La vigilanza estrema dei cittadini in Cina, effetto collaterale del Coranavirus che è venuto per rimanere

Negli ultimi due mesi, i cittadini cinesi hanno dovuto adeguarsi a un nuovo livello di intrusione del governo.

Entrare nel proprio appartamento o nel proprio posto di lavoro richiede la scansione di un codice QR, l’annotazione del proprio nome e numero di carta d’identità, della temperatura e della storia recente dei viaggi.

Gli operatori telefonici stanno monitorando i movimenti delle persone e i social network come WeChat e Weibo hanno aperto delle hotline per segnalare altri possibili malati. In alcune città, la gente viene addirittura ricompensata per aver denunciato un vicino malato.

Allo stesso tempo, le aziende cinesi stanno impiegando tecnologie di riconoscimento facciale in grado di distinguere dalla folla chi ha la febbre o chi non indossa la maschera. Esistono diverse applicazioni che, sulla base dei dati sanitari di ciascun cittadino, avvisano gli altri quando vengono avvicinati da qualcuno che è infetto o che è stato a stretto contatto con una persona infetta.

Oltre a chiudere intere città, le autorità statali hanno adottato una miriade di misure di sicurezza per contenere l’epidemia di coronavirus. Tutti coloro che devono far rispettare le regole, dagli alti funzionari ai dipendenti comunali, ripetono lo stesso ritornello: “questo è un tempo straordinario (feichang shiqi) che richiede misure straordinarie”.

Dopo aver infettato più di 80.000 persone e ucciso circa 3.000, il numero di nuove infezioni da coronavirus in Cina è già in calo, ma i cittadini e gli analisti si chiedono quante di queste misure straordinarie diventeranno ordinarie.

“Non so cosa succederà quando l’epidemia finirà, né oso pensarci”, dice Chen Weiyu, 23 anni. Impiegata a Shanghai, deve fare un controllo medico giornaliero alla sua azienda. Per poter andare al parco uffici deve scansionare un codice QR e registrarsi: “Il controllo era già ovunque, l’epidemia ha appena reso trasparente questa sorveglianza, che in tempi normali non si vede”.

Altri, come l’attivista di Guangzhou Wang Aizhong, sono più risoluti sul futuro. “Non c’è dubbio che questa epidemia abbia dato al governo un motivo in più per tenere d’occhio la gente, non credo che le autorità cancellino il livello di sorveglianza dopo l’epidemia”, dice. “Possiamo sentire un paio di occhi che ci guardano in continuazione non appena usciamo o soggiorniamo in un hotel, siamo completamente esposti alla sorveglianza del governo”.

Secondo gli esperti, il virus emerso a dicembre a Wuhan ha fornito alle autorità la scusa perfetta per accelerare la raccolta massiccia di dati personali e rintracciare i cittadini, una prospettiva pericolosa data la mancanza di leggi severe sull’uso dei dati personali.

La missione mira a salire lentamente per rimanere, dice Maya Wang, ricercatrice senior cinese di Human Rights Watch. Secondo lei, è probabile che utilizzino il virus come catalizzatore per aumentare il regime di sorveglianza di massa, proprio come le Olimpiadi di Pechino del 2008 o l’Expo di Shanghai del 2010: “Dopo questi eventi, le tecniche di sorveglianza di massa sono diventate più permanenti. **

“Con lo scoppio del coronavirus, la limitazione della libertà di movimento e il punteggio di rischio per tutti sono diventati presto una realtà”, dice Wang. “Con il passare del tempo vediamo un uso sempre più invadente della tecnologia e una minore capacità di resistenza da parte dei cittadini.”

“La sorveglianza invasiva è ora il nuovo standard”

Per molte persone in Cina, i nuovi livelli di sorveglianza pubblica sono ostacoli burocratici supplementari, più frustranti che sinistri, e una dimostrazione dell’incapacità del governo di gestire l’epidemia. Anche se gli alti funzionari ne parlano con orgoglio, il sistema di sorveglianza cinese è pieno di lacune. Ci sono state molte critiche al caso di un ex paziente infetto che è riuscito a viaggiare da Wuhan a Pechino a febbraio, molto tempo dopo l’entrata in vigore della quarantena.

L’attenzione del pubblico si concentra sull’applicazione del “Codice sanitario” Alipay. Utilizzata in più di 100 città, l’app distingue gli individui con uno dei tre colori in base ai loro recenti viaggi, al tempo trascorso nelle zone infette e alla vicinanza a possibili portatori del virus. Presto, i numeri identificativi saranno inseriti nel programma per consentire ad ogni persona di controllare il colore degli altri.

Un utente di Internet si è lamentato sul social network Weibo che il suo colore era cambiato da verde a giallo (che richiede la quarantena) solo per aver girato in macchina a Hubei, senza fermarsi. “Non posso nemmeno uscire a comprare pane o acqua”, ha detto un altro nella provincia di Jiangsu, dopo che il suo codice è inspiegabilmente cambiato in giallo dopo un viaggio di lavoro.

Molti lamentano che la domanda è solo “per la galleria” (xingshi zhuyi), un modo per i funzionari di livello inferiore di impressionare i loro superiori imponendo restrizioni ai cittadini. “Ho un codice sanitario, un pass per il mio complesso residenziale e un altro certificato sanitario, e non posso ancora entrare in casa mia”, ha scritto qualcuno nella sezione commenti. “È una cosa stupida, per favore, muoviamoci”, scrisse un altro.

Tra le misure ci sono soluzioni tecnologiche avanzate e soluzioni più comuni. Un esercito di dipendenti pubblici è stato dispiegato in spazi pubblici per sorvegliare i punti di ingresso, chiedere ai pedoni di scrivere i loro dettagli o interrogare le persone sui loro ultimi movimenti. I luoghi di culto, come le moschee, sono stati chiusi, e in molte città e regioni sono stati vietati incontri e persino cene per poche persone.

A febbraio, i dipendenti del governo della provincia del Sichuan hanno sciolto un gruppo di 10 persone che si erano riunite a una festa mahjong e li hanno costretti a leggere ad alta voce le scuse che hanno registrato in video. “Abbiamo fatto un errore, promettiamo che non ci sarà una prossima volta e terremo d’occhio anche gli altri”, si sente dire nel video, con la testa leggermente chinata.

Altri video pubblicati su Internet hanno visto funzionari locali legare un uomo a un palo o gettare la gente a terra per non aver indossato una maschera. Recentemente, sono stati licenziati gli agenti di polizia di Wuhan che sono stati ripresi mentre picchiavano un uomo per vendere verdura in strada.

L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua la scorsa settimana ha ricordato ai cittadini che chi viola le misure di prevenzione e controllo può essere condannato da tre a sette anni di carcere*, se si tratta di un caso particolarmente grave, come previsto dal codice penale cinese.

“La sorveglianza invasiva è già la ‘nuova normalità'”, ha detto Stuart Hargreaves, specializzato in diritto della privacy e dell’informazione presso la Law School dell’Università cinese di Hong Kong. “La domanda per la Cina è quale livello di sorveglianza, se esiste, la popolazione si rifiuta di tollerare”, aggiunge.

Alcuni temono che, in parte, le misure continuino perché i cittadini vi si sono abituati. Da Chengdu, Alex Zhang, 28 anni, lo collega alla teoria dello stato di emergenza del filosofo italiano Giorgio Agamben, che ha scritto sulla continuazione delle misure adottate durante le emergenze.

“Questo tipo di gestione e di pensiero per affrontare l’epidemia può essere utilizzato anche in altri settori, come i media, il giornalismo locale o i conflitti etnici”, dice Zhang. “La gente accetterà il metodo perché è già stato usato, diventerà la norma.”

NOTE AGGIUNTE:

* in italia 6 anni, no?

** stupisce un pò leggere questo sulla stampa borghese. Ormai, in tutto il mondo, I grandi eventi di questo genere (Olimpiade, Mondiaie, Grandi Expo…), sono serviti da pretesto per distruggere vita popolare e imporre nuove misure, nuovi sistemi….

Adesso, queste ristrutturazioni verranno presentate dal potere non più in nome del progresso, ma come indispensabili e per il nostro bene, per proteggerci…

Vauclin (Martinica) – Bruciato il locale tecnico di Orange

Riceviamo e diffondiamo

Vauclin (Martinica): bruciato il locale tecnico di Orange – Più di 2000 case e aziende senza internet e senza telefono – 19 marzo 2020

Nel bel mezzo del contenimento imposto dal Coronavirus, in un momento in cui la domanda di connessioni è alta, l’operatore Orange è stato vittima di atti vandalici sulla sua rete a Vauclin.
Uno o più individui hanno causato un incendio in un locale tecnico. Questo atto doloso ha causato l’interruzione dei servizi di telefonia fissa e di Internet per più di 2.000 abitazioni e imprese situate nei comuni di Vauclin, Le Marin e Sainte-Anne.
Anche le telecomunicazioni di rete mobile sono tagliate a Sainte-Anne in una zona che si estende da Calvaire alle Saline, passando per Beauregard.
I team tecnici di Orange sono stati mobilitati da questo giovedì mattina (19 marzo) per ripristinare le telecomunicazioni.

Cronache dal contagio – giorno 10

La quarantena non è che mi abbia cambiato molto.
Quest’anno avevo già deciso di mandare a fanculo il lavoro e darmi all’agricoltura, per crearmi da solo il sostentamento di cui ho bisogno, senza andarlo ad elemosinare ad un qualsiasi padrone, che da queste parti ti paga 3/4€ all’ora, quando ti va bene.
Quindi avevo già programmato che avrei passato queste giornate a dissodare, zappare, potare, seminare, e così sto facendo. Ho sempre desiderato fare il contadino!
Cerco di non farmi mancare niente, ogni tanto vado a trovare amici e amiche in città o negli altri paesi, per un pranzo, un bicchiere di vino, una scopata, ecc. Non ci sono molti controlli, così come non c’erano prima, siamo alla periferia di tutto, nel mio paese non c’è nemmeno la caserma dei carabinieri.
É il classico paesino dell’appennino, non c’è mai stata molta gente in strada così come non ce n’è ora. I soliti che stazionavano davanti al bar ora stazionano in piazza con le birre comprate fresche nell’unico minimarket del paese.
Anzi, forse l’aspetto sociale da queste parti è migliorato.
Quelli che andavano a lavorare si sono riversati tutti nei campi, di solito poco curati, e mi capita più frequentemente oggi di fermarmi a parlare con qualche paesano nelle campagne, che prima nei bar del paese.
Ovviamente i discorsi ricadono tutti su questa pandemia che ha stravolto un po’ le vite di tutti.
Non è tanta la paura per il contaggio, qua siamo lontanissmi dai focolai più grandi. Mi chiedo infatti se il problema non sia la troppa densità di popolazione che si registra in alcune zone, soprattutto nelle metropoli. Qua la preoccupazione principale è capire quando potremo tornare liberi.
Se potremo tornare liberi.
Quando parliamo di questo, di solito ricordo che prima non è che avessimo tutta questa libertà e che ora comunque facciamo più o meno quello che ci và. Il compaesano di turno conviene e aggiunge che però prima eravamo liberi di circolare, ora invece ci vogliono chiudere dentro casa!
Oddio, qualcuno per “liberi di circolare” intende liberi di andare al lavoro, che non combacia proprio con la mia idea di libertà, visto che mi sono licenziato perché la paga qua è da schiavitù, ma anche la libertà di lavorare può essere letta come una naturale necessità di avere una fonte di sostentamento.
Chissà quanto continua questa situazione e per quanto tempo la gente resterà senza lavoro? Chissà lo Stato se riuscirà a tamponare la cosa con i sussidi e per quanto tempo? Chissà se passato il virus tutto ritorni come prima?
Insomma qua quello che fa paura è il futuro incerto che si prospetta davanti.
E chissà se la paura di un futuro sempre più restrittivo non possa dare un po’ più di coraggio nel presente per riconquistare la propria libertà?
Mah, tutta questa campagna mi sta facendo diventare filosofo!
Meglio continuare a dissodare il terreno se davvero l’economia collassa e dobbiamo prepararci all’autosostentamento, c’è un sacco di inutile ferraglia sparsa nelle campagne da queste parti.

Perché si deve andare a lavorare, ma non si può andare a correre?

Anche parti dell’informazione di Stato lasciano trapelare i dubbi dietro la facciata dell’unità nazionale

***

La situazione “è gestita in modo schizofrenico”, dice il giuslavorista Valerio De Stefano che spiega che se da un lato c’è stata la limitazione delle libertà individuali, dall’altro si possono tenere aperte le fabbriche

L’eccezionalità dell’epidemia italiana di coronavirus corrisponde all’eccezionalità della sua gestione “schizofrenica”: da un lato la compressione estrema di alcune libertà individuali, dall’altro la discrezionalità per i titolari di impresa “di mantenere aperte le fabbriche”. La riflessione è del professor Valerio De Stefano, Research Professor of Labour Law all’università di Lovanio – una delle più antiche d’Europa – che ne ha parlato con l’AGI.

Nella crisi causata dal coronavirus, a detta dell’esperto, “la gestione politica ha lasciato alle imprese in modo unilaterale la possibilità di decidere di rimanere aperte”. Un diritto che “stride con una compressione delle libertà dei cittadini senza precedenti in nessuna democrazia e forse nemmeno nei regimi autoritari: si sta sostanzialmente mettendo un’intera popolazione agli arresti domiciliari e allo stesso tempo costringendone una fetta ad andare a lavorare”. Dal punto di vista del giuslavorista, in questo momento in Italia si sta verificando uno sbilanciamento di diritti egualmente garantiti dalla Costituzione: “Da un lato quelli alla libertà e alla salute, dall’altro quello al lavoro: in questa situazione di emergenza i primi due sono più importanti e non si può protendere verso il secondo”.

L’accusa dello studioso è infatti quella di aver “commissariato un intero Paese pensando alla gestione della crisi economica, mentre siamo ancora nel pieno di quella sanitaria”. La soluzione è “mettere in lockdown tutte le attività, mantenendo aperte soltanto quelle essenziali o la cui produzione non può essere fermata, come per esempio gli altiforni”.

Al contrario le misure che vietano le passeggiate o le corse al parco “rispondono all’esigenza di cercare capri espiatori in una situazione già gravissima: si impone alle persone di non uscire, anche se rispettano la social distancing, si espongono i runners al ‘social shaming’, mentre una buona fetta di persone è costretta ad uscire per andare a lavorare”. E’ questo il motivo per cui “il blocco dei trasporti peggiorerebbe la situazione” ad avviso dell’esperto: “Finirebbe per impedire anche a chi lavora in settori essenziali come quello sanitario o alimentare di svolgere un impiego essenziale per la collettività”.

Secondo De Stefano, inoltre “mancano controlli effettivi sul fatto che tutte le imprese abbiano seriamente implementato il lavoro agile, quando potevano farlo”. Infine lo studioso pone una domanda sulla geografia del contagio. L’epidemia ha colpito in modo più forte le regioni più produttive del Paese e in particolare le province Bergamo e Brescia che da sole concentrano gran parte della produzione con almeno mezzo milione di lavoratori attivi (il 73% delle imprese non ha chiuso, stando ai dati forniti dagli stessi industriali):  “Sono i sindaci ormai a implorare la chiusura delle attività. Dovremmo chiederci perché il contagio abbia corso così veloce in quelle regioni dove il tessuto produttivo non si è fermato. Non è di certo successo perché le persone vanno al parco”.

Da questo punto di vista si riscontra anche una carenza informativa a livello centrale: “Dovremmo ricevere ogni giorno, oltre al conteggio di contagiati e morti, anche i numeri su quale sia la percentuale delle imprese che hanno chiuso, altrimenti non abbiamo modo di capire che cosa stia davvero succedendo”.

AGI

Coronavirus, in Lombardia check sulle celle telefoniche: nonostante i divieti, il 40% non resta a casa

Se il modello è Wuhan, che è riuscita a bloccare undici milioni di abitanti, allora che lo sia davvero. «Vi controlliamo attraverso le celle telefoniche. Non uscite di casa, è assolutamente importante perché questa battaglia la vinciamo noi», avverte l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Messaggio rivolto ai milanesi sprezzanti dell’obbligo di restare a casa, anche se il lavoro permette la modalità smart e i negozi di alimentari sono nel raggio di 500 metri. Eppure, con oltre 200 morti ogni giorno nella regione, il coprifuoco in città non è ancora totale: negli ultimi 26 giorni i movimenti si sono ridotti del 60%, ma ciò significa che il 40% delle persone continua circolare.

RETE MOBILE
Troppe, sono convinti in Regione, perché si tratti solo di lavoro. Per sconfiggere il Covid-19 ogni arma è concessa e così la Lombardia si è trasformata in un Grande fratello. «Abbiamo attivato una tecnologia in collaborazione con le compagnie telefoniche di rete mobile. Fatto cento la movimentazione della popolazione il 20 di febbraio, quando non c’era l’emergenza, a oggi siamo purtroppo solo al 40% e dall’altro ieri a ieri siamo anche aumentati. E’ necessario stare a casa il più possibile, il 40% non è un dato sufficiente per dirci che possiamo contenere nel miglior modo possibile il virus», afferma il vicepresidente della Regione Fabrizio Sala. Che mostra un grafico con l’andamento degli spostamenti della popolazione: «Questi movimenti, tra l’altro, sono di persone che hanno cambiato cella telefonica, ovvero che si sono spostati per più di 300-500 metri», osserva Sala. Insomma, «c’è chi lavora e li ringraziamo», dice rivolgendosi a «chi sta svolgendo pulizie o chi si occupa di alimentari», persone «obbligate a lavorare per garantire ai cittadini che sono a casa di continuare a vivere bene». Costrette a prendere la metropolitana che ieri, alle sei di mattina e alla sera, era gremita causa taglio delle corse senza alcun rispetto della distanza di sicurezza. «Ma a chi si muove per motivi superflui chiediamo di stare a casa, perché il dato non è sufficientemente basso».

PIÙ RIGORE
Un’ulteriore stretta è in vista, preannuncia il governatore Attilio Fontana: «Non si può tornare alla vita normale, Milano ha bisogno di ancor più rigore». I comportamenti dei cittadini «sono cambiati ma in maniera non ancora sufficiente. Mi lascia perplesso che per uno, due giorni si rispettino rigorosamente le norme e poi diventa tutto un po’ più lasco. Non si può mollare l’attenzione, né tornare a una vita normale, dobbiamo essere sempre più rigorosi. La fermezza va implementata, non bisogna fare i furbi andando a fare la passeggiata senza motivo. E questo – conclude – vale per tutta la Lombardia e ancora un po’ di più per Milano». Un richiamo all’ordine arriva anche dal sindaco Giuseppe Sala, viste le scene di metro milanese piena come in un giorno qualsiasi: «Il fronte Milano tiene ed è importante che qui si resista alla diffusione del virus». Per due motivi: «Il primo per il nostro bene e la nostra salute, ma ce n’è un secondo, che resistendo diamo tempo al servizio sanitario e agli ospedali al fine di incrementare l’offerta di posti letto e in particolare di terapia intensiva. Per cui ognuno continui a fare la sua parte. Chi deve stare a casa stia in casa, chi deve lavorare per gli altri continui a farlo». E promette che sui mezzi pubblici non ci sarà più ressa: «In base alle indicazioni ricevute, Atm ha abbassato il livello di servizio, ma ci siamo accorti che in alcuni casi si stava troppo vicini sui mezzi e ho chiesto rapidamente di rimodulare il servizio. Cerchiamo ogni giorno di fare il meglio possibile».

Il messaggero

Il Coronavirus ridimensiona Defender Europe e l’Italia si esercita nel Nevada

“Dopo un’attenta valutazione delle attività in svolgimento per l’esercitazione Defender Europe 2020 e alla luce dell’odierna epidemia di Coronavirus, modificheremo l’esercitazione riducendo il numero dei partecipanti Usa; le attività associate all’esercitazione saranno rimodulate in stretto accordo con gli Alleati e i partner per andare incontro alle nostre maggiori priorità degli obiettivi addestrativi”.

Adesso è ufficiale: il Comando delle forze armate degli Stati Uniti in Europa con sede a Stoccarda (Germania) ha deciso un taglio netto ai war games previsti in Europa centrale ed orientale nei mesi di aprile e maggio nell’ambito nella maxi-esercitazione a cui avrebbero dovuto partecipare oltre 37.000 militari, migliaia di mezzi pesanti, cacciabombardieri e unità navali e sottomarini dei paesi aderenti all’Alleanza atlantica. “La protezione sanitaria delle nostre forze armate e di quella dei nostri alleati Nato è un obiettivo prioritario”, prosegue la nota emessa da Us European Command. “Noi prendiamo seriamente in considerazione l’epidemia di Coronavirus e siamo fiduciosi che nell’assumere questa decisione continueremo a fare la nostra parte nel prevenire l’ulteriore diffusione del virus, mentre stiamo ancora massimizzando i nostri sforzi per far crescere la nostra alleanza e partnership e rafforzare la risposta generale contro ogni crisi e contingenza”. Ulteriori aggiornamenti relativamente a Defender Europe saranno comunicati nelle prossime ore.

La decisone statunitense è stata formalizzata dopo la cancellazione della prima fase dell’esercitazione prevista in Norvegia e nel mar Artico (Exercise Cold Response 20). Proprio per l’esplosione in tutto il vecchio continente dell’emergenza coronavirus, qualche giorno fa la Finlandia aveva annunciato il ritiro dai giochi di guerra nel Baltico; anche il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guarini, con una nota dell’12 marzo, aveva reso nota l’intenzione di non partecipare a Defender Europe. “Gli uomini e le donne della Difesa sono in campo senza sosta per fronteggiare, in questo delicato momento, l’emergenza sanitaria e per garantire l’attuazione delle importanti delibere decise del governo”, ha dichiarato Guerini. “Per questo ho valutato, congiuntamente con lo Stato maggiore della Difesa e informando il Comando Nato, di non confermare il nostro contributo all’esercitazione. Pur sostenendo il suo valore strategico, ho ritenuto opportuno mantenere massimo l’apporto delle Forze armate in questa situazione”.

La decisione del governo è stata condivisa da tutte le forze politiche e dall’opinione pubblica. Peccato che nelle stesse ore in cui essa maturava, dall’altra parte dell’oceano, in Nevada (Usa), prendeva il via un’altra maxi-esercitazione aerea, Bandiera Rossa (Red Flag 2020-02), con la partecipazione dei reparti d’eccellenza dell’Aeronautica Militare provenenti dalle basi di Pisa, Grosseto, Gioia del Colle, Trapani-Birgi, Pratica di Mare e Amendola (Foggia). “Con i primi decolli degli assetti italiani, il 9 marzo è ufficialmente iniziata la Red Flag, una delle esercitazioni aeree più complesse e realistiche organizzate a livello internazionale che vede coinvolte presso la base americana di Nellis anche le forze aeree statunitensi, spagnole e tedesche”, riporta enfaticamente il comunicato emesso dallo Stato Maggiore della Difesa. “Per la prima volta dal 1989, l’Aeronautica Militare partecipa con ben tre tipologie di velivoli: gli Eurofighter del 4°, 36° e 37° Stormo; il CAEW (Conformal Airborne Early Warning) del 14° Stormo di Pratica di Mare e gli F-35 del 32° Stormo di Amendola, entrambi alla prima presenza in questo particolare scenario. Si tratta del più importante evento addestrativo del 2020 per l’Aeronautica, un’esercitazione nella quale i piloti consolidano le capacità d’impiego dei sistemi d’arma in dotazione e la validità delle rispettive tattiche, mediante l’organizzazione ed il coordinamento di pacchetti costituiti da un elevato numero di velivoli, consolidando nel contempo la capacità di operare congiuntamente con altri Reparti, sia della Forza Armata sia di altre nazioni”.

Niente pericoli coronavirus dunque per Bandiera Rossa che si concluderà il 20 marzo. Del resto nessuno dei protagonisti armati poteva perdere l’occasione di sperimentare dal vivo i nuovi sistemi d’intelligence e per le cyber war acquistati: le simulazioni delle future guerre aerospaziali e cibernetiche si svolgeranno in un enorme poligono del Nevada che sorge a ridosso della base aerea di Nellis, una delle più grandi installazioni militari del mondo. Nel poligono sono stati testati più del 75% di tutte le munizioni e delle bombe a disposizione delle forze armate Usa e Nato. Dalla sua prima edizione nel 1975 sino ad oggi, Red Flag ha ospitato le forze aeree di 29 paesi e più di 506.000 militari. “Il deployment operativo e logistico in Nevada per l’esercitazione aerea è stato portato avanti dalla nostra Forza Armata come pianificato, nonostante i concomitanti sforzi organizzativi in campo nazionale nell’ambito delle attuali azioni di contrasto e gestione dell’emergenza COVID-19”, conclude la nota dello Stato Maggiore. Chissà se dopo l’irresponsabile missione negli Usa, sarà decretato nei confronti di tutto il personale partecipante l’isolamento obbligatorio domiciliare, come misura preventiva all’ulteriore diffusione del coronavirus in tutta Italia…

Il Coronavirus ridimensiona Defender Europe e l’Italia si esercita nel Nevada

Coronavirus: esperti italiani testano app per tracciamenti

Nel team il fisico Foresti e l’esperto privacy Vaciago

Un’app che se installata sul telefono aiuta a ricostruire i movimenti delle persone positive al coronavirus e di chi è entrato in contatto con loro. La sta sviluppando un gruppo di esperti italiani, non è ancora scaricabile dagli store digitali e ci sono contatti con il governo “ma al momento non c’è nulla di nuovo”, spiega all’ANSA Luca Foresti, fisico e amministratore delegato della rete di poliambulatori specialistici Centro medico Santagostino.

All’applicazione stanno lavorando, oltre al Centro medico Santagostino, anche Giuseppe Vaciago, avvocato ed uno dei maggiori esperti nella protezione dei dati sensibili in Italia e le società tecnologiche Jakala, Bending Spoons e Geouniq.

“Vogliamo costruire un sistema tecnologico che possa andare nelle mani delle istituzioni per aiutarle a gestire la crisi, tenuto conto del fatto che non sarà breve e avrà una crescita, è importante avere strumenti che permettono di tracciare cosa succede sul territorio”, aggiunge Foresti.

La tecnologia alla base dell’app permette, a partire dai dati georeferenziati e anonimi, di individuare movimenti e interazioni delle persone, raccoglie un loro diario clinico come l’insorgenza della febbre e altri sintomi, e sulla base delle informazioni georeferenziate ad esempio capisce, molto prima dell’arrivo in ospedale, che in una zona c’è un focolaio. Il tracciamento, inoltre, permette di comprendere con quali persone il soggetto è entrato in contatto e se è scattata l’auto-quarantena.

“Le persone che scaricano e installano l’app sul cellulare diventano un nodo di raccolta di dati georefrenziata che aiuta tutti ma aiuta anche il singolo individuo ad avere informazioni puntuali su se stesso. Più persone ce l’avranno più l’app avrà un ruolo pubblico che farà capire tante cose”, sottolinea Foresti

“La privacy è tutelata – aggiunge – perché l’app è solo un punto di contatto tra il sistema e le persone senza rivelare dati personali, la stiamo testando e ci stiamo muovendo in modo rapido anche se ci sono tanti passaggi di tipo tecnologico e istituzionale. Nella situazione che sta vivendo l’Italia ci è sembrato un elemento da mettere in pista e lo stiamo facendo con le migliori competenze sul mercato. Il tempo è fondamentale in questo momento, è un momento delicato in cui devono parlare i fatti”, conclude Foresti.

Ansa

Coronavirus, Twitter elimina i post pericolosi

Via fake news, falsi rimedi, teorie ascientifiche e complottiste

Nella lotta al coronavirus, Twitter mette al bando tutti i post contrari alle linee guida offerte dalle fonti autorevoli in tema di salute pubblica. In un post, il social elenca una lista di contenuti che saranno eliminati dalla piattaforma, con priorità a quelli potenzialmente più dannosi, per cui sta istituendo un sistema globale di valutazione della gravità.

Ad essere cancellati da Twitter saranno i post che vanno contro le raccomandazioni delle autorità sanitarie per evitare il contagio e, in questo modo, incentivano comportamenti rischiosi, sostenendo ad esempio che la distanza di sicurezza è inutile. Via anche i tweet che descrivono misure protettive e trattamenti inefficaci, siano essi innocui, come consigliare l’aromaterapia per allontanare il Covid-19, o pericolosi, come suggerire di bere candeggina.

I tweet che negano fatti scientifici accertati sulla trasmissione del virus, o che propongono teorie complottiste (come sostenere che il Covid-19 sia un’invenzione per far crollare le borse o per far guadagnare chi vende disinfettanti) sono tra gli altri esempi di tweet bannati, insieme a quelli che seminano il panico (“le autorità hanno detto che i supermercati non saranno riforniti per due mesi”), che propongono metodi non scientifici di autodiagnosi e che attribuiscono a diversi gruppi etnici una maggiore o minore resistenza al contagio.

Ansa

Norimberga – Incendio della vettura di uno sbirro riservista

Nella notte di ieri, tra giovedì e venerdì, un’automobile è stata incendiata nel quartiere Gostenhof, a Norimberga. L’automobile era parcheggiata nel quartiere con degli adesivi dell’associazione dei riservisti dell’esercito sul lunotto posteriore e una divisa da sbirro nel bagagliaio.

Con questa azione vogliamo manifestare la nostra avversione alla crescente militarizzazione della società e la soppressione di quasi tutti i diritti fondamentali, per l’attuale crisi da Coronavirus.

L’estate scorsa, le odiose forze dell’ USK (le forze speciali della polizia della Baviera) hanno occupato per settimane piazza Jamnitzer, la piazza centrale di Gostenhof. Noi non tollereremo più simili arroganze e continueremo a difendere il nostro quartiere dall’assedio degli sbirri.

Sbirri fuori dai quartieri!

Viva la società liberata! Morte al terrorismo di stato!

Libertà per i tre della Panchina del Parco!

    milizia del quartiere Gostenhof

 

 

 

Nuremberg (Allemagne) : Flics et réservistes hors de notre quartier

Torino – Dopodomani. Domani. Oggi.

Che le autorità abbiano navigato a vista in questi giorni è indiscutibile. Basterebbe guardare al susseguirsi convulso di decreti che, in appena tre giorni, hanno trasformato delle misure di contenimento localizzato (a 16 province e una regione) in misure estese a tutta la nazione. Sicuramente la difficoltà di effettuare tamponi [https://www.ilpost.it/2020/03/19/coronavirus-bucci-numero-contagi/] e poi svilupparli sta mettendo il governo davanti all’incapacità di capire quanto è realmente diffuso il contagio e quindi come poter limitare i danni economici e di tenuta sociale del paese, a partire dalle persone che stanno più subendo la clausura e potrebbero iniziare ad essere irrequieti.

L’epidemia è in continua evoluzione e le drastiche misure adottate fino a ieri non sembrano aver sortito alcun effetto, tanto che in alcune aree – Lombardia su tutte – la situazione ha ormai superato quella soglia di sicurezza che le autorità, sin dall’inizio, avevano evocato come limite a cui non avvicinarsi in alcun modo. Sotto la spinta di numerose autorità locali il governo ha deciso di dare un’ulteriore stretta alle possibilità di movimento delle persone, imponendo di chiudere anche parchi e giardini pubblici. [https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-nuova-stretta-governo-chiusi-parchi-e-giardini-limiti-sport-all-aperto-AD9RbqE]. Verranno disposti controlli più minuziosi e severi, i militari hanno il via libera per entrare in gioco là dove le amministrazioni locali lo reputeranno opportuno, probabilmente a partire da quelle città già coinvolte nell’operazione Strade Sicure o in paesi dove il contagio galoppa, e con esso morti e ricoverati gravi. Non si esclude la possibilità che in certe zone i militari verranno impiegati anche per distribuire generi alimentari o supportare le attività logistiche funzionali al sostentamento della popolazione racchiusa. Oltre che al controllo.
Il governo centrale ha già annunciato che verrà prorogato, ben oltre il 3 aprile, lo Stato d’emergenza disposto a livello nazionale un paio di settimane fa. Indicativa in questo senso l’idea di introdurre, magari attraverso un decreto, una norma di legge che consenta, in deroga alla normativa sulla privacy, di controllare ex post i movimenti dei cellulari, così da verificare il rispetto della quarantena e la veridicità delle autocertificazioni. Cosa già effettuata a Milano in termini di monitoraggio dei flussi di persone. [https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_18/coronavirus-si-spostano-4-lombardi-10-solo-milano-1200-denunce-scatta-sorveglianza-digitale-2227e1f0-68df-11ea-913c-55c2df06d574.shtml]

 

Forse dobbiamo iniziare ad abbandonare l’idea che questa situazione possa avere una fine, o perlomeno ridefinire il significato di questo concetto. Ripensare quindi il fatto che il mondo in cui viviamo, i suoi rapporti e le sue forme di potere torneranno identiche a prima.

Uno studio dell’Imperial college [https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf] ha delineato una serie di scenari possibili. Occorre precisare che si tratta di ipotesi fondate su alcune variabili tutt’altro che sicure, ma comunque utili a orientarsi (ad esempio molto dipenderà dalle caratteristiche intrinseche di questo virus: la sua stagionalità, la possibilità e la durata di una eventuale immunità nelle persone guarite, la possibilità che esistano più ceppi con virulenze ed effetti differenti. Tutte cose allo stato attuale, per quanto abbiamo appurato, non verificate). Il dato che emerge con più chiarezza è l’alta probabilità che questa epidemia continuerà a vagare, e quindi che i vari governi, dopo aver alleggerito le misure in seguito al rallentamento della curva dei contagi si trovino a doverle riproporre in seguito per far fronte a eventuali nuovi focolai. Insomma pare che la prospettiva sia l’inizio di uno stile di vita completamente diverso” e rassegnarci all’idea di vivere in uno stato di pandemia. [https://www.milanofinanza.it/news/non-torneremo-piu-alla-normalita-ecco-come-sara-la-vita-dopo-la-pandemia-202003181729195935?fbclid=IwAR22wrUqPGimdlHM2XBerNjqNsf_3_V6gGtbheGcqzPV_lE8w_gt5PC7d_M ].

Sorge a questo punto una domanda spontanea che, senza troppi voli pindarici sul futuro, occorre porsi già ora: come provare a lottare in uno stato di pandemia?

L’unicità della situazione che stiamo vivendo rende difficile anche per i governanti capire da quali problemi emergeranno e quali forme assumeranno i conflitti che potrebbero manifestarsi nei prossimi tempi, specie con il prolungarsi per molte altre settimane di queste misure. Cosa succederà ad esempio a breve o al più tardi tra qualche settimana quando le persone che non hanno alcuna riserva non sapranno più come fare la spesa?

Dopo la prima imponente ondata di rivolte, anche la situazione nelle carceri non sembra essersi granché modificata: le misure adottate non hanno ridotto il sovraffollamento, i colloqui con i familiari non sono stati in alcun modo ripristinati e il Covid-19 sembra abbia iniziato a diffondersi tra le celle. Nonostante le difficoltà di comunicazione quanto mai forti, stanno fatti  le prime notizie di detenuti e guardie positive al virus.

Coprifuoco, quarantena generalizzata e militari nelle strade serviranno principalmente a impedire o ostacolare sul nascere la possibilità di far fronte ai tanti problemi economici, sanitari e sociali con cui ci troveremo nei prossimi tempi a dover fare i conti, assieme al Covid-19. È opportuno rendersene conto, in fretta. Queste misure variamente miscelate potrebbero essere dietro l’angolo. Una volta adottate, chiarirsi le idee sarà ancora più difficile e le possibilità di ragionarvi vis a vis e magari pensare a come farvi fronte, si ridurranno ancor più drasticamente. Il tempo stringe.

Dopodomani. Domani. Oggi.