I loro virus, le nostre morti

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«La speranza, al contrario di ciò che si crede,

equivale alla rassegnazione.

E vivere quello non è rassegnarsi»

Albert Camus, Noces

Le idee, lo diciamo da lustri, sono epidemiche. Circolano di testa in testa più veloci dell’elettricità. Un’idea che si appropria delle teste diventa una forza materiale, come l’acqua che mette in moto la ruota del mulino. È urgente per noi, Scimpanzé del futuro, ecologisti, cioè anti-industriali e nemici della macchinazione, rinforzare la carica virale di alcune idee messe in circolazione in questi due ultimi decenni. Per servire a ciò che potrà.

1) Le “malattie emergenti” sono le malattie della società industriale e della sua guerra al vivente

La società industriale, distruggendo le nostre naturali condizioni di vita, ha prodotto ciò che i medici chiamano non a caso «le malattie della civilizzazione». Cancro, obesità, diabete, malattie cardio-vascolari e neuro-degenerative, in buona sostanza. Gli umani dell’era industriale muoiono di sedentarietà, di malnutrizione e di inquinamento, quando i loro antenati contadini ed artigiani soccombevano per le malattie infettive.

Eppure è un virus che nella primavera del 2020 confina a casa propria un abitante terrestre su sette, come per un riflesso ereditato dalle ore più buie della peste e del colera.

Oltre ai più vecchi fra di noi, il virus uccide soprattutto le vittime delle «malattie della civilizzazione». Non solo l’industria produce nuovi flagelli, ma indebolisce la nostra resistenza a quelli passati. Si parla di «comorbidità», come di «coworking» e di «covettura», queste fecondazioni incrociate di cui l’industria detiene il segreto (1).

«“I pazienti che soffrono di malattie cardiache e polmonari croniche causate o aggravate da un’esposizione sul lungo termine all’inquinamento dell’aria sono meno in grado di lottare contro le infezioni polmonari e possono morire più facilmente”, avverte Sara De Matteis, professoressa di medicina del lavoro e dell’ambiente all’Università di Cagliari, Italia. È principalmente nelle grandi città che gli abitanti sarebbero più esposti a questi rischi (2).»

Ancora più efficace: la Società italiana di medicina ambientale ha scoperto un legame fra i tassi di contaminazione al Covid-19 e quelli del particolato fine presente nell’aria delle regioni più colpite d’Italia. Fatto già constatato per l’influenza aviaria. Secondo Gianluigi de Gennaro, dell’Università di Bologna [ndt: dalle testate italiane risulta dell’Università di Bari]:

«Le polveri stanno veicolando il virus. Fanno da carrier (vettore). Più ce ne sono, più si creano autostrade per i contagi. (3)»

Quanto al virus di per sé, fa parte di queste «malattie emergenti» prodotte dalle devastazioni dello sfruttamento industriale del mondo e dalla sovrappolazione. Dato che gli umani hanno dissodato tutta la terra, è naturale che il 75% delle loro nuove malattie siano zoonotiche, cioè trasmesse dagli animali, e che il numero di queste zoonosi si sia quadriplicato in 50 anni. L’ebola, la Sars, l’influenza H5N1 [ndt: aviaria], l’HIV, il Covid-19 e tanti altri virus animali diventati mortalmente umani per il saccheggio degli ambienti naturali, la globalizzazione degli scambi, le concentrazioni urbane, il crollo della biodiversità.

La sedentarizzazione di una parte della specie umana e la domesticazione degli animali avevano permesso la trasmissione di agenti infettivi dagli animali agli uomini. Questa trasmissione si è amplificata con l’allevamento industriale, il bracconaggio, il traffico di animali selvaggi e la creazione di parchi faunistici.

La deforestazione, le grandi opere, l’irrigazione, il turismo di massa, l’urbanizzazione distruggono l’habitat della fauna selvaggia e spingono meccanicamente quest’ultima verso le zone di habitat umani. Non sono il lupo e il pipistrello ad invadere le città, ma le città che invadono il lupo e il pipistrello.

La società industriale ci ammassa. Nelle metropoli, dove il flusso e gli stock di abitanti sono regolati dall’apparato cibernetico. La metropoli, organizzazione razionale dello spazio sociale, deve diventare, secondo i piani dei tecnocrati, l’habitat del 70% degli esseri umani da qui al 2050. Il loro tecnotopo. Città-macchina per l’allevamento industriale degli uomini-macchina (5).

Ammassati sull’intera terra, calpestiamo i territori dei grandi primati, dei pipistrelli, delle oche selvatiche, dei pangolini. Promiscuità ideale per i contagi (dal latino tangere: toccare). Senza dimenticare il caos climatico. Se temete il virus, aspettate che si sciolga il permafrost.

Bisogna ricordarlo? L’umano, animale politico, dipende per la sua sopravvivenza dal suo biotopo naturale e culturale (eccetto quelli che credono che “la natura non esiste” e che si pensano come delle pure (auto)costruzioni, sicuramente immuni alle malattie zoonotiche). La società industriale prospera su una superstizione: si potrebbe distruggere il biotopo senza intaccare l’animale. Duecento anni di guerra al vivente (6) [nde: diverse migliaia di anni, in realtà] hanno reso sterili i suoli, sfinito le foreste, le savane e gli oceani, infettato l’aria e l’acqua, reso artificiali l’alimentazione e l’ambiente naturale, devitalizzato gli uomini. Il progresso spietato delle necrotecnologie ci lascia una Terra spolpata fino all’osso per una popolazione di 7 miliardi di abitanti. Il virus non è la causa, ma la conseguenza della malattia industriale.

Ma meglio prevenire che curare. Se si vogliono evitare pandemie ancora peggiori, bisogna uscire dalla società industriale. Restituire il proprio spazio alla vita selvaggia – ciò che ne resta –, fermare l’avvelenamento dell’ambiente e diventare degli Scimpanzé del futuro: degli umani che da poco traggono il meglio.

2) La tecnologia è la continuazione della guerra – della politica – con altri mezzi. La società della coercizione, ci stiamo entrando.

Nessuno, tranne noi, si può dire sorpreso di ciò che succede. L’avevamo predetto, noi e qualcun altro, i catastrofisti, gli uccelli del malaugurio, le Cassandre, i profeti della sventura, nel 2009, in un libro intitolato “Alla ricerca del nuovo nemico. 2001-2025: rudimenti di storia contemporanea”:

«Dalla parola “crisi” derivano etimologicamente il setaccio, il crimine, l’escremento, la discriminazione, la critica e, ovviamente, l’ipocrisia, questa [intesa] come facoltà d’interpretazione. La crisi è quel momento in cui, sotto il giogo della catastrofe – letteralmente del ribaltamento (epidemia, carestia, sisma, intemperie, invasione, incidente, discordia) –, la società messa sottosopra ritorna al caos, all’indifferenziazione, alla decomposizione, alla violenza di tutti contro tutti (René Girard, La violenza e il Sacro, Il capro espiatorio, e tutta la teoria mimetica). Il corpo sociale malato, bisogna purgarlo e dissanguarlo, distruggere gli agenti patogeni che lo infettano e lo lasciano senza difese di fronte alle aggressioni e alle calamità. La crisi è questo momento di inquisizione, di rivelazione e di diagnostica, in cui ciascuno cerca sugli altri il segno nefasto che denuncia il portatore del maleficio contagioso, mentre trema perché non lo si scopra su di sé e si cerchi di farsi degli alleati, di essere in un gran numero, di essere tutte le altre persone. Tutte le persone vogliono essere come tutti gli altri. Non è davvero il momento di distinguersi o di rendersi interessanti. […]

E fra le più annunciate negli anni a venire, la pandemia, che mobilita tanto la burocrazia mondiale della sanità, quanto l’esercito e le autorità delle megalopoli. Nodi di comunicazione e focolai di incubazione, queste favoriscono la diffusione volontaria o accidentale della febbre dengue, del chikungunya, della SARS, o l’ultima versione dell’influenza, spagnola, aviaria, suina, etc. […] Ben inteso, questa “crisi sanitaria” viene da una “crisi di civilizzazione”, come si dice “malattia della civilizzazione”, inconcepibile senza una certa mostruosità sociale e urbana, senza industria, in particolare agroalimentare e dei trasporti aerei. […]

Si vede il vantaggio che il potere e i suoi agenti Verdi traggono dalla loro gestione delle crisi, molto più che dalla loro soluzione. Queste crisi, dopo aver assicurato pletore di posti e di missioni di esperti ai tecnocrati e ai gestori del disastro, giustificano ormai, nel caos annunciato del crollo ecologico, la loro influenza totale e durevole [ndt: gioco di parole: “durable” può essere inteso sia nel suo senso lett. di “durevole, duraturo”, ma anche in espressioni come “développement/économie durable” nel senso di “sostenibile”]. Dal momento che lo Stato e la sua polizia sono indispensabili alla sopravvivenza in un mondo nuclearizzato, l’ordine verde e le sue tecnologie di controllo, di sorveglianza e di coercizione sono necessarie al nostro adattamento ad un mondo sotto una campana articiale. Quanto ai pessimi Terrestri che – per debolezza o per malizia – compromettono questo nuovo balzo in avanti del Progresso, questi costituiscono la nuova minaccia alla sicurezza globale (7).»

A rischio di ripetersi: prima, non ci siamo; dopo, non ci siamo più. Prima, non si può dire. Dopo, va da sé.

L’ordine sanitario offre una prova generale, un prototipo dell’ordine Verde. La guerra è dichiarata, annuncia il Presidente Macron. La guerra, e ancora di più la guerra totale, teorizzata nel 1935 da Ludendorff, esige una mobilitazione totale delle risorse sotto una direzione centralizzata. Essa è l’occasione di accelerare il processo di razionalizzazione e pilotaggio dei senza-potere, in nome del primato dell’efficienza. Niente è più razionale né più destinato all’efficienza della tecnologia. L’isolamento deve essere ermetico, e noi abbiamo i mezzi per farlo rispettare.

Droni di sorveglianza in Cina e nella campagna piccarda; geolocalizzazione e videocontrollo dei contaminati a Singapore; analisi dei dati virtuali e delle conversazioni da parte dell’intelligenza artificiale per tracciare i contatti, gli spostamenti e le attività dei sospetti in Israele (8). Un’équipe del Big Data Institute dell’Università di Oxford sviluppa un’applicazione per smartphone che geolocalizza costantemente il suo proprietario e lo avverte in caso di contatto con un portatore del virus. A seconda del grado di prossimità, l’applicazione ordina l’isolamento totale o la semplice distanza di sicurezza, e dà delle indicazioni alle autorità per disinfettare i luoghi frequentati dal contaminato (9).

«I dati personali, in particolare i dati degli operatori telefonici, sono anche utilizzati per assicurarsi che siano rispettate le misure di quarantena, come in Corea del Sud o a Taiwan. È anche il caso dell’Italia, dove le autorità ricevono dei dati dagli operatori telefonici, hanno spiegato in questi ultimi giorni due responsabili sanitari della regione Lombardia. Anche il governo britannico ha ottenuto questo tipo di informazioni da parte di uno dei principali operatori telefonici del Paese (10).»

In Francia, Jean-François Delfraissy, il presidente del Comitato consultivo nazionale di etica e del «consiglio scientifico» incaricato della crisi del coronavirus, evoca l’eventualità del tracciamento elettronico nel corso di un’intervista radiofonica.

«La guerra è quindi un atto di violenza destinato a obbligare l’avversario ad eseguire la nostra volontà». Persino quelli che non hanno letto Clausewitz, sanno oggi che la tecnologia è la continuazione della guerra con altri mezzi. La pandemia è il laboratorio del tecno-totalitarismo, ciò che gli opportunisti tecnocrati hanno capito bene. Non si fa resistenza in periodo di incidenti nucleari o di epidemia. La tecnocrazia ci avvelena e poi ci opprime, col buon motivo di proteggerci dai suoi propri misfatti.

Lo diciamo da quindici anni: «La società del controllo, l’abbiamo superata; la società della sorveglianza, ci siamo; la società della coercizione, ci stiamo entrando.»

Quelli che non rinunciano allo sforzo di essere liberi converranno con noi che il progresso tecnologico è l’opposto e il nemico del progresso sociale e umano.

3) Gli esperti al comando dello stato d’emergenza: il potere ai piromani pompieri.

Dopo averci portato alla catastrofe, gli esperti della tecnocrazia pretendono di salvarci, in nome della loro competenza tecno-scientifica. Esiste solo una migliore soluzione tecnica, quella che risparmia vani dibattiti politici. «Ascoltate gli scienziati!» frigna Greta Thunberg. È a questo che servono lo stato di emergenza sanitario e il governo per ordinanze: a ubbidire alle «raccomandazioni» del «consiglio scientifico» e del suo presidente Jean-François Delfraissy.

Questo consiglio creato il 10 marzo da Olivier Véran (11), su richiesta del presidente Macron, riunisce degli esperti in epidemiologia, infettologia, virologia, rianimazione, modelizzazione matematica, sociologia e antropologia. Le pretese «scienze umane» sono come al solito incaricate di valutare l’accettabilità delle decisioni tecniche – all’occorrenza la coercizione in nome dell’interesse superiore della salute pubblica.

Eccellente scelta quella di Delfraissy, un uomo che vive al passo coi tempi, così come l’abbiamo scoperto in occasione dei dibattiti sulla legge di bioetica:

«Ci sono delle innovazioni tecnologiche che sono così importanti che si impongono a noi. […] C’è una scienza che si muove, che non può essere fermata. (12)»

In questi ultimi cinquant’anni, infatti, le innovazioni tecno-scientifiche ci sono state imposte ad una velocità e con una violenza senza eguali. Inventario non esaustivo: nuclearizzazione del pianeta; OGM e biologia sintetica; pesticidi, plastiche e derivati dell’industria chimica; nanotecnologie; riproduzione artificiale e manipolazioni genetiche; digitalizzazione della vita; robotica; neurotecnologie; intelligenza artificiale; geo-ingegneria.

Queste innovazioni, «questa scienza che si muove», hanno sconvolto il mondo e le nostre vite per produrre la catastrofe ecologica, sociale e umana in corso e i cui progressi si annunciano folgoranti. Queste innovazioni faranno procedere i loro misfatti grazie a 5 miliardi di euro che lo Stato ha assegnato loro approfittando della pandemia, uno sforzo senza precedenti dal 1945. Non tutti moriranno di virus. Alcuni ne usciranno bene.

Non si sa quanto di questi 5 miliardi andrà ad esempio ai laboratori di biologia di sintesi, come quello del Genopole d’Évry. La biologia di sintesi, ecco un’«innovazione così importante che si impone a noi». Grazie ad essa, e alla sua capacità di fabbricare artificialmente degli organismi viventi, gli scienziati hanno ricreato il virus dell’influenza spagnola che ha ucciso più della Grande Guerra nel 1918 (13).

Distruzione/riparazione: ad ogni colpo i piromani pompieri vincono. La loro volontà di potenza e la loro capacità di agire hanno devastato abbastanza la nostra sola Terra. Se vogliamo fermare l’incendio, tiriamo via gli accendini dalle loro mani, smettiamo di rimetterci [in quelle] degli esperti del sistema tecno-industriale, riprendiamo il controllo della nostra vita.

4) L’incarcerazione dell’uomo-macchina nel mondo-macchina. L’effetto cliquet della vita senza contatto.

Il contatto è il contagio. L’epidemia è l’occasione sognata di farci passare nella vita sotto comando digitale. Non ci voleva tanto, i Terrestri erano ormai già tutti impiantati di protesi elettroniche. Quanto ai ritardatari, riducono a gran velocità la loro frattura digitale in questi giorni, per sopravvivere nel mondo-macchina contaminato:

«Le vendite di computer decollano con l’isolamento. […] Vengono chiesti tutti i prodotti, dalle apparecchiature di alta qualità per le videoconferenze al pc col tele-lavoro, passando per la tavoletta o il pc a basso costo per attrezzare un bambino. Anche le vendite di stampanti procedono. I francesi che hanno i mezzi finanziari stanno ricostituendo il loro ambiente lavorativo a casa (14).»

Saremmo davvero degli ingrati a criticare la digitalizzazione delle nostre vite, nel mondo in cui la vita si mantiene con il wireless e senza-contatto (touchless). Telelavoro, teleconsulenze mediche, ordini di prodotti di prima necessità su Internet, cyber-scuola, cyber-consigli per la vita sotto una campana di vetro – « Come tenere occupati i vostri figli? », « Cosa mangiare? », « “Tutorial di isolamento” con l’astronauta Thomas Pesquet », « Organizzate un Aperi-skype », «Dieci serie per schiarirsi le idee», «Bisogna restare in tuta? ». Grazie a WhatsApp «“non mi sono mai sentita così vicina ai miei amici”, constata Valeria, 29 anni, capa di un progetto di intelligenza artificiale a Parigi (15).»

Nella guerra contro il virus, è la Macchina che vince. Madre-Macchina che ci mantiene in vita e si occupa di noi. Che colpo di acceleratore per il “pianeta intelligente” e le sue smart cities (16). Passata l’epidemia, quali buone abitudini saranno state prese, che gli Smartiani non perderanno più. Così, passati i bug e il periodo di adattamento, la scuola a distanza si sarà messa alla prova. Idem per la telemedicina che sostituirà i dottori nei deserti medici come fa in questi tempi di saturazione ospedaliera. L’«apparato generale» (Marx) del mondo-macchina sta rodando i suoi meccanismi con un esperimento a livello di un laboratorio planetario.

Niente per far preoccupare la sinistra ed i suoi portavoce. I più estremi, da Attac a Lundi Matin, stanno ancora a contestare a gran voce il capitalismo, il neoliberalismo, la cassa dei servizi pubblici e la mancanza di mezzi. Un’altra epidemia è possibile, con le maschere e il personale sanitario ben pagato, e non sarebbe successo nulla se l’industria automobilistica, le fabbriche chimiche, le multinazionali informatiche fossero state gestite collettivamente, seguendo i principi della pianificazione democratica assistita dal computer.

Abbiamo bisogno di maschere e di personale sanitario ben pagato. Abbiamo soprattutto bisogno di guardare in faccia l’imballarsi del sistema industriale, e di combattere il forsennato accecamento degli industrialisti.

Noi, anti-industriali, ossia coerenti ecologisti, siamo sempre stati una minoranza. Un saluto a Giono, Mumford, Ellul & Charbonneau, Orwell e Arendt, Camus, Saint Exupéry, e a tutti gli altri che avevano visto tutto, detto tutto. E che ci aiutano a pensare a ciò che ci succede oggi. Dato che abbiamo del tempo e del silenzio, leggiamo e meditiamo. Nel caso in cui ci incappassimo in un’uscita di emergenza.

Pièces et main-d’œuvre
Grenoble, 22 marzo 2020

Notes

1. Si ricordi che l’inquinamento dell’aria uccide ogni anno 48.000 francesi e più di 100 grenoblini.
2. http://www.actu-environnement.com, 20/03/20.
3. Idem.
4. Riviste Nature e Science, citate da Wikipedia.
5. Cf. Retour à Grenopolis, Pièces et main-d’œuvre, marzo 2020, http://www.piecesetmaindoeuvre.com
6. Cf. J.-P. Berlan, La guerre au vivant, Agone, 2001.
7. Pièces et main-d’œuvre, À la recherche du nouvel ennemi. 2001-2025 : rudiments d’histoire contemporaine, Éditions L’Échappée, 2009.
8. « Israël approves mass surveillance to fight coronavirus », https://www.ynetnews.com, 17/03/20
9. https://www.bdi.ox.ac.uk/news/infectious-disease-experts-provide
10. Le Monde, 20/03/20.
11. Il nuovo ministro della Sanità è un medico grenoblino, deputato LREM, dopo che ha sostituito la socialista Geneviève Fioraso, ex-ministra della Ricerca. Secondo Le Monde, « un ambizioso “sconosciuto” » che sa «piazzarsi» (lemonde.fr, 23/03/20).
12. Jean-François Delfraissy, intervista con Valeurs actuelles, 3/03/18
13. Virus ricreato nel 2005 dall’équipe del professore Jeffrey Taubenberger dell’Istituto di patologia dell’esercito americano, così come dai ricercatori dell’università Stony Brook di New York.
14. http://www.lefigaro.fr, 19/03/20.
15. Le Monde, 19/03/20.
16. Cf. « Ville machine, société de contrainte », Pièces et main-d’œuvre, in Kairos, marzo 2020 e su http://www.piecesetmaindoeuvre.com

(Testo pubblicato il 22/03 sul sito di Pièces et main d’œuvre. La versione italiana ha integrato anche qualche nota del blog Le partage).

L’abbecedario nell’epoca del contagio

Anestesia. Qualcosa che rende inermi. Non pensare. Te lo dicono loro. Non uscire. Ti proteggono loro. Tu sei l’untore. Sei il rischio. Il rischio non fa parte di un mondo programmato. Il programma sta nella realizzazione del dominio. E buonanotte ai suonatori.

Balconi. Se ti dicessero buttati giù. Tu lo faresti? Ormai loro detengono il verbo. Tutto è neutrale. Il virus colpisce tutti. Il tutto diviene il totalitarismo. C’è chi lotta dai balconi. E chi un balcone non ce l’ha? Ecco la perdita dell’immaginario. La morte della creatività. Se il balcone diviene la prigionia. Non sarebbe meglio evaderlo? Buttandosi. Non per morire. Ma per provare a vivere.

Carcere. Morti nelle carceri. Omicidi di Stato. Lo stesso panegirico senza morfina. Rivolta nelle gabbie. Chi sta peggio. Punta al meglio. La libertà. Un momento di sprigionamento. Con i suoi ribelli. Al di fuori. Avere la fierezza di affermare se stessi. Per andare contro se stessi. Il ruolo imposto. Fuori dalle scuole. Fuori dalle parrocchie. Che ciascuno cammini per il proprio piacere. Non abbiamo il tempo di stare al chiuso. Nella gabbia. La vita è breve.

Delatore. Droni nei cieli. Telecamere accese. Sbirri nelle strade. Sempre di più. Sempre più violenti. Spie dalle finestre. Il controllo è il cittadinismo. Oggi con in mano il telefono. Alla ricerca dell’applicazione giusta. Domani con un fucile. Alla ricerca dell’infame bossolo.

Effrazione. Scassare. Scassinare. Sabotaggi. Il virus non ferma chi si vuole riprendere quello che gli è stato tolto. Il silenzio dell’informazione. Non ne sappiamo un granché. Il tasto del giornalista. Come il manganello della guardia. Il coronadigos dilaga. Immunizzare questo morbo. Difficile ma possibile. Con la fine della sicurezza. La dimora dell’identico. Dell’ordinario. E l’inizio della libertà. La casa senza porte dell’imprevisto. Dello straordinario. La fine della merce.

Filo. Ricamare oppressione. Richiede sfruttamento. Tagliare i fili. I collegamenti. Non ricucire. Ormai c’è chi si vede solo in pixel. Se non lo si potrebbe fare. Usciremmo. Relazioni robotiche nell’era della tecnica. Relazioni faccia a faccia nell’era della passione. Si andrà a faccia a faccia con il nemico. Per trovare chi siamo. Intanto. Stacchiamo la spina.

Guanti. Socialmente senza contatto. Forte odore di artificialità. Non sappiamo più toccare le questioni. Un guanto è per sempre. Ma i guanti possono servire anche a proteggersi. Non da un’epidemia. Ma da un mondo di indizi. Buoni per i soliti repressori. Repressione e civiltà. Con i guanti.

Ho. Avere. Possedere. Detenere. E il divenire? Meglio essere. Esserci. Nel tempo. Contarsi. E via di Martin Heidegger senza rendersene conto. Quanti siamo. Si può fare. Siamo pochi. Non si può agire. Essere in pochi. Un altro modo di interpretare la vita. Essere in tanti. Accomodamento. Sentirsi un io perché si è noi. Ed ecco la disciplina. Le secchiate in faccia di realismo. La bruttura del bisogno. Dove il sacrilegio? E l’inimmaginabile? La dissonanza? Andare fuori ritmo. Per non stare al passo del potere. Preferendo l’inesprimibile. Meglio le vertigini. Grazie Arthur Rimbaud.

Invisibile. Qualcosa che non si può vedere. Impercettibile. Ti prende. Ne sei adulato. Certe volte ti spaventa. Mette in quarantena. Il corpo. Diventi un oggetto intoccabile. Come un soggetto. Sotto l’oggetto. Il ruolo. L’untore. La fandonia. Prima e ancora le radiazioni. Il mostro dell’annichilimento. Per fare la guerra al mondo. In una pace fra chi sfrutta. E chi è sfruttato. La sedizione. Oltrepassamento. Non se ne può più del genocidio. Ci avevano detto invisibilità. Ci hanno dato mitopoiesi. Contro tutti i nemici della libertà. Inimicizia cospiratrice. Che pugnali la politica. La sovversione è visibile.

Latente. Rimane nel circostante. Non riesce ad andarsene. Lo strumento. Per non trasformare. Qualcosa che dura da troppo tempo. Ci hanno provato. Dei ribelli. Le sovversive. Hanno attaccato. Altro che difesa. Altro che resistere. Ogni limite è da distruggere. La forza del potere è l’esistenza della sottomissione. Volontaria. Partecipata. Come un valore. In mezzo ad un mondo rinnovabile. Verde come il progresso. Rosso come il sangue delle sue conseguenze. Spazzare via Il virus. Che fa rima con servitù. Non sentite?

Morsa. Da una parte lo Stato ci schiaccia. Dall’altra il virus ci immobilizza. E allora ritorna Bazarov. Un pensiero. Il nulla. Crea. E allora Max Stirner. Partiamo dall’io. Per poi attraversare. Un viaggio. Nelle nostre passioni sfrenate. La catastrofe procede a balzi. Come la storia.

Nascosto. Alla ricerca dell’oro del tempo. Una vita in lotta per fare a cazzotti con le nostre certezze. Una congiura. Anche verso quello che lasciamo di noi. Al Dominio. Inesorabile. Come questo mondo. Omologante. Similare. Dove tutto. Convive con tutto. Altro. Per andare. Dove nessuno è mai passato. Per evocare. Quello che nessuno osa pronunciare.

Onniscienza. Hanno ragione. Il periodo dei Lumi. Con la scienza. Come con la religione. Gli individui sono polvere. E torneranno alla polvere. Basta ragioni. Incatenati all’empirismo. Alle provette. Il mondo. Il laboratorio di sperimentazione del controllo scientifico. Sterile. Come il più insensibile. Darsi all’irragionevolezza della rivolta. Esistenziale. Il salto. Si trova l’onestà. Di guardarsi allo specchio al mattino. Per non vedere il falso. Ma chi nel dolore. Provoca le sue ragioni. Perse nell’ignoto dei sensi. Che ancora si sentono.

Punire. Il sogno di vivere liberi. Minaccia chi? Il potere. L’autorità. Chi è guardia della legge. Qualcosa che sembra immutabile. Scolpita nel tempo. A loro il dovere di reprimere. Il loro vaccino. Sempre quello. Agli amanti della libertà. Il piacere di portare il caos. Scombussolare i piani del nemico. Portare il disordine fra le sue fila. Una scommessa. Niente certezze. Che queste le si lascino ai preti.

Qualità. Dati. Modalità d’uso. Istruzioni. Una sopravvivenza all’insegna dei tecnicismi. Dove la poesia diviene incomprensibile. Facilitazione nel già dato. Fidatevi. Ormai è tutta tecnica. Abbiamo tanti mezzi. Solo mezzi. Ricerchiamo mezzi. E per quale fine? C’è ancora un fine? Questione sconosciuta. Meglio essere replicanti. Funzioni su funzioni. La vita che assomiglia ad una cosa. Profonda materialità. Devastazione dei sensi. Apoteosi dell’oggettivazione. Incubando la fine. Senza un fine. Il gregge. Anche se il lupo inizia a belare. Sempre il gregge. Rinchiuso in confini. Le manette dentro le menti.

Respirare. Gas tossici. Devastazione rinnovabile. Effetti da contagio. I chiavistelli imposti. Le serrature. L’incubo dentro una stanza. Le porte chiuse. I confini si ergono. Fuori è buio pesto. Affannati nell’incredulità. La peste avanza. Eppure la catastrofe è già qui. Le possibilità? O Il possibilismo? Differenza. Abissale. I riverberi. Il ticchettio degli orologi. Da naufraghi ad ammutinati. Per sentire a pieno i polmoni. Per assaporare la vendetta della carne umana. Contro la macchina. E chi la fa funzionare.

SS. Un richiamo. Rimando storico. Nel contemporaneo. Niente di cui preoccuparsi. Ci sarà un ritorno. Alla normalità. All’abitudine. Il ritorno al lager. Il ritorno all’eugenetica. Il ritorno alla difesa dei privilegi. Il ritorno al manganello. Il ritorno al presente che non se n’è mai andato con i suoi lager della democrazia. Con i suoi privilegi dei ricchi. Con la sua eugenetica del dominio tecno-scientifico. Non preoccupatevi. Ieri Schutzstaffel. Oggi Sorveglianza Sanitaria.

Tecnologia. Legati agli schermi. Impantanati alle informazioni. Imbambolati a colpi di touch. O di click. Streaming. La festa della separazione. Il contatto è stato escluso. L’emozione elusa. Senza corpi. Senza pensieri. Pensare? Macché. Ripetere. Meccanicismo. Lo scientismo come unica ancora di salvezza. Sommersi dagli avanzi tecnologici quotidiani. Banalità che si susseguono. Dove c’è banalità si nasconde l’orrore. Il problema non è la tecnica. Ma il suo cattivo uso. Ecco la menzogna contemporanea. La tecnica ingloba l’esistenza. La fa avanzare. Inesorabile. Fetore di carogna. Senza un barlume di critica. Collegati e connessi. Vivi, mai!

Utopia. L’amore dell’imprevidibilità. Le avventure. Qualcosa di inaudito. Ostile a questo mondo. Gli orizzonti illimitati. Nessun risultato previsto. Eresia. Non approva. Non aderisce. Non reclama il consenso. Vive di critica. Non vuole mantenere. Meglio aprire nuovi sentieri. Lontano da strade già battute. Dove finisce la certezza. Si allunga l’ombra del dubbio. Biglietti dall’inferno per poter cogliere le stelle. Come evocò Charles Baudelaire. L’azione è sorella del sogno.

Vaccino. Si nutre di menzogne. Adattarsi alla norma. Contro l’obbedienza. La singolarità. Purtroppo schedati. Marchiati. Limitare i movimenti. Dissuadere l’autonomia. Rendersi sopportabili. La democratica tolleranza. Prima ci volevano spezzare. Oggi ci vogliono curare. Fra controllo e cura. Dove sta la differenza? Come disse Ivan Illich. L’aumento della cura aumenta il numero delle medicine. Sarà contento Big Pharma. Prima e ancora il mondo in uno sputo. Attraverso l’ispezione del DNA. Adesso. Dopo aver incatenato i corpi. Colonizzato le menti. Lo Stato vorrebbe scorrerci nelle vene.

Zattera. Complesso passionale l’individuo. Regresso tumorale il cittadino. Un mondo senza Dominio è impossibile da prevedere. Ogni volta che si riduce a programmare. Un rito. Per esorcizzare la paura dell’ignoto. La gioia è l’avventura del viaggio. Cantare il piacere della rivolta. Contro i pastori della felice novella. Ricercatrici dell’oltre. Sobillatori di idee. L’irriverenza che lancia sfide. Piuttosto che ristagnare. Dove le rovine stanno per seppellirci. Apprestarsi alla demolizione dell’edificio sociale. Evadere dalla realtà. Per aprirsi. Alla deriva.

L’abbecedario nell’epoca del contagio

Grecia – Comunicato di solidarietà con le detenute del carcere di Eleona-Thivas

La grande ondata di rivolte e mobilitazioni esplosa nell’ultimo periodo, ci ricorda che la lotta per la libertà, la solidarietà e la dignità non entra in quarantena.

In ogni parte del pianeta, dall’Italia alla Spagna, fino alla Colombia e alla Grecia, i prigionieri e le prigioniere resistono per rompere il muro dello stato d’eccezione, e lottano per rimanere in vita.

Oggi le prigioniere mostrano la strada della ribellione sociale, innalzando una barricata contro la politica assassina del Ministero, che le sta trasformando in condannate a morte.
Diventano la scintilla delle lotte sociali e di classe che sorgeranno nel prossimo futuro, lotte che dobbiamo sostenere con ogni mezzo, e far si che siano connesse tra loro e generalizzate, perché lo scontento si trasformi in ribellione e la disobbedienza sociale in resistenza organizzata.

Contro la democrazia borghese che imprigiona tutte le persone che provano ad alzare la voce. Contro questi moderni inferni che ammassano e uccidono vite umane, noi rispondiamo:

NESSUNO È SOLO NELLE MANI DELLO STATO
NON ACCETTIAMO GLI OMICIDI DI STATO
SOLIDARIETÀ CON LE DETENUTE DEL CARCERE DI ELEONA-THIVAS
CHE VINCA LA LORO LOTTA PER L’IMMEDIATO DECONGESTIONAMENTO DELLE GALERE

Cassa di solidarietà con i compagni imprigionati e indagati

Grecia: Comunicato di solidarietà con le detenute del carcere di Eleona-Thivas

Prima le buone notizie

Il medico al paziente: “Prima le buone notizie, dopo lunghe analisi abbiamo finalmente accertato che lei non è un ipocondriaco”.

Ci sono tanti modi per essere irriducibili, ma ce n’è uno che è veramente radicale: mantenere il buonumore, sempre e comunque. Questa barzelletta sembra allora perfetta per descrivere questi tempi tragici. Se la buona notizia è che non sei ipocondriaco, allora c’è davvero da preoccuparsi. E’ tutto vero. E’ tutto surreale sì, ma tutto vero.
In questa barzelletta c’è un doppio fondo nascosto. Il primo fondo, è apparentemente nascosto, ma proprio per questo più immediato: quello che non viene detto, le cattive notizie. Sono nascoste dalla narrazione, ma sono per questo sotto gli occhi di tutti. Il primo fondo si svela velandosi. Poi c’è un secondo fondo nascosto, che è già lì in bella vista, ma proprio per questo risulta più nascosto a chi ascolta. Questo secondo fondo si vela svelandosi sin dal principio. E queste sono proprio le buone notizie!
Già, prima le buone notizie dicevamo: abbiamo finalmente accertato che lei non è ipocondriaco. Partiamo da questa buona nuova. Se non siamo mai stati ipocondriaci, allora era vero quando affermavamo che questa civiltà marciava a tutta velocità verso la catastrofe. Era vero quando osservavamo l’avvitarsi di contraddizioni sempre più irrisolvibili. Era vero quando mettevamo in guardia di fronte all’insostenibilità della presenza umana, perlomeno della attuale sua organizzazione sociale, sul pianeta. Era vero quando ritenevamo che la globalizzazione non sarebbe stato un fenomeno dalle magnifiche sorti e progressive, per citare il Leopardi, ma che andava verso un arretramento, un rimbalzo drammatico. Era vero quando prevedevamo che una nuova enorme crisi economica sarebbe entrata nella scena mondiale, tanto più che la precedente crisi del 2008 non solo non era risolta, ma continuava a grattare. Era vero quando affermavamo che lo Stato sarebbe rimasto il soggetto della dominazione reale: alla faccia di un certo cattivo maestro, dissociatosi come un Pinocchio mansueto e diventato un alunno vero, che vaneggiava di un Impero globale e di moltitudini. L’unico imperio, al solito, è quello del governo. Quanto alle moltitudini, sono per ora quelle di un gregge poco immune alle pubbliche autorità.
A qualcuno può dare fastidio l’ardire di chi ritiene di aver avuto ragione. Se può consolare, nemmeno a chi scrive la presente situazione procura alcuna soddisfazione. E’ la soddisfazione di Cassandra, quando vedeva la sua città saccheggiata dagli Achei.
Cerchiamo invece di elencare alcune caratteristiche di quello che sta succedendo. Per togliercele, magari al più presto, qualche soddisfazione.

Stato-Nazione e fine della globalizzazione

In prima istanza, dobbiamo ricordare che Covid-19 è un soggetto reale, sempre nella storia ci sono state epidemie anche più gravi di questa. Nessuno l’ha provocata volontariamente (io credo) e rischia anzi di dare una mazzata definitiva al sistema capitalista mondiale. Quindi nessuno ne sta giovando, anzi. Nella lotta che ogni specie, ogni individuo, persino un minuscolo virus, compie per vivere e svilupparsi, è almeno dal nuovo secolo che la “natura” persegue la strada di un Coronavirus come ipotesi evolutiva in grado di propagarsi: è stato così con l’Ebola, con la Sars e ora, con maggiore “successo”, col Covid. Nessun complotto, quanto piuttosto una criminale speculazione: la ricerca del vaccino contro Ebola e Sars si era interrotta perché, dissero le case farmaceutiche, essendosi spente troppo presto queste epidemie la ricerca non avrebbe portato abbastanza profitti!
A causare l’epidemia è una tipica condizione di ultra-sviluppo industriale e mercantile. Milioni di contadini deportati in Cina per affollare le nuove metropoli, con stili di vita ancora agresti (gli animali da allevamento in casa) e in condizioni di sovraffollamento sono state, io credo, il detonatore di questa pandemia. L’evoluzione biologica si è intrecciata, in una tempesta perfetta, con la contraddizione economica e con la vocazione affaristica delle multinazionali del farmaco. Se la Cina è la principale potenza capitalista per velocità di espansione a spesa di milioni di deportati umani (e animali), la globalizzazione degli spostamenti umani ha fatto il resto, contaminando l’intero pianeta.
Semplice. Fin troppo semplice.

In secondo luogo, il virus è stato portato dagli imprenditori. Altro che immigrati poveri. Questa è la prima malattia della storia che viene portata dai ricchi, dagli affaristi, dai maneggini che fanno affari in Cina, dagli scienziati che se ne vanno in giro a fare congressi (e a noi vorrebbero chiuderci in casa!), che vanno in settimana bianca e al circolo tennis. Basta seguire le mappe dei primi casi di contagio (l’imprenditore tedesco, lo scienziato che ha fatto prima il giro di congressi in tutti i continenti poi le vacanze nella Alpi francesi, ecc.) per verificare questa ovvietà. Basta osservare, oppure, come i principali focolai mondiali siano nelle cosiddette Città Globali: da Milano… a New York.

Il Coronavirus accelera la svolta autoritaria di nuova forma. Svolta repressiva, trattamento sanitario obbligatorio di massa, militari nelle strade, massacri nelle carceri, censura totale dei media, carabinieri che irrompono nelle nostre riunioni, denunce. E siamo solo all’inizio. In Portogallo vietano il diritto di sciopero, in Ungheria si va direttamente al regime. Ovunque sono sospese le tutele liberali. Eccoci qui, chiusi in casa e tutti connessi con lo smartphone: tutti dispersi, parcellizzati; tutti in rete. Così vicini, così lontani.
Isolamento materiale, connessione virtuale.

Il Coronavirus accelera dunque la crisi della globalizzazione: porti, frontiere, città, persino quartieri. Tutto chiuso! Persino l’espressione “crisi della globalizzazione” è fuori tempo. Ormai siamo di fronte alla “fine della globalizzazione”. Quando, tra qualche mese, la situazione in Italia si sarà calmata, l’orrore sarà per i “casi di ritorno”, di chi potrebbe rifarci piombare nel panico riportando il morbo dall’estero. Le frontiere non le riaprono più, potete starne certi. Il Covid-19 accelera la metastasi europea. Alla fine di questa pandemia dell’Europa solo macerie. Sicuramente è la fine di Schengen come lo abbiamo conosciuto. Non è escluso nemmeno che il virus possa imporre ai governi di stampare moneta, in particolare per quanto riguarda Spagna e Italia, dove al disastro umanitario si intreccia un’economia affetta da “anemia mediterranea”. Si pensi che il governo italiano ha da poco annunciato aiuti per 400 miliardi alle imprese. Questa montagna di soldi per gli imprenditori, semplicemente, non esiste. Se non si stampa moneta (vale a dire si svalutano gli stipendi) quei soldi non arriveranno mai. Non lasciamoci illudere da litigate pomeridiane e pacificazioni notturne dei governanti europei. La battaglia fra il Leviatano europeo e gli statalismi nazionali potrà al massimo essere rimandata di qualche mese. Ma il Covid-19 porterà la scissione fra nazionalismo e globalizzazione, probabilmente, alla battaglia campale. Uno scontro che ci lascia distanti, ma non indifferenti dal punto di vista dell’osservazione di ciò che accade.

L’Evento Coronavirus dunque segna il ritorno dello Stato-Nazione al centro della scena. Altro che organismi sovranazionali! Altro che Europa, altro che ONU, quando il gioco si fa duro quello che tiene l’asso di briscola in mano è sempre il governo nazionale. In un duplice significato: certamente repressivo, ma anche di “tutele” (la sanità, la cassaintegrazione, ecc.). I decreti emergenziali, quelli che ci hanno chiusi in casa, così come le elemosine pubbliche, non sono stati mica decretati dal Gran Consiglio dell’Esistente che – per sublime rovesciamento dialettico – difatti non-esiste, bensì dal Consiglio dei Ministri. Organo formale di uno Stato materiale, vivente, potere politico gerarchicamente organizzato. Siamo in un vero e proprio governo di salute pubblica (mai tanto azzeccata come definizione).

Eppure, l’Evento nel mentre rimette in sella lo Stato come il soggetto della dominazione reale, dall’altro spoliticizza lo Stato, consegnandolo in mano ai tecnici. Il governo come ridicolo rito della “maggioranza politica” è ormai solo una maschera formale. In questo senso andrebbero evitate le letture “politicistiche”: oggi, Lega o Pd, sarebbe cambiato ben poco. Chi decide è la Giunta con la divisa bianca.
Si dirà: ma con Salvini al governo la polizia si sarebbe sentita coperta nei suoi abusi! Basta guardare le dichiarazioni di solidarietà e complicità nei confronti dei massacratori all’indomani delle rivolte nelle carceri per osservare quanto ormai sono davvero tutti uguali. Persino l’uscita dall’euro potrebbe essere decisa da un governo del PD, se la disperazione lo rendesse necessario. Ormai tutti gli eventi sembrano tutti in mano alla “dinamica”, nella sua impersonalità.

Prendiamola con filosofia

Prima le buone notizie. Se c’è davvero una vittima filosofica del Coronavirus, questa è l’ideologia borghese anglo-americana. A partire dal padre del liberalismo classico, il filosofo inglese John Locke. Nell’ideologia liberale il soggetto centrale è la persona nel suo Self. Ora il ruolo di “persona” osserva Locke, lo statuto che fa si che noi consideriamo un soggetto come una persona, è uno statuto di natura giuridica. Il Self non è una Sostanza, non ha uno statuto metafisico, ma è una funzione. Noi non siamo degli enti, ma siamo dei numeri. Dei flussi. Quale è la formula di questa funzione? Essa è duplice: dal lato introspettivo, il Self si fonda sulla mia autocoscienza; dal lato “esterno”, esso si fonda sul riconoscimento giuridico di “altre persone” organizzate in società. Vale a dire: io sono una persona solo in quanto sono auto-cosciente dei miei diritti di individuo proprietario. La tutela della persona è la tutela delle sue sensibilità di proprietario privato. Infatti, osserva il liberale Locke, non tutti gli umani possono essere considerati delle persone.
L’idea funzionalista della persona (non siamo Sostanze, ma siamo funzioni) porta seco a un’altra conclusione nefasta: allora anche l’intelligenza artificiale, in quanto insieme di funzioni intelligenti, potrà un giorno essere riconosciuta come una persona. Il Cyborg potrebbe avere un proprio Self.
Contro questa impostura funzionalista noi dobbiamo ribattere che è vero proprio il contrario. Individuo significa qualcosa di molto preciso: indivisibile. Noi siamo individui, degli Unici, delle Sostanze indivisibili. Se veniamo divisi – con un’accetta o con un virus microscopico – semplicemente moriamo.

L’Evento Coronavirus riduce questa paccottiglia ideologica in ventilazione artificiale. Certamente nella storia ben più drammatici attacchi ha subito la concezione liberale della persona, a partire dal nazismo e dallo stalinismo. Di nuovo c’è che questo attacco ora viene dall’interno, che sono gli stessi regimi liberali a sospendere le tutele liberali. Di nuovo c’è, come aveva osservato un articolo di critica della scienza uscito ormai due anni fa su Vetriolo, che “il governo liberale, coi suoi riti, è diventato un fardello per una scienza più veloce degli ingranaggi macchinosi dello Stato” (“L’insostenibile pesantezza dell’essere scientifico”, Vetriolo, n. 2, autunno 2018, p. 6).

Esempio di recente attualità: mentre il governo italiano “democraticamente eletto” (sic) prorogava le limitazioni alle libertà personale di 10 giorni, dal 3 al 13 aprile, il Capo della Protezione Civile Borrelli ironizzava con la stampa, dicendo che, forse, si sarebbe riaperto piuttosto dal 13 maggio. Chi è Borrelli? Chi lo ha eletto? Che ruolo ha nello Stato liberale? Nessuno. Borrelli è lo spirito del tempo col camice bianco che sospende lo Stato liberale.

Siamo piuttosto di nuovo in mano al Mondo Magico, come lo avrebbe definito Ernesto de Martino. Lo sciamano, nei panni dello scienziato, che dice quello che è giusto e quello che non è giusto fare. Che nel mentre si deresponsabilizza vergognosamente, tira le maledizioni verso i peccatori che non seguono le sue ricette magiche. Dovete restare a casa! Gridano gli sciamani. Se gli dei ci mandano il virus è perché ci sono degli incoscienti che sfidano la loro ira. Siete ridicoli. Ma siete al potere, oggi voi siete il potere. Questo è il volto del potere. Un potere disperato, aggrappato ai riti apotropaici di una scienza che ha fallito.
Sembra verificarsi la profezia di Bakunin della scienza come nuova religione, della dittatura degli esperti, dei tecnici, sulla massa incolta e suggestionabile. Ma siamo così sicuri che tutto questo sia una novità? Non era già in corso questo processo da molti anni?

Il processo era già in atto, per questo è corretto dire che il Coronavirus è lo Spirito del tempo, come già lo stanno definendo in molti fra i più acuti osservatori. E’ l’evento apparentemente casuale che permette alla storia di svilupparsi. La storia andava già nella direzione che il Covid-19 le ha imposto. Il Nostro quindi non è un fenomeno anti-ciclico, ma pro-ciclico. Non contraddice, ma accelera, i fenomeni già in corso. Non è un evento imprevisto che ha cambiato il corso della storia. Non è un Evento falsificazionista (detto all’americana), ma dialettico (detto alla tedesca). L’Evento era forse imprevisto – anche se probabilmente Sars e Ebola avrebbero dovuto allarmarci un poco – ma non ha cambiato il corso della storia. Questo Evento ha dimostrato piuttosto vere le analisi di chi riteneva che si andava verso la fine della globalizzazione, il ritorno di protagonismo dello Stato, la dittatura degli scienziati.

Il ritorno della Materia

La regressione della cultura scientifica in cultura magica (le mascherine come simbolo totemico, la sospensione del pensiero critico e la delega cieca allo stregone) non deve allarmarci, ma ispirarci. Non è qualcosa da contrastare, ma da rafforzare. Il mito della Rivoluzione può oggi riproporsi come catarsi dal cancro capitalista che ci sta ammazzando tutti. L’imbroglione magico aveva questo fatto: esso era più vicino alla materia a confronto con le moderne scienze positive anti-realiste. Rispondeva a un bisogno materiale primario: la paura di morire. La società capitalista è di fronte a questo scacco: il ritorno del bisogno materiale. Su questo bisogno, oggi, si gioca il consenso verso i governanti. Su questo bisogno, domani, potrebbe aprirsi la voragine che li inghiottirà.

Mentre gli sciamani invocavano il sacrificio domestico per placare gli dei e far arretrare il virus, milioni di persone venivano costrette a continuare a uscire di casa per andare a lavorare. Se si pensa ai numeri del contagio nei principali poli industriali si può vedere chiaramente che queste sono state disposizioni assassine.
Di fronte alla paura di ammalarsi però qualcuno ha reagito. Scioperi sparsi con un carattere prevalentemente spontaneo, hanno registrato alti tassi di partecipazione, hanno visto la classe operaia industriale, in particolare metalmeccanica, al centro della scena. Non accadeva da molto tempo. Al centro dell’agitazione una istanza comune: l’indisponibilità a lavorare senza condizioni di sicurezza. I sindacati si trovavano a inseguire le astensioni, trovavano un precario accordo. Poi dopo qualche giorno, non appena chi lavorava finiva per essere troppo vicino al collega, questi si fermavano di nuovo.
Una dinamica che è stata importante per due ragioni: da un lato, una giusta arroganza di controllo (decido io se mi sento al sicuro, se no mi fermo), che può far sperare in una epidemia di pretese che sottragga ai padroni sempre più controllo sul lavoro; dall’altro, una fotografia plastica, come non avveniva da anni nelle teste lobotomizzate da TV e internet, del fatto che “i miei interessi” sono incompatibili “con i tuoi” (o la salute o la produzione).

Facendo astrazione dei fatti particolari, questi episodi hanno anche dimostrato chiaramente che lo sfruttamento è la vera oppressione su cui si regge il ventilatore artificiale che tiene in vita questo vecchio mondo. Non è una oppressione “tra le altre”. C’è un’epidemia molto grave? Possiamo sospendere la movida, possiamo sospendere il consumismo (con l’austerità morale sui beni non essenziali tolti dai supermercati), possiamo sospendere lo stato di diritto liberale… ma non possiamo chiudere le acciaierie, il settore energetico, la logistica.

Io penso che abbiamo sbagliato dunque molte cose, anche di recente. Non solo si sono fatte analisi che il Coronavirus ha dimostrato essere corrette, ma si sono commessi anche alcuni errori. Il sottoscritto, per esempio, ha insistito sulla necessità di evadere dai dispositivi securitari. Non posso però non notare come gli sfruttati hanno fatto la richiesta opposta: non vogliamo andare a lavorare. Questo non vuol certo dire difendere le restrizioni, ma nemmeno difendere le liberalità di Locke insieme a… Confindustria. Io voglio tutto: uscire nei boschi e non andare a lavorare. E voglio pure campare e bene, giacché non sono mai stato un amante del pauperismo francescano.

Il punto è importante e ci interroga su cosa significano le parole “materialità” e “solidarietà”.
Nel mio paese (immagino di casi del genere ce ne siano in tutta Italia), il padroncino di una azienda di distribuzione alimentare, già debitore di diversi arretrati nei confronti dei suoi dipendenti, ha pensato bene di mettere la gente in cassaintegrazione e di fare appello ai volontari per la distribuzione della spesa casa per casa, oggi particolarmente richiesta con tanta ansia da contaminazione. Bisogna allora stare attenti a una solidarietà “frontista”. Distribuire cibo alla gente, per esempio, oggi sarebbe un ben triste intervento sociale, se questo dovesse aiutare i padroni a licenziare o a riempire i buchi provocati dagli scioperi. Un triste piedistallo di gratuita solidarietà.
Noi su quel piedistallo fatto di sfruttamento e morte proprio non ci vogliamo stare. Bisogna dunque fare attenzione alle insidie che si nascondono dietro all’altare delle buone intenzioni.
Perché sfruttati si nasce, ma non è detto che si debba vivere tutta la vita così.

Il Coronavirus, con la sua paura di morte, ha avuto quanto meno il merito di abbattere tante sovrastrutture, tante determinazioni, tanti effetti speciali, riportando la materia, nella sua ottusa durezza, nel posto che le spetta. Alle dominazioni esistenziali ha sostituito, nella sua concretezza, l’evidenza che la dominazione reale, quella “dura”, è fatta dalla sfacciata esistenza di uomini che si arricchiscono sfruttando altri uomini e di uno Stato che è vivente garante di questa oppressione. Le immagini che vengono dagli Stati Uniti sono raccapriccianti: uomini che hanno tanti e tanti miliardi e altre persone che vengono lasciate morire, soffocate dalla polmonite, perché non hanno l’assicurazione sanitaria. Tutto questo deve finire. Per sempre. E se lo Stato e i padroni sono i nostri viventi nemici, allora risulta evidente più che mai il ruolo storico dell’anarchismo come la vanga con cui gli scaveremo la fossa.

Ottone degli Ulivi

https://roundrobin.info/2020/04/prima-le-buone-notizie/

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la mattanza della settimana santa

Tratto da evasioni.info

Franco (nome di fantasia), recluso nelle sezioni di alta sicurezza della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, è in attesa di giudizio e non sa ancora se il giudice lo riterrà colpevole o innocente. Si ammala qualche settimana prima di Pasqua. Picchi di febbre e problemi respiratori fanno pensare al peggio. Dopo qualche ora di monitoraggio viene “isolato” in infermeria per verificare l’evoluzione dei sintomi. I familiari riescono ancora a comunicare con lui tramite videochiamate ma hanno l’impressione che le cose stiano prendendo una brutta piega. Hanno paura, come tutti. Riescono a sapere tramite l’associazione Antigone e l’ufficio del garante dei detenuti che la situazione per ora è monitorata, ma si dovranno fare accertamenti specifici per capire il tipo di malessere. Qualche giorno dopo, la direzione sanitaria che opera in carcere avverte la famiglia che Franco è stato sottoposto a tampone da Covid-19 risultando positivo. Nel frattempo, sarebbe stato ricoverato presso la struttura ospedaliera napoletana del Cotugno.

La notizia in breve tempo si diffonde e arriva in carcere, Franco è il primo detenuto ammalato di Covid della regione, la seconda dopo la Lombardia per indici di sovraffollamento carcerario. La tensione sale all’interno dell’istituto. Il corpo detenuto teme il contagio e si sente sguarnito da ogni difesa: cosa si potrebbe fare per evitare di ammalarsi? Il carcere non è un luogo impermeabile: il distanziamento sociale è impraticabile, guanti e mascherine non ci sono e in istituto entrano ed escono moltissime persone. «Il carcere, essendo chiuso e isolato, è il luogo più riparato dal contagio della pandemia», sostiene invece il procuratore Gratteri. A oggi, i contagiati sono circa duecentotrenta (sessanta detenuti e centosettanta poliziotti).

Franco intanto è stato ricoverato. È il weekend che precede la settimana delle feste pasquali. Si avvicina l’orario di chiusura delle celle ma i detenuti di una sezione non vogliono rientrare. Inizia la protesta con una battitura e l’occupazione simbolica della sezione. La polizia penitenziaria denuncia che per impedirle l’accesso in sezione è stato riversato dell’olio bollente. La tensione in questa fase raggiunge facilmente stadi di acuzie e rapidi cali perché nessuno sa in verità come si uscirà dalla vicenda del virus. Chi ha il potere naviga a vista e chi non lo ha spesso sente di affogare.

Le proteste rientrano nel corso della stessa serata di domenica, dopo un primo intervento della penitenziaria. Sembra essere stato uno sfogo caduto nel vuoto. Bisogna che le cose sfumino da sé. Anche gli sforzi di chi in questi giorni sta tentando di stabilire un dialogo con le controparti, offrendo soluzioni per fronteggiare la devastante emergenza, si sgretolano di fronte al muro del Dap e del ministero.

A questo punto la storia cominciata con il contagio di Franco assume contorni inquietanti. Lunedì in carcere arriva la magistratura di sorveglianza e incontra i detenuti per i colloqui. Si constata che gli atti di insubordinazione che si sono verificati non hanno assunto i connotati di una vera rivolta (come quella ai primi di marzo nel carcere di Fuorni, Salerno). Secondo le testimonianze raccolte da Antigone e dall’ufficio del garante, si è verificata invece una fortissima rappresaglia da parte della polizia penitenziaria. Appena la magistratura di sorveglianza ha concluso il suo lavoro (tra le sue competenze c’è quella di monitorare lo stato, le garanzie e i diritti dei reclusi) quasi cento poliziotti a volto coperto e in tenuta antisommossa sono entrati in un padiglione e hanno cominciato i pestaggi all’interno delle “camere di pernottamento”. Probabilmente non sono gli stessi poliziotti in servizio presso l’istituto, anche perché picchiano chiunque, anche chi non ha preso parte alle agitazioni del fine settimana, anche qualche detenuto che dopo pochi giorni potrebbe uscire dal carcere con i segni del martirio sulla carne.

Le violenze si svolgono secondo modelli già visti: ad alcuni detenuti vengono tagliati barba e capelli, vengono spogliati e pestati con manganelli, pugni e calci su tutto il corpo. Il racconto di queste torture non sembra fermarsi, perché alcuni familiari sostengono che i pestaggi continuino anche ora. Nel corso di questa settimana, le famiglie, preoccupate per le violenze, hanno organizzano una manifestazione pacifica nei pressi del carcere. Ma all’interno si respira un’aria gelida e qualche agente continua il gioco al massacro psicologico: «Avete anche il coraggio di far venire le vostre famiglie? Non vi è bastato?».

https://napolimonitor.it/il-carcere-di-santa-maria-capua-vetere-e-la-mattanza-della-settimana-santa/

Link dove vedere il video dove un detenuto racconta, attraverso una telefonata, le violenze di questi giorni al carcere di Santa Maria Capua Vetere

Mattanze di questo tipo, in stile scuola Diaz, servono a (ri)stabilire un rapporto di dominio: svuotare il corpo di ogni difesa fisica e mentale, colpire la persona fino a suscitare un sentimento di vergogna verso se stessi. Di fronte al deflagrare di quest’energia cinetica bisogna essere nudi: è il modo migliore per rendere docile un corpo che ha mostrato segni di insubordinazione. In questi giorni sono stati presentati alcuni esposti alla Procura della Repubblica (solo Antigone ne ha già depositai tre, in diversi penitenziari del paese) che dovrà accertare cosa è successo nel carcere casertano.

La tensione nel frattempo, anche quella della polizia penitenziaria, si trasforma di continuo in atti di forza, soprattutto quando non si hanno direttive per fronteggiare la crisi. Il virus viaggia velocemente e la direzione sanitaria cerca di stargli dietro. È tuttavia difficile, perché i detenuti sono tanti e in alcune sezioni sono ammassati in clamoroso sovrannumero. Oggi i contagi nel carcere di Santa Maria sono arrivati a quattro e un intero piano di una sezione è stato isolato.

Se il sistema sta svelando un’altra falla, dopo gli ospedali e le case di cura, è anche vero che esiste una differenza tra il carcere e gli altri ambienti. Nei nosocomi e nelle RSA, finanche in alcune fabbriche (tutto pur di non interrompere le linee di produzione) si stanno predisponendo – dopo centinaia di morti tra pazienti, medici, infermieri e vigili del fuoco – misure di sicurezza per arginare il contagio. Nelle carceri si guarda il sistema implodere senza prendere alcuna decisione. La mattanza di Santa Maria ne è la dimostrazione e poiché il carcere è uno spazio di guerra, la possibilità di usare in ogni momento delle strategie per indebolire o neutralizzare una delle parti è all’ordine del giorno.

“Gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo (Mc 15,16-20)”. Adesso è necessario monitorare le persone che sono ancora recluse, per evitare che il massacro continui. (luigi romano)

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la mattanza della settimana santa

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)

“I loro virus, i nostri morti”

Siamo quotidianamente sommersi dai dati sul numero di contagiati, morti e guariti. Anche se non emergono mai le cause strutturali di questa epidemia – il saccheggio industriale dell’ambiente naturale e lo squilibrio nelle relazioni con le altre specie animali – alcune verità, per chi sa isolarle in questo mare di informazioni, rimangono a galla. Oltre il 70% dei deceduti con Coronavirus soffriva di ipertensione. Nel 95% dei casi esistono dei fattori di rischio che possono predisporre al suo sviluppo; in particolare la sedentarietà e lo stress. Il divieto di uscire di casa – con le debite precauzioni – crea i presupposti per nuove moltitudini di malati. Senza contare le devastanti conseguenze psicologiche per tutti coloro che vivono condizioni abitative e famigliari tanto insostenibili quanto rimosse dall’ottimismo di Stato (“Tutto andrà bene. Io resto a casa”). Inoltre, se l’importanza del sole e della vitamina D per le difese immunitarie sono “fake news”, perché nei protocolli distribuiti a carabinieri e polizia si consiglia almeno mezz’ora di sole al giorno e, in caso di impossibilità, l’assunzione di vitamina D?

Sacrificabili

Alla BRT di Rovereto si sono registrati due casi di Coronavirus tra i facchini (uno dei due è ricoverato in terapia intensiva). L’azienda della logistica, dopo aver “sanificato” in fretta e di nascosto gli uffici (non il magazzino), pretendeva che gli operai continuassero tranquillamente a lavorare, senza nemmeno fare i tamponi. I facchini si sono rifiutati, mettendosi in malattia. Intanto Confindustria spinge per aprire al più presto le fabbriche (chiuse solo dopo l’ondata di scioperi che ha costretto il governo a bloccare le “produzioni non essenziali”). Qualcuno parla di “suddivisione squilibrata del rischio”. Altri, che guardano all’intero pianeta e alle sue gigantesche ingiustizie, di “apocalisse differenziata”.

Ne parleremo, e a lungo

Secondo dati ufficiali, tra il 2009 e oggi sono stati sottratti alla Sanità 37 miliardi di euro. Sarà forse per l’oggettiva eloquenza di questo dato che i giornali locali hanno riportato la notizia di una scritta apparsa davanti all’ospedale di Rovereto (“Grazie al personale sanitario, ma non scordiamo chi ha tagliato la Sanità”) senza il consueto codazzo di commenti di criminalizzazione? Oltre al dato quantitativo, ce n’è un altro, qualitativo. Se allarghiamo un po’ l’arco temporale, ci accorgiamo che la Sanità non è stata solo sforbiciata, ma anche trasformata. Fino al 1978, infatti, era previsto un rapporto di scambio fra la medicina di prevenzione e i “Comitati di cittadini” (espressione con cui si cercava di istituzionalizzare i tanti comitati di base per la salute nei territori e sui posti di lavoro nati un po’ ovunque nel corso delle lotte degli anni Settanta). Dall’incontro di medici e comitati di base era nata, qualche anno prima, l’inchiesta più seria e approfondita sul disastro ambientale dell’Icmesa a Seveso. Visto che ciò che stiamo vivendo è un’esperienza di massa che non si cancellerà in quattro e quattr’otto – si tratta della più pesante limitazione delle libertà nella storia d’Italia –, sarà di fondamentale importanza per il futuro creare spazi di confronto fra abitanti e personale sanitario critico al fine di analizzare nell’insieme e nel dettaglio cosa ha causato questa epidemia e come l’hanno affrontata governi e scienziati di Stato.

“Ti auguro un fantastico futuro”

Con queste parole, si chiude la lettera nella quale l’informatico Thomas Frey spiega a un divulgatore scientifico che ben presto le attuali password saranno sostituite, grazie al 5G, con «frasi vocali accoppiate a spettri laser, risonanza al tocco, riconoscimento del battito cardiaco, firma a infrarossi» (“Corriere Innovazione ” del 3 aprile 2020). «Ovunque tu sarai – aggiunge il suo interlocutore, il professor Derrick De Kerchove – verrai rintracciato e virtualmente ricostituito in quattro dimensioni in modo completo e continuo come può fare il 5G. Acquisirai e memorizzerai ogni tua mossa come un tuo inconscio digitale profilato e distribuito in database da cui emergeranno decisioni (scelta, acquisto, voto, ecc.)». «Ma non è la fine del mondo – ci assicura il professore –, solo quella della nostra illusoria e piacevole autonomia». «Questa emergenza ha fornito la spallata che serviva per diffondere la digitalizzazione». D’altronde, «mai sprecare una crisi». Per coloro che si ribellano a tale fantastico futuro di uomini-macchina, è già pronta la definizione: “talebani dell’esperienza fisica”.

Consigli inglesi

Alcune antenne per la telefonia mobile 5G sono state incendiate a Sparkhill, Birmingham, giovedì 2 aprile, e a Melling, Merseyside, venerdì 3 aprile. La notizia è stata data anche in Italia. Gli autori dei sabotaggi sono stati definiti “complottisti”, con tanto di comunicato da parte di Google e Facebook, per i quali la nuova infrastruttura 5G è fondamentale affinché la sorveglianza che esercitano in rete si estenda ai comportamenti nella vita reale e agli stessi ambienti cittadini. Qui non c’è alcun complotto. È la logica stessa dell’accumulazione a far sì che il modo migliore per predire i comportamenti dei consumatori – e vendere le previsioni agli inserzionisti e all’industria – sia quello di programmarli.

Auguri dalla Grecia

È sempre saggio ascoltare il vicino di casa che ha già vissuto una condizione che domani potrebbe toccare a te. Scrive un collettivo di Atene: «Stanno parlando e stiamo parlando di guerra. Ed è vero. Dall’innalzamento dei prezzi al mercato nero. Dagli scaffali dei supermercati vuoti, allo stoccaggio di cibo. Dal “reclutamento” di alcuni dipendenti per ridurre le perdite del datore di lavoro, al licenziamento di altri. Dalla coercizione del lavoro senza prevenzione sanitaria elementare, agli straordinari di emergenza. Dall’insufficienza ospedaliera e di attrezzature mediche e l’inadeguatezza del personale infermieristico, alla trasformazione degli ospedali in reparti zeppi di “feriti di guerra”. […] Quindi “economia di guerra” significa un nuovo ciclo di memorandum, licenziamenti, riduzione di salari, pensioni, spese sociali e privatizzazioni. Quello che lo Stato sta dando oggi per fermare la sua bancarotta, domani lo pagheremo col sangue».

Versione pdf: Cronache4

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)

Non uscire di casa?

“..il profondo sentimento di sentirsi costantemente estraneo e indifeso,
la continua omissione, la persistente insicurezza di vivere ..
Il figlio del povero, foglia giocattolo del vento, O.R.

Ci vogliono ancor più separate, più isolate le une dalle altre, vogliono
imprigionare ancora di più le nostre individualità. Davanti alla crisi
sanitaria puoi prenderti cura solo di te stessx e della tua famiglia. Se
esci sarai colpevole di portare il virus in casa. Se muoiono sarà colpa
tua.
E con questo discorso si esenta di responsabilità lo stato, che bravx
cittadinx, che perfetti esseri umani, non riempiamo i loro ospedali,
questi sono solo per chi può pagarli, noi dobbiamo morire sole ed
isolate nelle nostre case, nelle strade, nelle nostre carceri. Tutte
abbiamo un Guayaquil(1) nei nostri quartieri. Collassano i servizi che
lo stato dovrebbe garantire, ora nella realtà. Eccolo qui il vostro voto
democratico per una morte nell’autoesilio nella tua casa.
La nostra atomizzazione è ora palpabile, astrarci in questo ruolo, nelle
reti sociali, nella nostra paura, nella nostra tristezza e lacrime. Se
qualcosa impareremo da questa situazione è che siamo più vicinx
all’ideologia del capitale, che essa permea, incide, influisce anche
nelle menti delle persone più radicali. Resta a casa ci dicono, e lo
assumiamo come dettame, davanti la paralisi della paura spettacolare,
aspettative e fiducia nei nostri governi e i nostri sistemi democratici.
Oggi. Vogliamo che ci salvino quelli a cui alcune volte abbiamo lanciato
le molotov. Che ridere e che rabbia.
…Impareremo?
In queste terre meticce dove si semina ogni giorno la morte, dove
nonostante le loro misure di quarantena, continuano ad esserci donne e
bambine violentate e all’angolo della mia via continuano a vendere
qualunque droga con l’indifferenza a portata del tuo portafogli… qui si
impara solo a sopravvivere in ogni modo, malgrado chiunque,
trascinandoci il nostro sacco di ossa e carne, senza i benefici che ci
concede come umani possedere una spettacolare materia grigia nei nostri
crani.
Nella comunicazione di massa insegnano a condannare chi deve uscire per
lavorare o chi esce solo perché lo vuole. Resta nella tua cazzo di casa!
Grida la gente che si sente forte dietro la finestra. Che non hai paura?
Pff abbiamo smesso di avere paura di uscire da quando abbiamo imparato a
difenderci visto che più di dieci donne sono brutalmente assassinate e
violentate ogni giorno e nessuno dice o fa qualcosa al riguardo. Il
virus chissà ci ucciderà in un’altra forma, ma non è una scusa per avere
paura.
No signorx dei mezzi di informazione di massa, non possiamo restare a
casa, la disperazione e l’incertezza di avere questo buco nello stomaco
ci farà uscire tutte le volte che ci sembra il caso a cercare pane e
come pagare l’affitto, il nostro impeto ci obbligherà ad uscire a
scrivere sulle vostre facciate, a distruggere i vetri dei luoghi dove ci
hanno buttate come scarti umani senza darci una lira per pagare la loro
pandemia. Ne in questa ne in altre mille crisi resteremo in casa, non
c’è forma, o moriamo di virus o moriamo di fame, non c’è riconciliamento
di classe, non c’è tregua.
Il futuro si fa confuso ogni secondo di più, niente ci da più certezza
di questo tremendo desiderio che tutto salti in aria.
Stiamo sopravvivendo a un esodo di tutto ciò che è vivo, causato dalla
dinamica del capitale in tutte le sue forme. Il terzo mondo affoga nel
mediterraneo, si scontra con la guardia nazionale dei paesi
latinoamericani, lx migrantx si scontrano con i cacciatori del narco o i
buoni cittadini europei che li disdegnano, tutto con il fine di arrivare
in paesi d’abbondanza.. abbondanza di schiavitù salariata, di mano
d’opera a bassissimo costo, xenofobia, sfruttamento, repressione,
persecuzione.. le guerre per le risorse e la dominazione in medio
oriente continuano, gli interessi sono più grandi di uno stupido virus,
il morbillo si fa largo in queste terre marginali assassinando decine di
bambinx e anzianx.
Però dobbiamo restare nelle nostre cazzo di case. Bisogna essere
responsabili perché se il contagio sarà più grande sarà colpa nostra,
non dello stato che non garantisce i diritti che tanto sbrodola, non dei
fiammanti ospedali che hanno costruito in ogni quartiere, che di fatto
non esistono; nessuno sarà colpevole tranne noi, perché usciamo. Così
gli stati si lavano le mani in tutti i paesi.
Nel frattempo, nelle nostre case e fuori continuiamo a far si che il
capitalismo funzioni. Stiamo cooperando, continuiamo ad essere al suo
servizio. L’economia non ha smesso di muoversi, si trasforma in
medicine, onoranze funebri, cibo a portar via, negozi svuotati dagli
acquisti del panico di chi può pagare questa e altre mille crisi. Non
resta altro che usare la modernissima risorsa della città, il
telelavoro.
Le città sono semidesertiche, non perché la gente non vuole uscire, ma
perché convogli di sbirri passano a ricordarti che sei una merda se esci
e ti suggeriscono “amabilmente” di ritornare a rinchiuderti.
Repressione, proibizioni, multe, abusi d’autorità, quarantena per gente
sana, aneliti a che tutto ciò passi per tornare alla schiacciante
quotidianità, a lavorare ancor più per pagare tutti i nostri debiti per
questa crisi che provochiamo per questa forma imprudente di giocare a
dominare e possedere qualunque corpo umano e non. Per essere i carnefici
della natura, per assumere, riprodurre e gestire la violenza. Siamo i
nostri propri sicari, che pena e che comico.
Chi vuole morire ora? l’irrazionale istinto di sopravvivenza ci
impedisce di continuare a elogiare allegramente la morte per la noia e
la quotidianità che ci impone il capitale.
La morte è qui.
È reale.
Loro la rendono reale in tutti i modi possibili.

Quando l’uomo non trova, nella sua affinità con gli altri, forze per
rianimarsi, rafforzarsi e assicurarsi, le incontra nella sua relazione e
intimità con la natura.
Otto Rühle
Tesore non restate in casa assorte, astraendo e meditando sulle ragioni
del virus. Uscite a spaccare, scrivere sui muri, fate l’amore nei parchi
desertici per l’incertezza, scappate in spiaggia, nel bosco, andiamo a
infastidire le guardie. Si, è vero, siamo irresponsabili, non dobbiamo
nulla a questa società e ai suoi difensori. Nulla ci lega a questo mondo
più che cercare di distruggerlo, e se ci è possibile costruirne un
altro.

Dopo questa pulizia di persone anziane e povere che non apportano nulla
all’avanzamento della macchina del capitale, che farai amore?

Proletarie antidemocratiche
messico
aprile 2020

NOTA

1) una città in Equador in cui il numero dei morti è altissimo e i corpi
restano abbandonati in strada mentre le pompe funebri non riescono
neppure a recuperarli. Anche se non tutti i morti sono provocati dal
virus, ma piuttosto dalle misure che lo hanno seguito.

Contrattacco di classe: Pandemia come sintomo dello Stato di emergenza del sistema

Risulta chiaro che la diffusione del Coronavirus è più di una semplice minaccia per la salute. Senza ignorare l’importanza della Salute pubblica, che è attualmente messa a dura prova da parte di un virus incontrollato, riteniamo che il nucleo della gestione pandemica non sia tanto di ripristinare la sicurezza sanitaria, quanto di affrontare le sue conseguenze devastanti sull’economia. Lo scoppio della pandemia non si è verificato in un tempo storico neutrale, ma durante cambiamenti epocali, avviati, almeno nell’ultimo decennio, dallo scoppio della crisi capitalista globale. È un dato di fatto, quindi, che la gestione della crisi sanitaria sia incorporata nella più ampia gestione della crisi del sistema e dei deadlock che si sono creati.

Passando per il periodo di “pace”, senza precedenti, che ci lasciamo alle spalle, in cui stava avvenendo un fenomeno di rallentamento o addirittura fissazione della produzione, la pandemia accelera rapidamente il tempo storico e intensifica le tendenze destabilizzanti già esistenti nell’economia globale (recessione, mancanza di investimenti, concorrenza commercial-energetica) con qualcosa di ancora più drastico.

L’economia mondiale è il malato. E la pandemia, come fenomeno ciclico, incarna le sue contraddizioni dell’epoca in cui si manifesta. Infatti, il cortocircuito provocato dalla diffusione del virus Covid-19, accelera la necessità di un’altra ristrutturazione capitalistica, questa volta in ambito bellicoso. In un periodo di stagnazione economica globale, di accumulo del capitale (ancora una volta) in ambito finanziario e della creazione di una “bolla” ancora più pericolosa di quella portò alla crisi del 2008.

Questa mancanza di sbocco e l’imminente deflagrazione dell’economia globale, si riflettono nello sforzo incessante degli Stati di mantenere o rafforzare la loro posizione nella quota di mercato rimasta. Si riflettono nella militarizzazione dell’economia, sia in termini di politiche commercial-energetiche aggressive (embargo, sabotaggio, sanzioni e tariffe), che in termini di impiego militare diretto o indiretto in aree di interesse energetico e geo-strategico. In un ambiente così

freneticamente competitivo e marginale, la pandemia e le sue conseguenze sull’economia possono solo accelerare lo scoppio di un nuovo, ancora più profondo, fallimento del sistema.

Il fallimento sistemico che sta avvenendo in maniera celata, al momento si manifesta come un processo di “distruzione del capitale”, con il carattere asimmetrico e acceleratorio apportato dalla pandemia. In altre parole, la pandemia è semplicemente il detonatore della bomba a orologeria di un’economia globale che sta per esplodere da tempo. Pertanto, l’arresto della produzione, la riduzione o l’annientamento dei profitti e l’accumulo di debiti per un certo numero settori strategici (turismo, energia, commercio), creeranno un radicale riarrangiamento del mercato con chiusure aziendali e licenziamenti di massa. Chiaramente, questa “distruzione del capitale”eliminerà principalmente le parti più deboli di esso che non saranno in grado di far fronte al sovraindebitamento e, di conseguenza, rafforzerà i grandi monopoli che assorbiranno le perdite principalmente attraverso il prestito dalle banche centrali degli Stati. Ma questo processo di ripristino dei monopoli avverrà in un ambiente ancora più volatile a livello internazionale. La contrazione del PIL di alcuni stati, (Deutsche Bank stima al 24% per l’UE… un dato che non appariva dalla Prima Guerra Mondiale), il crollo del prezzo del petrolio e del gas, l’aumento insostenibile del debito pubblico e privato di alcuni stati capitalisti (ad esempio l’Italia) e il crollo del mercato azionario, sono e saranno temi centrali per delineare confini e alleanze competitivo-belligeranti in cui il mondo del commercio, dell’energia, e delle relazioni diplomatiche che gli stati dovranno affrontare all’indomani della pandemia.

All’interno di questo contesto, l’attuazione di un’”economia di guerra” come prospettato da K. Mitsotakis, descrive bene la situazione attuale. Il mancato e prolungato funzionamento “a pieno regime” del mercato e i suoi effetti a catena su un certo numero di settori dell’economia, agiscono come un acceleratore per il possibile scoppio di un fallimento immediato e incontrollato (anche in Grecia). Il comunicato di guerra emesso da Mitsotakis non riguarda la “minaccia asimmetrica” della pandemia, ma la contrazione sempre crescente dell’economia e la preparazione militare dello Stato per la gestione dello Stato di emergenza. La terminologia scelta dal capo del governo greco per comunicare con la società e le misure adottate per rafforzare e sostenere il capitale e i datori di lavoro paralizzati dal calo di redditività, sono tipiche di condizioni di guerra e fallimento.

Tali interventi statali “marziali” si sono già stati messi in campo nel 2010 con il fallimento ufficiale dello Stato greco. Le misure straordinarie decise dall’UE e dalla BCE con un programma di acquisto di obbligazioni di 750 miliardi di euro (di cui 12 miliardi per la Grecia), a parte il fatto che non sono state destinate a rafforzare l’economia reale come “iniezione di liquidità”, ma ad assorbire le obbligazioni tossiche detenute dai fondi, rientrano nel debito pubblico dei bilanci degli Stati. E se oggi operazioni simili vengono presentate come misure di natura “protezionistica”, domani si riveleranno ancora più disastrose di quelle del 2010, perché si accumuleranno a spese di un’economia spezzata, sovra-indebitata e devastata da più di un decennio. I prestiti “solidali” e le iniezioni di liquidità nel bilancio dello Stato dall’UE sono capitali che dovrebbero essere teoricamente coperti e rimborsati da una società che, di fatto, è già fallita e chiusa. Quindi “economia di guerra” significa un nuovo ciclo di memorandum, licenziamenti, riduzioni salariali e pensioni, spese sociali e privatizzazioni. Quello che lo Stato sta dando oggi per fermare la sua bancarotta, domani lo pagheremo col sangue.

Attualmente, lo Stato, attraverso lo sforzo coordinato di rallentare e controllare la diffusione della pandemia, sta correndo al ripristino della normalità produttiva e al riavvio immediato dell’economia. L’imposizione di severe misure sanitarie, come condizione di base per demarcare e trattare il virus non è attuata in funzione della protezione della salute pubblica come apparentemente affermano, bensì della drastica riduzione temporale della destabilizzazione economica. Qui dovremo soffermarci un po’ più a lungo. Anche se consideriamo che la questione della congiuntura non sia quella di garantire la salute ma di salvare l’economia, ciò non significa che riteniamo, ingenuamente, il rischio pandemico come inesistente. La critica e l’opposizione in un determinato contesto devono sempre essere portate avanti con consapevolezza e Responsabilità Sociale, ricordando che la minaccia per la salute pubblica e la sua attualmente necessaria protezione sono dati di fatto. In quanto soggetti socio-politici, abbiamo la responsabilità di adottare misure di

protezione della salute senza identificarci con gli imperativi dello Stato. Perché lo Stato, come meccanismo criminale-antisociale, impone ordini sanitari-repressivi spostando il peso della diffusione del virus sulla società, sbarazzandosi della

responsabilità politica dell’ormai insufficiente sistema sanitario pubblico. Perché lo Stato e i suoi meccanismi di propaganda, promuovono abilmente la “responsabilità individuale” e le riunioni sociali come le principali cause della diffusione del virus, senza menzionare il sotto-finanziamento, la chiusura degli ospedali, la mancanza di attrezzature, medicinali e unità di terapia intensive. Al contrario stiamo adottando misure non per evitare le nostre responsabilità, ma per sollevarle e portarle sulle nostre spalle, assieme a tutti i ricatti e le estorsioni a cui siamo sottoposti. A chi continua a lavorare nelle condizioni più avverse (lavoro, salute ed economiche) servono coesione sociale e solidarietà e se servono medicine adeguate, cibo e ospedali. A chi è in cassa-integrazione, disoccupato o lavora “a nero”, a chi è prigioniero nelle carceri e nei campi di detenzione per migranti. Stiamo adottando misure per evitare che come popolazione eccedentaria e improduttiva in tempo di guerra, soffriremo e moriremo impotenti.

Stanno parlando e stiamo parlando di guerra. Ed è vero. Perché ciò che sta accadendo intorno a noi oggi è l’unico modo per descriverlo. Dal quadro generale ci troviamo di fronte all’incombenza di una Terza Guerra Mondiale, tra le trincee della vita di tutti i giorni contiamo le migliaia di morti pandemiche da registrare come “vittime di guerra”. Dall’innalzamento dei prezzi al mercato nero. Dagli scaffali dei supermercati vuoti, allo stoccaggio di cibo. Dal “reclutamento” di alcuni dipendenti per ridurre le perdite del datore di lavoro, al licenziamento di altri. Dalla coercizione del lavoro senza prevenzione sanitaria elementare, agli straordinari di emergenza. Dall’insufficienza ospedaliera e di attrezzature mediche e l’inadeguatezza del personale infermieristico, alla trasformazione degli ospedali in reparti zeppi di “feriti di guerra”. Dal divieto di raduni, alla fobia di comunicare e toccarsi a vicenda.

Tutto questo è parte di un trattato di guerra. E ancora di più, la distopia che stiamo vivendo può sembrare poca cosa di fronte a ciò che si prospetterà se lo stato di emergenza sarà esteso e la pandemia si diffonderà in misura incontrollabile. Se il bilancio delle vittime aumenterà e la disoccupazione, la fame, i debiti e l’incapacità di soddisfare i bisogni di base renderanno insostenibile la vita di tutti i giorni. In altre parole se entreremo in uno stato di dissoluzione generalizzata del tessuto sociale con focolai di esacerbazione di violenza antisociale e domestica, depressione, nevrosi e suicidi. Ecco perché oggi, il movimento attuando il progetto senza tempo di solidarietà di classe, è chiamato ad agire come forza trainante per salvaguardare la società. Ma la difesa della nostra classe, la difesa della solidarietà come elemento vitale per la sopravvivenza spirituale e fisica della società, non può essere delineata riempiendo i vuoti lasciati dallo Stato e auto-organizzando la nostra povertà, ma nel rivendicando i bisogni sociali fondamentali come veicolo per la totale trasformazione rivoluzionaria della società. Lo slogan “rivoluzione o barbarie” è ciò che cattura il dilemma dei nostri tempi. Perché l’intensità cosmogonica e l’estensione delle contraddizioni che il capitalismo produce oggi, guideranno l’umanità, sia alla sua liberazione che alla sua regressione.

Quindi dovremmo perseverare. Il periodo in cui ci troviamo è cruciale. L’attacco dello Stato sia a livello economico, riversando le enormi perdite subite verso gli strati sociali più bassi; sia a livello politico con l’istituzione della “quarantena” contro la società e le sue resistenze, ha nuovamente ed enfaticamente posto le questioni di organizzazione e contrattacco del movimento come decisive per il suo futuro. Si giudicherà, ancora una volta nella storia recente, se il movimento è in grado di comprendere l’entità storica delle questioni aperte dalla situazione, se (e come) è in grado di comprendere la sua posizione e il suo ruolo, se riuscirà a svolgere il suo dovere storico: prima come cumulo di resistenza contro l’aggressione capitalista-repressiva e poi come forza critica per il rovesciamento rivoluzionario.

La cristallizzazione delle controversie politiche sulla situazione e i successivi obiettivi fondamentali da fissare, come concreta condensazione dell’aggressione capitalista contro di noi, possono creare le condizioni per la fiducia in sé stessi, una “fiducia di classe”, per l’unione e il contrattacco. La difesa della salute pubblica e il suo rafforzamento con personale permanente aggiuntivo, la fornitura gratuita di beni di prima necessità (medicinali, cibo), il requisito della prevenzione sanitaria dei lavoratori che sono costretti ad essere esposti alla pandemia, lo stop dei pagamenti (affitti, bollette, ecc.) di tutti i disoccupati e dei lavoratori che sono in vacanza forzata, l’arresto dei licenziamenti e l’obbligo di decongestionare le carceri; sono alcuni dei punti che condensano la gestione di classe della pandemia e le lotte che devono essere portate avanti contro di essa.

Ma non ci facciamo illusioni. Le lotte necessarie in questo periodo non sono facili da iniziare in una condizione così soffocante. La crisi ci trova ancora una volta impreparati. E peggio ancora, ci trova in un regime che vieta l’incontro pubblico e la presenza per le strade. L’astensione dal pubblico dominio e la risposta collettiva di massa a ciò che sta accadendo intorno a noi, danno spazio e tempo preziosi al nemico. Il tempo e il territorio che stiamo perdendo sono insostituibili e forse aspettare la fine della pandemia per colmare le lacune che già si stanno formando sarà troppo tardi. La rapidità degli sviluppi e la mancanza di elaborazione collettiva di posizioni e azioni di intervento sociale, possono portare ad una paralisi cinematica generalizzata con ramificazioni catastrofiche. Anche ora, e al fine di proteggere la salute pubblica, dobbiamo considerare la necessità di un’azione in pubblico in situazioni di emergenza. Il nemico si è già organizzato per questo. Dovremmo fare lo stesso. Questa preoccupazione del nemico, attraverso la militarizzazione della vita sociale imposta con il pretesto della pandemia, riguarda i metodi preventivi di contro-insurrezione e la fortificazione dello Stato nei confronti di una possibile esplosione sociale generalizzata, concausa e conseguenza di un fallimento imminente. La quarantena sociale è arrivata per restare, ed è già imposta con il controllo panottico nelle città, attraverso l’integrazione degli ordini istituzionale con metodi distopici di autocontrollo della società sopita e chiusa in casa, ma anche attraverso il dispiegamento di unità militari per le strade delle metropoli. Se in un ambiente così sterile di esasperazione sociale, il mancato rispetto degli ordini sanitari porta a multe e arresti, allora la resistenza in qualsiasi forma dovrebbe essere considerata, di fatto, criminalizzata e sanzionata. Qualcosa sta cambiando e lo sentiamo tutti. Viviamo sull’orlo della storia, nella fase di transizione di un cambiamento radicale del mondo nella forma in cui lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. E i sintomi di questo periodo intermedio, sotto forma di antagonismi, pandemie, crisi, fallimenti e militarismo, prefigurano un futuro ancora più inquietante e minaccioso per l’umanità. Qualcosa sta cambiando e lo vediamo tutti.

La scelta, ora, spetta a noi. Non ci sono forze metafisiche che muovono la storia, e la diffusione di una pandemia destabilizzerà ma in nessun modo distruggerà il capitalismo. La discontinuità storica della liberazione di classe sociale e la distruzione del capitalismo, risiedono solo nell’atto umano. Nel violento cambiamento rivoluzionario della società. Gli Stati, fintanto che le loro società e le loro resistenze resteranno dismesse e non organizzate, assorbiranno le vibrazioni delle loro crisi (sanitarie, economiche, di guerra) e creeranno le condizioni per un attacco ancora maggiore. In altre parole, senza resistenza, la sovranità sarà stabilizzata, riorganizzata e rafforzata. E in particolare oggi, l’uscita senza ostacoli del capitalismo dalla sua crisi sanitario-economica, lascerà dietro di sè le condizioni per un cimitero sociale. Silenzio, paura e miseria. La scelta, quindi, sorge nuovamente con enfasi: O NOI O LORO.

Ταξική Αντεπίθεση (ομάδα Αναρχικών και Κομμουνιστών)

Contrattacco di classe: Pandemia come sintomo dello Stato di emergenza del sistema

La Nave dei Folli – Episodio 2

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La cibernetica è la scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e nella macchina.

Postulando che la società si possa comprendere solo attraverso lo studio dei messaggi e dei mezzi di comunicazione – i messaggi fra l’uomo e le macchine, fra le macchine e l’uomo e fra macchine e macchine – la cibenetica ha dettato la rotta che seguiranno le società nella seconda metà del Novecento.

In greco kubernḗtēs è chi regge il timone della nave, la pilota o governa. Ora è il mondo intero a essere considerato un’imbarcazione, la futura navicella spaziale – e il prototipo umano quello dell’astronauta, rinchiuso nel suo abitacolo che lo protegge dalle minacce esterne e del tutto dipendente dalla tecnologia di cui è equipaggiato.

Con l’avvento delle reti 5G si potenzia ulteriormente la maglia di controllo e comunicazione, forse in modo definitivo. Il comandante continua a rassicurare l’equipaggio che tutto andrà bene, ma nell’oscurità delle tenebre, in alcune città delle contrade di Albione, divampano le fiamme che inceneriscono le nuove antenne.

• Autechre, Foil (Amber, 1994)
• Blackbird Raum, Turning Away
• Orwell 1984, di Michael Radford
• Muppet Show, Mahna Mahna
• Les Violons du Rigodon, Marche des Mules
• Michel Odent, Sopravviveremo alla medicina, 2017
• Light bearer, Beyond The Infinite_The Assembly Of God
• Ivan Illich, L’aumento delle cure genera nuove medicine, 1999
• Dove sognano le formiche verdi, di Werner Herzog
• Demetrio Startos, Flautofonie ed altro
• Trilok Gurtu Band con Oumou Sangaré e Jan Garbarek, Maya 2008
• Manhunt: Unabomber
• Joy Division, She’s Lost Control

Fidatevi, Jacques Ellul

È ovvio, le centrali atomiche sono del tutto affidabili. È ovvio, i missili ammassati, i sottomarini e i razzi, le bombe al neutrone e quelle all’idrogeno, i prodotti tossici al di fuori della guerra, i fusti e i contenitori di scorie radioattive e diossina, i cumuli di piombo e mercurio, lo strato sempre più spesso di anidride carbonica, tutto ciò non è pericoloso. Non più, ci verrà detto, di quanto lo fossero i gas dell’illuminazione nel 1850 o le prime ferrovie.

Poveri imbecilli traditori del progresso che non siamo altro, non abbiamo capito nulla. Mai qualcuno farà l’ultima delle ultime guerre.

Mai affonderanno le petroliere da 500.000 tonnellate, né perforeranno in modo irreparabile a tremila metri le sonde offshore.

Mai l’ingegneria genetica devierà per produrre mostri o esseri perfettamente conformi al modello fissato.

Mai i tranquillanti, gli eccitanti, gli ansiolitici saranno una camicia di forza chimica generalizzata.

Mai cibi artificiali prodotti da agili batteri in azione andranno in putrefazione.

Mai l’informatica sarà strumento di una polizia universale.

Mai le telecamere poste sui viali saranno l’occhio che non si trova più nella tomba e che non è più di Dio.

Mai lo Stato diventerà totalitario.

Mai il gulag si espanderà.

Fidatevi.

Fidatevi quindi degli scienziati, dei laboratori, degli uomini di Stato, dei tecnici, degli amministratori, degli urbanisti, che vogliono tutti solo il bene dell’umanità, che tengono bene in pugno il dispositivo e conoscono la giusta direzione.

Fidatevi degli analisti, degli informatici, degli igienisti, degli economisti, dei guardiani della Città (oh Platone, adesso li abbiamo!).

Fidatevi, perché la vostra fiducia è indispensabile a questa stregoneria.

Jacques Ellul (1980)