In collegamento telefonico con un compagno che vive ad Atene ci facciamo raccontare della situazione in Grecia, di come sta reagendo la popolazione alla pandemia e come i compagni e le compagne si stanno organizzando.
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Marsiglia: attacco incendiario contro SNEF, collaboratori della città-prigione
Sniff Sniff SNEF*
Mentre il controllo sociale a Marsiglia (come in ogni dove) si intensifica sempre più, con la proliferazione di telecamere ed altri dispositivi di sorveglianza, SNEF si è affermata come obiettivo primario nella nostra lotta contro il flagello statale. Infatti, se da una parte SNEF è conosciuta per la presa in carico di ogni genere di lavoro (avrete sicuramente visto il loro nome apparire su svariati siti che contribuiscono alla gentrificazione accellerata di Marsiglia), dall’altra è anche una delle grandi “vincitrici” e collaboratrici della politica cittadina nel significativo espandersi della rete di sorveglianza. La notte del 17 marzo, quella precedente al primo giorno di quarantena, abbiamo deciso di rendere una piccola visita di cortesia ad uno dei loro uffici, dando fuoco ad una parte delle loro infrastrutture elettriche. Una settimana dopo, questa volta in centro città e durante la quarantena, una delle loro auto è stata incendiata. Questi attacchi sono parte di una serie di sabotaggi che hanno come obiettivo questa compagnia così come altri responsabili della diffusione della sorveglianza a Marsiglia, compreso un piccolo numero di altre auto incendiate, ed il sabotaggio della fibra ottica e delle telecamere avvenuto durante l’ultimo anno.
Mentre in questi tempi di follia pandemica la rete va rafforzandosi ed aumentano i tentativi di impadronirsi delle nostre vite, provare a liberarsi dall’oppressione che ci attanaglia ci sembra una boccata d’aria fresca, una breccia nell’esistente che vorrebbe rimanessimo docili.
CONTRO IL CONTENIMENTO E LA SOCIETÀ DEL CONTROLLO
*SNEF è un gruppo aziendale francese che si occupa di tecnologie dell’informazione, telecomunicazioni, sorveglianza
Cronache dallo stato d’emergenza (Numero3)
Nulla sarà più come prima
Questo ci stanno dicendo. Siccome non si può mettere in discussione la società industriale – la cui costante fuga in avanti produrrà epidemie sempre più letali con frequenza sempre maggiore –, dobbiamo spingere ancora di più sull’acceleratore delle soluzioni tecnologiche. Siccome non si possono fermare la deforestazione, l’estrazione forsennata di materie prime, l’avvelenamento di aria e acqua, l’agricoltura e l’allevamento intensivi, la produzione di cibo artificiale e la devitalizzazione degli esseri umani, dobbiamo abituarci a convivere con le pandemie. Il 75% delle nuove malattie infettive sono trasmesse agli umani da animali selvatici a cui è stato distrutto ogni habitat naturale; a fare da “autostrade del contagio”, poi, ci pensano le polveri sottili prodotte dall’inquinamento (come ha scritto di recente un membro della Società italiana di medicina dell’ambiente). Quindi? Rendiamo a ciò che resta della fauna selvatica i suoi spazi e fermiamo questa corsa demente? No. Avanti tutta, sotto comando digitale!
Nulla dovrà essere più come prima
Questo lo diciamo noi. Apriamo il prima possibile spazi di discussione e di organizzazione dal basso. Nelle città, nei quartieri, nei paesi. E affrontiamo insieme tutto ciò che riguarda le nostre vite, dai bisogni materiali immediati alla medicina, dalla ristrutturazione economica che arriverà feroce alla direzione che vogliamo dare alla società. Che non vengano a dirci che dobbiamo pagare noi, ancora una volta. Che non ci vengano a parlare di Grandi opere per rilanciare la loro economia, di automazione della produzione, di 5G e di altre porcherie. Il virus non è la causa, ma la conseguenza della malattia industriale. E da quella dobbiamo partire, finalmente.
Sciopero internazionale degli affitti
È la proposta che dal 1° aprile si sta diffondendo in diversi Paesi (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Svezia, Cile, Spagna…). Scrive, ad esempio, il Sindacato Inquilini di Gran Canaria, nel suo invito “all’intera classe operaia e agli inquilini a sostenere lo sciopero generale e lo sciopero degli affitti a tempo indeterminato”: «La situazione attuale non potrebbe essere più allarmante, non solo a livello sanitario, ma anche a livello economico e sociale. Le misure adottate dal governo, che ha dichiarato lo stato di emergenza in risposta al Covid-19, sono palesemente misure anti-operaie, del tutto superficiali (moratoria sui mutui limitata) e se ne fregano delle esigenze di base: migliaia di famiglie che vivono alla giornata, che sopravvivono con lavori mal retribuiti, persone che sono state licenziate illegalmente, famiglie rimaste senza reddito a causa dell’isolamento; tutti devono far fronte all’impossibilità di pagare l’affitto». E propone, in aggiunta: «Le case abbandonate nelle mani di fondi, società finanziarie e bancarie (in particolare quelle che sono state salvate con denaro pubblico) devono essere socializzate e rese disponibili alle migliaia di persone o famiglie che si trovano oggi senza alloggio».
Parole e barriere
“Un tiranno ha sconvolto la nostra vita, e si chiama coronavirus”. Gli ospedali diventano “trincee”, mentre i morti vengono trasportati su mezzi militari. Così nella mente si aprono scenari di guerra con tutto il loro portato simbolico ed emotivo. Perché le metafore evocano immagini e i termini concetti. Il linguaggio è tutto fuorché neutro: dà forma alle opinioni, enuncia delle relazioni che si dispiegano nel tempo. Le parole creano il mondo. Agiscono su ciascuno di noi e ci portano ad agire, in un modo piuttosto che in un altro.
Trattare una malattia come fosse una guerra rende ubbidienti, docili e, in prospettiva, vittime designate.
La scelta fra questa o quell’altra parola non è questione di lingua, ma di decisione politica. Politici: siete voi i fautori della paura e dell’odio contro l’altro. Avete trovato nel virus un’ulteriore occasione per delineare confini ed erigere barriere.
Ora che i potenziali infetti siamo noi
I container che lo Stato austriaco aveva preparato al Brennero in funzione anti-immigrati, da settimane sono usati per i controlli anti-Coronavirus di chi arriva dall’Italia. Le “misure eccezionali” in corso dovrebbero farci riflettere su quanto da sempre accade agli ultimi, ai senza-documenti, a quella parte di umanità buona da sfruttare fin che occorre e poi lasciar morire o rimpatriare. Di là dai privilegi dietro ai quali non ci accorgiamo più di vivere, ci sono coloro che sono tristemente abituati ad una quotidianità di distanze, controlli, visti, di “chissà quando potremo rivederci”. Mentre le merci corrono e migliaia di essere umani sono intrappolati ai confini d’Europa, forse potremmo accorgerci che il virus delle frontiere non passa in qualche settimana.
Per le sommosse scoppiate nelle carceri il 7 marzo, giornali e televisioni si sono affrettati a parlare di azioni dirette dalla “criminalità organizzata”. (Lo stesso copione, non a caso, è stato poi usato per criminalizzare chi ha cercato di uscire dai supermercati senza pagare la spesa). Qualcuno ha invece parlato di “piano organizzato” da una non meglio specificata “mano anarchica”. Impensabile per lo Stato ammettere che si tratta di rivolte spontanee e in grado di comunicare velocemente tra loro, cresciute nella cattività di luoghi di tortura, anni di pestaggi, sovraffollamento endemico, condizioni igieniche repellenti; perché se ne sarebbe parlato diversamente, e se ne sarebbe parlato di più. Il fatto è che le rivolte stanno scoppiando anche in Spagna, Francia, Brasile, USA, Belgio, Venezuela, Iran, Perù, Sri Lanka, Colombia (dove, nel solo carcere di Bogotà, sono morti ventitre prigionieri)… Ora devono parlarne per forza. Persino Stati come l’Iran e la Turchia hanno scarcerato rispettivamente 110mila e 90mila detenuti. Persino il segretariato dell’ONU invita i governi ad adottare misure urgenti contro la diffusione dei contagi nelle carceri mondiali, dove sono rinchiuse 12 milioni e mezzo di persone. Sono proprio i prigionieri i primi a suggerirci che l’immenso stato di emergenza di cui oggi siamo i reclusi può e deve portare con sé le occasioni per liberarci e per liberare, guardando oltre i nostri confini.
Testo in pdf:
Cronache3
Baugé-en-Anjou (Maine-e-Loira) – Chi isola ci rimette i propri mezzi
Baugé: un veicolo della polizia municipale incendiato da contravventori a causa delle misure di contenimento – un sito sbirresco, 4 aprile 2020
I fatti si sono svolti nella notte del primo aprile, a Bauge-en-Anjou [nel dipartimento del] Maine-e-Loira. I gendarmi della comunità delle brigate di Noyant, Vernant e Baugé si sono fatti accompagnare da quelli dei plotoni di sorveglianza e d’intervento (Psig) di Saumur per mettere fine a delle azioni di disturbo a Baugé.
Dei giovani in scooter praticavano del rodeo selvaggio mentre il paese è in pieno isolamento. Sono stati multati per questo rodeo, per oltraggi e per il non-rispetto dell’isolamento. Mentre la faccenda avrebbe dovuto fermarsi lì, nella notte, un veicolo della polizia municipale ha improvvisamente preso fuoco.
Le indagini sono state rapide, grazie alla videosorveglianza. Ha permesso di identificare i due uomini verbalizzati qualche ora prima. Saranno chiamati a giudizio e processati con comparizione immediata a Saumur.
Uno, di 34 anni, è stato condannato a due anni di cui uno in carcere, così come ad un’ammenda di 1200 euro per il non-rispetto reiterato dell’isolamento. Il suo compagno di una trentina d’anni è stato condannato ad un anno di cui quattro mesi in carcere e 1000 euro di ammenda per le stesse ragioni.
Baugé-en-Anjou. Due anni di carcere di cui uno di condizionale per l’autore dell’incendio della macchina – Le Courrier de l’Ouest, 3 aprile 2020 (estratto)
Il periodo di quarantena procede non senza provocare tensioni. Nella notte fra mercoledì e giovedì, una macchina ha preso fuoco [in] place de l’Europe a Baugé. Si tratta della macchina della polizia municipale.
Le ragioni rimangono oscure anche se gli autori dell’incendio sono stati chiamati a giudizio e sono velocemente finiti davanti al giudice. La procedura di comparsa immediata s’è messa in moto non appena sono stati avvistati. Sono due individui che hanno commesso il fatto mercoledì verso le 22.30. Un vigile del fuoco ha individuato l’incendio e chiamato prontamente il SDIS [ndt: Service Départemental d’Incendie et de Secours, corrispondente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco in Italia]. Alle 22.55 il sindaco s’è presentato sul posto mentre nello stesso tempo arrivavano i gendarmi.
«Alle 23.15 venivano visionate le immagini delle telecamere di videosorveglianza, su richiesta della gendarmeria; giovedì mattina, gli autori dei fatti sono stati chiamati a giudizio (…)» sottolinea Philippe Chalopin, il sindaco di Baugé-en-Anjou. «Le due persone hanno affrontato il processo questo venerdì pomeriggio, il principale autore dei fatti ha preso una pena di due anni di carcere, di cui uno con la condizionale. Aspetto ora la decisione del Parquet che aveva chiesto di più: sei anni per uno, quattro anni per l’altro. In ogni caso, c’è già una pena importante» .(…)
Barcellona (Spagna) – Rompere l’isolamento con la solidarietà
[Tradotto dal francese qui, a sua volta dal catalano da Indymedia Barcellona, 3 aprile 2020]
Abbiamo fatto delle scritte davanti a Wad Ras per salutare le prigioniere che rimangono rinchiuse in questa prigione. Wad Ras è una prigione in cui, col pretesto del Coronavirus, sono state prese delle misure restrittive contro le detenute, ma non le misure sanitarie sufficienti a prevenire i contagi dai secondini verso i/le prigionierx. La situazione dentro è ancora più dura. Come nel resto delle prigioni di Stato.
Avevamo voglia di salutarlx. Per dare coraggio a quelle che sono dentro.
E perché sembrava impossibile fare delle tag davanti ad una prigione in questa situazione in cui è obbligatorio isolarsi ed è illegale uscire per strada. Questa situazione in cui la presenza poliziesca per le strade è a volte asfissiante e rafforzata dalle persone che denunciano dai loro balconi i comportamenti fuori dalla legalità imposta dal governo.
Sembra impossibile fare delle cose proibite, ma non è vero. E farlo senza che succeda nulla; questo ci permette di rompere la campana di vetro asfissante che ci imprigiona la testa in questi giorni.
Prendiamo sul serio questo allarme medico. Come la sofferenza che provoca in molte persone (che sono soggette o meno alla malattia). Usciamo prendendo delle precauzioni, ma usciamo. Nello stesso modo in cui escono tante altre persone per darsi la mano, per lavorare, perché non ne possono più di stare a casa o perché ne hanno bisogno. Evitare il contagio è importante, ma lo è anche affrontare insieme la miseria e la sofferenza che generano il capitalismo, il patriarcato e il razzismo in questa situazione.
Vi abbiamo fatto vedere cosa fare, che la voglia di rivolta si propaghi e non il coronavirus!!*
Saluti!!
*Ndt blog francese Demesure [da cui è tratta l’info]: La prigione di Wad Ras ha visto delle tensioni, soprattutto in seguito alla sospensione dei colloqui, due prigioniere considerate “promotrici” sono state trasferite senza preavviso.
Napoli – Proteste al carcere di Secondigliano
I prigionieri del carcere di Secondigliano stanno protestando in seguito al probabile contagio da coronavirus di quattro di loro. Sono state fatte delle battiture e stese delle lenzuola con delle scritte fuori da alcune celle.
I contagiati, come riporta questo quotidiano, forse sono stati ‘addirittura’ portati in ospedale.. ma come? Sono prigionieri, gli scarti, gli esclusi della società, possono morire..
Nuovo sito Podcast “La nave dei folli”
Episodio 1
La nave dei folli è la società cibernetica globalizzata che procede verso l’inevitabile naufragio.
Ora che è scoppiata una pandemia, a bordo c’è un gran trambusto.
Riusciranno il capitano e i suoi secondi a mantenere la rotta pur nelle enormi difficoltà e veleggiare verso un futuro post umano?
Riusciranno i passeggeri a far valere i loro diritti nello stato di emergenza che si è creato?
Intanto sottocoperta un gruppo di mozzi non è d’accordo e cerca di cambiare rotta.
La civiltà del Contagio o… il contagio della Civiltà.
Quello che stiamo vivendo in queste settimane è qualcosa che non ha precedenti per la nostra generazione e forse neanche per quella precedente. Ma persino il confronto con i periodi delle guerre mondiali potrebbe portarci fuori strada. Nonostante gli sproloqui nazionalisti, gli inni nazionali, e i militari nelle strade, non siamo in guerra. La minaccia qui non è il bombardamento, la paura durante un’epidemia è qualcosa di più introspettivo, e al contrario della guerra dove l’attesa e l’incubo che il tuo soffitto cada in mille pezzi ci porta a stare vicini e avvinghiati in un caldo abbraccio con le persone a noi care, la risposta emotiva al contagio è una sana e responsabile distanza da chi ci sta accanto. Un aperitivo analcolico di quello che potrebbe essere il collasso della civiltà moderna, servito con tutte le precauzioni del caso: nonostante la scarsità delle bevande gli stuzzichini sono comunque garantiti. Ma lo scenario è davanti ai nostri occhi e ciò che più dovrebbe preoccupare non è tanto la risposta repressiva dello Stato e i suoi dettami, a quello forse dovremmo esserci almeno un po’ abituati, ma alla sconcertante risposta della massa addomesticata, ormai incapace di rispondere per conto proprio ad alcun che se non al proprio smartphone. E come in tutte le epoche passate, quando il panico si diffondenelle masse queste si apprestano alla caccia: all’untore, alle streghe e ai non allineati ai dettami del “bene comune”.
È ormai evidente cosa lega oggigiorno in maniera quasi totalizzante le masse, l’opinione pubblica, la politica, i mass media. Qualcosa trasversale ad ogni colore politico, dai destri ai sinistri, dagli intellettuali ai cafoni di quartiere, qualcosa che in una società sempre più divisa tiene tutti insieme appassionatamente: la salute, o la non salute, o per essere più precisi la Scienza medica. Chi si è opposto alla recente campagna di obbligatorietà dei vaccini è stato distrutto, deriso, represso, attaccato da ogni punto di vista grazie a un vittimismo becero che ha reso i genitori che hanno fatto resistenza assassini di poveri bambini con gravi patologie usando come veicolo la propria prole a mo’ di untori. E quest’attacco è arrivato persino da alcuni così detti fautori dell’anarchia, come la FAI e riviste affini, mentre anche tutto il resto di un movimento radicale più ampio (resto degli anarchici compresi) non ha preso neanche in considerazione la questione.
Non c’e da sorprendersi quindi che la diffusione del Covid19 abbia travolto e avvolto nel terrore la quasi totalità delle persone civilizzate di quasi tutto il mondo. Ma non tutti ovviamente credono alla favola istituzionale, voci fuori dal coro e pensieri in controtendenza ce ne sono. Nella psicosi del confinamento domestico, nel mondo dentro la rete di internet girano video, testi, messaggi. Teorie cospirazioniste, confutazione dei dati, visioni alternative della salute e quant’altro. Inutile entrare nei dettagli, se state leggendo questo testo avrete letto e visto già molto altro.
Ogni epidemia della storia si diffonde all’interno di società che hanno in diverse maniere degradato il loro modo di vivere, partendo da luoghi spesso sovraffollati, inquinati, dove la maggioranza delle persone vive con distacco e degrado il loro stato di salute generale e abituale. Dove l’approvvigionamento dei bisogni primari, cibo e tecnologie atte alla sopravvivenza, non è più nelle mani di piccole comunità con modalità più o meno diffuse all’interno della popolazione ma sono sempre più accentrate nelle mani dei pochi gruppi elitari dei vari settori. Più ci si allontana dalla produzione diretta del cibo che si mangia o al peggio dalla consapevolezza di sapere almeno da dove questo arrivi, più si perde la capacità di gestire in modo autonomo la propria salute e più quest’ultima diventa precaria. Illuminante da questo punto di vista, ma in generale dal punto di vista dell’alimentazione, è il lavoro di Weston A. Price che negli anni ‘30 del novecento girò il mondo e incontrò numerose popolazioni “primitive” (definite tali perché ancora si producevano o si procacciavano la maggior parte del cibo) con l’intento di scoprire cosa mangiassero e qual’era il loro stato di salute. Era un periodo storico dove molte di queste popolazioni stavano man mano venendo in contatto con il progresso e il cibo industriale. Notò che quando queste popolazioni mangiavano il “loro cibo” il loro stato di salute era ottimale, i denti perfettamente posizionati e senza carie (lui era un dentista) e malattie ed epidemie che dilagavano nel resto delle società che andavano via via globalizzandosi non si presentavano invece fra queste. Quando invece le stesse etnie di persone venivano in contatto con il progresso, la ferrovia o la strada, e iniziavano ad avere a disposizione i cibi moderni come zucchero, farina bianca, marmellate, cioccolata, e cibi in scatola, la loro salute fisica e mentale precipitava. Le malattie che oggi consideriamo “normali” come quelle di origine cardio-vascolare, diabete, cancro, carie, non erano affatto normali tra gli individui di queste popolazioni. Interessante anche il fatto che in queste comunità “primitive” la consapevolezza sulle proprietà dei cibi era molto alta e quelli più nutrienti venivano destinati alle donne durante la gravidanza o ai bambini in fase di sviluppo. Il dottor Price notò come la dieta di questi popoli fosse molto più ricca di vitamine (o attivatori) liposolubili, in particolare la vitamina A, D e K2 che troviamo abbondantemente nel pesce, negli organi interni e nel grasso di animali che sono cresciuti pascolando all’aperto. La lezione che possiamo trarre da questi popoli del passato e da molte altre comunità indigene che ancora popolano angoli di questo pianeta è enorme, in termini di autoproduzione del cibo, di autogestione della salute e di indipendenza dal sistema ipertecnologico globalizzato.
Nel corso di meno di un secolo questo residuo di consapevolezza e di pratiche di vita è quasi del tutto scomparso nel mondo civilizzato e globalizzato e le conseguenze sono sempre più devastanti. Ma persa questa consapevolezza si perde anche la capacità di porsi le giuste domande. Ci si chiede quindi se il virus è mutato e in che cosa piuttosto di capire come noi e lo stato di salute del nostro sistema immunitario siamo mutati. La maggior parte della gente accetta di essere relegata in casa, ad abbuffarsi probabilmente di cibo, collegati tutto il giorno a internet in mezzo alle radiazioni elettromagnetiche sempre più invadenti del WI-FI, senza prendere il sole e stare all’aria aperta, in uno stato sempre maggiore di stress e psicosi, tutte cose che aggravano lo stato del sistema immunitario. La criticità dei contagiati quindi aumenta, ma la colpa viene data al virus che è più cattivo e comincia a prendersela con i più giovani.
Più che metterci una mascherina sul viso dovremo toglierci le bende dagl’occhi. Ma forse non è il momento giusto, bisogna prenderne atto. Inutile dire a chi si è tagliato e sta sanguinando che dovrebbe imparare ad usare meglio il coltello.
Non c’è da stupirsi, come già detto prima, che gli epicentri della pandemia siano spesso aree altamente inquinate e con un’alta densità di popolazione. In una parola nelle città. Ed è sempre stato così. La civiltà è la società degli abitanti delle città, sinonimo di progresso e innovazione tecnologica. Nondimeno dovrebbe essere ormai chiaro che è anche il luogo dove lo stato di salute dei suoi abitanti diviene sempre più debilitante. Ma nonostante queste evidenze ormai eloquenti, e questa pandemia è soltanto l’ultimo di una lunghissima serie di eventi che hanno portato alla luce questa innegabile verità, la maggior parte delle persone civilizzate, e la maggior parte anche dei movimenti radicali continua a pensare che è questa la casa dell’uomo moderno e che sia impensabile ripensare un modo di vivere differente. Sarà quindi la tecnologia a salvare dal disastro questo mondo globalizzato al collasso.
E su questo non c’è alcun dubbio. La risposta a tutti i nostri problemi attuali sarà sempre più tecnologia. Lo stiamo vedendo ora durante l’epidemia, nuove tecnologie mediche (farmaci e vaccini), nuove tecnologie per l’educazione scolastica a distanza, nuove tecnologie di controllo (apps, droni, ecc…). E questo è solo l’inizio. Dopo questa esperienza chi non vorrà la diffusione del 5G per migliorare la connettività globale, chi non vorrà obbligare tutte le persone di questo mondo a vaccinarsi con ogni sorta di vaccino per salvaguardare le fasce più deboli della società (fasce in continua espansione visto la degenerazione psico-fisica attuale).
La via per il transumanesimo, la fusione dell’uomo con la macchina, è ormai aperta da molto tempo, e da un certo punto di vista è l’unica via per salvare la società industriale e tecnocentrica moderna e l’essere umano che le dà vita.
L’altra via, l’unica altra rimasta, è rinnegare tutto questo sistema ipertecnologico, la città, la vita moderna, la scienza medica, e prendersene tutte le responsabilità e conseguenze del caso. La civiltà moderna è insostenibile, c’è chi lo dice e lo sostiene ormai da decenni. Ma non ci si può certo aspettare un tale approccio dalle masse addomesticate che non vedono l’ora di tornare ai loro happy hours. Questo appello è rivolto principalmente ai movimenti radicali che nelle loro differenze cercano un cambiamento concreto della vita di tutti i giorni. Per quanto ancora bisognerà credere nella tecnologia, nell’assistenza sanitaria, nella scuola, nella società dei diritti. Il lavoro necessario per intraprendere questo cammino è immenso, faticoso e intergenerazionale. Ma l’alternativa sarà sempre e soltanto più asservimento alla tecnologia e alle élite che la governano. Riprendersi in mano la nostra salute e quindi l’approvvigionamento di cibo salutare è un passo decisivo.
La nostra dipendenza dal sistema di produzione e distribuzione è uno dei nostri più grandi limiti. E sono molti i miti che dovremo sfatare, oltre a quello tecnologico e del progresso, per imbarcarci in questa impresa. E soprattutto disintossicarci dalle politiche identitarie di ogni tipo. Ma questo non è esattamente un appello per creare un nuovo movimento globale anti-civ. È un invito a creare comunità stabili che puntino a riprendersi in mano le proprie capacità, a partire dalla nutrizione e dalla salute, orizzontali ed egualitarie, in grado di generare solidarietà e mutuo aiuto sia all’interno che verso altre comunità con caratteristiche simili. Non è per niente un’idea nuova, è l’idea anarchica nella sua essenza, ciò che molte comunità umane indigene ancora presenti su questo pianeta fanno da millenni.
Avremo un compito molto urgente appena questa emergenza sarà finita e si avrà la possibilità di tornare liberamente nelle strade in gran numero. Fare manifestazioni e azioni dirette di ogni tipo per mettere le mani avanti su tante cose che vorranno imporci da qui a breve: 5G, vaccinazioni obbligatorie e implemento tecnologico securitario. Sarà un primo passo per far comprendere che la nostra salute non dipende dall’OMS e dai nuovi inquisitori del PTS (Patto trasversale per la scienza, quelli che hanno il compito di definire e denunciare come fake news tutto quello che si oppone al sistema sanitario istituzionalizzato). Qualcuno sta cercando di farlo già ora in “clandestinità”, ma sarà dopo che non potremo più permetterci il lusso di stare in silenzio.
La nave dei folli si schianterà contro l’iceberg, per allora dovremo aver imparato a nuotare.
Hirundo, Marzo 2020
La civiltà del Contagio… o il contagio della Civiltà
Apre il sito ilrovescio.info
Quello che non appare, la zona d’ombra di ciò che viene detto, la
violenza dietro lo sviluppo, il controllo dietro la sicurezza, il
disciplinamento dietro l’educazione, la schiavitù dietro lo smartphone,
la solitudine dietro la connessione, la cantina insanguinata sotto il
salotto democratico, il gesto di ribellione non raccontato,
l’insoddisfazione dietro i falsi sorrisi, il bisogno d’amore che preme
dietro la rabbia, le classi dietro la comunità, lo Stato dietro il bene
pubblico.
Ma anche il temporale della rivolta, l’esperienza storica e l’utopia
della rivoluzione sociale, lo sconquasso che fa saltare il mondo
dell’autorità e della merce, la libertà e l’uguaglianza sognate,
intravviste, vissute.
Di tutto ciò vorremmo parlare in questo sito, partendo dall’attuale
stato di emergenza per andare anche altrove nel tempo e nello spazio.
Sentiamo l’esigenza di affiancare alla carta – che continuiamo e
continueremo testardamente a imbrattare e a diffondere – un altro
strumento di comunicazione.
Per dire la nostra anche su fatti ed episodi apparentemente più minuti,
la cosiddetta cronaca, che possono tuttavia aprire qualche lampo di
riflessione sui tempi in cui viviamo, e, come loro rovescio, sulla vita
per cui ci battiamo. Compresi quei fatti ed episodi a cui difficilmente
dedicheremmo un volantino.
Per smascherare questo o quel progetto del potere economico e politico,
dando all’ingiustizia nome, cognome e indirizzo.
Per provare a leggere i conflitti latenti e far conoscere le pratiche,
anche piccole, di solidarietà e di autorganizzazione.
Per lanciare appuntamenti di dibattito e di lotta, e per raccontarli a
modo nostro, contro il “monopolio del discorso” che la classe dominante
esercita attraverso i suoi giornali e le sue televisioni.
Per dare spazio alle azioni che infrangono l’ordine del denaro e della
gerarchia.
Per mettere in corrispondenza le lotte di oggi con le controstorie
dell’utopia.
Non siamo né vogliamo essere dei “professionisti” né ci vogliamo far
condizionare dalla “comunicazione in tempo reale”. Per comunicare
davvero qualcosa, bisogna viverlo.