Il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la mattanza della settimana santa

Tratto da evasioni.info

Franco (nome di fantasia), recluso nelle sezioni di alta sicurezza della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, è in attesa di giudizio e non sa ancora se il giudice lo riterrà colpevole o innocente. Si ammala qualche settimana prima di Pasqua. Picchi di febbre e problemi respiratori fanno pensare al peggio. Dopo qualche ora di monitoraggio viene “isolato” in infermeria per verificare l’evoluzione dei sintomi. I familiari riescono ancora a comunicare con lui tramite videochiamate ma hanno l’impressione che le cose stiano prendendo una brutta piega. Hanno paura, come tutti. Riescono a sapere tramite l’associazione Antigone e l’ufficio del garante dei detenuti che la situazione per ora è monitorata, ma si dovranno fare accertamenti specifici per capire il tipo di malessere. Qualche giorno dopo, la direzione sanitaria che opera in carcere avverte la famiglia che Franco è stato sottoposto a tampone da Covid-19 risultando positivo. Nel frattempo, sarebbe stato ricoverato presso la struttura ospedaliera napoletana del Cotugno.

La notizia in breve tempo si diffonde e arriva in carcere, Franco è il primo detenuto ammalato di Covid della regione, la seconda dopo la Lombardia per indici di sovraffollamento carcerario. La tensione sale all’interno dell’istituto. Il corpo detenuto teme il contagio e si sente sguarnito da ogni difesa: cosa si potrebbe fare per evitare di ammalarsi? Il carcere non è un luogo impermeabile: il distanziamento sociale è impraticabile, guanti e mascherine non ci sono e in istituto entrano ed escono moltissime persone. «Il carcere, essendo chiuso e isolato, è il luogo più riparato dal contagio della pandemia», sostiene invece il procuratore Gratteri. A oggi, i contagiati sono circa duecentotrenta (sessanta detenuti e centosettanta poliziotti).

Franco intanto è stato ricoverato. È il weekend che precede la settimana delle feste pasquali. Si avvicina l’orario di chiusura delle celle ma i detenuti di una sezione non vogliono rientrare. Inizia la protesta con una battitura e l’occupazione simbolica della sezione. La polizia penitenziaria denuncia che per impedirle l’accesso in sezione è stato riversato dell’olio bollente. La tensione in questa fase raggiunge facilmente stadi di acuzie e rapidi cali perché nessuno sa in verità come si uscirà dalla vicenda del virus. Chi ha il potere naviga a vista e chi non lo ha spesso sente di affogare.

Le proteste rientrano nel corso della stessa serata di domenica, dopo un primo intervento della penitenziaria. Sembra essere stato uno sfogo caduto nel vuoto. Bisogna che le cose sfumino da sé. Anche gli sforzi di chi in questi giorni sta tentando di stabilire un dialogo con le controparti, offrendo soluzioni per fronteggiare la devastante emergenza, si sgretolano di fronte al muro del Dap e del ministero.

A questo punto la storia cominciata con il contagio di Franco assume contorni inquietanti. Lunedì in carcere arriva la magistratura di sorveglianza e incontra i detenuti per i colloqui. Si constata che gli atti di insubordinazione che si sono verificati non hanno assunto i connotati di una vera rivolta (come quella ai primi di marzo nel carcere di Fuorni, Salerno). Secondo le testimonianze raccolte da Antigone e dall’ufficio del garante, si è verificata invece una fortissima rappresaglia da parte della polizia penitenziaria. Appena la magistratura di sorveglianza ha concluso il suo lavoro (tra le sue competenze c’è quella di monitorare lo stato, le garanzie e i diritti dei reclusi) quasi cento poliziotti a volto coperto e in tenuta antisommossa sono entrati in un padiglione e hanno cominciato i pestaggi all’interno delle “camere di pernottamento”. Probabilmente non sono gli stessi poliziotti in servizio presso l’istituto, anche perché picchiano chiunque, anche chi non ha preso parte alle agitazioni del fine settimana, anche qualche detenuto che dopo pochi giorni potrebbe uscire dal carcere con i segni del martirio sulla carne.

Le violenze si svolgono secondo modelli già visti: ad alcuni detenuti vengono tagliati barba e capelli, vengono spogliati e pestati con manganelli, pugni e calci su tutto il corpo. Il racconto di queste torture non sembra fermarsi, perché alcuni familiari sostengono che i pestaggi continuino anche ora. Nel corso di questa settimana, le famiglie, preoccupate per le violenze, hanno organizzano una manifestazione pacifica nei pressi del carcere. Ma all’interno si respira un’aria gelida e qualche agente continua il gioco al massacro psicologico: «Avete anche il coraggio di far venire le vostre famiglie? Non vi è bastato?».

https://napolimonitor.it/il-carcere-di-santa-maria-capua-vetere-e-la-mattanza-della-settimana-santa/

Link dove vedere il video dove un detenuto racconta, attraverso una telefonata, le violenze di questi giorni al carcere di Santa Maria Capua Vetere

Mattanze di questo tipo, in stile scuola Diaz, servono a (ri)stabilire un rapporto di dominio: svuotare il corpo di ogni difesa fisica e mentale, colpire la persona fino a suscitare un sentimento di vergogna verso se stessi. Di fronte al deflagrare di quest’energia cinetica bisogna essere nudi: è il modo migliore per rendere docile un corpo che ha mostrato segni di insubordinazione. In questi giorni sono stati presentati alcuni esposti alla Procura della Repubblica (solo Antigone ne ha già depositai tre, in diversi penitenziari del paese) che dovrà accertare cosa è successo nel carcere casertano.

La tensione nel frattempo, anche quella della polizia penitenziaria, si trasforma di continuo in atti di forza, soprattutto quando non si hanno direttive per fronteggiare la crisi. Il virus viaggia velocemente e la direzione sanitaria cerca di stargli dietro. È tuttavia difficile, perché i detenuti sono tanti e in alcune sezioni sono ammassati in clamoroso sovrannumero. Oggi i contagi nel carcere di Santa Maria sono arrivati a quattro e un intero piano di una sezione è stato isolato.

Se il sistema sta svelando un’altra falla, dopo gli ospedali e le case di cura, è anche vero che esiste una differenza tra il carcere e gli altri ambienti. Nei nosocomi e nelle RSA, finanche in alcune fabbriche (tutto pur di non interrompere le linee di produzione) si stanno predisponendo – dopo centinaia di morti tra pazienti, medici, infermieri e vigili del fuoco – misure di sicurezza per arginare il contagio. Nelle carceri si guarda il sistema implodere senza prendere alcuna decisione. La mattanza di Santa Maria ne è la dimostrazione e poiché il carcere è uno spazio di guerra, la possibilità di usare in ogni momento delle strategie per indebolire o neutralizzare una delle parti è all’ordine del giorno.

“Gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo (Mc 15,16-20)”. Adesso è necessario monitorare le persone che sono ancora recluse, per evitare che il massacro continui. (luigi romano)

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la mattanza della settimana santa

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)

“I loro virus, i nostri morti”

Siamo quotidianamente sommersi dai dati sul numero di contagiati, morti e guariti. Anche se non emergono mai le cause strutturali di questa epidemia – il saccheggio industriale dell’ambiente naturale e lo squilibrio nelle relazioni con le altre specie animali – alcune verità, per chi sa isolarle in questo mare di informazioni, rimangono a galla. Oltre il 70% dei deceduti con Coronavirus soffriva di ipertensione. Nel 95% dei casi esistono dei fattori di rischio che possono predisporre al suo sviluppo; in particolare la sedentarietà e lo stress. Il divieto di uscire di casa – con le debite precauzioni – crea i presupposti per nuove moltitudini di malati. Senza contare le devastanti conseguenze psicologiche per tutti coloro che vivono condizioni abitative e famigliari tanto insostenibili quanto rimosse dall’ottimismo di Stato (“Tutto andrà bene. Io resto a casa”). Inoltre, se l’importanza del sole e della vitamina D per le difese immunitarie sono “fake news”, perché nei protocolli distribuiti a carabinieri e polizia si consiglia almeno mezz’ora di sole al giorno e, in caso di impossibilità, l’assunzione di vitamina D?

Sacrificabili

Alla BRT di Rovereto si sono registrati due casi di Coronavirus tra i facchini (uno dei due è ricoverato in terapia intensiva). L’azienda della logistica, dopo aver “sanificato” in fretta e di nascosto gli uffici (non il magazzino), pretendeva che gli operai continuassero tranquillamente a lavorare, senza nemmeno fare i tamponi. I facchini si sono rifiutati, mettendosi in malattia. Intanto Confindustria spinge per aprire al più presto le fabbriche (chiuse solo dopo l’ondata di scioperi che ha costretto il governo a bloccare le “produzioni non essenziali”). Qualcuno parla di “suddivisione squilibrata del rischio”. Altri, che guardano all’intero pianeta e alle sue gigantesche ingiustizie, di “apocalisse differenziata”.

Ne parleremo, e a lungo

Secondo dati ufficiali, tra il 2009 e oggi sono stati sottratti alla Sanità 37 miliardi di euro. Sarà forse per l’oggettiva eloquenza di questo dato che i giornali locali hanno riportato la notizia di una scritta apparsa davanti all’ospedale di Rovereto (“Grazie al personale sanitario, ma non scordiamo chi ha tagliato la Sanità”) senza il consueto codazzo di commenti di criminalizzazione? Oltre al dato quantitativo, ce n’è un altro, qualitativo. Se allarghiamo un po’ l’arco temporale, ci accorgiamo che la Sanità non è stata solo sforbiciata, ma anche trasformata. Fino al 1978, infatti, era previsto un rapporto di scambio fra la medicina di prevenzione e i “Comitati di cittadini” (espressione con cui si cercava di istituzionalizzare i tanti comitati di base per la salute nei territori e sui posti di lavoro nati un po’ ovunque nel corso delle lotte degli anni Settanta). Dall’incontro di medici e comitati di base era nata, qualche anno prima, l’inchiesta più seria e approfondita sul disastro ambientale dell’Icmesa a Seveso. Visto che ciò che stiamo vivendo è un’esperienza di massa che non si cancellerà in quattro e quattr’otto – si tratta della più pesante limitazione delle libertà nella storia d’Italia –, sarà di fondamentale importanza per il futuro creare spazi di confronto fra abitanti e personale sanitario critico al fine di analizzare nell’insieme e nel dettaglio cosa ha causato questa epidemia e come l’hanno affrontata governi e scienziati di Stato.

“Ti auguro un fantastico futuro”

Con queste parole, si chiude la lettera nella quale l’informatico Thomas Frey spiega a un divulgatore scientifico che ben presto le attuali password saranno sostituite, grazie al 5G, con «frasi vocali accoppiate a spettri laser, risonanza al tocco, riconoscimento del battito cardiaco, firma a infrarossi» (“Corriere Innovazione ” del 3 aprile 2020). «Ovunque tu sarai – aggiunge il suo interlocutore, il professor Derrick De Kerchove – verrai rintracciato e virtualmente ricostituito in quattro dimensioni in modo completo e continuo come può fare il 5G. Acquisirai e memorizzerai ogni tua mossa come un tuo inconscio digitale profilato e distribuito in database da cui emergeranno decisioni (scelta, acquisto, voto, ecc.)». «Ma non è la fine del mondo – ci assicura il professore –, solo quella della nostra illusoria e piacevole autonomia». «Questa emergenza ha fornito la spallata che serviva per diffondere la digitalizzazione». D’altronde, «mai sprecare una crisi». Per coloro che si ribellano a tale fantastico futuro di uomini-macchina, è già pronta la definizione: “talebani dell’esperienza fisica”.

Consigli inglesi

Alcune antenne per la telefonia mobile 5G sono state incendiate a Sparkhill, Birmingham, giovedì 2 aprile, e a Melling, Merseyside, venerdì 3 aprile. La notizia è stata data anche in Italia. Gli autori dei sabotaggi sono stati definiti “complottisti”, con tanto di comunicato da parte di Google e Facebook, per i quali la nuova infrastruttura 5G è fondamentale affinché la sorveglianza che esercitano in rete si estenda ai comportamenti nella vita reale e agli stessi ambienti cittadini. Qui non c’è alcun complotto. È la logica stessa dell’accumulazione a far sì che il modo migliore per predire i comportamenti dei consumatori – e vendere le previsioni agli inserzionisti e all’industria – sia quello di programmarli.

Auguri dalla Grecia

È sempre saggio ascoltare il vicino di casa che ha già vissuto una condizione che domani potrebbe toccare a te. Scrive un collettivo di Atene: «Stanno parlando e stiamo parlando di guerra. Ed è vero. Dall’innalzamento dei prezzi al mercato nero. Dagli scaffali dei supermercati vuoti, allo stoccaggio di cibo. Dal “reclutamento” di alcuni dipendenti per ridurre le perdite del datore di lavoro, al licenziamento di altri. Dalla coercizione del lavoro senza prevenzione sanitaria elementare, agli straordinari di emergenza. Dall’insufficienza ospedaliera e di attrezzature mediche e l’inadeguatezza del personale infermieristico, alla trasformazione degli ospedali in reparti zeppi di “feriti di guerra”. […] Quindi “economia di guerra” significa un nuovo ciclo di memorandum, licenziamenti, riduzione di salari, pensioni, spese sociali e privatizzazioni. Quello che lo Stato sta dando oggi per fermare la sua bancarotta, domani lo pagheremo col sangue».

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Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)

Non uscire di casa?

“..il profondo sentimento di sentirsi costantemente estraneo e indifeso,
la continua omissione, la persistente insicurezza di vivere ..
Il figlio del povero, foglia giocattolo del vento, O.R.

Ci vogliono ancor più separate, più isolate le une dalle altre, vogliono
imprigionare ancora di più le nostre individualità. Davanti alla crisi
sanitaria puoi prenderti cura solo di te stessx e della tua famiglia. Se
esci sarai colpevole di portare il virus in casa. Se muoiono sarà colpa
tua.
E con questo discorso si esenta di responsabilità lo stato, che bravx
cittadinx, che perfetti esseri umani, non riempiamo i loro ospedali,
questi sono solo per chi può pagarli, noi dobbiamo morire sole ed
isolate nelle nostre case, nelle strade, nelle nostre carceri. Tutte
abbiamo un Guayaquil(1) nei nostri quartieri. Collassano i servizi che
lo stato dovrebbe garantire, ora nella realtà. Eccolo qui il vostro voto
democratico per una morte nell’autoesilio nella tua casa.
La nostra atomizzazione è ora palpabile, astrarci in questo ruolo, nelle
reti sociali, nella nostra paura, nella nostra tristezza e lacrime. Se
qualcosa impareremo da questa situazione è che siamo più vicinx
all’ideologia del capitale, che essa permea, incide, influisce anche
nelle menti delle persone più radicali. Resta a casa ci dicono, e lo
assumiamo come dettame, davanti la paralisi della paura spettacolare,
aspettative e fiducia nei nostri governi e i nostri sistemi democratici.
Oggi. Vogliamo che ci salvino quelli a cui alcune volte abbiamo lanciato
le molotov. Che ridere e che rabbia.
…Impareremo?
In queste terre meticce dove si semina ogni giorno la morte, dove
nonostante le loro misure di quarantena, continuano ad esserci donne e
bambine violentate e all’angolo della mia via continuano a vendere
qualunque droga con l’indifferenza a portata del tuo portafogli… qui si
impara solo a sopravvivere in ogni modo, malgrado chiunque,
trascinandoci il nostro sacco di ossa e carne, senza i benefici che ci
concede come umani possedere una spettacolare materia grigia nei nostri
crani.
Nella comunicazione di massa insegnano a condannare chi deve uscire per
lavorare o chi esce solo perché lo vuole. Resta nella tua cazzo di casa!
Grida la gente che si sente forte dietro la finestra. Che non hai paura?
Pff abbiamo smesso di avere paura di uscire da quando abbiamo imparato a
difenderci visto che più di dieci donne sono brutalmente assassinate e
violentate ogni giorno e nessuno dice o fa qualcosa al riguardo. Il
virus chissà ci ucciderà in un’altra forma, ma non è una scusa per avere
paura.
No signorx dei mezzi di informazione di massa, non possiamo restare a
casa, la disperazione e l’incertezza di avere questo buco nello stomaco
ci farà uscire tutte le volte che ci sembra il caso a cercare pane e
come pagare l’affitto, il nostro impeto ci obbligherà ad uscire a
scrivere sulle vostre facciate, a distruggere i vetri dei luoghi dove ci
hanno buttate come scarti umani senza darci una lira per pagare la loro
pandemia. Ne in questa ne in altre mille crisi resteremo in casa, non
c’è forma, o moriamo di virus o moriamo di fame, non c’è riconciliamento
di classe, non c’è tregua.
Il futuro si fa confuso ogni secondo di più, niente ci da più certezza
di questo tremendo desiderio che tutto salti in aria.
Stiamo sopravvivendo a un esodo di tutto ciò che è vivo, causato dalla
dinamica del capitale in tutte le sue forme. Il terzo mondo affoga nel
mediterraneo, si scontra con la guardia nazionale dei paesi
latinoamericani, lx migrantx si scontrano con i cacciatori del narco o i
buoni cittadini europei che li disdegnano, tutto con il fine di arrivare
in paesi d’abbondanza.. abbondanza di schiavitù salariata, di mano
d’opera a bassissimo costo, xenofobia, sfruttamento, repressione,
persecuzione.. le guerre per le risorse e la dominazione in medio
oriente continuano, gli interessi sono più grandi di uno stupido virus,
il morbillo si fa largo in queste terre marginali assassinando decine di
bambinx e anzianx.
Però dobbiamo restare nelle nostre cazzo di case. Bisogna essere
responsabili perché se il contagio sarà più grande sarà colpa nostra,
non dello stato che non garantisce i diritti che tanto sbrodola, non dei
fiammanti ospedali che hanno costruito in ogni quartiere, che di fatto
non esistono; nessuno sarà colpevole tranne noi, perché usciamo. Così
gli stati si lavano le mani in tutti i paesi.
Nel frattempo, nelle nostre case e fuori continuiamo a far si che il
capitalismo funzioni. Stiamo cooperando, continuiamo ad essere al suo
servizio. L’economia non ha smesso di muoversi, si trasforma in
medicine, onoranze funebri, cibo a portar via, negozi svuotati dagli
acquisti del panico di chi può pagare questa e altre mille crisi. Non
resta altro che usare la modernissima risorsa della città, il
telelavoro.
Le città sono semidesertiche, non perché la gente non vuole uscire, ma
perché convogli di sbirri passano a ricordarti che sei una merda se esci
e ti suggeriscono “amabilmente” di ritornare a rinchiuderti.
Repressione, proibizioni, multe, abusi d’autorità, quarantena per gente
sana, aneliti a che tutto ciò passi per tornare alla schiacciante
quotidianità, a lavorare ancor più per pagare tutti i nostri debiti per
questa crisi che provochiamo per questa forma imprudente di giocare a
dominare e possedere qualunque corpo umano e non. Per essere i carnefici
della natura, per assumere, riprodurre e gestire la violenza. Siamo i
nostri propri sicari, che pena e che comico.
Chi vuole morire ora? l’irrazionale istinto di sopravvivenza ci
impedisce di continuare a elogiare allegramente la morte per la noia e
la quotidianità che ci impone il capitale.
La morte è qui.
È reale.
Loro la rendono reale in tutti i modi possibili.

Quando l’uomo non trova, nella sua affinità con gli altri, forze per
rianimarsi, rafforzarsi e assicurarsi, le incontra nella sua relazione e
intimità con la natura.
Otto Rühle
Tesore non restate in casa assorte, astraendo e meditando sulle ragioni
del virus. Uscite a spaccare, scrivere sui muri, fate l’amore nei parchi
desertici per l’incertezza, scappate in spiaggia, nel bosco, andiamo a
infastidire le guardie. Si, è vero, siamo irresponsabili, non dobbiamo
nulla a questa società e ai suoi difensori. Nulla ci lega a questo mondo
più che cercare di distruggerlo, e se ci è possibile costruirne un
altro.

Dopo questa pulizia di persone anziane e povere che non apportano nulla
all’avanzamento della macchina del capitale, che farai amore?

Proletarie antidemocratiche
messico
aprile 2020

NOTA

1) una città in Equador in cui il numero dei morti è altissimo e i corpi
restano abbandonati in strada mentre le pompe funebri non riescono
neppure a recuperarli. Anche se non tutti i morti sono provocati dal
virus, ma piuttosto dalle misure che lo hanno seguito.

Grosseto – Volantinaggio tra le file dei supermercati

Un paio di giorni fa siamo andate a fare la spesa e dato che avremmo dovuto passare del tempo in coda davanti ai supermercati (unici luoghi di socialità “leggitima”) abbiamo pensato di portarci un po’ di volantini formato A5 da distribuire (con guanti e mascherine per evitare la graticola) e qualcun’altro in formato A4 da appiccicare in punti strategici nei dintorni.

In fondo ai volantini abbiamo scritto una mail per essere eventualemente contattate.

Condividiamo l’iniziativa perchè ci è parsa una buona pratica, facilmente riproducibile.

La gente passa parecchio tempo in fila, solitamente immersa nello smartphone, chissà mai che la lettura della carta stampata non torni ad essere contagiosa.

volantino A4

volantino A5

Contrattacco di classe: Pandemia come sintomo dello Stato di emergenza del sistema

Risulta chiaro che la diffusione del Coronavirus è più di una semplice minaccia per la salute. Senza ignorare l’importanza della Salute pubblica, che è attualmente messa a dura prova da parte di un virus incontrollato, riteniamo che il nucleo della gestione pandemica non sia tanto di ripristinare la sicurezza sanitaria, quanto di affrontare le sue conseguenze devastanti sull’economia. Lo scoppio della pandemia non si è verificato in un tempo storico neutrale, ma durante cambiamenti epocali, avviati, almeno nell’ultimo decennio, dallo scoppio della crisi capitalista globale. È un dato di fatto, quindi, che la gestione della crisi sanitaria sia incorporata nella più ampia gestione della crisi del sistema e dei deadlock che si sono creati.

Passando per il periodo di “pace”, senza precedenti, che ci lasciamo alle spalle, in cui stava avvenendo un fenomeno di rallentamento o addirittura fissazione della produzione, la pandemia accelera rapidamente il tempo storico e intensifica le tendenze destabilizzanti già esistenti nell’economia globale (recessione, mancanza di investimenti, concorrenza commercial-energetica) con qualcosa di ancora più drastico.

L’economia mondiale è il malato. E la pandemia, come fenomeno ciclico, incarna le sue contraddizioni dell’epoca in cui si manifesta. Infatti, il cortocircuito provocato dalla diffusione del virus Covid-19, accelera la necessità di un’altra ristrutturazione capitalistica, questa volta in ambito bellicoso. In un periodo di stagnazione economica globale, di accumulo del capitale (ancora una volta) in ambito finanziario e della creazione di una “bolla” ancora più pericolosa di quella portò alla crisi del 2008.

Questa mancanza di sbocco e l’imminente deflagrazione dell’economia globale, si riflettono nello sforzo incessante degli Stati di mantenere o rafforzare la loro posizione nella quota di mercato rimasta. Si riflettono nella militarizzazione dell’economia, sia in termini di politiche commercial-energetiche aggressive (embargo, sabotaggio, sanzioni e tariffe), che in termini di impiego militare diretto o indiretto in aree di interesse energetico e geo-strategico. In un ambiente così

freneticamente competitivo e marginale, la pandemia e le sue conseguenze sull’economia possono solo accelerare lo scoppio di un nuovo, ancora più profondo, fallimento del sistema.

Il fallimento sistemico che sta avvenendo in maniera celata, al momento si manifesta come un processo di “distruzione del capitale”, con il carattere asimmetrico e acceleratorio apportato dalla pandemia. In altre parole, la pandemia è semplicemente il detonatore della bomba a orologeria di un’economia globale che sta per esplodere da tempo. Pertanto, l’arresto della produzione, la riduzione o l’annientamento dei profitti e l’accumulo di debiti per un certo numero settori strategici (turismo, energia, commercio), creeranno un radicale riarrangiamento del mercato con chiusure aziendali e licenziamenti di massa. Chiaramente, questa “distruzione del capitale”eliminerà principalmente le parti più deboli di esso che non saranno in grado di far fronte al sovraindebitamento e, di conseguenza, rafforzerà i grandi monopoli che assorbiranno le perdite principalmente attraverso il prestito dalle banche centrali degli Stati. Ma questo processo di ripristino dei monopoli avverrà in un ambiente ancora più volatile a livello internazionale. La contrazione del PIL di alcuni stati, (Deutsche Bank stima al 24% per l’UE… un dato che non appariva dalla Prima Guerra Mondiale), il crollo del prezzo del petrolio e del gas, l’aumento insostenibile del debito pubblico e privato di alcuni stati capitalisti (ad esempio l’Italia) e il crollo del mercato azionario, sono e saranno temi centrali per delineare confini e alleanze competitivo-belligeranti in cui il mondo del commercio, dell’energia, e delle relazioni diplomatiche che gli stati dovranno affrontare all’indomani della pandemia.

All’interno di questo contesto, l’attuazione di un’”economia di guerra” come prospettato da K. Mitsotakis, descrive bene la situazione attuale. Il mancato e prolungato funzionamento “a pieno regime” del mercato e i suoi effetti a catena su un certo numero di settori dell’economia, agiscono come un acceleratore per il possibile scoppio di un fallimento immediato e incontrollato (anche in Grecia). Il comunicato di guerra emesso da Mitsotakis non riguarda la “minaccia asimmetrica” della pandemia, ma la contrazione sempre crescente dell’economia e la preparazione militare dello Stato per la gestione dello Stato di emergenza. La terminologia scelta dal capo del governo greco per comunicare con la società e le misure adottate per rafforzare e sostenere il capitale e i datori di lavoro paralizzati dal calo di redditività, sono tipiche di condizioni di guerra e fallimento.

Tali interventi statali “marziali” si sono già stati messi in campo nel 2010 con il fallimento ufficiale dello Stato greco. Le misure straordinarie decise dall’UE e dalla BCE con un programma di acquisto di obbligazioni di 750 miliardi di euro (di cui 12 miliardi per la Grecia), a parte il fatto che non sono state destinate a rafforzare l’economia reale come “iniezione di liquidità”, ma ad assorbire le obbligazioni tossiche detenute dai fondi, rientrano nel debito pubblico dei bilanci degli Stati. E se oggi operazioni simili vengono presentate come misure di natura “protezionistica”, domani si riveleranno ancora più disastrose di quelle del 2010, perché si accumuleranno a spese di un’economia spezzata, sovra-indebitata e devastata da più di un decennio. I prestiti “solidali” e le iniezioni di liquidità nel bilancio dello Stato dall’UE sono capitali che dovrebbero essere teoricamente coperti e rimborsati da una società che, di fatto, è già fallita e chiusa. Quindi “economia di guerra” significa un nuovo ciclo di memorandum, licenziamenti, riduzioni salariali e pensioni, spese sociali e privatizzazioni. Quello che lo Stato sta dando oggi per fermare la sua bancarotta, domani lo pagheremo col sangue.

Attualmente, lo Stato, attraverso lo sforzo coordinato di rallentare e controllare la diffusione della pandemia, sta correndo al ripristino della normalità produttiva e al riavvio immediato dell’economia. L’imposizione di severe misure sanitarie, come condizione di base per demarcare e trattare il virus non è attuata in funzione della protezione della salute pubblica come apparentemente affermano, bensì della drastica riduzione temporale della destabilizzazione economica. Qui dovremo soffermarci un po’ più a lungo. Anche se consideriamo che la questione della congiuntura non sia quella di garantire la salute ma di salvare l’economia, ciò non significa che riteniamo, ingenuamente, il rischio pandemico come inesistente. La critica e l’opposizione in un determinato contesto devono sempre essere portate avanti con consapevolezza e Responsabilità Sociale, ricordando che la minaccia per la salute pubblica e la sua attualmente necessaria protezione sono dati di fatto. In quanto soggetti socio-politici, abbiamo la responsabilità di adottare misure di

protezione della salute senza identificarci con gli imperativi dello Stato. Perché lo Stato, come meccanismo criminale-antisociale, impone ordini sanitari-repressivi spostando il peso della diffusione del virus sulla società, sbarazzandosi della

responsabilità politica dell’ormai insufficiente sistema sanitario pubblico. Perché lo Stato e i suoi meccanismi di propaganda, promuovono abilmente la “responsabilità individuale” e le riunioni sociali come le principali cause della diffusione del virus, senza menzionare il sotto-finanziamento, la chiusura degli ospedali, la mancanza di attrezzature, medicinali e unità di terapia intensive. Al contrario stiamo adottando misure non per evitare le nostre responsabilità, ma per sollevarle e portarle sulle nostre spalle, assieme a tutti i ricatti e le estorsioni a cui siamo sottoposti. A chi continua a lavorare nelle condizioni più avverse (lavoro, salute ed economiche) servono coesione sociale e solidarietà e se servono medicine adeguate, cibo e ospedali. A chi è in cassa-integrazione, disoccupato o lavora “a nero”, a chi è prigioniero nelle carceri e nei campi di detenzione per migranti. Stiamo adottando misure per evitare che come popolazione eccedentaria e improduttiva in tempo di guerra, soffriremo e moriremo impotenti.

Stanno parlando e stiamo parlando di guerra. Ed è vero. Perché ciò che sta accadendo intorno a noi oggi è l’unico modo per descriverlo. Dal quadro generale ci troviamo di fronte all’incombenza di una Terza Guerra Mondiale, tra le trincee della vita di tutti i giorni contiamo le migliaia di morti pandemiche da registrare come “vittime di guerra”. Dall’innalzamento dei prezzi al mercato nero. Dagli scaffali dei supermercati vuoti, allo stoccaggio di cibo. Dal “reclutamento” di alcuni dipendenti per ridurre le perdite del datore di lavoro, al licenziamento di altri. Dalla coercizione del lavoro senza prevenzione sanitaria elementare, agli straordinari di emergenza. Dall’insufficienza ospedaliera e di attrezzature mediche e l’inadeguatezza del personale infermieristico, alla trasformazione degli ospedali in reparti zeppi di “feriti di guerra”. Dal divieto di raduni, alla fobia di comunicare e toccarsi a vicenda.

Tutto questo è parte di un trattato di guerra. E ancora di più, la distopia che stiamo vivendo può sembrare poca cosa di fronte a ciò che si prospetterà se lo stato di emergenza sarà esteso e la pandemia si diffonderà in misura incontrollabile. Se il bilancio delle vittime aumenterà e la disoccupazione, la fame, i debiti e l’incapacità di soddisfare i bisogni di base renderanno insostenibile la vita di tutti i giorni. In altre parole se entreremo in uno stato di dissoluzione generalizzata del tessuto sociale con focolai di esacerbazione di violenza antisociale e domestica, depressione, nevrosi e suicidi. Ecco perché oggi, il movimento attuando il progetto senza tempo di solidarietà di classe, è chiamato ad agire come forza trainante per salvaguardare la società. Ma la difesa della nostra classe, la difesa della solidarietà come elemento vitale per la sopravvivenza spirituale e fisica della società, non può essere delineata riempiendo i vuoti lasciati dallo Stato e auto-organizzando la nostra povertà, ma nel rivendicando i bisogni sociali fondamentali come veicolo per la totale trasformazione rivoluzionaria della società. Lo slogan “rivoluzione o barbarie” è ciò che cattura il dilemma dei nostri tempi. Perché l’intensità cosmogonica e l’estensione delle contraddizioni che il capitalismo produce oggi, guideranno l’umanità, sia alla sua liberazione che alla sua regressione.

Quindi dovremmo perseverare. Il periodo in cui ci troviamo è cruciale. L’attacco dello Stato sia a livello economico, riversando le enormi perdite subite verso gli strati sociali più bassi; sia a livello politico con l’istituzione della “quarantena” contro la società e le sue resistenze, ha nuovamente ed enfaticamente posto le questioni di organizzazione e contrattacco del movimento come decisive per il suo futuro. Si giudicherà, ancora una volta nella storia recente, se il movimento è in grado di comprendere l’entità storica delle questioni aperte dalla situazione, se (e come) è in grado di comprendere la sua posizione e il suo ruolo, se riuscirà a svolgere il suo dovere storico: prima come cumulo di resistenza contro l’aggressione capitalista-repressiva e poi come forza critica per il rovesciamento rivoluzionario.

La cristallizzazione delle controversie politiche sulla situazione e i successivi obiettivi fondamentali da fissare, come concreta condensazione dell’aggressione capitalista contro di noi, possono creare le condizioni per la fiducia in sé stessi, una “fiducia di classe”, per l’unione e il contrattacco. La difesa della salute pubblica e il suo rafforzamento con personale permanente aggiuntivo, la fornitura gratuita di beni di prima necessità (medicinali, cibo), il requisito della prevenzione sanitaria dei lavoratori che sono costretti ad essere esposti alla pandemia, lo stop dei pagamenti (affitti, bollette, ecc.) di tutti i disoccupati e dei lavoratori che sono in vacanza forzata, l’arresto dei licenziamenti e l’obbligo di decongestionare le carceri; sono alcuni dei punti che condensano la gestione di classe della pandemia e le lotte che devono essere portate avanti contro di essa.

Ma non ci facciamo illusioni. Le lotte necessarie in questo periodo non sono facili da iniziare in una condizione così soffocante. La crisi ci trova ancora una volta impreparati. E peggio ancora, ci trova in un regime che vieta l’incontro pubblico e la presenza per le strade. L’astensione dal pubblico dominio e la risposta collettiva di massa a ciò che sta accadendo intorno a noi, danno spazio e tempo preziosi al nemico. Il tempo e il territorio che stiamo perdendo sono insostituibili e forse aspettare la fine della pandemia per colmare le lacune che già si stanno formando sarà troppo tardi. La rapidità degli sviluppi e la mancanza di elaborazione collettiva di posizioni e azioni di intervento sociale, possono portare ad una paralisi cinematica generalizzata con ramificazioni catastrofiche. Anche ora, e al fine di proteggere la salute pubblica, dobbiamo considerare la necessità di un’azione in pubblico in situazioni di emergenza. Il nemico si è già organizzato per questo. Dovremmo fare lo stesso. Questa preoccupazione del nemico, attraverso la militarizzazione della vita sociale imposta con il pretesto della pandemia, riguarda i metodi preventivi di contro-insurrezione e la fortificazione dello Stato nei confronti di una possibile esplosione sociale generalizzata, concausa e conseguenza di un fallimento imminente. La quarantena sociale è arrivata per restare, ed è già imposta con il controllo panottico nelle città, attraverso l’integrazione degli ordini istituzionale con metodi distopici di autocontrollo della società sopita e chiusa in casa, ma anche attraverso il dispiegamento di unità militari per le strade delle metropoli. Se in un ambiente così sterile di esasperazione sociale, il mancato rispetto degli ordini sanitari porta a multe e arresti, allora la resistenza in qualsiasi forma dovrebbe essere considerata, di fatto, criminalizzata e sanzionata. Qualcosa sta cambiando e lo sentiamo tutti. Viviamo sull’orlo della storia, nella fase di transizione di un cambiamento radicale del mondo nella forma in cui lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. E i sintomi di questo periodo intermedio, sotto forma di antagonismi, pandemie, crisi, fallimenti e militarismo, prefigurano un futuro ancora più inquietante e minaccioso per l’umanità. Qualcosa sta cambiando e lo vediamo tutti.

La scelta, ora, spetta a noi. Non ci sono forze metafisiche che muovono la storia, e la diffusione di una pandemia destabilizzerà ma in nessun modo distruggerà il capitalismo. La discontinuità storica della liberazione di classe sociale e la distruzione del capitalismo, risiedono solo nell’atto umano. Nel violento cambiamento rivoluzionario della società. Gli Stati, fintanto che le loro società e le loro resistenze resteranno dismesse e non organizzate, assorbiranno le vibrazioni delle loro crisi (sanitarie, economiche, di guerra) e creeranno le condizioni per un attacco ancora maggiore. In altre parole, senza resistenza, la sovranità sarà stabilizzata, riorganizzata e rafforzata. E in particolare oggi, l’uscita senza ostacoli del capitalismo dalla sua crisi sanitario-economica, lascerà dietro di sè le condizioni per un cimitero sociale. Silenzio, paura e miseria. La scelta, quindi, sorge nuovamente con enfasi: O NOI O LORO.

Ταξική Αντεπίθεση (ομάδα Αναρχικών και Κομμουνιστών)

Contrattacco di classe: Pandemia come sintomo dello Stato di emergenza del sistema

Belgio – Rivolta ad Anderlecht, Bruxelles dopo l’assassinio di un giovane

Ieri, gruppi di giovani si sono scontrati con la polizia ad Anderlecht, quartiere di Bruxelles. Sono stati lanciati vari oggetti tra cui petardi e attaccati i mezzi degli sbirri.
Due sono rimasti feriti.
La rivolta è scoppiata in seguito ad un inseguimento tra una volante ed un 19enne in motorino che si è rifiutato di fermarsi ad un posto di blocco. Nel tentativo si seminare la volante si è schiantato – o è stato volontariamente colpito? – contro un’altra volante ed è morto sul colpo.
Centinaia di giovani, in seguito ad una chiamata condivisa sui social, si sono riversati nelle strade esprimendo la loro rabbia e attaccando gli sbirri sopraggiunti per difendere i colleghi direttamente responsabili della morte del ragazzo. Numerosi veicoli della polizia sono stati incendiati, qualcuno si è impadronito di una pistola presa da una volante e ha iniziato a sparare in aria.

Il giovane si chiamava Adil.
I media, come pietoso organo di stato, si sono subito adoperati per placare la rabbia esplosa per l’assassinio e per le restrizioni della quarantena, strumentalizzando le dichiarazioni della famiglia del ragazzo.
Questa domenica gli sbirri hanno rinforzato i presidi nella zona installando cannoni ad acqua per cercare di sedare le rivolte che potrebbero nascere.
In Belgio è la quarta settimana di quarantena, istituita per limitare il contagio da coronavirus.

Questo è un evidente segno di come, dopo l’esplodere di rivolte in altre parti del mondo, le rivolte e le insurrezioni siano arrivati nella fortezza Europa.
Siamo consapevoli di come i media stiano cercando assieme alle autorità di soffocare ogni esplosione di rabbia che possa nascere contro la quarantena da coronavirus.* È solo questione di tempo prima che il malcontento globale scoppi.

Prima Wuhan ora Bruxelles, per l’Insurrezione Ovunque!

*Sono scoppiate rivolte a Bristol, Cina e Palestina. Torri telefoniche sono bruciate sull’isola-prigione britannica (e pure a La Spezia ndt) mentre vari espropri dei supermercati si sono verificati nel Sud Italia.

 

 

L’articolo in lingua inglese

Tebe (Grecia) – Rivolta nel carcere femminile di Eleonas in seguito alla morte di una detenuta – Dichiarazione delle recluse

Continua la rivolta nelle sezioni femminili del carcere di Eleonas, a Tebe. È scoppiata la mattina del 9 aprile 2020, a seguito della morte di una detenuta di 38 anni, che manifestava febbre e fiato corto e che è morta nel reparto dell’ala E, davanti a venti detenute. E’ morta di coronavirus. Le altre prigioniere hanno dato fuoco a materassi e vestiti e nel frattempo venivano danneggiati anche i frigoriferi del carcere. Un procuratore è arrivato presso la struttura e un medico legale è andato a condurre l’autopsia. Ingenti forze di polizia (della MAT, “Unità per il ripristino dell’ordine”, un corpo della polizia greca) si sono precipitate al carcere per impedire il diffondersi della rivolta in tutte le ali della struttura, compiendo estesi pestaggi. Nonostante la repressione verificatasi, la rivolta si è diffusa in tutto il carcere.

Dichiarazione delle recluse:

“Oggi, 9 aprile, la detenuta Azizel Deniroglou è morta nel suo reparto, inerme, perché aveva anche problemi di cuore e febbre alta. Aveva implorato aiuto per tutta la notte perché provava dolori al petto e non riusciva a respirare.

Secondo le testimonianze, non le hanno nemmeno misurato la temperatura e non siamo a conoscenza delle vere cause della sua morte. La secondina capoturno l’ha minacciata con un rapporto, perché le dava fastidio. Il corpo senza vita della nostra compagna di cella è stato trascinato fuori coperto da un lenzuolo, davanti agli occhi scioccati di tutta l’ala del carcere. Questo tragico avvenimento è avvenuto nell’ala E, dove sono accatastate circa 120 persone. Le prigioniere si sono ribellate e la rivolta si è estesa a tutto il carcere. Un altra prigioniera è morta un mese fa. La criminale indifferenza nei confronti dei prigionieri e della loro salute ha portato alla morte di molti detenuti, il governo e il Ministero sono responsabili della loro condanna a morte. Il governo e il Ministero sono responsabili della morte di questa detenuta. Chiediamo l’immediata scarcerazione dei pazienti, delle madri con i loro figli, degli anziani, di coloro che sono considerati vulnerabili, in gruppi, per 1/3 dei detenuti in totale. Non torneremo nelle nostre celle fino alla fine!”.

Anche Pola Roupa, prigioniera politica e membro di Lotta Rivoluzionaria (Επαναστατικού Αγώνα, “Epanastatikòs Agonas”), ha dichiarato che circa un mese fa un’altra donna è morta in carcere. Come ha sottolineato: “Nonostante le promesse di decongestionamento delle carceri a causa della pandemia di coronavirus, non è stato fatto ancora nulla. Gli ospedali non accettano detenuti dalle carceri, non c’è un medico a Tebe. I gruppi vulnerabili avrebbero dovuto essere rilasciati. Siamo imprigionati. Non siamo stati condannati a morte”.

– Assemblea di solidarietà con i membri di “Lotta Rivoluzionaria” [Συνέλευση Αλληλεγγύης στα μέλη του Ε. Α.]