è assolutamente importante perché questa battaglia la vinciamo noi», avverte l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Messaggio rivolto ai milanesi sprezzanti dell’obbligo di restare a casa, anche se il lavoro permette la modalità smart e i negozi di alimentari sono nel raggio di 500 metri. Eppure, con oltre 200 morti ogni giorno nella regione, il coprifuoco in città non è ancora totale: negli ultimi 26 giorni i movimenti si sono ridotti del 60%, ma ciò significa che il 40% delle persone continua circolare.

RETE MOBILE
Troppe, sono convinti in Regione, perché si tratti solo di lavoro. Per sconfiggere il Covid-19 ogni arma è concessa e così la Lombardia si è trasformata in un Grande fratello. «Abbiamo attivato una tecnologia in collaborazione con le compagnie telefoniche di rete mobile. Fatto cento la movimentazione della popolazione il 20 di febbraio, quando non c’era l’emergenza, a oggi siamo purtroppo solo al 40% e dall’altro ieri a ieri siamo anche aumentati. E’ necessario stare a casa il più possibile, il 40% non è un dato sufficiente per dirci che possiamo contenere nel miglior modo possibile il virus», afferma il vicepresidente della Regione Fabrizio Sala. Che mostra un grafico con l’andamento degli spostamenti della popolazione: «Questi movimenti, tra l’altro, sono di persone che hanno cambiato cella telefonica, ovvero che si sono spostati per più di 300-500 metri», osserva Sala. Insomma, «c’è chi lavora e li ringraziamo», dice rivolgendosi a «chi sta svolgendo pulizie o chi si occupa di alimentari», persone «obbligate a lavorare per garantire ai cittadini che sono a casa di continuare a vivere bene». Costrette a prendere la metropolitana che ieri, alle sei di mattina e alla sera, era gremita causa taglio delle corse senza alcun rispetto della distanza di sicurezza. «Ma a chi si muove per motivi superflui chiediamo di stare a casa, perché il dato non è sufficientemente basso».

PIÙ RIGORE
Un’ulteriore stretta è in vista, preannuncia il governatore Attilio Fontana: «Non si può tornare alla vita normale, Milano ha bisogno di ancor più rigore». I comportamenti dei cittadini «sono cambiati ma in maniera non ancora sufficiente. Mi lascia perplesso che per uno, due giorni si rispettino rigorosamente le norme e poi diventa tutto un po’ più lasco. Non si può mollare l’attenzione, né tornare a una vita normale, dobbiamo essere sempre più rigorosi. La fermezza va implementata, non bisogna fare i furbi andando a fare la passeggiata senza motivo. E questo – conclude – vale per tutta la Lombardia e ancora un po’ di più per Milano». Un richiamo all’ordine arriva anche dal sindaco Giuseppe Sala, viste le scene di metro milanese piena come in un giorno qualsiasi: «Il fronte Milano tiene ed è importante che qui si resista alla diffusione del virus». Per due motivi: «Il primo per il nostro bene e la nostra salute, ma ce n’è un secondo, che resistendo diamo tempo al servizio sanitario e agli ospedali al fine di incrementare l’offerta di posti letto e in particolare di terapia intensiva. Per cui ognuno continui a fare la sua parte. Chi deve stare a casa stia in casa, chi deve lavorare per gli altri continui a farlo». E promette che sui mezzi pubblici non ci sarà più ressa: «In base alle indicazioni ricevute, Atm ha abbassato il livello di servizio, ma ci siamo accorti che in alcuni casi si stava troppo vicini sui mezzi e ho chiesto rapidamente di rimodulare il servizio. Cerchiamo ogni giorno di fare il meglio possibile».

Il messaggero

Coronavirus: esperti italiani testano app per tracciamenti

Nel team il fisico Foresti e l’esperto privacy Vaciago

Un’app che se installata sul telefono aiuta a ricostruire i movimenti delle persone positive al coronavirus e di chi è entrato in contatto con loro. La sta sviluppando un gruppo di esperti italiani, non è ancora scaricabile dagli store digitali e ci sono contatti con il governo “ma al momento non c’è nulla di nuovo”, spiega all’ANSA Luca Foresti, fisico e amministratore delegato della rete di poliambulatori specialistici Centro medico Santagostino.

All’applicazione stanno lavorando, oltre al Centro medico Santagostino, anche Giuseppe Vaciago, avvocato ed uno dei maggiori esperti nella protezione dei dati sensibili in Italia e le società tecnologiche Jakala, Bending Spoons e Geouniq.

“Vogliamo costruire un sistema tecnologico che possa andare nelle mani delle istituzioni per aiutarle a gestire la crisi, tenuto conto del fatto che non sarà breve e avrà una crescita, è importante avere strumenti che permettono di tracciare cosa succede sul territorio”, aggiunge Foresti.

La tecnologia alla base dell’app permette, a partire dai dati georeferenziati e anonimi, di individuare movimenti e interazioni delle persone, raccoglie un loro diario clinico come l’insorgenza della febbre e altri sintomi, e sulla base delle informazioni georeferenziate ad esempio capisce, molto prima dell’arrivo in ospedale, che in una zona c’è un focolaio. Il tracciamento, inoltre, permette di comprendere con quali persone il soggetto è entrato in contatto e se è scattata l’auto-quarantena.

“Le persone che scaricano e installano l’app sul cellulare diventano un nodo di raccolta di dati georefrenziata che aiuta tutti ma aiuta anche il singolo individuo ad avere informazioni puntuali su se stesso. Più persone ce l’avranno più l’app avrà un ruolo pubblico che farà capire tante cose”, sottolinea Foresti

“La privacy è tutelata – aggiunge – perché l’app è solo un punto di contatto tra il sistema e le persone senza rivelare dati personali, la stiamo testando e ci stiamo muovendo in modo rapido anche se ci sono tanti passaggi di tipo tecnologico e istituzionale. Nella situazione che sta vivendo l’Italia ci è sembrato un elemento da mettere in pista e lo stiamo facendo con le migliori competenze sul mercato. Il tempo è fondamentale in questo momento, è un momento delicato in cui devono parlare i fatti”, conclude Foresti.

Ansa

Coronavirus, Twitter elimina i post pericolosi

Via fake news, falsi rimedi, teorie ascientifiche e complottiste

Nella lotta al coronavirus, Twitter mette al bando tutti i post contrari alle linee guida offerte dalle fonti autorevoli in tema di salute pubblica. In un post, il social elenca una lista di contenuti che saranno eliminati dalla piattaforma, con priorità a quelli potenzialmente più dannosi, per cui sta istituendo un sistema globale di valutazione della gravità.

Ad essere cancellati da Twitter saranno i post che vanno contro le raccomandazioni delle autorità sanitarie per evitare il contagio e, in questo modo, incentivano comportamenti rischiosi, sostenendo ad esempio che la distanza di sicurezza è inutile. Via anche i tweet che descrivono misure protettive e trattamenti inefficaci, siano essi innocui, come consigliare l’aromaterapia per allontanare il Covid-19, o pericolosi, come suggerire di bere candeggina.

I tweet che negano fatti scientifici accertati sulla trasmissione del virus, o che propongono teorie complottiste (come sostenere che il Covid-19 sia un’invenzione per far crollare le borse o per far guadagnare chi vende disinfettanti) sono tra gli altri esempi di tweet bannati, insieme a quelli che seminano il panico (“le autorità hanno detto che i supermercati non saranno riforniti per due mesi”), che propongono metodi non scientifici di autodiagnosi e che attribuiscono a diversi gruppi etnici una maggiore o minore resistenza al contagio.

Ansa

Estensione zona rossa, no arancione

Da oggi 8 marzo e fino al 3 aprile – prorogabile – viene estesa la zona rossa a tutta la Lombardia e alle provicine di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Vercelli, Novara, Verbano Cusio Ossola e Alessandria .

La definizione di zona arancione dovrebbe indicare misure lievi, in realtà sarà vietato uscire di casa se non per motivi validi ed aggregarsi.

Genova – La violenza sulle donne in aumento. «Effetto del coprifuoco»

L’solamento anticoronavirus da un lato diminuisce le possibilità di contagio; ma dall’altra parte, per molte donne, può rappresentare un pericolo. La convivenza forzata rischia infatti di esasperare situazioni di violenza domestica già critiche. Questo l’allarme lanciato dai tanti centri antiviolenza che in questi giorni sono più che mai attivi per monitorare la situazione. Anche alla luce dei dati preoccupanti che arrivano dalla Cina, dove gli effetti della segregazione cominciano a vedersi adesso.

Dal 6 marzo, secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, il numero di casi di violenza domestica nella provincia di Hubei, è salito in maniera vertiginosa e a febbraio il numero è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. «In genere quando le donne stanno più a contatto con il marito o compagno violento, i casi aumentano in modo esponenziale. Ad esempio, subito dopo i weekend o le vacanze le segnalazioni raddoppiano – dice Mariangela Zanni consigliera Di.Re, Donne in rete contro la violenza -. Per questo ci stiamo preparando ad affrontare il dopo: temiamo un forte incremento delle richieste di aiuto». Un tragico bilancio che slitta nel tempo, anche se per molte la realtà si è già trasformata in un incubo a pochi giorni dall’entrata in vigore delle misure restrittive.

Nuove segnalazioni

«Tra lunedì e martedì abbiamo ricevuto cinque nuove segnalazioni. E, contando anche le telefonate di donne che già seguiamo, arriviamo a una ventina in soli due giorni – dice Manuela Caccioni, responsabile del Centro antiviolenza Mascherona -. Considerato che in genere riceviamo 35-40 chiamate al mese, siamo decisamente al di sopra dell’andamento medio. Direi che è allarmante. Noi comunque continuiamo a seguire tutte, non di persona ovviamente, ma via telefono e Skype». (tel. 349/1163601). Ma in questo contesto d’isolamento e di condivisione di ogni minuto della giornata con chi diventa un aggressore, anche soltanto chiedere aiuto può diventare complicato. «Alcune approfittano della momentanea assenza del marito, magari quando esce per portare la spazzatura; altre non ce la fanno e allora si sforzano di resistere e di non ribellarsi, almeno finché non sarà passato il peggio».

Con l’ulteriore preoccupazione, spesso, di dover proteggere dalle minacce anche i propri figli. «In questo momento alcune donne corrono sicuramente maggiori rischi e i loro figli sono più esposti ad assistere ad atti violenti – dice Chiara Panero del centro Per Non subire violenza -. Noi continuiamo però il nostro lavoro nelle case protette, dove sono ospitate 12 persone tra donne e bambini, utilizzando i dispositivi di protezione (mascherina, guanti, igienizzanti), dispositivi reperiti con fatica e non sufficienti. Inoltre, le donne che sono già seguite dal centro – da gennaio a oggi abbiamo ricevuto 85 richieste di aiuto – possono contattare le operatrici tramite telefono o via Skype (tel. 010 2461716/5 – pernonsubireviolenza@gmail.com)».E come sempre la responsabilità più grande ricade proprio sulle donne che devono sforzarsi di disinnescare un contesto potenzialmente esplosivo. «In questo momento le donne devono continuare a fare quello che già fanno, cioè gestire la relazione in modo da tutelarsi – dice Silvia Cristiani, psicologa e psicoterapeuta del centro Mascherona – per quanto sia possibile, devono cercare di ricavarsi spazi fisici propri dentro le mura domestiche per dedicarsi ad attività separate».

I riavvicinamenti forzati

Con il monito di non cadere nell’illusione che la vicinanza possa far recuperare l’unione familiare perduta. «Forzare un riavvicinamento con il marito potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio – dice la psicologa -. Certo se la richiesta viene dal compagno è meglio evitare il conflitto, quindi non bisogna opporre un rifiuto ma sempre cercando di cautelarsi». E il rapporto con i figli? «Potrebbe aiutare improntarlo sul piano del gioco, dell’accudimento – conclude l’esperta -. Potrebbe rappresentare un fattore di distrazione da altre dinamiche: quindi in molti casi concentrarsi sui bambini, specie se piccoli, può contribuire a proteggere le donne dal rischio di violenza».

 

Genova, la violenza sulle donne in aumento. «Effetto del coprifuoco»

Genova – Manifestazione di solidarietà per i detenuti, la Digos denuncia sei anarchici

Hanno violato le norme che proibiscono assembramenti su tutto il territorio nazionale

Genova – Gli agenti della Digos hanno denunciato sei attivisti dell’area anarchica, che nel pomeriggio dell’11 marzo avevano partecipato a una manifestazione vicino al carcere di Marassi. I militanti avevano affisso uno striscione solidarizzando con i detenuti, da giorni in tensione e in agitazione per la vicenda coronavirus, in linea con quanto accaduto nel recente passato in altre strutture circondariali. Lo striscione era stato appeso dalla recinzione del parcheggio del supermercato “Il Mirto”.

Le persone coinvolte nell’iniziativa, immortalate nelle immagini girate dalle telecamere dei circuiti di videosorveglianza, sono state identificate e denunciate per aver violato le norme anti-contagio e in particolare l’articolo del nuovo decreto che proibisce “ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico”.

Manifestazione di solidarietà per i detenuti, la Digos denuncia sei anarchici

Genova – “Resto a casa”, ma fuori città. E i ladri puntano le abitazioni vuote e i negozi chiusi

Le strade deserte possono facilitare gli spostamenti dei malviventi, furti anche nelle villette con i proprietari dentro

Genova – «C’è un fronte su cui è necessario vigilare: le prime case svuotate da chi è andato altrove a trascorrere questi giorni così complessi e i negozi chiusi dopo il decreto del governo. Alcuni interventi per furti, messi a segno o tentati, sono stati già fatti e con tutta la gente chiusa nelle proprie abitazioni e così poco passaggio in strada, certe incursioni potrebbero essere più facili. Ma tutte quelle compiute in questi giorni, si scopriranno solo quando si tornerà alla normalità e quegli immobili verranno riaperti».

A raccontare questo fenomeno è un investigatore delle forze dell’ordine. I reati commessi – o meglio segnalati – in città sono in drastico calo da almeno una settimana. Ma quando l’emergenza finirà, torneranno nelle loro residenze coloro che hanno scelto la seconda casa al mare o in campagna per lasciar correre questo tempo difficile. E potrebbero scoprire di essere stati derubati dai ladri.

Un discorso che vale, appunto, anche per gli esercizi commerciali e le attività la cui apertura non è stata garantita dal decreto del presidente Giuseppe Conte. Alcuni tentativi di effrazione si sono registrati nel centro città e nei vicoli, con i ladri che, anche quando sono riusciti a penetrare nell’attività presa d’assalto, non hanno trovato nulla da rubare. Questi casi sono stati segnalati al commissariato Centro. E non si esclude che a compiere questi tentativi, infruttuosi visto che molti commercianti costretti alla chiusura non hanno lasciato nulla di valore all’interno dei loro esercizi, potrebbero essere stati soggetti tossicodipendenti o comunque sbandati.

 

“Resto a casa”, ma fuori città. E i ladri puntano le abitazioni vuote e i negozi chiusi