Atene, Grecia – Rivendicazione di quattro attacchi incendiari a domicilio da parte dei Gruppi Anarchici di Visita Notturna

Viviamo nell’era dell’iper-informazione, del costante flusso e della produzione di notizie. Il potere dominante è definito dal controllo del flusso di informazioni e dei big-data. Il controllo della forza umana è ora possibile attraverso la continua analisi dei dati raccolti quotidianamente a partire dalle tracce digitali di chiunque, mirando all’asservimento volontario sotto l’ordine dominante. Queste condizioni imposte sono totalmente differenti e maggiormente riverniciate rispetto agli anni precedenti. La strategia contro-insurrezionale e la repressione preventiva contro i dannati è stata strutturata nel contesto delle nuove tecnologie distopiche, da conoscenze specialistiche e da metodi di indagine e raccolta delle prove ancora più fluidi e complessi.

La costante mappatura dei nostri ambienti anarchici da parte delle forze di polizia, ovvero i procedimenti giudiziari e gli arresti per affissione di manifesti e per gli interventi, o i localizzatori GPS e le micro telecamere posizionate nelle case e nei veicoli dei compagni, mirano al costante arricchimento della banca dati utilizzata dall’infrastruttura statale.

Ancora una volta vediamo una sistematica imposizione di narrazioni razziste e di estrema destra da parte dei media. In tale maniera giustificano l’immagine degli spazi pubblici militarizzati e le schiere di poliziotti che si sparpagliano in ogni strada e piazza. Il soggetto nazionale sta radicandosi negli aridi terreni della propria eredità in declino, sostenendo nuovamente l’ascesa dei neo-nazisti e dei fascisti che si nascondevano sotto l’ombrello del patriottismo e della «frustrazione». Notiamo anche un’intensità crescente nelle loro azioni, insieme allo sviluppo operativo dei mezzi che impiegano, e un equivalennte apparente sostegno da parte dello Stato. Le vigilanza armata dei cittadini di Evros, sotto la tolleranza e la copertura delle forze di polizia, è una tetra rappresentazione del futuro. Tutti coloro che formalmente o informalmente avevano firmato una tregua con il precedente governo a causa della sua presunta mediocrità socialdemocratica, hanno perduto l’«accordo» dopo luglio. Tutti coloro che sostenevano la politica di Syriza per una similitudine ideologica con essa, ora stanno gridando a gran voce, cercando di convincerci che si trattasse del male minore.

Nell’attuale congiuntura storica lo Stato greco sta fronteggiando il nemico interno applicando una intensa strategia, imponendo condizioni di eccezione e dottrine «legge e ordine», erigendo monumenti alla vittoria contro i nostri compagni imprigionati e perseguitati, adoperandosi per l’instaurazione della normalità capitalistica e l’intercettazione di ogni movimento insurrezionale. È nostra responsabilità sviluppare una infrastruttura militante e pianificare attentamente i nostri prossimi passi verso la formazione di un movimento anarchico preparato, capace di ergersi a barricata contro il totalitario attacco capitalista. Negli ultimi mesi, le azioni di insorgenza individuale e collettiva si fanno più frequenti, dipingendo la tela metropolitana notturna con incendi, fragorose melodie di esplosioni e bagliori di cospirazioni riuscite.

Gli attacchi incendiari a domicilio come una delle belle arti

Il quadro della relazione capitalistica dominante non è composto solo da anonime reti di violenza del capitale e dalla incessante riproduzione dei rapporti sociali da queste imposti. Non è composto solo dalla nostra mutilazione mentale, dalla nostra frammentazione, dal ripetuto svolgimento del rituale capitalista all’interno della fabbrica metropolitana che distrugge la nostra memoria, la nostra immaginazione creativa, la nostra identità. Non è composto solo dal dilatarsi del capitale su ogni secondo della nostra vita quotidiana, anche oltre la dimensione lavorativa; un processo di snaturamento che distrugge ogni singola cellula non ancora infetta dal capitale presente nella nostra individualità. La struttura capitalistica è composta anche da esseri umani che ne diventano parte integrante adempiendo ad un ruolo sociale, economico, politico. Essi sono una delle numerose espressioni della brutalità del capitale; sono il suo corpo e la sua voce, i suoi occhi e le sue orecchie, le sue armi che ci prendono di mira, la sua irruenta propaganda.

La strategia dell’individuazione mirata del nemico serve a molteplici finalità politiche e tattiche. Trasferisce la paura e il terrore – coltivato e praticato contro gli oppressi – nelle case dei dominatori, nei luoghi in cui si sentono sicuri e non vulnerabili. Dimostra che quando si è organizzati e si ha la volontà siamo in grado di poterli colpire; dimostra che, quando scegliamo il tempo e il luogo, quando scegliamo la metodologia della guerriglia come strumento di lotta e di conflitto, possiamo essere il fronte del contrattacco contro la strategia contro-insurrezionale dello Stato e del capitalismo. Il ricordare agli zelanti guardiani del mondo capitalista che possono incontrare una decisa resistenza se ci accorgiamo delle effettive proporzioni della guerra sociale, se vivifichiamo le conseguenze materiali che ricadranno a tutti coloro che sono al servizio delle moderne tenebre, è nelle nostre mani.

Se prendiamo la decisione di diventare davvero pericolosi e di organizzare noi stessi, portiamo la guerra nel loro giardino, nella loro vita quotidiana. Poiché, anche se le persone che ricoprono posizioni importanti nella gerarchia autoritaria sono comunque sacrificabili, è sempre di grande importanza politica restituire loro la paura e il dolore psicosomatico che hanno esercitato sui soggetti oppressi. Trasformiamoci nella minaccia che costantemente incombe sulle loro teste; quella che li rende bisognosi di una sicurezza armata per 24 ore su 24, sette giorni su sette, presso le loro case o durante gli spostamenti, di telecamere ad ogni angolo, e infine di un intero apparato di ricerca, prevenzione, raccolta di dati, repressione e giustificazione della loro vergogna. Facciamo sì che questa minaccia dia loro la caccia. I sostenitori attivi della distopica normalità neoliberale sono presi di mira. Sarebbe quindi opportuno che calcolino le loro scelte e le loro parole, rivendicando l’importanza che intendiamo imputare loro contando i loro stessi indirizzi.

Spiegando le nostre radici e le nostre origini nella dimensione pubblica

Ecco da dove proveniamo: dagli appartamenti del miserabile isolamento metropolitano. Dalle fallite crisi di coscienza tentate dai media attraverso il lavaggio del cervello e l’inversione della realtà; dalla cultura di massa del consumismo e della pubblicità che costruiscono pseudo-necessità volte a riempire le tasche dei padroni; dalla repressione delle percosse e dei pestaggi alle stazioni di polizia e durante le proteste, quando decidiamo di opporci al potere; dall’ideologia «non violenta», che non è altro che un umiliante inchino e un invito ai dominanti a continuare il loro operato assassino; dalla depressione, massicciamente diffusa dal capitalismo attraverso la pressione asfissiante, lo stupore virtuale, la degradazione di ogni sano rapporto sociale – con l’intento di fornirci la «soluzione» e guarirci attraverso le droghe psicofarmaceutiche, lasciandoci zoppicanti, inconsapevoli, vaganti vittime della decadenza postmoderna.

Di fronte al violento presente dei nostri tempi, ci rammarichiamo di essere rimasti servi indifferenti e patetici spettatori. Vogliamo contrattaccare; contro le funzionalità di gestione e riproduzione della realtà del capitale, contro il «bellum omnium contra omnes», contro l’individualizzazione e l’antagonismo costante. Vogliamo erigere barricate di resistenza contro uno Stato che fa crescere il nazionalismo e il razzismo; che divide la popolazione in autoctoni e stranieri; che decide per la vita o la morte alle frontiere terrestri o marittime, sotto il suono dei tamburi di guerra e delle urla della fascistizzazione sociale in espansione.

L’anarchia – qui intesa come incarnazione della costante guerra per la libertà – è un monito perenne a chi è al servizio delle istituzioni autoritarie, un monito che può essere percepito come una vendetta da compiere su piccola scala per tutti coloro che percepiscono che il capitalismo è la morte sociale camuffata, una ferita aperta da cui il sangue dei dannati del mondo si sparge dovunque. Una vendetta su piccola scala per tutti noi che sentiamo di aver perso migliaia di belle giornate chiusi nei luoghi di lavoro, producendo profitto per i padroni; che abbiamo perso migliaia di bellissimi giorni imprigionati nei campi di concentramento, nei loro centri di detenzione aperti o chiusi e nelle carceri; che quotidianamente distruggiamo i nostri corpi per far fronte alla ridicole richieste del datore di lavoro; che diveniamo sacrificabili per non turbare la ricerca di profitto del capitalismo. Ecco perché queste azioni sono anche un segnale di solidarietà a chi, nella lettura di questo testo, troverà una parte di sé; una promessa che la lotta continua; una sfida aperta, perché abbiamo bisogno di compagni con cui creare legami militanti e prospettive collettive. Cerchiamo di realizzare la visione della libertà e della resistenza, così da diventare il peggiore incubo di chi ci vorrebbe con la testa china.

Le nostre relazioni e le nostre convinzioni sono piantate come un seme nella profondità del terreno. Fioriscono fuori dal gelido cemento come fenditure di vegetazione. Fioriscono ovunque e sempre. Questa volta, sono fiorite dalle fiamme e dai frammenti degli ordigni incendiario-esplosivi che abbiamo collocato esternamente e direttamente nelle proprietà di alcuni seguaci dell’abiezione capitalista, soggetti di cui abbaimo esperienza e che combattiamo all’interno del nostro territorio.

Assumiamo la responsabilità per gli attacchi incendiari contro le abitazioni di:

– Manolis Asariotis, giornalista della polizia per l’ANT1 (azienda greca attiva nell’ambito dei media e della comunicazione). Il suo ruolo di persona che sostiene appieno lo Stato ed esprime la propaganda del governo nei propri discorsi pubblici, essendo di fatto una sua estensione fisica; la sua totale coordinazione con gli ambienti (s)conosciuti dell’unita’antiterrorismo, che pubblicizza informazioni false in modo da prendere di mira i compagni; l’opportunismo e l’astio contro gli anarchici, due aspetti che lo conducono a costruire un «reality show» attorno alle vite personali degli anarchici combattenti, riproponendo i racconti della polizia, costruendo la colpevolezza per molte persone, preparando il terreno alla loro repressione; il suo ruolo nel coprire tutti i crimini della polizia greca contro i combattenti, i migranti, gli esclusi; queste sono alcune dei motivazioni per cui siamo andati a trovarlo. La prossima volta in cui divulgherà notizie false e prenderà di mira le persone, che sia consapevole del fatto che la sua abitazione è conosciuta presso i nostri ambienti.

– Thanos Tzimeros, politico fascista. Il suo ruolo di pittoresco, anche se potenzialmente pericoloso, politico; le sue infami dichiarazioni pubbliche sui nostri morti, come Alexis Grigoropoulos e Pavlos Fissas, la sua immondizia razzista e xenofoba contro i migranti, la ripugnante riproposizione della teoria degli opposti estremismi (la teoria del ferro di cavallo), e l’equiparazione tra nazismo e comunismo; queste sono alcune tra le decine di ragioni per cui lo abbiamo visitato. Per chiarire la questione del nostro povero Thanos: forse non ha occupato alcuna posizione politica – anche se ha eletto tre membri nel consiglio regionale dell’Attica. Però è ancora una evidente voce dell’ala di estrema destra, del polo neoliberale, della narrazione conservatrice. La sua stupidità ci ha sorpresi ancora una volta, appena abbiamo saputo che sta effettuando una raccolta di fondi per raccogliere denaro e riparare l’entrata della sua abitazione che è stata incendiata. Stia tranquillo che adesso, conoscendo la sua casa, forse inaspettatamente gli offriremo il nostro contributo alla raccolta fondi.

– Ioanna Mandrou, giornalista di SKAI (azienda greca attiva nell’ambito dei media e della comunicazione), e suo marito, giudice. Nei media non si è riferito dell’attacco incendiario alla casa della coppia di autoritari. Il suo ruolo di predicatrice per i reportage giudiziari, ruolo basato sull’«obiettività» e sull’«informazione valida» che fuoriesce direttamente dal marito, che occupa una posizione importante nella gerarchia del sistema giudiziario; le sue costanti calunnie contro i prigionieri politici (ad esempio, nel caso della decisione negativa riguardo le giornate con permesso di uscita dal carcere per Dimitris Koufontinas) e i combattenti perseguiti; i suoi commenti offensivi contro Magda Fissa (che durante il processo è stata provocatoria nei confronti dell’assassino di suo figlio Pavlos Fissas); la sua responsabilità nella costante copertura di ogni scandalo politico ed economico (vedi, ad esempio, Novartis), in quanto instaura costantemente un’atmosfera di giustificazione sociale per le assoluzioni giudiziarie già stabilite in precedenza; il fatto che è politicamente organica al partito Nea Dimokratia [«Nuova Democrazia»], e che può essere notata ad ogni incontro, visita o riunione dei politici della ND (vedi il video del suo ballo all’evento del Ministro degli Affari Marittimi, Giannis Plakiotakis, insieme a tutta la feccia di estrema destra); il fatto che è una fanatica sostenitrice del fascismo, dei memoranda, della disuguaglianza sociale, della repressione statale; tutto questo ci è bastato per individuarla e colpirla. Facciamo sì che sia lei che suo marito tengano a mente che abbiamo ancora delle questioni in sospeso con loro. La scelta di Mandrou di esercitare pressione sui nostri compagni mediante calunnie, menzogne e altre fissazioni, aprendo le porte alla merda giudiziaria – come suo marito e i suoi compari di «alta classe», che hanno appeso i nostri compagni al cappio della prigionia – non resterà senza risposta.

– Manolis Themelis, poliziotto con una lunga carriera che ora è divenuto un politico locale accanto al sindaco (ed ex membro del Pasok) della municipalità di Nea Filadelfia, Giannis Vouros. Anche questo attacco non è stato menzionato dai media. Si tratta di un militante fascista, con un ruolo attivo nel trasmettere la strategia di governo nel suo quartiere. Ha lavorato come poliziotto presso la stazione di polizia di Omonoia – nota per la mole di brutalità e omicidi compiuti dai suoi poliziotti – occupando (tra le altre cose), negli ultimi anni, una posizione di rilievo nella tortura, nell’aggressione, nella vessazione e nell’umiliazione degli immigrati. Ha operato presso la polizia greca in svariati modi, replicando sempre la morale cannibalistica e sfruttatrice dominante. È uno dei tanti poliziotti «anonimi», ben sepolto nella melma del presunto anonimato garantito dalla loro posizione come organi esecutivi sacrificabili. Lo abbiamo fatto riemergere come esempio per ogni equivalente spazzatura umana, per ricordare loro che hanno preso scelte di vita molto specifiche e indelebili. Forse un regalo incendiario alle loro auto o all’ingresso delle loro case può aiutarli a ricordare che sono in prima linea nella guerra contro i rivoluzionari e i dannati, e che questa posizione per loro potrà avere un costo a livello personale.

La nostra più totale solidarietà ai compagni Kostantina Athanasopoulou, Dimitra Valavani e Giannis Michailidis, attualmente in carcere, a seguito di una operazione antiterrorismo.

Forza per i quattro compagni perseguitati per la loro partecipazione alla presunta organizzazione «Compagni», a seguito di un’operazione stupidamente orchestrata che tendeva a terrorizzare il movimento anarchico in generale.

Segnali di solidarietà e di forza al nostro compagno Gabriel Pombo da Silva, alle due compagne arrestate per l’incendio di un bancomat a Madrid, ai «tre della panchina» in Germania e a tutti gli anarchici, antiautoritari e antifascisti prigionieri in Russia e in Italia.

Il nostro pensiero per i detenuti che si rivoltano contro la condizione di isolamento all’interno delle carceri italiane, dopo la situazione di emergenza generalizzata.

Dentro i nostri cuori, le fiamme dell’insurrezione cilena stanno ancora bruciando, e non dimentichiamo né i morti, né i reclusi, né le persone che hanno conosciuto la brutalità della feccia in uniforme.

E siccome la memoria è un’arma a portata di mano, Lambros Fountas accompagna sempre i nostri cuori e le nostre lotte. Il 10 marzo non muore nessuno, il 10 marzo nascono i guerriglieri.

Gruppi Anarchici di Visita Notturna [Αναρχικές Ομάδες Νυχτερινών Επισκέψεων]

P.S.: Consideriamo come non appropriato all’attuale situazione fare solo una frammentaria menzione sulla questione del Covid-19. Vorremmo giusto concentrarci similmente sugli esercizi forzati di distanziamento sociale, alienazione, auto-segregazione, solitudine, insicurezza e paura delle persone accanto a noi. Esercizi di consolidamento dello stato di emergenza, della militarizzazione della metropoli, della ristrutturazione capitalistica in termini di gestione militarizzata delle battaglie in campo sociale, della regolazione fluida ed elastica dei rapporti di lavoro attraverso il lavoro domestico e gli impegni temporanei, della distruzione di ogni sentire collettivo all’interno degli spazi di lavoro o nei terreni della riproduzione sociale. Esercizi a bocca e a occhi chiusi di fronte al moderno controllo panoptico aggiornato, telecamere termiche o di analisi biometrica immediata, droni silenziosi, giustificazione del tracking telefonico. Esercizi di insensibilità e apatia di fronte al totale dispiegarsi della moderna politica della morte e all’esclusione sociale di migranti, detenuti, senzatetto, persone che praticamente non potrebbero seguire il famigerato «restiamo a casa», perché non hanno una casa, o forse perché la loro «casa» è un luogo dove sono invisibilmente accumulati, senza cure mediche, perché non sono considerati come «persone normali», come «cittadini», ma come corpi superflui.

La gestione di questa «crisi sanitaria» in termini di guerra, è solo un altro punto della guerra sociale e di classe. È un attacco diretto dal regno dei privilegiati contro gli esclusi, perché non c’è una cella d’oro che li rinchiuda stoicamente, ma precari e sottopagati lunghi orari di lavoro, orari estenuanti, sprovvisti dei mezzi necessari per l’igiene, licenziamenti e disoccupazione, caccia di elemosine, grande ansia e insicurezza per ciò che verrà. La pacificazione di classe che si sta per inaugurare, affrontando il «nemico invisibile che minaccia la società», rende ancora più visibile dove dirigere il nostro fuoco. Ciò di cui abbiamo profondamente bisogno per comunicare con i nostri compagni, è che – al di là dei temi fondamentali della solidarietà, del mutuo appoggio e dell’autodifesa – questa circostanza ci trovi preparati. Mettiamoci nell’ottica di comunicare – parlare – organizzarsi – prepararsi. Così da poter stare sul nostro terreno, affrontando l’imminente crisi del capitale e la guerra contro di noi.

Aggiornamento sull’anarchico sardo prigioniero deportato Davide Delogu al 21 maggio

Dalla telefonata odierna (21 maggio) con Davide apprendiamo che il prigioniero che aveva iniziato con lui la protesta, poiché anche egli ristretto in isolamento da gennaio, ha interrotto. Riportiamo il messaggio di Davide:

«Non continua più lo sciopero per ragioni sue, ma è solidale con me non prendendo il vitto schifoso del carcere. La mia conflittualità è aumentata, aggredendo e sfidando verbalmente, e che venga in cella il comandante Rizzo per darmi spiegazioni! Ma poiché è un grande codardo, delega agli ispettori che vengono a commissionarmi le sue decisioni repressive e anche a loro come con altre guardie malandrine, su mia richiesta  “se hanno il coraggio – gli dico – di aprire la cella e di venire a dirmelo in faccia”, ma scappano via. Infami!».

Il compagno anarchico sardo, prigioniero deportato, Davide Delogu, di tener duro non ha mai avuto bisogno di sentirselo dire nei suoi quasi 20 anni di galera, mantiene la testa alta, continua a non sottometersi alla sbarrocrazia, porta avanti la sua lotta totale in maniera indeterministica e mai rassegnata. Davide non è mai stato una vittima della repressione carceraria, non subisce angherie, al massimo è lui a farle.

Ma urge muoversi in suo sostegno!

L’isolamento totale a cui è sottoposto da mesi, il continuo rinnovo della censura, i continui trasferimenti, i piego di libri che non gli vengono consegnati, la deportazione dalla sua Sardegna, la nuova protesta che sta portando avanti dal 14 maggio… Davide non può portare tutto questo peso da solo. E’ il momento di esserci!

Sappiamo che nella sua lunga detenzione non ha mai ceduto terreno, mostrando i denti, sappiamo che stiamo dalla parte dei non rassegnati, e rimaniamo al suo fianco in maniera incondizionata ancora una volta.

E benchè siamo convinti che l’agire anarchico debba essere una costante, ci auspichiamo che sopratutto in questo momento il fuoco refrattario gli trasmetta con maggior intensità quanto più calore possibile.

Davide Libero! Davide in Sardegna!

Sardegna Anarchica
Cassa di Sostegno per l’Anarchico Sardo Prigioniero Deportato Davide Delogu

Aggiornamenti sulla situazione degli anarchici Davide Delogu e Giuseppe Bruna [it, en]

 

Aggiornamento sull’ Anarchico Sardo Prigioniero Deportato Davide Delogu (21/05/2020)

Bergamo – Regard oblique

« Regarde les yeux grands ouverts, regarde »

Jules Verne

« La première bataille culturelle consiste à bien prêter attention aux faits »

Hannah Arendt

La désinformation journalistique décomposée et sur le mode de l’urgence, devient la narratrice unidirectionnelle d’une situation complexe dans laquelle nous sommes immergées depuis un mois. Trouver une unique lentille d’observation et d’analyse pour l’affronter est improbable. Plusieurs plans, perspectives et dynamiques se mélangent et s’entremêlent, mettant en jeu différents intérêts et protagonistes de processus déjà en cours.

Il faut dire que, comme cela arrive souvent dans l’histoire, des évènements accélèrent des processus précis, et dans ces cas-là émerge clairement les objectifs que, grâce à cette pandémie, on voudrait atteindre.

Le caractère exceptionnel permet de déplacer la frontière de l’acceptable de manière discrète et sans prévenir, en mettant en œuvre des « transformations silencieuses » irréversibles.

« Il est important que les scénarios ne soient pas des prédictions. Ce sont plutôt des hypothèses pondérées qui nous permettent d’imaginer, puis d’essayer, différentes stratégies pour être mieux préparé pour l’avenir – ou plus ambitieux, comment aider à façonner un avenir meilleur … les scénarios sont un moyen par lequel il est possible non seulement d’imaginer mais aussi réaliser un grand changement » (Fondation Rockfeller).

La fragmentation sociale a été imposée, avec la rhétorique de la « distanciation comme nouvelle forme de solidarité », alors que dans certaines usines le bruit des machines continue sans cesse pour ne pas interrompre les flux du capital.

L’exemple de certaines entreprises de la zone de Bergamo saute aux yeux, par-dessus tout celui de la Tenaris Dalmine, du groupe Techint. Spécialisé dans la fourniture de tuyaux pour le secteur pétrolifère, elle n’a jamais interrompu sa production, soutenue par l’amitié « désintéressé » des maires de la zone.

Une usine qui, si elle avait fermé, n’aurait pas perdu ses profits, étant donné que les propriétaires possèdent aussi l’hôpital poly-spécialiste privé, Humanitas Gavazzeni.
D’un côté comme de l’autre, les gains sur la pandémie étaient assurés.
Un sinistre spectacle pour faire en sorte que « les mensonges semblent sincères et l’homicide respectable » (G. Orwell).

Une urgence qui met encore plus en lumière les mécanismes de la vie sociale, en traçant encore plus profondément les limites entre la classe dominante et celle des exploités, en aplatissant les subjectivités en faveur de l’utilitarisme par lequel l’ouvrier est réduit à un simple instrument, et le vieux décédé à une statistique avec laquelle rivaliser contre les pourcentages de décès des autres pays.

Le bulletin quotidien journalistique du décompte statistique des morts rythme ces journées de quarantaine. L’administration de la mort, comme de la vie, devient la matière première pour des calculs mathématiques qui transforment le quotidien en une lamelle de microscope.

Les données digitales recueillies par une main touchant un écran tactile ne suffisent plus, il faut des données biométriques de cette main.

Les corps deviennent des lieux d’extractions, le moyen, la source et l’espace de la surveillance.

« L’efficacité des gouvernements se mesure sur la base de leur capacité à changer le comportement quotidien des personnes ».

Dès le début de l’urgence, l’activation des plateformes de smart working a semblé évidente (utilisée par plus de 70 % et des gens, et qui avec les dernières dispositions concernant la phase 21 s’apprête à devenir obligatoire dans certains secteurs), tout comme l’enseignement en ligne (utilisé par 98 % du secteur) mettant en lumière qu’étant donné qu’elles sont immédiatement opératives, cela signifie que l’infrastructure capable de soutenir des milliards d’interactions en ligne, avec une surcharge supplémentaire qui ces temps-ci a atteint des pics de +90 %, existait déjà.

Le contexte d’urgence crée ainsi la condition fertile pour l’évolution des processus technoscientifiques, dont certains servent justement à l’acceptation sociale créée par la production de la peur et dans la vision salvatrice de la technologie.
On parle de simplifier les lenteurs bureaucratiques pour l’amplification du réseau justement dans les zones les plus touchées par le virus, en premier lieu la Lombardie.

« D’un point de vue technologique un plan d’urgence à court terme pour doter une aire limitée comme la région Lombarde d’un réseau 5G immédiatement opératif est parfaitement réalisable » dit l’administrateur délégué de ZTE Italia.

« Gérer la crise alors que l’on construit le futur » a un sens absolument négatif à partir du moment où le futur qui est construit est le leur, dans lequel nous et nos interactions devenons des granules de données pour rassasier les algorithmes.

Nous assistons à un amalgame entre notre monde et le fonctionnement d’une machine dont chaque mouvement est parfaitement régulé, surveillé et huilé.

Il suffit de regarder les 17 spécialistes choisis par le gouvernement Conte qui feront partie de la Task Force qui s’occupera de la « Phase 2 » pour la relance du pays. Il est significatif que ce soit justement l’ex administrateur délégué de Vofadone, Vittorio Colao, qui la dirigera, entouré de nombreux techniciens et experts parmi lesquels Roberto Cingolani, l’actuel responsable de l’innovation technologique de Leonardo et directeur de l’Institut Italien de Technologie. C’est à eux qu’est confiée la tâche de « repenser l’organisation de notre vie et de préparer le retour graduel à la normalité ».

Une réorganisation commanditée par des techniciens, installés par l’État et par ses administrateurs, qui nous conduira dans une direction loin d’être mystérieuse.

Sur le sol italien, Vodafone a été la première compagnie téléphonique – une des plus grosse au monde – qui a investi dans l’infrastructure 5G. Au cours des premiers mois de l’année en cours c’était la première compagnie à offrir une couverture 5G dans les cinq villes pilotes italiennes (Milan, Bologne, Turin, Naples, et Rome).

Le choix de créer une task force avec à sa tête justement son ex-administrateur délégué est un choix bien précis, visant à soutenir l’esprit technologique dominant, mettant en lumière les « affinités électives » entre système technique et pouvoir étatique.

Il y a quelques jours, au cours d’une audience à Montecitorio (la Chambre des députés), le CEO actuel de Vodafone a pris la parole concernant les perspectives futures du pays, déclarant que « Je sais pertinemment combien l’importance de la technologie et des réseaux est déjà connue […] Je vous signale que nous avons décidé de focaliser une partie de l’attention et de l’engagement que nous déployons sur le terrain sur les exigences sanitaires qui peuvent être développées grâce à la diffusion de la 5G et de ses applications.

Vodafone renforce la collaboration avec les hôpitaux et les centres de soin pour mettre à disposition de la santé des Italiens les technologies les plus avancées, et pour aider nos médecins et infirmiers dans leur précieux travail en faveur de la communauté […] ».

Après une série de promesses pour mettre en lumière la ramification du pouvoir de l’entreprise dans cette situation d’urgence, on passe à l’intérêt réel de cette déclaration en demandant « un ajustement immédiat des limites du champ électromagnétique au niveau des autres principaux pays européens (en Italie, nous avons les limites les plus restrictives de toute l’Union Européenne) ainsi que des mesures de simplification sont nécessaires, en utilisant des instituts déjà connus pour l’ordonnance de notre autocertification et de notre autorisation ».
Quel meilleur moment pour sortir à découvert ? Surtout au moment où les travaux pour la nouvelle infrastructure 5G sont déjà en cours depuis quelque temps (les publicités et les documents officiels parlent plutôt clairement à ce sujet), que des centaines d’antennes sont déjà installées, que donc de fait le décalage de la barre des limites de tolérabilité est déjà en acte, et que cette pantomime avec le gouvernement représente probablement uniquement une formalisation nécessaire pour l’institutionnalisation du réseau 5G.
Nous retrouvons Vodafone dans le service de messagerie gratuite lié aux applications pour le monitorage et la cartographie des personnes en phase de conception et de lancement sur l’ensemble du territoire.

Vodafone avec Google, Facebook, Amazon, Apple, Microsoft et d’autres dans le secteur ont ainsi pu se proposer pour collaborer à la gestion de l’urgence, en exploitant un moment de vulnérabilité pour appliquer des conditions autrement prématurées. Partage des données et cartographies digitales, création des applications ad hoc et « solidarité digitale » sont quelques exemples de comment, sous prétexte humanitaire, les grandes multinationales de la surveillance ont pu ensuite engraisser leurs serveurs de données et gravir des marches dans l’acceptation des innovations technologiques.

Dans un futur assez proche, ce sera justement au nom de la sécurité sanitaire « digitale », de la commodité du travail « flexible » et de la formation scolaire que les infrastructures pour les villes intelligentes seront implantées, troquant l’illusion d’une liberté dans les communications illimitées avec un contrôle et une surveillance totale.

Un processus auquel nous sommes amenés à participer, enrôlés dans le progrès technique, et dans lequel nous nous confierons quotidiennement – à travers les dispositifs technologiques – pour un besoin intérieur savamment manipulé par un nouveau pouvoir totalisant, fluide, consensuel, à « mesure d’homme ».

La « bienveillance » apparente d’un pouvoir est ce qui le rend si efficace.

En Chine, une fois passée la situation d’urgence – au moins pour le Coronavirus – tous les déplacements et les interactions sont enregistrées, analysées à travers DataMining et classées grâce aux smartphones. Si l’on monte dans un autocar, sur un train, que l’on entre dans une gare ou dans une zone précise de la ville, il y a un QRcode à scanner, de manière à ce que le système enregistre notre passage. Une administration automatisée des comportements qui à travers des croisements de données, dont certaines que nous n’aurions même pas imaginées, analyse chaque aspect de la vie dans un processus prescriptif duquel nous sommes exclus.

Une nouvelle implémentation au système de Crédit Social2 que le gouvernement chinois avait prévu de rendre complètement opératif justement cette année, après une phase « expérimentale » de 6 ans, à laquelle aurait suivi l’adhésion obligatoire de tous les citoyens. Maintenant, donc, aux quatre macrozones scannées pas ce système (honnêteté dans les affaires du gouvernement, intégrité commerciale, intégrité sociale et crédibilité financière) on ajoute la zone concernant les données sanitaires des personnes, complétant le profil bio-social.

Le contexte chinois, aux côtés de ce qui arrive en Corée du Sud, à Singapour et en Israël ben qu’avec des différences considérables, est sûrement important, mais il suffit de jeter un œil à tout ce qui se déroule sur le sol italien pour se rendre compte que le contrôle et la gestion sociale de Xi Jinping n’est pas aussi loin qu’elle en a l’air.

L’urgence du Coronavirus, donc, est la tempête parfaite qui a permis au gouvernement chinois le renforcement et l’implantation de ces systèmes déjà inacceptables mais actifs depuis plusieurs années, augmentant par la suite le seuil de l’acceptation social.

Ce qui est présenté comme un système extraordinaire pour cartographier la contagion sert uniquement à nous faire participer à notre fichage et à notre surveillance.

« Les technologies les plus profondes sont celles qui disparaissent. Elles se lient au tissu de la vie quotidienne jusqu’à devenir indistinguables par celui-ci » S. Zuboff.

Avec des App qui te disent si tu peux être contaminé par le Coronavirus, avec des capteurs biométriques qui contrôlent ta température, des drones qui surveillent la ville tout comme les sentiers de montagne pour ta sécurité, un monde nouveau se concrétise rapidement, dans lequel la réalité est décomposée, réassemblée et nous est reproposée par des entreprises et des gouvernements.

Pour reprendre D. Lyon « nous devenons la synthèse de nos transactions, des mécanismes de classification » dans lesquelles c’est l’algorithme d’un téléphone qui nous enjoint de quelle manière nous pouvons interagir à l’intérieur d’un espace donné. Le quotidien que nous connaissions est menacé pour construire un futur nouveau à une vitesse telle qu’elle peut paralyser la conscience et créer des vides énormes.

Une fois de plus, on nous propose l’inévitabilité de la solution technologique.

Une idéologie dangereuse et contagieuse.

Une fois de plus, on confond une stratégie calculée dans les moindres détails, dans une contingence historique précise, comme l’est un événement absolument exceptionnel et extraordinaire, avec une stratégie qui se propose de gérer une situation difficile de la manière la moins impactante possible.

Nous nous habituerons ainsi à la « Calm Technology », et sans nous en apercevoir, nous serons immergés dans le techno-monde qui disparaît dans les espaces de notre quotidien, nous faisant perdre de vie la limite entre le réel et l’artificiel.

Nombreuses sont les métaphores de la guerre employées pour parler de cette pandémie. Mais si une guerre est en cours, c’est la guerre contre la nature, la nature humaine, sa socialité et sa volonté de penser et d’agir ? Une guerre éclair, qui frappe rapidement, et qui cherche à ne laisser autour d’elle que des sujets sans défense, confus et étouffés. Mais à la différence de la guerre, faite de « mensonges unifiants », à laquelle se réfèrent les journalistes et les administrateurs étatiques de toute sorte, qui poussent au nationalisme vers un ennemi extérieur – et intérieur –, cette offensive vise à nous rendre conscient de la réalité qui prend rapidement forme autour de nous, et nous pousser à garder notre « sang froid pour penser l’impensable ».

Un récit fragmentaire et fonctionnel a détourné les sentiments et les pensées vers une confiance totale dans les leaders étatiques et dans le secteur des télécommunications, dans les technocrates et les chercheurs de différentes sortes. Toute expérimentation a sa place, si elle peut nous aider à nous sauver de la pandémie. Des manipulations génétiques avec CRISP-Cas9 aux expériences sur les singes, des projets de vaccins synthétiques aux quatre coins du monde aux puces implantées sous la peau, l’ignorance et la peur ouvrent grand les portes au système technoscientifique.

Aux États-Unis et en Chine, on parle déjà d’une course géostratégique aux biotechnologies. Les puissances mondiales se bousculent pour s’emparer des meilleurs laboratoires, et pour s’assurer une place en première ligne dans la course au vaccin et aux expérimentations sur les personnes.

Les personnes âgées sont sans doute les plus frappées par cette pandémie. Après 1985, l’année reconnue comme celle de la première génération de ceux que Mark Prensky a baptisés les natifs du numérique, et plus encore dans les décennies suivantes, la réalité que nous vivons aujourd’hui est perçue comme la seule vivable, un passé différent devient impensable, sans les commodités digitales et les technologies suaves.

Comme l’imaginait Jules Verne dans Paris au XXe siècle, nous courrons vers un monde dominé par la technique et par ses ingénieurs, dans lequel l’art, la littérature et l’humanité deviennent des bibelots poussiéreux, entassés dans des bibliothèques abandonnées, et oubliés de tous.
Ce virus frappe particulièrement les dernières générations de « fidèles » à l’époque prédigitale de l’histoire humaine, les moins adaptables à ce nouveau système algorithmique traversé par des réseaux, des capteurs et des puces. Avec eux s’en vont les récits décrivant le monde d’aujourd’hui comme un cauchemar de science-fiction absolument inimaginable il y a quelques décennies.

Comme l’écrit H. Keyeserling, « partout où pénètre la technique, aucune forme de vie prétechnique ne résiste longtemps ».

Même si les nouvelles avant-gardes technologiques sont pensées pour englober toutes les tranches d’âge avec les nouveaux projets d’Active and Assisted Living, car « il ne peut pas exister de smart city sans des citoyens smart, et surtout sans des personnes âgées smart ! »
La mémoire est aussi indispensable parce qu’elle nous rappelle aussi que des mondes différents ont existé et peuvent exister sous d’autres formes.

La mémoire nous sauve de l’inévitabilité du présent, qui semble nous écraser jusqu’à étouffer toute volonté, et elle est indispensable, mais elle ne peut pas être la clé de lecture de notre présent. Les nouvelles formes de pouvoir qui agissent aujourd’hui n’ont pas d’antécédents historiques, et les analyser sous la lentille des modèles passés serait une erreur qui ne nous permettrait pas de saisir pleinement les spécificités, et donc de trouver les stratégies pour s’y opposer.
Les journaux aux goûts sinistres vendent des milliers de copies grâce aux articles sans fin à propos du comptage statistique stérile des morts, et dans les rues, entre voisins, on ne parle que de ça.

Les dernières semaines en ville, le deuil est le métronome de ces journées silencieuses.

Mais si nous devons ressentir un sentiment de deuil, ce devrait être pour tout ce que l’on est en train de nous arracher. Pour toute la liberté individuelle dont ils sont en train de s’emparer, et pour toute la destruction qui fouette inexorablement la Terre et ses habitants.

Les temps où il n’y aura plus aucun étonnement et désarroi seront des temps où nous serons habitués à un état de choses inacceptable. Revendiquons donc notre stupeur et notre émerveillement, fait de rage et d’angoisse, car ce sont ces sentiments qui nous poussent à la prise de conscience, à l’action et à la volonté de vouloir, sans attendre les temps où les sentiments deviendront des « droits » que l’État nous concède.

« Combien de temps s’est déroulé avant d’oublier qui nous étions, quand nous n’étions pas encore leur propriété, penchés dans la pénombre à étudier de vieux libres qui parlaient d’autodétermination, avec un châle pour nous réchauffer, la loupe grossissante en main, comme si nous étions en train de déchiffrer de vieux hiéroglyphes ? »

S. Zuboff

Nella

Bergamo – 14 avril 2020

1Equivalent du « déconfinement » en France.

2Système de Crédit Social Chinois : le système national pour la classification des citoyens fonctionnant grâce au croisement d’informations concernant la condition sociale, économique et l’évaluation comportementale de chaque individu. Il ne s’agit pas seulement d’un système de surveillance capillaire et de masse, mais d’une architecture technique précise pour manipuler les comportement vers une direction programmée.

Il est basé sur des technologies pour l’analyse des Big Data qui, à travers l’assignation de points, crée de caractères ‘inclusions ou d’exclusions dans la société, en transformant les points en droits qui, tout comme les points, peuvent être perdus ou gagnés. Le programme prévoit la création de listes noires exposées publiquement. Un système qui incite à la participation des citoyens, selon un principe d’intériorisation, en confiant le maintien de l’ordre social à des mécanismes automatisés. Entré en vigueur en 2014, et en phase d’expérimentation et d’adaptation depuis, d’après des prévisions programmatiques il s’apprête à devenir, justement cette année, obligatoire pour tous les citoyens.

L’éternel apprentissage

« Sur tous les plans : politique, mœurs, esprit, matière on expérimentera ce qu’il y a derrière le progrès : la mort.

Quel défi !

Ou l’Auschwitz de la nature

Ou le Stalingrad de l’industrie

Toute prédication est inutile. Le progrès ne s’arrêtera que par lui-même, par les catastrophes qu’il engendrera. »

Voilà ce qu’écrivait, au milieu des années 70, un poète suisse dont le nom n’apparaît pas dans la liste des précurseurs de la pédagogie des catastrophes si chères aux partisans de la Décroissance. Serge Latouche, leur maître incontesté, s’est toujours déclaré optimiste concernant la capacité des désastres de réveiller la conscience. Oui, mais quelle conscience ? Celle de la classe politique, poussée par la force des événements à remettre sur la bonne voie de la frugalité une humanité perdue, rendue sourde, aveugle et muette par sa dépendance prolongée et toxique au consumérisme. C’est une conviction qui réapparaît encore aujourd’hui, avec environ la moitié de la population mondiale confinée à la maison afin d’échapper à un virus jugé responsable de la mort de plus de cent mille personnes à travers la planète.

Et ce seraient les anarchistes les naïfs, ceux qui s’illusionnent, les habitants de la Lune ! Heureusement que l’on considère pragmatiques, concrets et les pieds bien au sol, ceux qui prétendent que la paix dans le monde est garantie par les armées, que les finalités des banques sont éthiques, ou que c’est le Parlement qui pense à « décoloniser l’imaginaire » !

Pour soutenir son argumentation, Latouche rappelle entre autres que le désastre moche et méchant provoqué par le « grand smog de Londres » – la stagnation d’un mélange de nuage et de fumée de charbon qui entre le 5 et le 9 décembre 1952 causa dans la capitale anglaise 4.000 morts sur le coup et 10.000 par la suite – conduisit quatre années plus tard à l’institution de la belle et bonne loi Clean Air Act. Le pauvre homme oublie non seulement que la consommation de charbon n’a jamais diminuée depuis, et qu’au contraire elle a augmenté avec la pollution dans les métropoles, mais aussi que déjà auparavant à Donora (USA), entre le 26 et le 31 octobre 1948, un mélange de nuage et de fumée des aciéries avait causé 70 morts et détruit les poumons de 14.000 habitants.

De la même manière, il ne semble pas que le désastre survenu dans le complexe chimique de Flixborough (Angleterre) le 1er juin 1974 ait servi à prévenir celui qui eut lieu à Beek (Pays Bas) le 7 novembre 1975. Et tous deux n’ont pas empêché la fuite de dioxine survenue à Seveso, le 10 juillet 1976. Quelle leçon a été tirée de ces trois expériences tragiques ? Aucune. En effet, le pire devait encore arriver, et eut lieu à Bophal (Inde) le 3 décembre 1984, quand une véritable hécatombe eut lieu : des milliers de morts et plus d’un demi-million de blessés, suite à une fuite d’isocyanate de méthyle. Il vous semble que finalement les complexes chimiques ont été fermés ? Certainement pas, et on ne peut pas dire non plus que l’usage industriel de substances nuisibles ait disparu, si l’on pense au flux de cyanure qui s’échappa le 31 janvier 2000 d’une mine d’or en Roumanie, empoisonnant les eaux de différents fleuves, dont le Danube.

Et les désastres provoqués par la production de l’or noir ont-ils déjà enseigné quelque chose ?

L’accident d’un pétrolier de ExxonMobil, qui s’est échoué le 24 mars 1989 dans le détroit de Prince William en Alaska, causant le déversement dans la mer de plus de 40 millions de litres de pétrole, n’a Sûrement pas servi à empêcher le naufrage du pétrolier Haven, qui le 14 avril 1991, a répandu 50.000 tonnes de pétrole dans les fonds de la mer Méditerranée, après en avoir brûlé 90.000 en plein air. Une blague à côté de l’accident du 20 avril 2010 dans le golfe du Mexique, quand furent versé en mer depuis la plateforme Deepwater Horizon dépendant de la BP entre 500 et 900 millions de litres de pétrole pendant 106 jours.

Ou bien nous voulons parler de la plus meurtrière des industries énergétiques, l’industrie nucléaire ? Sans citer les 130 accidents au cours des cent cinquante dernières années, celui qui eut lieu dans la centrale États-unienne de Three Mile Island le 28 mars 1979 a-t-il peut-être empêché celui qui eut lieu dans la centrale russe de Tchernobyl le 26 avril 1986 ? Absolument pas, en revanche les deux ont habitué les esprits à se résigner à celui qui éclata à Fukushima le 11 mars 2011. Si bien que les USA, la Russie et le Japon continuent imperturbablement, parmi d’autres, à utiliser de l’énergie atomique.

Maintenant, en admettant qu’il existe véritablement une disponibilité à apprendre, qu’est-ce que l’épidémie actuelle qui terrorise le monde entier pourrait-elle enseigner ? Qu’il faudrait renoncer à la déforestation, à l’urbanisation, aux avions… ou bien qu’il faut renforcer la recherche scientifique, rendre la vaccination obligatoire, diffuser toujours plus le contrôle des autorités « compétentes » ? En d’autres termes, faut-il arrêter le progrès et ses effets létaux, ou bien l’accélérer pour les dépasser ? Il n’y a aucun doute que pour presque tout le monde, la nécessité d’atteindre le bien-être à travers le développement perpétré par l’État reste un axiome. Un tabou si absolu qu’il ne faut même pas le proclamer. Voilà la normalité dont on réclame à voix haute le retour, et qui n’offre aucune issue à ses fausses alternatives. Cette normalité suspendue par décret ministériel sera rétablie dans une forme encore plus aggravée. Le droit au divertissement assuré par un drone au-dessus de la tête.

Le catastrophisme pédagogique n’est que l’extrême remède du déterminisme. Tous les prêches envers la fatalité libératoire de la Raison, du Progrès, du prolétariat ou des contradictions intrinsèques du capitalisme, ayant fini dans la poussière de l’histoire… seule la soudaine tragédie planétaire permet une fin heureuse à ceux qui ne cessent pas d’attendre que quelque chose arrive, au lieu d’agir pour le faire arriver.

Finimondo

Cosenza – Le virus ne les tuera pas

Le vide de la technique

L’adaptation constante des projectualités politiques des états modernes à la présumée infaillibilité de la technique, semble avoir mis au second plan ces mêmes gouvernements qui lui délèguent leurs choix. En réalité, l’État continue à accomplir son rôle répressif, et à travers ses responsables il avalise le déclenchement des protocoles économiques, sanitaires et administratifs déjà définis. Que de tels protocoles soient efficaces et pernicieux est d’une importance secondaire. Pour les fantoches de service, l’application des protocoles en question doit représenter un facteur d’accroissement de leur popularité et, en même temps, fournir une justification scientifique des choix effectués. C’est aux médias et à ceux qui tournent autour de la politique, de faire de tout cela une propagande gouvernementale. Si les choses devaient mal tourner, on s’en tiendrait à la légende toujours efficace : « toutes les procédures que l’affaire exigeait ont été exécutées ».

Il est évident qu’une telle procédure de commodité ne redimensionne les responsabilités d’aucuns patrons, d’aucuns politiciens, d’aucuns tuteur de l’ordre, d’aucuns universitaires complaisants et d’aucuns journalistes. Bien que l’aspect du récipient ait changé, ce sont toujours des personnes en chair et en os qui exécutent les rôles d’oppresseurs et de bourreaux.

Cependant, la tentative de rendre efficace l’action du gouvernement à travers l’aide de la technique et des sciences évaluatrices et économiques a déplacé l’attention du protagoniste réel des gouvernants à une simple poursuite des objectifs ; de ces objectifs, par contre, on ne discute pas le contenu, de manière à donner l’impression que les promoteurs et les exécuteurs sont en marge des choix effectués. Mais ce n’est que l’effet spectral de la tentative de destruction de la réalité dont les artifices de l’abus ont besoin.

Pourtant, pour les démocraties, l’idée de permettre au « peuple », terme que nous considérons exclusivement comme une entité abstraite, de décider de son sort doit rester debout, même quand les libertés concédées doivent être supprimées à cause des chantiers en cours. En réaffirmant que nous ne regrettons rien des libertés concédées par les démocraties, nous croyons que s’indigner maintenant en raison de l’étreinte répressive ultérieure reviendrait à reconnaître que dans un passé récent, il y avait des situations favorables. L’État fait son travail, c’est à nous, anarchistes révolutionnaires, de le fatiguer, de l’épuiser et de l’estropier quelle que soit la forme sous laquelle il se présente. Nous considérons donc qu’il est fondamental de mettre en évidence ses failles et ses points faibles, et de les attaquer concrètement. Et soyez bien sûr, l’histoire et le bon sens nous l’enseignent, qu’il n’y aura jamais aucun Décret ou « retour à la normale » qui nous permettra de le faire sans conséquences.

La démocratie n’est pas l’héritière d’une liberté concrète, mais un binôme constitué d’une liberté abstraite qui coexiste avec différentes formes de servitude, de dépendance et d’oppression. Comment tirer profit au mieux de ce binôme, sinon grâce à la combinaison entre pouvoir technique et souveraineté politique ? Un processus que l’on pourrait considérer comme un « laboratoire » tend à s’auto-immuniser en procédant par des crises internes. L’intensification de la réponse auto-immunitaire du capitalisme a lieu, depuis toujours, dans ses zones périphériques ou en voie de marginalisation par rapport aux centres du système. Par conséquent, une transition d’un récipient démocratique-autoritaire à un récipient techno-autoritaire n’est qu’un gradient avec lequel le statut du système est modifié dans un sens plus conservateur. Le capitalisme, si amant de la science à tout prix, s’est créé sa belle discipline scientifique, c’est-à-dire la science économique, avec laquelle il s’encense continuellement et se dote d’une gloire immédiate, en postulant aussi son dogmatisme qui justifie aujourd’hui comme « véritable » toute affirmation provenant de la bouche sacrée des devins modernes, à savoir les soi-disant scientifiques. Eh bien, si nous avions la patience de nous aventurer dans l’étude de l’économie, nous pourrions voir comment celle-ci répond parfaitement à l’image de la société que le capital désire façonner afin d’obtenir davantage de profit, de gain et de contrôle social. Cependant, ce n’est pas le capitalisme qui est en crise. Certains de ses territoires peuvent l’être, car de nouveaux territoires émergent aux yeux de l’histoire présente. Le capitalisme a survécu à des épidémies plus destructives, à deux guerres mondiales, à plusieurs révolutions communistes s’étant reconverties en capitalisme d’État. C’est son récipient stratégique actuel qui est en crise, mais ce n’est pas le virus qui le tuera. L’exploitation est réalisée par des personnes réelles, et elles sont déjà en mouvement pour se réinventer ou pour conserver un rôle au sommet de la pyramide.

Ne confions pas notre vie aux patrons et aux politiciens

Si nous voulions reparcourir chronologiquement les déclarations des ministres, les exploits propagandistes et les décrets-lois du Conseil des ministres, nous ne pourrions qu’en souligner le caractère contradictoire et approximatif. Et quand l’ennemi est confus, il doit être attaqué. Étant donné que l’État a une longue mémoire, démontrons nous aussi, exploités, que notre mémoire est solide et fonctionnelle.

Mais attention en affirmant que l’ennemi est confus, nous ne voulons pas dire qu’il est faible. Il a plutôt mis en évidence, de manière ostentatoire, des contradictions spécifiques dans tout ce qui l’entoure. Il a plutôt prêté le flanc dans les moments où il nous a demandé de l’aider afin de défendre « notre économie », et « nos entreprises ». Comme un seigneur féodal moyenâgeux, comme un baron post-unitaire, comme n’importe quel patron, l’État voudrait partager les pertes et s’emparer des bénéfices en perspective ; il s’en remet au travail bénévole et sous-payé, et occulte les grèves. Les personnes demandent inutilement de l’aide aux services sanitaires qui, quand elles sont contactées, répondent parfois de rester à la maison, car il n’y a pas de personnels pour les secourir. Alors que les patrons et les gouvernants mettent en scène leur maladie, qu’ils la publicisent, qu’ils en font un fait partagé, les riches sont bien soignés et ont de plus grandes probabilités de survivre, tandis que les pauvres crèvent et finissent souvent dans des fosses communes. Pour atténuer les conséquences possibles d’une révolte sociale face au manque de biens de premières nécessités, à la hausse des prix et à la perte des salaires, l’État délègue à des associations de bénévoles la représentation de sa face humaine. En même temps, comme nous l’avons déjà dit, il continue à exercer son métier de bourreau. Ceux qui appellent à l’unité et au partage, ce sont ceux qui tuent jour après jour.

La déchetterie de l’information locale, nationale et globale

Nous sommes habitués au faux, et nous avons appris depuis quelque temps à ne pas le craindre. La véhiculation du faux a caractérisé l’histoire de cette terre, qui exige aujourd’hui de se faire appeler « patrie ». Il s’agit d’une praxis institutionnelle s’étant renforcée et perfectionnée avec le temps : avec les massacres d’État, avec l’assassinat prémédité des révolutionnaires dans la rue ou au cours d’une arrestation, avec l’écocide quotidien des lieux que nous habitons. Eh bien, à propos de tout ça, quelle a été jusqu’ici la version officielle des faits du côté de l’information « fiable » ?

Faire devenir la réalité, avec le temps, un « récit » avec la satisfaction totale de nombreux média-activistes. Parmi eux, il y en a en effet certains qui voient dans la situation actuelle l’opportunité pour déplacer le soi-disant récit du profit des patrons vers des valeurs humaines. Il nous semble bien naïf d’identifier dans les décrets-lois la transformation des principes capitalistes dans un sens acceptable. Pourtant, il y en a certains qui cherchent à chevaucher la vague coronavirus, de la même manière que ceux qui gouvernent l’économie et les États, pour en arriver à dire leur avis au sein du processus démocratique habituel : live Facebook et Skype marquent le nouveau champ de bataille des luttes de ceux qui, déjà auparavant, n’en portaient qu’un contenu exclusivement symbolique. Ces composantes politiques qui ont tracé la ligne d’intervention du nouveau capitalisme, le soutiennent désormais dans cette phase de relance de la machine. En même temps, on s’en remet au divertissement collectif. Cela n’a pas d’importance que ce soit juste ou erroné, et encore moins qui le décide, l’important c’est de dire quelque chose, de confesser un état d’esprit, une sensation, un malaise, de le rendre traçable, classable, et de l’englober dans la dramaturgie du pouvoir.

Tout se joue sur la quantité d’informations qui permettent de prévoir l’évolution. Le gouvernement se donne du mal pour fournir des informations, des nouvelles utiles et des comportements responsables. Les Décrets sont d’abord alimentés par l’information, puis ratifiés comme quelque chose de déjà attendu, de déjà digéré. Cependant, le récit quotidien des quarantaines et le carnet de bord des vies mettent en scène et édulcorent la dureté des évènements, en les cachant ou en les marginalisant. D’un côté, la situation est grave à cause de ceux qui sortent de la maison, et non pas à cause de ceux qui ont spéculé et qui continuent à spéculer sur nos vies ; de l’autre côté, tout ira bien, nous nous en sortirons, nous sommes un grand pays. Dans le premier cas, nous sommes amenés à nous identifier avec un comportement conformiste, craintif, aplati sur les lois et sur l’attentisme. Dans le second cas, on demande un sursaut d’orgueil, de courage et d’optimisme. Tout en partant de points de vue opposés, nous nous trouvons face au même mécanisme de suggestion, et nous arrivons à la même conclusion : l’important, c’est d’obéir sans protester !

La reproduction du mécanisme capitaliste de propagande se lie à la dimension quotidienne, tout comme l’affirment les enseignes publicitaires : « soit conformiste dans tes choix ! » ; « uniformise-toi aux autres pour ne pas être isolé ! ». L’important c’est d’acheter !

Mais ceux qui vendent ont déjà acheté les slogans « soutenables » et soutenus « d’en bas ». En somme, les mots d’ordre et les slogans que l’on pouvait auparavant lire sur les murs de certains centres sociaux occupés, nous les trouvons aujourd’hui sur les lèvres des économistes les plus populaires. L’appauvrissement des propositions et des idées auxquels nous avons assisté ces dernières années dans les sphères réformistes et radicales, est passé de l’idéologie du faire à celle du devoir être, en oubliant définitivement l’agir. Un sacré progrès, il n’y a rien à dire. Ce capitalisme d’en bas, partagé, sera un capitalisme qui identifiera les procédures à suivre à chaque moment de notre vie, qui normalisera nos sentiments, et qui ne laissera rien au hasard et à la spontanéité, tout en nous disant en même temps que nous sommes libres. Ce concept de capitalisme autogéré né probablement aussi parce que, au cours du temps, beaucoup de pratiques, comme l’autogestion, ont cessé d’être conflictuelles, et qu’elles sont restées de simples instruments de survie, voilà pourquoi il est désormais facile pour le capital et l’économie de récupérer certains concepts.

Contre l’État, sans exceptions

Dans cette période, il s’avère tristement intéressant d’observer les langages et les manières de communiquer les messages. En réalité, il est bien compliqué d’y trouver une cohérence apparente, il suffit en effet de confronter les différentes déclarations de tout individu expert ou politicien, pour se rendre compte que, à distance de quelques jours, elles sont totalement contradictoires.

Comment fonctionne l’appareil stratégique de l’ennemi quand il perçoit des conditions dangereuses et déclare un état d’urgence ? Se démontre-t-il efficace, rapide à intervenir ? Étant donné que l’État d’urgence est plus ou moins permanent dans la représentation du pouvoir, et que les moments d’exception et de crise sont constamment maintenus en vogue, ce à quoi on assiste aujourd’hui revêt un profond aspect d’incertitude et d’imprévisibilité, et derrière tout ça on peut percevoir une grande difficulté de la part des gouvernements. Un embarras plus qu’évident. En ce moment, le Premier ministre Conte, expression du seul organe étatique actif, le Conseil des ministres, est poussé à faire des déclarations et à lire des décrets devant les caméras. La plupart du temps, il s’agit de résolutions déjà répandues à travers les différents organes de presse, déjà mâchées par l’information et par ceux qui y donnent du crédit, de manière à obtenir un impact minimal.

Donnons des exemples : la confusion sur les protocoles sanitaires, le caractère contradictoire des résolutions au niveau territorial, les concessions et les interdictions interchangeables de jour en jour. Un autre aspect fumeux est l’usage de l’armée. La présence des militaires dans les lieux jugés sensibles par l’État est déjà, depuis quelque temps, une habitude. Et c’est tout sauf inhabituel de les voir aux côtés de la police ou des carabiniers dans les gares ou dans d’autres zones de la ville. D’ailleurs, l’histoire récente fait revenir à la mémoire des moments où cela est arrivé dans des territoires considérés comme hors du contrôle étatique direct. Nous faisons référence aux opérations Vespri siciliani, Riace et Forza Paris qui ont eu lieu respectivement en Sicile, en Calabre et en Sardaigne, entre la fin des années 80 et le début des années 90. Tout compte fait, l’occupation militaire de ces terres amena exclusivement à une augmentation quantitative du contrôle du territoire, car les forces employées en plus de celles déjà présentes n’ont pas obtenu un réel changement des dynamiques illégales. Si l’État a obtenu des résultats dans ces territoires, cela s’est principalement réalisé grâce au pentitismo1, et non pas grâce aux enquêtes ou à un contrôle capillaire des villes, des villages et des montagnes. L’État, par contre, a pu démontrer à travers les critères de la science évaluatrice à laquelle se réfère le capitalisme, que son engagement se multiplia.

Comme on l’a déjà dit, à cette occasion aussi, la seule solution formulée par les gouvernants est la collecte de données : un quota de dénonciations, d’arrestations, de barrages, de flics éparpillés dans les régions ; cela cache, en partie, la demande de ventilateurs, de soutiens sanitaires et de structures d’accueil pour les malades.

Mais si l’on dispose de grands nombres pour le contrôle, pourquoi demande-t-on l’aide des bénévoles pour le secours minimal ?

Combien de flics, de militaires et de matons qui effectuent des contrôles ou tabassent les détenus sont contaminés ? Combien de ces héros diffusent le virus ? Combien coûte l’indemnité de mission des militaires employés ? À qui est confié le commandement des hôpitaux de campagne d’urgence ? À ces mêmes anges qui avec les politiciens locaux ont reformulé les systèmes sanitaires sur le territoire jusqu’à récemment en redimensionnant la qualité et en disloquant les structures ?

La réponse est toujours afférente à la dimension protocolaire : on crée donc des task force, déléguant à la technologie l’acquisition de données ultérieures.

On propage le traçage des déplacements en guise de réponse à la demande du système sanitaire d’intervenir, de fournir de l’aide à ceux qui devraient se rendre à l’hôpital. Mais il est évident qu’il s’agit d’une énième manœuvre pour démontrer que le possible a été fait.

Nous ne pensons pas qu’il soit juste de nous arrêter sur la portée de l’actuelle vague répressive, ni d’exalter particulièrement les détails des technologies militaires utilisées ; encore moins de souligner les restrictions, les limitations et l’absence d’humanité des décrets gouvernementaux. Nous ne voulons évidemment pas passer pour des naïfs ou des superficiels, au contraire nous trouvons opportun et sensé de se documenter et de se mettre à jour sur le fonctionnement de la machine ennemie. Cependant, aucune transformation ou mise à jour de l’ordre démocratique ne nous fait regretter ce qu’il laisse derrière lui.

Nous voulons détruire la société, pas l’améliorer

Comme prévu, les gouvernements sont dans la confusion. Ils s’en remettent à la technoscience qui peine à tenir tête aux mutations du virus. Ils s’en remettent aux calculs logarithmiques des prévisions de marché et d’enquête économique. En quelques mots, ils demandent à la perpétuelle reformulation des paramètres scientifiques l’inconsistance de leur action.

La méthode scientifique contemple l’erreur, dit qu’elle peut se tromper, et même que d’une erreur on peut déduire des observations qui seront utiles pour d’autres recherches, eh bien en faisant ainsi, voilà donc l’instrument parfait de lecture du réel. Les partisans de la technoscience affirment que l’on n’arrête jamais d’approfondir et de rechercher, et ils soutiennent qu’il est faux que ce qui ne peut pas être mesuré par la méthode scientifique est simplement ignoré. Ils soutiennent que rien n’est ignoré, et que chaque chose est recherchée. En recherchant toute chose, la science aura-t-elle un jour ou l’autre la capacité de répondre à toute question ? S’il en est ainsi, elle est alors en puissance omnisciente, tout comme Dieu. Alors, ceux qui soutiennent que le dogme scientifique a aujourd’hui remplacé la religion ont parfaitement raison. La science n’est-elle pas une interprétation du monde ? N’a-t-elle pas un projet à elle ? La question semble rhétorique à la lumière de ces brèves considérations, et celles-ci sont les caractéristiques de toute idéologie, voilà pourquoi il semble correct, d’autant plus correct, de parler d’idéologie de la science. En tant qu’anarchistes, nous ne pensons pas qu’il soit possible de déclarer, ou pire encore de croire, qu’il existe de réels instruments cognitifs de la réalité, chaque moyen de ce type se configure comme une idéologie, la science est une idéologie, l’idéologie peut être une forme de « credo politique », et même l’anarchisme peut aussi être une idéologie. Nous considérons qu’il n’existe aucune vérité et certitude, ceux qui en cherchent soulèvent chez nous de nombreux doutes, et surtout un fort sentiment de répulsion.

Par contre, nous savons bien que l’appareil technoscientifique et militaire se bouge derrière certains pionniers qui incarnent encore le visage primordial du capitalisme, les patrons. Ils sont, depuis toujours, les véritables moteurs de l’exploitation. Les sciences économiques, les théories du marché et les prévisions d’investissement sont les fantômes derrière lesquels courir pour perdre de vue la réalité effective des choses.

Ce sont les patrons, en chair et en os, les artifices des formes d’oppression actuelles et de celles futures. Scientifiques et flicaille se joignent à eux.

En effet, dans la situation actuelle, ce sont justement les patrons qui semblent ne pas avoir les idées confuses, l’entrepreneur qui, s’enveloppant dans la veste de la philanthropie, reconvertit ses entreprises, produit ce que le marché demande et augmente ses profits. En réalité, un grand nombre d’usines n’a jamais cessé de produire, et beaucoup mettent la pression pour rouvrir le plus tôt possible. Dans les deux cas, des procédures de sécurité fictives justifient le fait que la vie des travailleurs est mise en danger. Les grandes corporations pharmaceutiques cherchent aujourd’hui à rivaliser les unes contre les autres dans la course au vaccin, et certaines d’entre elles ont déjà commencé l’expérimentation humaine, et tandis que tout le monde regarde essoufflé et cherche avec difficultés des nouvelles concernant les progrès scientifiques qui mèneront au salut de l’humanité, les corporations pharmaceutiques tournent leurs regards vers les profits.

Entre-temps, les entreprises qui travaillent depuis toujours à la traçabilité des mouvements, se donnent du mal pour projeter de nouvelles applications qui permettront de ficher l’humanité dans diverses catégories : malades, sains, immunisés. Une application pourrait donc permettre la gestion de la circulation humaine, et tout cela pourquoi ?

Entre-temps le prix des biens de premières nécessités augmente et ils sont probablement destinés à augmenter encore par la suite.

La vérité semble bien claire, pour ceux qui veulent la lire, surtout aujourd’hui en prévision de la phase 2, il y en a qui se sont déjà préparés.

Eh bien, sur ce désastre, qui est en train de coûter la vie à un grand nombre d’individus, on a déjà pensé à reconstruire, reconstruire en maintenant les mêmes règles : quelques-uns doivent pouvoir spéculer dans un abus sans borne, et beaucoup doivent succomber dans des conditions d’esclavage. L’instrument d’oppression qui sera utilisé est en voie de construction. Les universités, les gouvernements, les psychologues, sont en train de calibrer et de doser les effets sous le poids de la défaite que le virus leur a infligé, en s’en remettant aux modalités opérationnelles déjà en cours. Il n’y a donc aucune révolution technologique imminente, mais seulement un renforcement de ce qui existe déjà actuellement, et que nous devrions considérer avec plus d’attention dans les diverses facettes du présent, plutôt que dans celles du futur.
Dans le monde dé-réalisé par la production technologique, la médiation entre l’individu et la démocratie, entre les poches apparemment non pacifiée et la société, est toujours prête à frapper à la porte, et peut-être est-elle déjà au cœur de notre lutte alors que nous cherchons à lui échapper.

Eh bien, libérons-nous des sédiments et des incrustations qui voudraient nous faire assumer des comportements exemplaires, et mettre en place des pratiques vertueuses à insérer à plein titre dans la démocratie en difficulté. Nous voulons détruire cette société, et non pas l’améliorer. Nous ne ressentons donc pas que notre force destructive et propulsive est redimensionnée dans le climat actuel. Au contraire, nous sommes stimulés et curieux de découvrir de nouvelles formes de survie aux marges de la société malade ; nous n’avons jamais attendu des moments faciles, et nous sommes conscients que les voies à parcourir sont constellées de lumière et d’ombre, de mensonges à dire à l’autorité et de vérités tues, d’illégalisme et d’attaques imprévisibles contre l’ennemi. Tout comme elles sont constellées de longs silences, d’attente et de défaites. Notre lutte ne coïncide pas avec les luttes de ceux qui aident l’État dans sa campagne propagandiste, mais elle garde à l’esprit qu’elle est le terrain d’action sur lequel déclencher la bataille.

 

Des anarchistes de Cosenza

1Système juridico-légale de collaboration avec la police et la magistrature des membres de la mafia.

Italie – Le passé est passé

« Pour que le désir d’extranéité ne devienne pas une mutilation résignée, mais qu’il s’arme contre toute forme d’autorité et d’exploitation. Pour que du pouvoir du dialogue (avec lequel on pense tout résoudre) et du dialogue du Pouvoir (qui invite tout le monde à une négociation raisonnable) on passe à un sentiment d’inimitié radicale envers l’existant, un sentiment de destruction de toutes les structures qui aliènent, qui exploitent, qui programment et qui enrégimentent la vie des individus. Le chien noir (cet animal que l’on associe en général à l’idée de la soumission, d’une mansuétude servile) est justement la volonté de sortir du troupeau de la servitude volontaire et de s’ouvrir à la joie de la rébellion. Non pas le noir dans lequel toutes les vaches sont égales (aussi bien dans leur être contre ou en dehors), mais plutôt celui dans lequel disparaît la frontière entre la démolition et la création, entre la défense à outrance de soi-même et la construction de rapports de réciprocités avec les autres. »

Aujourd’hui, dans cette période d’urgence sanitaire, il devient particulièrement important de partager et d’approfondir des réflexions au sujet de la maladie et de la sécurité de la vie. Voilà pourquoi nous reproposons des textes du journal Canenero, écrits entre 1994 et 1995, pouvant nous aider à avoir un regard plus lucide sur la situation, car ils sortent du flux médiatique des actualités dans lequel nous sommes immergés.1 Cette pandémie nous a tous trouvés impréparés : de l’individu qui ne s’était jamais posé beaucoup de questions sur cette société, à ceux qui ont toujours trouvé absurde d’accepter de passer une vie entière à respirer des particules fines pour ensuite se retrouver avec une tumeur. Mais dans les milieux soi-disant radicaux aussi, la critique de la sécurité de la santé a peu à peu disparu.

Ce que nous entendons et que nous lisons quotidiennement dans les médias et dans les journaux, c’est le bombardement constant de nouvelles sur les morts et les malades qu’a causé le coronavirus.

Alors, comment la maladie est-elle comprise, et pourquoi cette terreur de la maladie et de la mort ?

Dans cette société, la médecine est parvenue à créer une opinion commune – ou un lieu commun – selon laquelle la santé doit nécessairement être médicalisée, chaque maladie ou symptôme doivent être soignés ans l’immédiat, bien souvent sans même s’interroger sur l’ensemble des causes qui les ont générés.

Face au risque de tomber malade, la majorité des personnes se livrent aveuglément dans les mains des médecins et des experts, en se résignant à l’expropriation de leur vie en échange d’une existence mutilée mais garantie.

En effet, sous cette couche de peur collective que l’État et les médias ont créé, notamment à propos de la diffusion du virus, les personnes font confiance à l’avis des experts sans se demander plus que ça si les distances de sécurité, les masques et la résidence surveillée forcée peuvent véritablement être la solution à cette pandémie.

L’idée de la survie à tout prix, l’idée d’une vie (sur)vécue le plus longtemps possible, même sans en jouir intensément, bien que certains d’entre nous puissent ne pas être idéalement d’accord, nous mène néanmoins à confier nos corps dans les mains de ceux qui voient le corps exclusivement comme des machines fonctionnelles à la volonté de l’État de continuer à perpétuer son pouvoir. Dans les différents textes émerge, par exemple, la critique de la technique et de la peur du néant et de l’inconnu, car l’histoire entière de la civilisation de la technique peut être lue à travers la lutte contre la terreur du néant. Car tandis que pour la société la survie est un devoir, il y en a qui pensent que leurs vies n’appartiennent qu’à eux-mêmes. Quelqu’un qui, face à la conscience de ne plus vouloir continuer à exister, décide de s’ôter la vie sans demander la permission à personne, quelqu’un qui, face à l’espoir incontrôlable de guérir d’une tumeur, décide de se soustraire à la médecine et de fuir la peur de la mort en allant à sa rencontre. Et d’autres pistes, pour tenter une nouvelle fois de donner à la rébellion la joie errante et l’élan d’une destruction tant souhaitée par ceux qui se sentent étrangers dans un territoire ennemi. Et ce territoire est le monde entier.

Sans rendre de compte

La rose est sans pourquoi,
elle fleurit parce qu’elle fleurit,
elle ne se soucie pas d’elle-même,
elle ne se demande pas si on la voit.

Angelus Silesius, Le pèlerin chérubinique

Nihil sine ratione. Rien n’est sans fondement. Voilà ce que la pensée philosophique affirme depuis toujours, avec l’accord ferme du sens commun. La coïncidence de l’être et du fondement dit que toute entité possède un fin, et que son existence ne trouve une raison qu’en tant que réalisation de ses fins, une raison dont on peut et on doit rendre compte. Ce « rendre compte » montre que chaque chose est calculable, mesurable. La vie de l’individu ne fait pas exception.

Il va de soi qu’en variant la conception du fondement, la fin de l’existence varie aussi, tout comme changent les critères sur la base desquels on détermine, au fur et à mesure, qui et quelle chose s’éloigne de cette fin ou contredit ce fondement. Ce qui est considéré comme fou, criminel, non naturel ou inhumain, c’est justement tout ce qui représente la négation du fondement et de la fin. En tant que modèles extérieurs à l’individu. Ces modèles sont justifiés au nom de ce qui est posé comme élément commun, comme essence générique. Si le trait commun qui nous lie est Dieu, la fin de l’homme est alors la réalisation de la volonté divine. Si, au contraire, on l’identifie dans la loi naturelle, sa tâche sera de réaliser les plans intrinsèques de la nature. Ainsi, tout comme la raison est la donnée universelle, la fin de l’homme est de ne pas contredire le principe de rationalité. Le modèle de l’homme comme être social, comme animal politique, imposera enfin la mission de respecter les normes sociales et les préceptes politiques.

Les principes de référence changent, tout comme la morale. Mais on reste toujours sous le même ciel. Chaque fin, même la liberté, impose des devoirs sacrés et exige des sacrifices. Même « l’homme humain » est une mission, une essence à réaliser ; une tautologie morale qui porte avec elle les tribunaux et leurs excommunications. (Ce n’est pas un hasard, par exemple, qu’en allemand « non-humain » et « monstre » s’exprime par le même terme : unmensch). Au nom des droits de l’Homme, des hommes ont été et sont encore exploités aujourd’hui.

Le bûcher de l’athée, la réprobation vis-à-vis de l’homosexuel ou de l’incestueux, la ségrégation du « fou » et l’incarcération des hors-la-loi ne sont que des manières différentes d’intégrer et de réprimer quiconque dépasse les limites établies par la norme et par les prescriptions du bien. La valeur des individus se mesure exclusivement sur la base du désir d’adhésion à la fin à laquelle leur existence est subordonnée.

Bien que l’on critique souvent dédaigneusement la coercition de la peine ou la violence de l’insertion forcée, on arrive assez rarement à nier à la racine le concept même de devoir, dont ils ne sont que des corollaires. Car l’autorité n’est que la médiation entre la fin et les individus appelés à la réaliser.

Certes, parmi les anarchistes on se croit à l’abri du devoir des préceptes religieux, de la sacralité des impositions étatiques, ou d’une vision rigidement téléologique de l’histoire. On continue pourtant à croire qu’il existe des droits naturels (les hommes naissent libres et égaux) à opposer aux droits légaux (il s’agit de l’éternel conflit entre phìsis et nòmos), en vertu de quoi il est possible de s’insurger contre les seconds au nom des premiers. Tout à fait, au nom de, c’est-à-dire en faisant référence à quelque chose qui nous est étranger ou qui nous transcende, qui d’une certaine manière légitime nos choix. Peu importe si ce quelque chose est Dieu, la communauté, l’État ou la nature. Ce qui compte, c’est qu’il y a des valeurs préexistantes et connaissables, qu’il s’agit uniquement d’appliquer. La vie n’est alors qu’une marche, triomphale ou modeste, vers le bien.

Même si cela semblera une boutade irresponsable, je crois qu’entre le destin de la race prêchée par le nazisme, la vision d’une nature qui tend à une liberté et à une différenciation progressive et théorisée par la version libertaire du jus naturalisme, et l’anarchie comme ordre vers lequel avance l’histoire, il n’y a pas de différences substantielles.

Leur espace est toujours le sacrifice, leur temps est le futur.

Dans ces conceptions, il n’y a pas de place pour l’autonomie des individus, pour leur individualité infondée. Prisons, asiles, thérapies démocratiques et traitements orthopédiques ne sont que des manières différentes d’appliquer la même foi dans un modèle.

À l’opposé de tout cela, il y a la vie comprise comme le déploiement de ses potentialités, comme une interrogation ouverte. Sans rendre ni demander de compte, comme la rose de Silésius. Une vie que chacun, libéré des garanties, met en jeu jusqu’au bout. De sorte qu’il peut dire, comme Peter Altenberg : « Et même si je devais chuter dans l’abîme, qu’au moins ce soit mon abîme dans lequel je me fracasse ! ». Et qui sait si on ne réussit pas aussi à danser sur cet abîme.

(11 novembre 1994, numéro 3)

À l’ombre du sultan

« Mais comment jouir de la vie ? En l’usant, comme on brûle la chandelle qu’on emploie. On use de la vie et de soi-même en la consumant et en se consumant. » Max Stirner

Face à la mort – disait Epicure – les hommes habitent une ville sans muraille. C’est bien connu, le philosophe grec insérait dans son tetrapharmakos, c’est-à-dire dans le système des quatre remèdes fondamentaux pour une vie heureuse, le soin contre la peur de la mort. La peur de la mort représentait à ses yeux un des principaux obstacles pour atteindre l’ataraxie, cet état d’imperturbabilité que le sage conserve vis-à-vis du monde. Craignant de la perdre, disait-il, les hommes oublient de profiter de la vie.

Les murailles dont les hommes sont dépourvus, ne connaissant pas l’immortalité, sont celles en mesure de fournir un abri contre le décès. Selon Epicure, la mort, entendue comme peur du néant, peut au contraire être vaincue à l’aide du « médicament » opportun.

Au-delà de la manière avec laquelle il croyait réaliser ce soin, ce qui nous importe ici c’est de souligner la distinction entre la mort et le décès. Car l’histoire entière de la civilisation de la technique peut être lue à travers la lutte contre la terreur du néant. La terreur du néant est, au fond, la peur de la liberté, le besoin de garanties contre une vie totalement exposée, la recherche d’une zone rehaussée et immobile au-dessus d’une existence dépourvue de fondements certains sur lesquels s’appuyer et de fins sacrées à réaliser, toujours dernières dans le temps et lointaines dans l’espace. Au fur et à mesure, on a invoqué Dieu, l’État, l’homme, la religion et la société, pour défendre la vie de la menace du néant. Le remède ultime qui les lie tous et les comprend, c’est la technique. Une expression efficace dit que Dieu est la première technique, et que la technique est le dernier Dieu. En effet, l’appareil scientifique et technologique représente l’État le plus avancé du Pouvoir, la volonté de rendre éternelle la survie au nom de la vie. Le corps lui-même, réduit à un réservoir d’organes de rechange, comme le démontre le développement de la science des transplantations, semble se reproduire éternellement. Comme toute autre marchandise.

La survie est un devoir, et pas uniquement parce que le suicide est sujet à l’interdiction légale et à la réprobation religieuse. La société entière a rendu la vie obligatoire, celle normale et prolongée le plus longtemps possible. Ainsi, bien que la science et sa fidèle servante, la technologie, soit évidemment des causes concomitantes, avec la politique et l’économie, de l’abaissement progressif des capacités défensives de l’organisme humain, face aux fléaux contemporains comme le sida, le pouvoir des médecins et des experts augmente, pouvoir auquel nous nous remettons tous, en toute confiance. L’idéologie de la vie est en train de transformer toujours plus l’existence des individus en un patrimoine domanial d’État, en un bien social. Au nom de la sauvegarde de ce bien, produit incompréhensible des mal-être individuels, l’homme a été abaissé au niveau de la machine. Pourvu qu’il fonctionne.

Quiconque sort des limites étroites de la survie met en question le projet de la domination de se rendre éternelle. Le devoir de la vie ou, ce qui est la même chose, de son bon usage, est quelque chose qui se niche aussi dans la mentalité de ceux qui ne cachent pas leur inimitié vis-à-vis de l’autorité et de l’exploitation. Le chantage de la militance ou de l’engagement n’est finalement pas si différent des préceptes religieux.

Pouvoir et survie sont profondément liés. « Pourvu qu’il reste en vie » est depuis toujours la pensée de ceux qui se résignent à l’expropriation totale de leur singularité en échange d’une existence mutilée mais garantie. Comme le sultan de Delhi qui, poussé par le désir de survivre à tous les hommes, fit raser au sol la ville, quiconque exerce le pouvoir voit dans la conservation de sa propre domination l’unique but de la vie. Comme les habitants de Delhi, qui se résignèrent à abandonner la ville, chacun d’entre nous, dans la mesure où il ne place pas la jouissance de la vie au-dessus de la vie même, remet son existence entre les mains de l’autorité, de toutes ces structures qui ont fondé leur conservation sur notre incapacité de vivre jusqu’au bout le caractère caduc de l’existence.

La ville dans laquelle nous vivons aujourd’hui est celle dans laquelle le sultan et les habitants partagent comme jamais le même rêve totalitaire : rendre les murailles invincibles. Le triomphe est le Soin.

En grec, « médicament » signifie à la fois remède et poison. Ce n’est pas un hasard. Le remède contre la peur de la mort a fini par étouffer la vie ; les murailles sont devenues si hautes que s’évader ne semble plus possible. Le sultan, à travers le sourire du politicien et du capitaliste, du scientifique et du médecin, du prêtre et de l’expert, rit de son intouchable pouvoir. Si l’homme est, comme on le dit, un seuil entre la vie et la mort, la seule manière de vivre pleinement sa liberté dangereuse et éphémère, c’est de détruire la survie et les murailles qui la garantissent. Sans remèdes ni soins.

(18 novembre 1994, numéro 4)

La nostalgie de Dieu

La peur du futur, de l’inconnu, de ce qui nous attend au virage, voilà ce qui nous pousse plus que tout à nous enfermer chez nous, pour se barricader, pour définir le territoire de la propriété comme sacré, pour se réaliser soi-même comme entité fermée, et enfin, pour placer en dehors de nous, en dehors de la maison où nous nous sommes barricadés, justement dans le cadre du chaos et de la mort, une substance supérieure, une référence inattaquable, et précisément pour cela insondable, nous procurant certitude et stabilité. Le processus mental qui est le fondement d’une si grande partie de la pensée révolutionnaire, sur la base duquel nous trouvons les éléments pour construire le passage (violent sans doute, mais ce n’est pas là le problème) vers la société du futur se base sur une volonté de se sauver du danger mortel que l’incertitude angoissante nous présente. La « libération » peut ainsi prendre une forme tout autre que libérée. Nous imaginons ainsi une société dans laquelle tous les maux possibles qui nous harcèlent aujourd’hui n’existent plus, une société dans laquelle il n’y aura plus ni pouvoir ni domination, ni chefs ni hiérarchies, ni exploitation ni souffrances, ni maladies ni ennuis. Une société d’égaux et de solidaires, une société de la beauté où chaque mocheté et chaque douleur sont bannies à jamais.

Il faut y aller mollo avec ces super-déterminations de la société libérée. D’un côté, le mécanisme a toujours été assez simple, il faut charger le futur, ce même futur qui un instant auparavant nous effrayait, de la tâche de réaliser toutes les choses qui manquent dans le présent, en portant jusqu’aux ultimes conséquences les traces, parfois mêmes négligeables, que nous pouvons aujourd’hui tenir entre nos mains. Une fois disparu ce qui nous opprime, la simple absence finit par devenir « liberté ». Nous ne nous rendons pas compte qu’en faisant ainsi, nous répétons, avec les meilleures intentions, ce que la foi en Dieu a fait pendant des millénaires. Nous chargeons sur le Dieu de l’Histoire le processus qui était hier confié au Dieu de la religion. Une fois encore, nous avons la nostalgie de Dieu.

Cependant, si nous nous limitions à faire cela, ce ne serait pas autre chose qu’une défaillance comme une autre, une amulette un peu grosse et gênante à traîner, rien de dangereux au sens strict du terme. Le fait est que nous ne nous limitons pas à cela. En allant vers la disposition d’esprit qui voit dans le futur la réalisation possible du bien maximal (la liberté) comme une radicalisation positive des maux et des peurs que nous connaissons très bien, car nous en souffrons comme des conséquences de la vie de tous les jours, nous devons poser des limites à ce qui arrive aujourd’hui, c’est-à-dire que nous devons réaliser un projet qui laisse en vie cette éventualité immuable, cet élément extérieur aussi bien à notre petitesse quotidienne qu’à la raréfaction extrême du mal qui nous attend, semble-t-il, à chaque coin sombre des rues.

En effet, pour arriver à la société libérée en tant que radicalisation positive des maux et des peurs d’aujourd’hui, il doit y avoir un mécanisme intrinsèque à l’histoire capable de la réaliser. En somme, il ne faut pas uniquement un Dieu, mais aussi une action du Dieu dans le monde. L’Histoire devient ainsi le royaume de Dieu projeté dans la réalité de tous les jours, laïcisé, pourvu de règne et de cadences périodiques, que non seulement nous arrivons à saisir, mais qui à long terme nous deviennent aussi agréables et réconfortantes. Dans cette perspective, tous mes projets sont marqués par la longue ombre de Dieu. Ma peur a reconstruit la divinité, et m’a une nouvelle fois livré à sa merci. Les structures organisatrices de la vie, ces domaines circonscrits délimitant le terrain de mon activité quotidienne, et qui en cela la rende possible, sont caractérisées d’une manière particulière précisément par ma nostalgie. Dieu me régit jusqu’aux moindres détails. Même si je ne lui attribue plus les génuflexions d’autrefois, même si je suis aujourd’hui devenu un prétendu laïc, dans les discours de la peur et de la lâcheté, je suis toujours le petit homme de jadis, et comme tous les petits hommes je deviens agressif et autoritaire, je cherche à construire les formes de la domination pour m’assurer que quelques fous furieux en circulation ne mettent pas en péril mes nouvelles certitudes. Au fond, chaque domination se base sur l’hypothèse de pouvoir réguler le futur imprévisible. Chaque domination est parvenue à exorciser la peur et l’incertitude future. Le refus de la domination passe donc aussi à travers ce rétablissement conscient et courageux de l’instabilité, de l’inconnu qui nous attend au coin de la rue.

La lutte a cela de beau qu’elle nous projette dans un monde entièrement à découvrir, à se réapproprier de manière toujours nouvelle, en dehors des schémas et des parcours obligés. Le risque peut être grand, les lieux de la certitude se réduisent toujours plus, et il n’y a pas d’alternatives. L’Histoire ne devient plus le lit du Dieu dormant, mais le théâtre, partiel et souvent incompréhensible, des vicissitudes humaines, le lieu où la barbarie et la mort sont toujours aux aguets, où il ne peut y avoir aucune société libérée définitivement, où il n’y aura même pas de parcours de libération possible si ce n’est pas nous qui le trouvons, sans exorcismes et sans amulettes.

3 mars 1995, numéro 17

1Seule une partie des textes en question sont traduits ici.

Volterra – Contro la “Fase due” della repressione preventiva! Basta montature! Solidarietà e libertà!

Apprendiamo che il 13 maggio nel quadro di un’operazione repressiva coordinata dal PM Dambruoso della Procura di Bologna e dal ROS dei Carabinieri è stato perquisito lo spazio di documentazione anarchico Il Tribolo di Bologna, sette anarchici sono stati arrestati e cinque sono stati sottoposti a obbligo di dimora. Agli arrestati viene contestato l’art 270 bis “associazione sovversiva con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” che prevede la reclusione da 5 a 10 anni.

In una fase in cui sono vietate e sanzionate tutte le libertà di riunione, manifestazione e sciopero, accuse e arresti politici sono inaccettabili.

L’apparato repressivo statale si scatena, non a caso, in un momento storico in cui forme di protesta contro simili provvedimenti vengono perseguite e il riunirsi ed il manifestare sono resi formalmente illegali, mentre la fanfara mediatica distoglie l’attenzione e invoca l’unità nazionale.

Esprimiamo solidarietà verso chi è stato colpito da questa operazione repressiva, vogliamo libertà per gli arrestati e per chi è stato sottoposto all’obbligo di dimora.

Ancora una volta il ROS cerca di confezionare accuse di associazione sovversiva e terrorismo per criminalizzare chi lotta contro il governo. Stavolta però la montatura repressiva è apertamente dichiarata dagli stessi Carabinieri a un noto quotidiano locale «le misure cautelari, sottolineano i carabinieri, assumono “una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale”, derivati dall’emergenza coronavirus, “possano insediarsi altri momenti di più generale ‘campagna di lotta antistato”».

Questo zelo preventivo dichiarato dai Carabinieri serve a coprire l’inconsistenza dell’inchiesta giudiziaria che, come spesso accade poggia in gran parte l’accusa di reato associativo sulla produzione e diffusione di testi di propaganda. Per la stessa Procura di Bologna infatti, l’associazione avrebbe «l’obiettivo di affermare e diffondere l’ideologia anarco-insurrezionalista, nonché di istigare, con la diffusione di materiale propagandistico, alla commissione di atti di violenza contro le istituzioni». Un castello di carte che non sta in piedi.

L’operazione repressiva rivolta contro il Tribolo è un’intimidazione nei confronti di tutti coloro che si pongono contro il governo, che vogliono che si rompa il silenzio sulla situazione nelle carceri, sui 14 morti durante le rivolte carcerarie di marzo.

Libertà per tutti!

Spazio Libertario Pietro Gori – Unione Sindacale Italiana (USI-CIT)

Volterra, 21 maggio 2020 – Via Don Minzoni 58

Beppe sciopero della fame

Riceviamo e pubblichiamo queste informazioni

da una lettera dell’11/05, Beppe (giuseppe bruna) ci avverte che è entrato in sciopero della fame (Da quello stesso giorno, che era pure il suo cinquantesimo compleanno) per protestare contro le condizioni di detenzione assolutamente incompatibili col suo stato di salute (fa sapere che non è stato MAI visitato e non è sottoposto a nessun trattamento medico); che la sua cella è interamente ricoperta di muffa che rende l’aria irrespirabile e insalubre; protesta contro il respingimento della sua richiesta di domiciliari e chiede, attraverso questa forma di lotta di essere (almeno) trasferito in AS2 a ferrara o terni.

dice anche che la situazione in sezione è insopportabile: ha litigato forte con un razzista che ha raccontato agli altri detenuti che lui (beppe) è un jhiadista che ha ucciso dex bambinx con delle bombe (!!!!).
ora hanno dato il divieto d’incontro a Beppe con questo detenuto perchè l’aria si è tesa e lui “gli ha promesso il conto”

parafrasando la sua lettera, chiediamo di far sapere il più possibile questa situazione.

Beppe sciopero della fame

Vallée de l’Ouvèze (Ardèche) – Arrêter de vivre? Plutôt mourir!

Attaque antenne relais

Voilà plusieurs semaines déjà que l’état d’exception du confinement sanitaire est imposé à l’ensemble de la population, avec son lot d’interdits inédits, d’hypocrisie quotidienne et de promesses de salut.

Moi, je ne voulais pas mourir de peur et d’ennui perfusé.e devant netflix. Durant ce mois passé, la rage et la consternation de vivre en temps réel un mauvais roman d’anticipation sont devenus pour moi, plus qu’un poison, un antidote. J’ai donc décidé d’attaquer.
En étendant les frontières de l’illégalité, en s’imposant partout sur les routes, les flics et les citoyens vigilants ont transformé la géographie en un espace dans lequel il a fallu réapprendre à se déplacer, et à retrouver le chemin d’autres complices.
Puisque les croix sur les montagnes ont été remplacées par des pylônes de réseaux GSM et de 5G, cela dit quelque-chose de la forme que prennent actuellement le pouvoir et nos croyances de salut.
Il était temps alors de rallumer les feux sur les collines pour diffuser des messages plus essentiels et directs à cell.eux qui voudraient bien les percevoir, de brûler ces croix nouées de câbles de fibre optique et de réseaux électriques.
Je suis seul.e, quelque-part au dessus de la vallée de l’Ouvèze, entre le Pouzin et Privas, dimanche 3 mai vers 2 h du matin. Il a beaucoup plu durant les dernières heures et les ultimes panaches de brume évaporés du sol s’élèvent face aux halo d’une demi lune. La nuit est douce et si calme.

Ces dernières années, semblait croître dans les discours, l’impression que l’État laissait sa place progressivement à des formes de gouvernementalité plus libérales et économiques, qu’à un pouvoir vertical, se substituait déjà des formes plus diffuses, invisibles.

Mais l’état n’a pas disparu. Il est au centre des réalités dans les guerres lointaines contre le terrorisme au Mali, dans la promotion d’un quotidien connecté, dans la répression généralisée des mouvements sociaux, dans la production de cadres de vie de plus en plus normatifs et technologisés.

A l’aube du printemps nouveau, la guerre est de nouveau déclarée, comme ultime motif de rassemblement, comme cause commune, comme devoir d’allégeance. Au nom de la santé et de la sécurité de tous et toutes, nous étions voué.e.s à être rassemblé.e.s, compté.es, partitionné .es, rangé.es, assigné.es, surveillé.es et étudié.es.
Quiconque dérogerait à la règle imposée par les ministres, experts de la santé de tous poils, par les préfets et leur police, serait traité d’irresponsable menaçant la santé des plus faibles.
Ce n’est pas une aventure inédite qu’au nom des personnes jugées et classées comme « fragiles », le pouvoir se taille sa plus belle pièce. Le pouvoir est ambidextre. Il tend la main qui protège, celle qui sauve et cagole. Dans le même temps, il frappe et mutile. Bientôt, on entend qu’il y aurait de meilleurs gestions étatiques de la crise que d’autres. On compare ce qui se déroule sous différentes latitudes. On incrimine les pouvoirs plus totalitaires comme en Chine et au Brésil. On se félicite du fait qu’au Portugal, les institutions offriraient des papiers à tous les demandeurs d’asile. Bientôt, on ne se sent pas si mal, finalement, par chez nous.

J’avance calmement dans la pénombre, quelques litres liquides de combustible dans mon sac, une pince monseigneur lourdement calée contre ma colonne vertébrale. Je suis comme absent.e à moi même, absorbé.e par le silence et les murmures nocturnes, happé.e par la minutie de la tâche, déclinant mes pas sans laisser de traces. Le sommet est paisible. Une brise légère balaye la crête d’où je perçois, partout en contrebas, les clignotements de diverses installations électriques du secteur, champs d’éoliennes, antennes relais et plaines industrielles.
Je m’ouvre un chemin parmi les grilles en brisant une chaîne qui entrave la porte de l’enceinte principale de la plus importante des deux antennes. Je range mon matériel et prends soin de rester à l’abri d’éventuels regards sous mon passe-montagne.

En avançant, je continue de penser : comme dans toute « crise », qu’elle soit produite de toute pièce par le pouvoir, ou subie et gérée au mieux, la situation crée un contexte inédit, support à constituer les chaînons manquant dans la machinerie du progrès. Ils étaient des centaines de scientifiques, de médecins et de bio-ingénieurs à venir proposer pour notre bien, des recettes d’apothicaires miracles de charlatans du vingt et unième siècle. Bien plus que de nous vendre une médecine quelconque, ils nous vendaient des raisons de continuer de l’avant, des manières de vivre. Dans sa réponse aux courroux des dieux, la science s’est offerte en renfort de promesses, apportant des solutions innovantes, aux problématiques produites par le progrès.
Le dispositif sanitaire opère également un tri entre des façons de mourir acceptables ou non. Les risques nucléaires et industriels, alors qu’ils sont organisés et constitutifs de l’activité humaine, contrairement à la plupart des risques biologiques, produisent vraisemblablement la mort et la souffrance chaque année, de manière extrêmement importante. Où est-il l’état protecteur et bienveillant quand il s’agit de protéger ses citoyens des technocrates du nucléaire?

Face aux discours et aux mots qui peuvent sembler vains ou manquer parfois, mes mains gantées glissent des paquets d’allume-feux industriels sous des lianes de câbles.
J’y répands également du gel inflammable et me tourne vers la sortie de l’enceinte pour m’approcher du second pylône. Une mini-pelle stoppée pour la nuit est échouée à l’orée du site. Je regrette de ne pas m’y attaquer et de manquer de matériel. Je place de nouveau des dispositifs incendiaires sur les câbles plus frêles et retourne à ma première antenne.
Sur place, j’arrose copieusement le tout d’essence et allume de part en part de l’installation deux départs de feu que la brise gonfle progressivement.
Je descends au second pylône et opère de la même manière.
Je m’écarte du site et m’évapore dans la nuit.

La santé et la sécurité sont devenues petit à petit les valeurs suprêmes justifiant à elles seules, les efforts et les égarements les plus absurdes.
Le virus et le combat contre sa propagation, dans le fait qu’il incarne la mort qui plane et qui frappe au hasard, imprévisible et soudaine est devenu le spectre à pourchasser sans trêve repoussant sans cesse les limites des endroits dans lesquels nous sommes prêts à nous rendre pour ne pas mourir.
Ce qui a été intériorisé, peut-être définitivement, comme expérience collective, c’est le goût et la nécessité du sacrifice. A partir de maintenant, on nous demandera sans cesse de solder les lambeaux restants de notre vie pour ne pas la perdre.

Après coup, je ne sais pas si cette attaque a occasionné des dégâts importants. Peut-être seulement quelques câbles ont-ils été sectionnés. Ce qui a compté pour moi c’est d’avoir réussi à agir, même seul.e, d’être parvenu.e à surmonter durant cette nuit arrachée à l’absurde, mes doutes et mon angoisse et d’avoir frappé ce qui apparaît pour moi aujourd’hui, comme un nœud essentiel de la société actuelle : le réseau mobile et l’ensemble du monde connecté qu’il permet de produire.
Contre la société de contrôle et la dictature sanitaire.
J’ai une pensée de rage envers les tablettes tactiles et les robots assistants qu’il convient désormais de distribuer en nombre dans les mouroirs pour personnes âgées. Que les dernières personnes qui ont traversés ce siècle sans technologie meurent entourées de robots et d’applications de toute sorte me fout la gerbe. Les trains de satellites lâchés par milliers qui sabotent les mystères du ciel nocturne ne seront jamais des promesses de paix.
Une pensée pour les portes qui restent volontairement ouvertes durant cette période difficile, à celles et ceux qui tentent, coûte que coûte de ne pas sacrifier leur vie face à la peur. Aux coups rendus et aux coups de mains. Aux mauvais coups et aux coups ratés. A celleux qui tentent. A celleux qui ne n’attaquent pas forcément mais qui aident à continuer et qui brisent les évidences.

Alors quoi : arrêter de vivre ? Plutôt mourir !

[Depuis attaque.noblogs.org].

https://insuscettibilediravvedimento.noblogs.org/post/2020/05/21/it-fr-valle-dellouveze-ardeche-francia-smettere-di-vivere-piuttosto-morire-03-05-2020/